Diede un'occhiata al barone. Una forma di follia. senza dubbio! Un pazzo sanguinario. Ma no!... A uccidere i fantini e la vecchia non poteva esser stato lui. E perché no?... Ma per tante ragioni o altrimenti egli doveva ammettere d'essere un imbecille.
— E io non sono un imbecille! — disse forte, con enfasi, e s'inchinò al commissario, che arrivava, seguito dagli agenti e da Matteo.
— I miei rispetti, cavaliere!
De Vincenzi gli si fermò dinanzi e scosse il capo con melanconica rassegnazione.
— Ma, insomma, è un destino che lei arrivi sempre al momento giusto! Non le sembra d'invadere un po' troppo il campo altrui, signor Curti Bo'?
L'omino saltellò, agitando le mani.
— Lei sa chi sono!
— Naturalmente!... E non mi è stato difficile scoprirlo, sa? Anche se fino a ieri avrei pagato qualcosa, per poterla acciuffare e chiudere in guardina...
— Il saggio medita sette volte prima di agire!
— Ringrazi Iddio che la mia saggezza non me lo ha fatto credere l'assassino!... Tutto il suo modo di agire di questi giorni è stato tale da giustificare il suo arresto immediato...
Si chinò a guardare il cadavere, poi si avvicinò al barone.
— Chi è costui?
Il barone si scosse. Fissò il commissario e il suo sguardo fu quello di chi si sveglia da un sogno catalettico.
— Non era lui che volevano uccidere!... Il colpo era stato sparato contro di me...
— Da chi?
Una specie di smorfia dolorosa fu la risposta.
— Se lo sapessi!...
— Lei vuol dirmi che quest'uomo è stato ucciso davanti a lei e che lei ignora chi lo ha ucciso?
— Già... Pazzesco, vero? Eppure, è la verità... De Vincenzi tacque. Tutta quella storia era tanto incredibile che un nuovo enigma non poteva aumentargliene l'incredibilità.
— Chi è quest'uomo?
— Teodoro Timoteo Swan... Imperatore dei teosofi... capo della colonia di Gland, da me fondata e sovvenzionata...
— Ah!
E di nuovo la teosofia, la cabala, i Rosa Croce! De Vincenzi diede un'occhiata al Cristo d'avorio e a quello d'argento. Se almeno quei due Cristi aiutassero lui a non andare al manicomio!
Si volse di colpo, perché dietro le sue spalle l'omino parlava a voce alta.
— Gland!... Il cenobio gnostico si trovava a Gland!... Ero riuscito a saper tante cose e questa no!...
— Che dice, lei?
— Io? — e Curti Bo' sussultò, interrotto a mezzo delle sue riflessioni. — Io dico che da quella parte non c'è più nulla da fare! I denari sono al sicuro.
De Vincenzi alzò le spalle.
— Tutto questo per ora riguarda lei!
— Purtroppo!
L'omino si diresse verso il cadavere, gli girò attorno, si allontanò verso il fondo della stanza.
— Dunque, lei afferma che quest'uomo è stato ucciso davanti ai suoi occhi e che lei non ha veduto l'assassino?
Il barone assentì col capo.
— Io ero seduto qui... dinanzi al tavolo e Swan di fronte a me... Parlavamo... Egli mi rendeva conto dell'andamento della colonia di Gland... Era giunto questa sera dalla Svizzera appunto per informarmi... A un tratto, ho sentito risuonare un colpo di rivoltella dietro di me e ho veduto il povero Swan cadere dalla seggiola. Sono balzato in piedi e ho guardato verso il fondo della camera, laggiù... di dove il colpo doveva essere partito... Nulla?... Non ho veduto che ombra... così come lei può vedere adesso, chè la luce è la medesima...
De Vincenzi notò che era accesa soltanto la lampada sul tavolo e che da essa si sprigionava un alone di luce circoscritto, sì da illuminare appena il tavolo e un limitato spazio attorno ad esso. Tutto il resto della camera era nella penombra, che diveniva quasi tenebra negli angoli e verso il fondo.
— E lei non si è lanciato?
Il barone alzò le mani.
— Non l'ho fatto. Non creda che abbia avuto paura. Di solito il coraggio non mi abbandona facilmente. Ma la fulmineità dell'attacco mi ha paralizzato... Di colpo ho sentito l'inutilità di combattere?... Lei deve ammettere che in tre giorni ne sono accaduti di fatti strani attorno a me!... Come lottare contro un destino di tal sorta??... E poi, le ripeto, il proiettile doveva essermi riservato... e anche l'istinto di conservazione mi ha impedito di lanciarmi ciecamente contro la morte...
— Se avessero voluto uccidere lei... avrebbero potuto farlo tranquillamente, anche dopo aver sbagliato il primo colpo...
Seguì un lungo silenzio. Gli agenti erano rimasti fuori della porta dello studio. Il barone stava sempre in piedi, accanto al Cristo. L'alone di luce abbracciava mezzo corpo dell'ucciso, illuminando in pieno il faccione illividito e gli occhi azzurri, fissi vitrei spaventosi.
L'omino era scomparso dentro l'ombra, che invadeva il fondo della stanza.
De Vincenzi dovette fare uno sforzo per vincere l'oppressione angosciosa, che lo aveva afferrato.
La reazione si manifestò quasi con un grido.
— No! Non può essere!
Si diresse alla porta, accanto a cui aveva veduto il commutatore elettrico. Girò la chiavetta e tutte le fiamme del grande lampadario splendettero. Le tenebre scomparvero di colpo e ogni angolo della camera apparve, vuoto.
Per primo De Vincenzi vide l'omino carponi sul tappeto, come se stesse cercando qualcosa in terra. Egli aveva rivolto la faccia verso il lampadario e batteva le palpebre. Poi la porta di fondo completamente mascherata dalle tende.
— Quella porta dà nella sua stanza da letto, vero?
— Sì. E nel bagno. Non c'è uscita da quella parte.
De Vincenzi lo sapeva. Si volse ai suoi uomini.
— Cruni và a frugare in quelle stanze.
Il maresciallo traversò lo studio e tirò la tenda. La porta era chiusa. Quando ebbe girato la maniglia, il battente si aprì e Cruni entrò nella camera.
— Che cosa cerca, lei? Curti Bo' batteva sempre le palpebre.
— Di solito il bossolo cade assai vicino al luogo di dove il colpo è stato sparato...
— E lei lo cerca laggiù?!
— La verità ha talvolta l'apparenza della menzogna, appunto perché sempre la menzogna si adopera ad avere quella della verità.
De Vincenzi alzò le spalle e tornò verso il barone.
— Secondo lei, dopo aver sparato il colpo, l'assassino si sarebbe liquefatto?...
Il barone fece un gesto d'indifferenza.
— Il colpo è partito di laggiù... — e indicò l'angolo nel quale l'omino cercava sempre.
— Lei non si è mosso di qui?
— No.
— Mi dica quel che è accaduto dal momento in cui quest'uomo... Come ha detto che si chiama?
— Swan... Teodoro Timoteo Swan...
— … In cui Swan è caduto in terra... Mi dica tutto...
