XVIII
E Rivière medita. Non ha più nessuna speranza: quell’equipaggio sprofonderà in qualche luogo nella notte.
Si ricorda d’una visione che aveva colpito la sua infanzia: si stava vuotando uno stagno per trovare un corpo. Non si troverà nulla, anche questa volta, prima che quella massa d’ombra sia scivolata via sopra la terra, sino a che non risalgano nel giorno le sabbie, le pianure, i campi di grano. Qualche contadino scoprirà allora due bimbi col gomito piegato sul viso; parrà che essi dormano sull’erba e sull’oro d’un fondo tranquillo ma la notte li avrà annegati.
Rivière pensa ai tesori sepolti nelle profondità della notte come in mari favolosi... Ai meli notturni che attendono il giorno con tutti i loro fiori che non servono ancora. La notte è ricca, piena di profumi, d’agnelli addormentati e di fiori che non hanno ancora colori.
A poco a poco, saliranno verso il giorno i solchi grassi, i boschi molli, l’erbe mediche fresche. Ma tra le colline ormai inoffensive e le praterie e gli agnelli, nella bontà del mondo, due bimbi sembreranno addormentati: e qualche cosa sarà scivolato dal mondo visibile nell’altro.
Rivière conosce la moglie di Fabien, inquieta e tenera: quell’amore le è stato appena prestato, come un giocattolo a un bimbo povero.
Pensa alla mano di Fabien, che, per qualche minuto ancora, tiene stretto il suo destino nelle leve del comando. Quella mano che ha accarezzato, quella mano che s’è posata su un seno e vi ha acceso un tumulto, come una mano divina. Quella mano che s’è posata su un volto, e ha mutato quel volto. Quella mano ch’era miracolosa.
Fabien quella notte erra sullo splendore d’un mare di nuvole, ma, più in giù, c’è l’eternità. Egli è perso tra le costellazioni ov’è solo. Tiene ancora il mondo tra le sue mani e lo fa ondeggiare contro il suo petto. Stringe nel volante il peso della ricchezza umana, e porta, disperato, da una stella all’altra, l’inutile tesoro che sarà costretto a restituire...
Rivière pensa che un posto radiotelegrafico lo ascolta ancora. Non c’è che un’onda musicale che leghi ancora Fabien al mondo, una modulazione in minore. Non un lamento. Non un grido. Ma il suono più puro che la disperazione abbia mai modulato.