— C'è poco da dire!... Io sono rimasto a fissare l'ombra... Attendevo un secondo colpo che abbattesse me... Non avevo la forza di fuggire e non avrei avuto quella di difendermi, se qualcuno mi avesse aggredito... Invece, nulla!... Nessuno è comparso... nessuno si è mosso... Nulla, le dico!... Può non credermi, ma è la verità... A un tratto ho sentito aprirsi la porta che dà nelle sale... quella per la quale lei è entrato... e ho veduto Matteo... Aveva sentito la denotazione ed era accorso... Gli ho detto soltanto: chiama la polizia! E lui è fuggito. Dal momento che lei si trova qui, ne arguisco che Matteo ha eseguito il mio ordine...
— E anche dopo la scomparsa di Matteo, lei non ha sentito nulla, visto nessuno?
— No.
De Vincenzi rimase perplesso qualche istante, poi si diresse ai tendaggi delle finestre, uno dopo l'altro li sollevò. Nessuno. Girò per la stanza, batté sui muri.
— Ha trovato nulla, lei?
L'omino balzò in piedi. Poi si chinò di nuovo a raccogliere il cappello e il bastone, che aveva lasciati sul tappeto.
— Ho trovato questo... — e tese la mano con la palma aperta: sulla palma qualcosa di metallico brillava.
— Il bossolo!
— Naturalmente.
De Vincenzi trasecolava. Il racconto del barone, almeno in parte, era vero: il colpo era stato sparato dal fondo della stanza. Ma era possibile ammettere che lo sparatore si fosse volatizzato?
— Cruni era riapparso sulla soglia.
— Nessuno, dottore!... Nella camera e nel bagno non c'è anima viva!
La pazzia! Si ripeteva quanto era avvenuto la notte prima, quando avevano uccisa la governante!...
De Vincenzi cercò d'imporsi la calma. Soltanto col ragionamento avrebbe potuto trovare la spiegazione al nuovo mistero. Era pur riuscito a scoprire il passaggio segreto di cui si era servito l'assassino di Virginia Carey per fuggire. Questa volta, però, gli sembrava poco probabile che esistesse un passaggio segreto dalla stanza del barone alla strada. E perché no?
— Voialtri! Andate con Cruni e verificate tutti i muri di quelle camere... il pavimento... Vi autorizzo a fracassare i mobili, se è necessario...
I due agenti si lanciarono.
Nel quadro della porta non rimase che Matteo, pallido, immobile, con la parrucca rossigna per sghimbescio.
Il barone sorrise ironicamente e si lasciò cadere sul suo seggiolone, davanti al tavolo.
L'omino contemplava con melanconia la porta della camera da letto, da cui veniva il rumore che facevano i tre uomini per cercare.
Si tolse il cappello e si passò la mano sul cranio.
Sembrava depresso. Come se il colpo ricevuto avesse cominciato soltanto allora a fargli effetto.
— Ebbene... tanto vale che io continui... Oramai!
— Che cosa dice, lei?
— Dico che non troveranno nulla!
— E perché ne è tanto sicuro?
— Perché anche in quell'angolo... là, dove ho raccolto il bossolo... c'è odore di tabacco e di acqua di Colonia...
Il commissario lo fissò, scrutandolo.
— Che intende dire? Ancora il gioco della candela?!
L'altro si rimise il cappello.
— Lei ne sa più di quel che vuoi far credere!
— Certo che ne so di più!... Ma io non ho mai voluto farle credere nulla!
Fece qualche passo. Era agitato. Il bastone gli roteava fra le dita.
A un tratto ebbe un sussulto.
— Quattro cadaveri!
E si lanciò verso la porta. Urtò Matteo e passò.
De Vincenzi gli corse dietro fin nel salotto.
— Dove va, adesso?
— Venga con me, se vuole! Io spero di arrivare in tempo ad impedire che i cadaveri siano cinque... Correva sempre. Si volse per gridare:
— Ma se lei viene con me, lasci i suoi uomini a sorvegliare il barone. Ché altrimenti il numero dei cadaveri aumenterà in ogni caso...
De Vincenzi fece qualche passo ancora per seguirlo, poi si fermò.
Tornò in dietro e andò a piantarsi di fronte al barone.
— Lei pensa ancora che quelle due lettere che mi mostrò siano uno scherzo?
— Ma no?... Quelle lettere non sono uno scherzo?... Le ho fatte scrivere io... a me stesso. Esse avevano uno scopo. Adesso...
— Adesso? — ripeté De Vincenzi, chinandosi a fissarlo negli occhi.
— Adesso, non ne hanno più alcuno.
Capitolo XXVIII
Confessione
L'omino in piazza Crispi, appena fuori dei portici. trovò un tassi.
La corsa fino in via Guercino fu rapida.
Quando la macchina ebbe imboccato via Bramante, Vladimiro gridò all'autista di fermare. Disceso, ebbe un momento di indecisione. Doveva lasciar libero il tassi o trattenerlo? Guardò il tassametro e si affrettò a pagare: la vista di quella macchina che girava al suono del suo denaro gli aveva dato una stretta al cuore.
Oramai, le spese che faceva erano tutte in perdita. E l'aiuto che avrebbe potuto dargli l'autista in caso di pericolo assai relativo. Sapeva bene che andava incontro a un rischio. Ma, rotta per rotta, voleva venirne a capo. Se non altro, avrebbe avuto l'orgoglio d'esser riuscito a spiegare il mistero di tutte quelle morti.
Quando si fu messo per via Guercino, pensò alla candela. Accidenti! Non aveva con sè la maschera per proteggersi e adesso sapeva che l'inalazione dei vapori di acido prussico produce fenomeni gravissimi, spesso mortali.
Si fermò. In fondo era pazzia pura esporsi a quel rischio. E perché poi? Salvare la ragazza poteva essere un encomiabile proposito; ma lui non avrebbe fatto il dover suo anche soltanto col rivelare al commissario quel che aveva scoperto fino allora, lasciando a costui l'onore e il pericolo di andarla a liberare?
L'esitazione fu breve.
— Sono un sentimentale! — mormorò. — E non potrò mai dominare gli impulsi del cuore...
Ma non era soltanto il cuore a spingerlo ed egli si rendeva conto di essere un curioso esemplare del genere umano.
Come la prima volta che era andato in via Guercino, anche adesso l'orologio della chiesa di via Giannone si mise a battere. Adesso però, sembrava non volersi fermar più. Dodici colpi, poi una pausa, poi un altro colpo di suono fesso. La mezza del nuovo giorno.
— Né di venere, né di marte...
Così, era cominciato il martedi. Ma neppure la superstizione del proverbio lo indusse a tornarsene in dietro. Avanzava, invece, sempre più rapido. Ritrovò il muricciolo e l'inferriata. Questa volta il cancello gli si presentò aperto. Qualcuno era rientrato da poco o era uscito dalla casa e si era dimenticato di chiuderlo, seppure non aveva avuto tanta fretta da non curarsene. Il particolare quadrava con la sua teoria. Ma l'omino non cercava indizi che la corroborassero. Oramai, il suo istinto di segugio aveva parlato e lui seguiva la pista a muso basso e a coda sollevata. Se sbagliava, si sarebbe rotto il muso contro un muro!
Quando fu nel cortiletto erboso e si vide dinanzi i tre gradini e la porta, aveva già tra le mani il mazzetto dei grimaldelli. Sapeva quale adoperare oramai; ma non dovette servirsene. Anche il portoncino era aperto, coi battenti soltanto accostati. Quest'altro passaggio che gli si offriva da solo lo preoccupò. Oh! perché quella casa era lasciata così senza difesa? Un tranello oppure una fuga?
Scartò l'ipotesi del tranello, perché non poteva ammettere che l'abitatore di essa sospettasse di lui e in ogni caso che ne avesse prevista la visita proprio per quella notte.
Rimaneva la fuga. Anche questa avrebbe concordato con la sua teoria; seppure non completamente, dacché egli non riteneva che l'assassino dei due fantini, della vecchia e dell'Imperatore avesse chiuso il ciclo delle proprie imprese delittuose.
Si diede con violenza un colpo alla fronte.
— Bestia che sono! Ma è appunto perché le sue imprese non sono terminate che lui è fuggito di qui, portando con sé la ragazza!
Diede un calcio alla porta, la spalancò ed entrò nell'andito buio. Fece risplendere la lampadina tascabile e si lanciò di corsa al primo piano. Le tre porte c'erano ancora naturalmente ed eran chiuse. Ma non a chiave ed egli fece conoscenza con le tre camere. La sala da pranzo, la cucina e una specie di studio biblioteca. Mobili moderni, un ristagnante odore di tabacco, di chiuso e di polvere. Diede un'occhiata al titolo dei volumi allineati negli scaffali. Libri inglesi e tedeschi. «Oh! perché tedeschi?!» pensò. Ma poi i titoli dei volumi lo illuminarono: erano per la maggior parte trattati di chimica e di farmacologia. Pensò all'allampanato professore dell'Istituto Farmacologico e al suo «Étude medico-legale sur l'empoisonnement». Ma il trattato di Tardieu non Io vide. E, del resto, non aveva nessuna voglia di cercarlo. Non gli occorrevano prove in quel momento. E, se salì al secondo piano, fu soltanto perché oscuramente sperava che il fuggitivo o la sua vittima avessero lasciato qualche indizio che valesse a orientarlo.
La prima delle tre porte del secondo piano dava in una stanza da letto matrimoniale. Vuota come le altre che aveva visitate, aveva il letto rifatto e nessuna traccia d'esser stata abitata di recente. Nella seconda camera, invece, il lettino di ferro a una sola piazza recava netta l'impronta di un corpo umano che vi si fosse disteso di recente, ma sopra la coperta e non tra le lenzuola. Qualcuno vi aveva riposato tutto vestito, come per esser pronto a balzar giù. Nessun altro indizio, se non un diffuso profumo. Una donna aveva abitato quella camera. Miss Verity, naturalmente.
Vladimiro frugò nella stanza, febbrilmente, osservando dovunque, aprendo i tiretti del cassettone, spalancando l'armadio a specchio. I tiretti erano pieni di biancheria femminile, l'armadio di vesti da donna, di cappelli, di scarpine. Tutto in ordine. Appeso a un attaccapanni un pigiama di seta e una vestaglia.
Tutto questo era impreveduto! La sua teoria crollava o quasi. Chi aveva abitato in quella camera lo aveva fatto di sua propria volontà e per un lungo soggiorno. Si sarebbe detto che quella fosse stata la sua dimora abituale.
Ma, in tal caso, miss Verity non era stata rapita e non vi era stata trattenuta prigioniera!
Si trattava poi realmente di miss Verity oppure tutti quegli abiti e quella biancheria appartenevano a un'altra donna? Quale?
Ahimè!
— Sono stato superficiale e leggero! Mi sono accontentato delle apparenze e non ho indagato a sufficienza!
Uscì da quella stanza ed entrò nell'ultima.
Qui non trovò sorprese. Tutto come aveva preveduto: la camera da letto di un uomo, che fumava la pipa, beveva whisky e leggeva trattati di tossicologia per addormentarsi.
Sul comodino c'era una storia dei veleni e un manuale pratico di tossicologia.
Sul marmo del cassettone alcuni provini, qualche tubo di vetro, una lampada ad alcool, una decina di bottiglie contenenti liquidi di vario colore, che avevano tutte l'etichetta nera col teschio e le tibie incrociate.
— Il bar dei Borgia!
Nient'altro da vedere.
Ridiscese. Fischiettava e si divertiva a proiettare il cono di luce della sua lampadina dal soffitto agli scalini, alle pareti. Una farandola di raggi luminosi. La verità era che egli non aveva preveduto neppure per un istante di trovar la casa di via Guercino abbandonata. E, per di più, abbandonata a porte aperte! Il che voleva dire che l'abitatore di essa si infischiava che la propria fuga venisse scoperta e che qualcuno si prendesse la briga d'interrogare le stanze della casa, impadronendosi di più di un segreto rivelatore.
Quando fu per la strada, zufolava sempre; ma aveva una grande agitazione nel cervello. Anche la pista indicatagli dal suo istinto gli appariva nebbiosa e punto sicura, adesso.
Fu soltanto dopo aver ridisceso via Bramante ed essersi messo sotto gli alberi di via Legnano, che cominciò a ritrovare un poco di freddezza. Al largo Cairoli aveva già preso la sua decisione.
— Occorre far presto! Anche se rischio di fracassarmi il collo per non trovar nulla...
Crollò le spalle.
— La saggezza cinese insegna che soltanto un pazzo si mette a rimestare l'acqua torbida, per tentare di renderla limpida! Ma io non ho tempo di pensare ai cinesi, io!
Seduto nello studio, davanti al tavolo, sotto la protezione dei due Redentori crocefissi, De Vincenzi ascoltava la confessione del barone Gerolamo Verbena del Santo.
Poiché si trattava di una vera e propria confessione.
La resistenza fisica del vecchio lottatore era crollata di colpo. Quell'ultimo assassinio compiuto sotto i suoi occhi gli aveva tolto la forza di lottare contro un nemico, ch'egli ignorava.
— Perché ho scritto a me stesso quelle lettere?
Sulle labbra gli apparve un sorriso che sembrò un ghigno e dalla gola gli uscì un suono di raganella.
— Ebbene, commissario, la ragione non è pulita!
I suoi occhi ebbero un lampo di terrore ed egli si passò una mano sulla fronte.
— Se fosse vero! Se quella che ho immaginata fosse la realtà...
Ebbe un brivido. De Vincenzi, che lo osservava attentamente, si tenne pronto a slanciarsi e a trattenerlo: l'impressione che dava era di una belva inseguita, ridotta all'ultimo riparo, pronta al tentativo disperato. Avrebbe potuto uccidersi od uccidere.
Invece, sembrò calmarsi.
Si guardò in giro. Loro due soli e le porte chiuse. De Vincenzi aveva mandato Cruni e i due agenti nel salotto vicino, affidando loro Matteo.
In terra, a lato della seggiola del commissario, il cadavere di Teodoro Timoteo Swan era stato coperto da un lenzuolo, ché di rimuoverlo non si poteva parlare fino all'arrivo del giudice istruttore, a giorno fatto.
— Quello che penso... che ho pensato per un istante... non è possibile! Soltanto lo stato dei miei nervi ha potuto suggerirmelo!... Vedrà lei stesso di quale insulsa assurdità ho avuto terrore!
S'interruppe.
— Eppure, era proprio una tale insulsa assurdità, che io ho tentato di far credere agli altri!...
Ebbe un singhiozzo.
— Ah! che vita!... Mi sa dire, lei, perché si nasce, perché ci si trascina sulla terra... perché si muore?... E dopo?...
De Vincenzi lo ascoltava. Continuò a tacere. L'altro, del resto, non voleva risposta alle sue domande. Parlava, perché gli sarebbe stato impossibile non farlo. O uccidersi, o darsi alla fuga, oppure parlare, dir tutto, forse con l'oscura speranza di trovare un aiuto che lo salvasse.
— Bisogna risalire lontano nel tempo... Bisogna che io le parli degli anni di Sidney e di San Francisco... Anni di lotta...
— Il commercio delle perle.., il cabotaggio con la Vergine...
— Lei sa questo!... Ha fatto parlare Matteo!
— Matthew Scott mi ha detto soltanto quel che ha voluto... Lei deve dirmi il resto... La verità!
Il barone alzò le spalle.
— Non facevo commercio di perle... ma contrabbando d'oppio... La Vergine era una goletta impura quant'altra mai!...
Rise a quel suo modo interrotto, da sembrar che singhiozzasse.
— Il contrabbando dell'oppio stava arricchendomi, quando ebbi una sequela di colpi duri... Carichi confiscati... fughe di uomini... assalti di pirati cinesi alle mie navi... E come conclusione le autorità australiane e quelle degli Stati Uniti iniziarono proprio allora la lotta dichiarata agli importatori di droghe... Fino a quel momento, il commercio clandestino era stato facile... I pericoli si limitavano alle coste cinesi. Sicché, quando s'erano protetti i carichi dal possibile attacco dei briganti e le golette da quello dei pirati, il più era fatto... La mercanzia entrava in America quasi da sola... Questo per dirle che l'improvviso destarsi delle autorità federali ci trovò impreparati... Fu terribile! Di colpo perdetti tutto il guadagno di anni e anni di lavoro... Avrei dovuto gettarmi su qualche altra cosa... se non volevo tornare ad essere lo straccione miserabile che ero, quando mio padre mi aveva portato nel Sud America, abbandonandomi al mio destino per le strade di Buenos Aires...
Tacque. Sembrò esitare. Poi crollò le spalle.
— Quel che è stato è stato?... E la mia colpa è relativa... Dopo trent'anni!
— C'è prescrizione, naturalmente! Inoltre, l'America e l'Australia sono lontane...
— Come dice?!
Il sarcasmo di De Vincenzi lo aveva sferzato e adesso guardava il commissario, di fronte a sé, con sospetto.
— Vada avanti!
— Sì... M'ero messo a studiare il modo di affrontare la situazione, quando Ellen Mackenzie accettò di diventare mia moglie... Il padre di Ellen era stato mio socio nel commercio dell'oppio. Ma lui aveva fatto fruttare il denaro ed era ricchissimo...
Fu con indifferenza che De Vincenzi chiese:
— Il matrimonio avvenne prima o dopo... l'incendio della Vergine?
— Prima!
La risposta era partita spontanea. Subito il barone ne comprese la gravità, vedendo il sussulto del commissario.
Tutto chiaro, adesso. Quell'uomo aveva già moglie e un figlio, quando sposò Ellen Mackenzie. Il resto era facile da immaginare.
— Ma lei come fa a sapere che la Vergine fu distrutta dallo scoppio delle caldaie?
De Vincenzi non rispose.
L'altro inghiottì a fatica.
— Le avrei confessato tutto egualmente. Sì... Avevo lasciato Maud Mac Lane e il bambino a Sidney... Il matrimonio con Ellen mi era indispensabile... Non avevo scelta... Ci sposammo a San Francisco...
— E lei sperava che la sua prima moglie non lo avrebbe mai scoperto?
— L'America è lontana dall'Australia... E io avevo già deciso di venire in Italia con Ellen...
De Vincenzi si alzò.
Fece qualche passo per la camera. Un profondo senso di disgusto lo aveva invaso...
— Immagino il resto! Abbrevii!...
— Qualcuno mi aveva tradito!... Maud si era imbarcata sulla Vergine, decisa di recarsi a San Francisco...
— E lei...
— La Vergine era stata attaccata dai pirati... Aveva le caldaie seriamente danneggiate. Fu una disgrazia...
— Una disgrazia resa inevitabile da Matthew Scott!
— Io non volevo che il bambino morisse... Matteo avrebbe dovuto salvarlo e farlo scomparire...
De Vincenzi ebbe un gesto.
— Tutto questo è il passato. Venga ad oggi. Perché si è scritto quelle lettere? Per far credere che il bimbo era vivo e che, divenuto uomo, lo minacciava? A che scopo una tale commedia macabra e spaventosa?
— Il pensiero di quella creatura mi ha sempre ossessionato... Ne ho portato il ricordo con me come un cilicio!... In questi ultimi anni ho temuto davvero ch'egli fosse realmente vivo e che stesse per comparirmi davanti...
La sua voce era quasi un rantolo. De Vincenzi lo vide improvvisamente invecchiato. Le borse sotto gli occhi gli si erano fatte enormi, le gote gli ricadevano e due segni profondi gli segnavano lati della bocca. Lo sguardo atono e fisso, egli ora parlava soltanto per sé.
— Anche quell'ossessione deve avermi indotto a immaginare il trucco delle lettere... Volevo poter dimostrare che ero minacciato da un pericolo reale...
— Ma perché?
Il barone sospirò profondamente.
— Ah! come gli avvenimenti hanno precipitato! Ho creduto di poterli dominare e non ci sono riuscito!... Perché, commissario?... Perché avevo paura e volevo fuggire!... Tornare in America... o forse andarmene altrove... molto lontano... Il progetto ha preso corpo in me lentamente... sono stati anni di tortura... Ma per fuggire mi occorreva il denaro... il denaro che avevo... che è mio; ma che non avrei potuto far uscire dall'Italia... Eppure, in Italia ero stato io a portarlo... Ebbene, no!... La legge non mi consente di riportarmelo via, di disporne a mio piacere...
De Vincenzi alzò la mano con vivacità. Più che mai voleva che l'altro abbreviasse. Per un istante si vide dinanzi l'amino, quel Curti Bo', che s'era attaccato alle coste del barone appunto per conto del Fisco.
— Ma di chi aveva paura?
— Di chi?... Non lo so !... Se lo avessi saputo, avrei potuto difendermi... Il pericolo era attorno a me. Io lo sentivo. Il primo colpo lo ebbi, quando Drake volle dare il nome di Vergine alla cavalla...
De Vincenzi ebbe un sussulto.
— Drake veniva dall'Inghilterra... non aveva avuto alcun rapporto con me ai tempi di Sidney e di San Francisco... non poteva sapere!... Feci fare ricerche... Esse mi confermarono che Fred Drake non era mai stato in America... Egli ha ancora sua madre... viva... in un piccolo villaggio della Scozia... La prima idea che mi era venuta... oh! pazzesca, lo so, ma tuttavia giustificata... era che egli fosse mio figlio... il figlio di Maud...
Il commissario si avvicinò al tavolo. Scrutava il barone negli occhi.
— No Non lo è! — Quasi gridava. I suoi nervi dovevano esser tesi da spezzarsi. — Marco è morto! I morti non ritornano!
La voce gli si spense in un singhiozzo.
De Vincenzi volle reagire. Sentiva avvolgersi in un'atmosfera di tragedia irreale e allucinante.
— I morti non tornano!... Mise una mano sulla spalla del barone, lo scosse leggermente. — È sicuro, lei, che il bimbo sia morto nella catastrofe della Vergine?... Matteo può averlo salvato, nascondendo a lei di averlo fatto...
— No!... Appena scoppiate le caldaie, Matteo si gettò in acqua e nuotò verso il porto... Lo presero a bordo di un battello... Era solo, io lo vidi!... La goletta si sommerse, portando con sé tutti!... Tutti!
Si alzò.
— Sapevo che quella vendetta era impossibile... ma cercai di dar corpo a una minaccia concreta. Forse, avevo bisogno di creare, per me stesso, qualcosa di reale... di tangibile... per non impazzire... La verità è che sentivo il pericolo attorno a me... oscuro, viscido... Le lettere sono state scritte da me; ma parecchie volte... in questi ultimi mesi, sedendomi a questo tavolo, ho trovato scritto sulla mia carta... qualche volta sullo stesso mio foglio incominciato... una parola, una sola... Vergine! E quella parola non ero stato io a scriverla!... Qualcuno sapeva! Qualcuno mi minacciava, ma chi?... Non avevo il più piccolo sospetto, non potevo immaginare una sola spiegazione logica... Dubitai di Matteo... ma mi accorsi facilmente che il mio dubbio era infondato... Matteo fu terrorizzato più di me, quando gli mostrai uno di quei fogli e quando seppe che Drake aveva chiamato Vergine la cavalla...
— Fatti!... Mi citi fatti concreti!... — interruppe De Vincenzi con voce secca.
— Nessuno... Fino alla morte di Perry Hodburn... Avevo incontrato Swan e lo avevo fatto mio complice nel tentativo di portare il denaro... il mio denaro all'estero... Avevamo fondato la colonia di Gland, per mascherare il nostro maneggio... Il giorno in cui fu ucciso, Hodburn, alla mattina, mi aveva telefonato... Mi parlò oscuramente... Pensai subito a un ricatto; ma non seppi immaginare di quale arma si servisse per minacciarmi... Mi disse soltanto che aveva un segreto da vendermi... Gli risposi che a mezzanotte sarei andato da lui... nella sua camera... Conoscevo bene le scuderie e sapevo che mi sarebbe stato facile entrare nella camera del fantino, dando la scalata al muro esterno... Raccomandai ad Hodburn di lasciare la finestra aperta.... Più tardi meditai e decisi di non andare più, ma di mandare Matthew Scott...
— E Matteo andò?
— Andò! E trovò Perry Hodburn cadavere, così come io stesso dovevo trovar morto Clark O' Brian la sera dopo... Anche O' Brian mi aveva telefonato ... per vendermi un segreto! E anche lui era stato ucciso prima che potesse parlarmi!... La stessa notte è avvenuta la scomparsa di Verità e la morte di Virginia Carey?... E finalmente questa sera mi hanno ucciso Swan sotto gli occhi!... Chi? Chi?...
Era livido. La voce gli si era fatta rauca. Quando tacque, sembrava stremato e vacillò. Dovette appoggiarsi al tavolo per non cadere.
In quel momento il telefono trillò. I due uomini ebbero un sussulto. Per qualche istante neppure De Vincenzi trovò la forza di muoversi per rispondere. Il campanello continuava a suonare, con violenza, ad appelli interrotti, come grida di soccorso. Quando afferrò il cornetto e disse pronto, De Vincenzi senti la voce di Curti Bo'.
— Prenda un'auto e porti con sé quanti più agenti può... È questione di vita o di morte!
— Ma dove?
— Alle scuderie... Presto?
E non poté sapere altro, perché l'omino aveva riattaccato il microfono.
Capitolo XXIX
Allucinazioni
Per poter telefonare al palazzo del barone Verbena, dove supponeva si trovasse ancora il commissario De Vincenzi, Curti Bo' fece una cosa semplicissima, scavalcò il cancello dell'Ippodromo di San Siro e si servì del primo telefono che trovò sotto le terrazze della tribuna del peso. Per sua fortuna, era un apparecchio a moneta, non a gettone, ed egli aveva un cinquantino fra i suoi spiccioli.
Quando ebbe telefonato, rifece in fretta la strada e si arrampicò di nuovo ai ferri del cancello. Una volta tornato sul piazzale, si fermò.
L'ombra del suo corpo, proiettata dalla luna sulla ghiaia, gli appariva bizzarra. La luna quasi piena, alta sull'orizzonte, gli mandava i raggi alle spalle e l'omino contemplò per qualche istante il profilo nero di se stesso.
— Una sostanza corporea, che non esiste! Ma noi stessi, forse, esistiamo?!... Oh! lo so!... e sogghignò. — Esistiamo appunto, in quanto facciamo ombra!...
Riprese a camminare coi suoi passettini saltellanti, che facevano stridere la ghiaia.
— I due sono entrati lì dentro!... Oh! certo si sono rinchiusi nelle scuderie... Io ho soltanto veduto la luce filtrare dalla finestra dell'ufficio dell'allenatore — eppure ho la sicurezza di non sbagliarmi... Ah! quanto è difficile!... E quegli abiti nella stanza della donna! Tutte le mie supposizioni a gambe all'aria...
Il rumore della ghiaia cessò. L'omino calpestava adesso la terra a sterro del viottolo di Trenno. L'ombra del suo corpo era scomparsa, assorbita da quella delle siepi e degli alberi, che fiancheggiano il viottolo.
Traversò lo spiazzo del «tondino», costeggiando la stecconata. Adesso, aveva davanti a sé il fabbricato lungo e basso delle scuderie, bianco di latte al chiarore lunare.
Attraverso le persiane della prima finestra a pianoterra, accanto al portone d'ingresso, la luce filtrava sempre.
— Se potessi sapere che cosa accade lì dentro!
Ma aveva già provato ad avvicinarsi e a cacciare lo sguardo tra i legni delle persiane. Non aveva visto che il soffitto. E i vetri erano chiusi. O non parlavano neppure, lì dentro, o parlavano assai sommessamente, ché a lui non era giunto neppure un fiato.
La scuderia era di mattoni e aveva tutte le travature di legno allo scoperto, che davano un carattere rustico al fabbricato e servivano d'ornamento, dipinte in verde com'erano. Il portone aveva la tettoia spiovente, assai vasta, sorretta da quattro pilastri quadrati, due avanti e due murati alla facciata. Vladimiro andò a cacciarsi contro uno di quei pilastri ed attese. Quando avesse inteso arrivare il commissario con gli agenti, gli sarebbe andato incontro e lo avrebbe informato.
Di che?
Le sue potevano essere tutte ubbie! In fondo, egli, trovata vuota la casa di via Guercino, s'era fatto portare da un tassì fino a Trenno, senza un ragione, seguendo soltanto lo slancio di un presentimento. Certo, la sua intuizione assai spesso gli era servita; ma questa volta?
La campagna, sommersa dal chiarore della luna, era immota. Non un trillar di grillo, non un frinir di cicala. Si sarebbe detto che la terra trattenesse il respiro per l'ansia di una tragedia imminente,
L'omino si agitò. Aveva bisogno di scuotere da sé quella sensazione d'angoscia, che lo invadeva. Una sensazione di smarrimento, assai simile alla paura dell'ignoto.
Si avvicinò di nuovo alla finestra, tentò un'altra volta di vedere attraverso la persiana. Nulla, se non il soffitto bianco di calce. E non una voce...
Si teneva ancora attaccato al parapetto, ritto sulla punta dei piedi, quando dal piazzale di San Siro venne il rumore sordo d'un motore.
Si allontanò con un balzo dalla finestra e corse verso il viottolo.
De Vincenzi procedeva a passo misurato e dietro di lui gli agenti — sei in tutto, capitanati da Cruni — si sgranavano in fila indiana. Le loro ombre scomparivano tra le siepi e gli alberi della stradetta. De Vincenzi avrebbe voluto correre. Egli sapeva che la telefonata di Curti Bo' gli avrebbe recato assai probabilmente la conclusione e che in ogni caso essa preludeva a una tragedia nuova o ne era addirittura l'annunzio. Ma non correva e procedeva anzi quasi lentamente. Appena sceso dal camion della Squadra Volante sul piazzale dell'Ippodromo, davanti allo spettacolo della campagna annegata nell'opaco chiarore della notte lunare, sentendosi circondare da quel silenzio fatto di perplessità sospesa e ansiosa, aveva provato uno strano senso di torpore mistico.
Raggiunto quasi il termine del viottolo, stava per uscire sullo spiazzo, quando una voce lo fermò di colpo.
— Commissario!
De Vincenzi sussultò. La voce veniva dal cespuglio, sembrava sorgere di terra.
— Commissario! Sono io... Curti Bo', in due parole...
E l'omino sbucò dal cespuglio.
— Perché mi ha fatto venir qui?
— Un'idea... Lei ha trovato l'assassino dell'Imperatore?
— Andiamo, Curti Bo'! Non perdiamo tempo!... Quale altro cadavere ha scoperto, questa notte?
— Ancora nessuno, commissario! Per ora non ho trovato che una finestra illuminata... Intendo dire, una finestra chiusa, dalla quale trapela luce...
— E per una finestra da cui trapela luce... Ma s'interruppe e si chinò sull'omino, fino a mettergli il volto contro il volto. Vladimiro fece una smorfia e batté le palpebre.
— Finalmente, vuoi dirmi tutto quel che sa, lei?
Vladimiro volse il capo e guardò attorno a sé lo spiazzo bianco sotto la luna, il fabbricato delle scuderie. Il silenzio su loro era impressionante.
— Commissario, è necessario entrare ad ogni costo nelle scuderie!
De Vincenzi lo fissò ancora qualche istante, poi si allontanò da lui.
— Fa' circondare le scuderie — comandò a Cruni. — Tu rimani con me.
Gli uomini traversarono lo spiazzo. Camminavano con cautela. Davanti alla facciata del fabbricato bianco, si divisero. Le loro ombre scomparvero dietro gli angoli del casamento.
Quando i tre rimasti furono davanti al portone, l'omino afferrò per il braccio il commissario.
— Non bisogna picchiare...
— Ma che teme, lei?
— Oh! molte cose!... Anche di trovare la candela già spenta, temo!
De Vincenzi lo guardò.
— E come vuol fare ad entrare, se non ci aprono? Non vorrà mica sfondare la porta?! Sarebbe stato anche abbastanza difficile, del resto. I battenti del portone erano di quercia massiccia.
— Si farebbe troppo rumore! E noi dobbiamo poter capitare li dentro all'improvviso...
Come sempre nei momenti d'impaccio, l'omino s'era messo a succhiare il manico del bastone.
Se lo tolse di bocca, per mormorare:
— Tutti i detectives dei romanzi polizieschi sono straordinariamente abili nell'adoperare i grimaldelli!
Diede un'altra occhiata alla finestra. La luce si vedeva sempre.
Guardò le finestre dall'altra parte del portone. Chiuse e nere.
— Il custode e la moglie dormono...
Dentro dovevano esservi anche gli uomini di scuderia e gli allievi fantini, nelle loro camerette, sopra le scuderie.
Come entrare?
A un tratto, abbassò il bastone e diede un colpetto al braccio del commissario.
— Non c'è che un mezzo! Il muro e la finestra...
La camera di Perry Hodburn è certamente vuota e in quanto a far saltare i suggelli è un gioco!... Conosco la strada...
De Vincenzi avrebbe voluto trattenerlo.
— Ma lei stesso ha parlato di pericolo!
— Cercherò di evitarlo... Lei entri appena io le aprirò il portone... ma faccia adagio...
Era già lontano e poco dopo voltava all'angolo del fabbricato.
— Seguilo! — soffiò De Vincenzi a Cruni. — Qualche agente, vedendolo scalare il muro, potrebbe sparare...
E lui attese. In fondo, era sicuro che l'omino sarebbe riuscito e che tra poco se lo sarebbe visto comparire davanti dal portone aperto.
L'attesa fu lunga, tuttavia.
Finalmente, il portone si aprì e la testa faunesca dell'omino, col suo ineffabile copricapo un poco all'indietro, apparve.
De Vincenzi, liberato da un peso, gli si accostò in fretta.
L'omino si mise un dito sulla bocca.
— Ssss!... La porta dello studio è chiusa e temo che sia chiusa a chiave... Io mi sono fermato qualche minuto in alto... ho voluto dare un'occhiata alla camera di Clark O' Brian... Interessante!...
Si ritrasse, per far entrare De Vincenzi e Cruni. L'androne era illuminato da una lampadina smorta, alta al soffitto, e una lampada più potente, sorretta da un lungo palo, ardeva in mezzo al primo cortile, illuminando la colonnina col rubinetto dell'acqua, lo sterrato vuoto e le porte dei boxes.
Nell'androne, le due porte che si facevano fronte, da una parte e dall'altra, erano chiuse entrambe. A destra c'erano le due stanze, una dentro l'altra, del custode e a sinistra l'ufficio dell'allenatore. Come dalla finestra, sotto la porta dell'ufficio filtrava la luce.
L'omino si avvicinò con cautela alla porta di sinistra e mise l'orecchio contro il legno. De Vincenzi lo imitò.
Per qualche istante, non udirono nulla. Poi sussultarono. Una voce opaca, piana, una strana voce che sembrava disincarnata arrivò alle loro orecchie.
— Io ho ucciso Perry Hodburn, perché voleva ricattare mio padre... Sono entrata alle undici nella sua stanza, passando per la finestra... Perry mi attendeva... Io avrei dovuto portargli il denaro...
— Bene. Ma valendosi di quale segreto, Perry ricattava il barone? Voglio che tu risponda a questa domanda senza esitazioni!
La seconda voce che udirono era fredda, tagliente, meccanica. De Vincenzi sentì un brivido percorrergli la schiena.
— Chi è? — mormorò.
— Zitto, per l'amor di Dio! — soffiò Vladimiro.
— Perry Hodburn aveva scoperto che mio padre stava per fuggire all'estero dopo aver fatto correre la Vergine... La Vergine sarebbe stata drogata e si sarebbe abbattuta dopo i primi mille metri, facendo vincere un outsider, sul quale mio padre aveva puntato forte...
— E tu sei andata all'appuntamento... Continua...
— Abbiamo cominciato a parlare... Perry era disteso sul letto...
— Non è cosi! Tu non dici la verità. Bada bene: Perry non poteva essere disteso sul letto e rimanervi anche davanti a te... Nessuno lo crederebbe... Adesso, dimmi la verità!
— Avevo con me la candela... Ho detto ad Hodburn che la luce della sua lampada avrebbe potuti richiamare l'attenzione dal di fuori e l'ho accesa spegnendo la lampadina. Avevo pronto il fazzoletto imbevuto di soluzione sodica e me lo sono messo sulla bocca... Perry quasi subito cadde sul letto — Quando lo vidi inanimato lo colpii con il coltello...
— Bene. È così certamente che tu hai fatto. Adesso dimmi come hai ucciso Clark O' Brian...
— Ero stata a parlare con lui alle sette di sera e avevo saputo che egli mi aveva veduta scendere dalla finestra di Hodburn la notte prima... Mi disse che aveva un'appuntamento con mio padre a mezzanotte e che, se non si fosse messo d'accordo con lui, sarebbe andato a raccontar tutto alla polizia...
— Avanti! Voglio la verità! Questa che tu dici è la verità, capisci! Oramai, non potrai che dire la verità, a tutti!
— Sì. Io dico la verità. Feci con Clark O' Brian quel che avevo fatto con Hodburn... Quando lo vidi inanimato per le esalazioni dell'acido prussico, ne misi il corpo dentro un lenzuolo, che tenendolo ai capi calai fuori dalla finestra... Lasciai liberi due dei quattro capi e il corpo scivolò a terra... Mi fu facile poi portarlo fino al viottolo...
— Perché hai fatto questo?
— Volevo che mio padre trovasse il cadavere per primo...
— E perché sei tornata a pugnalarlo? Pensa bene prima di rispondere... Cerca di ricordarti la verità!
— Perché avevo veduto quel ridicolo uomo che mi spiava... quella specie di nanerottolo chinarsi sul cadavere e volevo che non si scoprisse il modo con cui avevo ucciso Clark, cosi come non si era scoperto per Perry Hodburn.
Seguì il silenzio.
De Vincenzi aveva ascoltato e si sentiva ora il sudore freddo alla fronte e alle mani.
Si sollevò.
— Entriamo! — riuscì ad articolare.
— No! non ancora!...
— Ma è atroce!
Curti Bo' lo aveva afferrato per un braccio e le tratteneva.
Si udì un passo affrettato nella stanza chiusa. Poi il rumore di una finestra che si apriva.
— Dentro! — gridò De Vincenzi, slanciandosi.
La porta resistette.
— Avanti, Cruni!
Tutti e tre si precipitarono contro i battenti.
Dallo spiazzo vennero i colpi sordi di una rivoltella che sparava.
Capitolo XXX
Fuoco
L'uomo, appena balzato dalla finestra, si trovò la strada chiusa da un agente. Il proiettile gli fischiò alle orecchie e andò a piantarsi nel muro della facciata. Lui lanciò una bestemmia e si gettò dietro il pilastro della tettoia.
L'agente avanzava, pronto a tirare ancora. Dai due angoli del fabbricato altri agenti arrivavano di corsa, richiamati dagli spari. Allora, dal pilastro partì un colpo. L'agente mandò un grido strozzato. Ma non cadde. Fece fuoco di nuovo, anzi.
L'uomo, dal riparo del pilastro, con un sol balzo si trovò contro il portone. Sentì che il portello cedeva e vi si cacciò. Traversò l'atrio di corsa e scomparve nel cortile.
Tutto era avvenuto in un baleno.
De Vincenzi, Cruni e Curti Bo' si trovavano ora nella stanza, dopo averne abbattuti i battenti.
Dentro la stanza illuminata, Verità era seduta su una seggiola, pallida come una morta, con gli occhi fissi.
All'irruzione degli uomini si alzò, agitò le mani davanti a sé, si addossò al muro.
De Vincenti era già alla finestra e gridava:
— Non fartelo scappare!
Riuscì a vedere, sporgendosi, che l'uomo si era rifugiato contro il portone e subito si ritrasse e si gettò fuori dalla porta scardinata.
— Con me, Cruni!
Un attimo e lo avrebbe preso alle spalle. Invece, se lo vide passare dinanzi come una freccia e scomparire verso le scuderie.
— Chiama gli altri!
E lui corse nel cortile.
Un'ombra saliva la scaletta dei locali accessori. De Vincenzi sparò. L'ombra sembrò starnazzare. Qualche porta in alto si aprì.
— Fermatelo! — gridò De Vincenzi.
L'ombra continuò a salire, poi improvvisamente precipitò rapidissima giù dai gradini. Scivolò lungo le porte delle scuderie; scomparve dentro un box.
Gli uomini di scuderia e i ragazzi erano usciti sulla passerella. Si raggruppavano terrorizzati, non comprendendo.
De Vincenzi avanzò verso il box dentro cui l'uomo si era rifugiato.
Una mano gli si posò sul braccio e lo trattenne.
— Dalla parte della campagna tutte le scuderie, hanno l'inferriata... Inferriate doppie... Non può fuggire...
Era l'omino.
Dal di fuori accorrevano gli agenti e si raggruppavano dietro il commissario.
Il gruppo si trovava a una decina di metri dalla porta del box, che s'era richiusa.
Improvvisamente, si aprì lo sportellino e si vide un piccolo lampo. Uno degli agenti cadde. Non aveva fatto a tempo neppure a gridare.
Cruni bestemmiò e si chinò sul caduto.
— Gettatevi a terra! Non rimanete uniti! — gridò De Vincenzi.
Gli uomini si sparsero per il cortile, si accovacciarono.
— È morto! — ruggì Cruni, che era rimasto accanto al colpito.
De Vincenzi si era inginocchiato dietro la colonnina della fontana e l'omino gli si era disteso al fianco.
— Non spari, commissario!... Prima di tutto è inutile... e poi potrebbe ucciderlo...
— E lei crede che io sia disposto a far ammazzare i miei agenti per non ucciderlo?!
L'omino sospirò e si accomodò il cappello sulla nuca.
— Faccia spegnere la luce in alto... Ci vedrà meno... Che possa fuggire non c'è pericolo...
Il caporale di scuderia scendeva dalla scaletta.
— S'è chiuso nel box della Vergine!... Ma chi è?
Urlava ed era enorme, sbracato, da far ridere in altro momento.
— Andate a spegnere la luce del cortile! — gli gridò De Vincenzi.
L'uomo ripeté:
— Ma chi è quel matto?
Un altro colpo partì dal box e il caporale fece un salto e si mise a correre.
Dall'alto della passerella, i garzoni adesso si agitavano con clamore. Il nome della Vergine veniva ripetuto con orgasmo terrorizzato.
La luce si spense. Ma il cortile era illuminato dalla luna e le ombre degli uomini accovacciati apparivano visibilissime.
Si sentì una risata stridente, acuta, folle. Poi dallo spioncino partirono altri colpi.
I cavalli cominciarono a nitrire e a tirare calci contro il legno delle parapettate. Un inferno di rumori si sollevò.
De Vincenzi puntò la rivoltella e fece fuoco. La risata si ripeté più stridula, più acuta, da dare i brividi.
— È pazzo! — mormorò l'omino.
Seguì qualche istante di silenzio.
De Vincenzi tornò a prendere la mira.
— No! È necessario averlo vivo!... Lo tenga in scacco fin quando abbia finito i proiettili... Io vado dalla ragazza...
E l'omino fece qualche metro trascinandosi, poi si sollevò e di corsa raggiunse l'androne.
Verità era rimasta addossata al muro, con gli occhi sbarrati, il volto esangue.
Vide l'omino e gli occhi le lampeggiarono.
Vladimiro si fermò in mezzo alla stanza. Si tolse il cappello e si passò una mano sulla fronte.
— Signorina Verità, è questo il momento in cui lei ha bisogno di me! Glielo dissi: non vorrei trovarmi accanto a lei, quando i morti saranno più di uno... Adesso, i cadaveri sono tanti da popolare un cimitero... Ma ci son qui io! Oh! perché non ha avuto fiducia in me, signorina Verità?!
Gli occhi di Verità brillarono di nuovo. Fu come il bagliore di un lampo che rischiara l'orizzonte. Tutto il volto di lei ne fu illuminato.
Che cosa si era prodotto nel suo cervello? Quale pensiero improvviso o quale sensazione l'aveva afferrata, trasformandola? La sua rigidezza da allucinata era scomparsa. Il volto le si era animato, colorandosi lievemente. Ella guardò l'omino e sorrise con tristezza.
— Che cosa volete fare per me, signor Curti Bo'?...
Pronunciò il nome con leggero accento ironico. Forse, ricordava al vivo il primo incontro, sull'automobile.
— Sicuro!... Oh! c'è molto da fare adesso, signorina Verità!...
— Non c'è più nulla da fare, che attendere la fine!... Oh!
Si prese il volto fra le mani e si lasciò cadere sulla seggiola. Piangeva dolcemente, silenziosamente.
Curti Bo' mandò un sospiro. Quello spettacolo gli lacerava il cuore. Sono un sentimentale, io! Si avvicinò alla ragazza; ma poi non seppe che dire. Si rigirava il cappelluccio fra le mani.
— In che dramma funesto mi sono andato a cacciare...
Volse il capo verso la porta. Dal cortile veniva il fracasso dei cavalli imbizzarriti, che sferravano calci, tentando di rompere le capezze. Poi risuonò un'altra scarica di rivoltellate.
Verità sussultò e si tolse le mani dalla faccia.
— Che cosa succede?!... Perché sparano?
— È lui che spara! Vuol vender cara la vita, quello lì!
Un lampo di terrore sconvolse i tratti della donna.
— Non voglio vederlo!... Sono stata io ad uccidere! Sono stata io!
Si era alzata di nuovo. Tornava a irrigidirsi.
— Io!... Io ho ucciso Perry Hodburn... Clark O' Brian... Virginia... — Un singhiozzo secco, lacerato. — Io ho ucciso Virginia! Volete sapere come ho fatto?... Posso dirvi tutto...
— Naturalmente! — assenti l'omino con foga. — Certo, è stata lei!... Si calmi... e non dica più nulla.
Verità ansava. Lentamente si calmò; ma lo sguardo le rimaneva fisso, atono.
Adesso, mi ricade nel sonno ipnotico! Ah! purché quelli lì fuori non me lo accoppino! Se lui muore, questa qui chi la salva dalla pazzia?
A un tratto dal cortile venne un urlo: il fuoco!
— Ha dato fuoco alla scuderia!
Vladimiro balzò fuori dalla stanza.
Lingue di fuoco uscivano dal box.
I nitriti dei cavalli s'erano fatti altissimi, disperati, sembravano grida umane.
La porta del box cominciò ad ardere. Rimaneva chiusa. L'uomo o era già morto, ucciso con un colpo di rivoltella, o dava prova di un coraggio e di una volontà disperatamente folli a rimanere in quell'inferno. Certo, voleva morire con la Vergine, arso nel medesimo rogo, più tosto che farsi prendere.
De Vincenzi era rimasto come paralizzato. In piedi in mezzo al cortile, aveva attorno a sé gli agenti e i garzoni della scuderia.
— Aprite i boxes e liberate i cavalli!
Era stato l'omino a gridare. Fu istantaneo. Gli uomini sembravano galvanizzati. Si lanciarono verso le porte chiuse. Poi tornarono in dietro.
— Le asce! Cercate le asce!
De Vincenzi s'era scosso e riprendeva il comando.
Dal box della Vergine il fuoco si propagava rapidamente. La passerella ardeva. Le fiamme — appiccate evidentemente alla lettiera o alla mangiatoia — s'erano attaccate subito al soffitto, aggredendo il piano superiore. Dal tetto dei locali accessori si levava un fumo denso e di colpo saettarono le fiamme.
Gli uomini tornavano con le asce per sfondare le porte.
Curti Bo' era rimasto nell'androne e guardava, scuotendo il capo.
— Si faranno ammazzare dai calci delle bestie!
Si tolse il cappello.
— È la fine! L'acciaio si rompe e il ferro si piega! Maledizione anche a me, coi miei proverbi!
Gli passò accanto un agente, che correva.
— Il telefono! Dov'è il telefono?
Vladimiro si rimise il cappello e lo seguì dentro la stanza dalle perte scardinate.
L'agente telefonava.
Si sentì un grido nell'androne e poi una voce femminile che implorava la Madonna. La moglie del custode s'era scatenata. Fino allora dovevano esser stati gli spari a renderla muta; adesso, la paura del fuoco le metteva il diavolo addosso.
L'omino si avvicinò a Verità e la prese per un braccio.
Venga con me...
La condusse fuori e s'incamminò con lei per lo spiazzo, sotto la luna.
La ragazza camminava come una sonnambula, a capo eretto.
Fecero il viottolo e sul piazzale dell'Ippodromo Curti Bo' vide l'auto della polizia.
Ve la fece salire e le si mise accanto.
— Portaci a casa mia e poi ritorna — disse all'autista. — Ordine del commissario...
— A casa sua?!
— Ah! già... Comincia a muoverti... Per la strada ti indicherò...
Il cielo dalla parte di Trenno era tutto rosso.
Capitolo XXXI
Questura
De Vincenzi si asciugò la fronte madida di sudore. Il calore di quella camera a pianterreno, con l'unica finestra che dà sul cortiletto come in un pozzo, era asfissiante. Decisamente, i funzionari della Questura di Milano avrebbero diritto ad una sede migliore.
Si levò dal tavolo, dove si era seduto spezzato dalla fatica, e andò a mettersi davanti alla finestra aperta. Attraverso l'inferriata, guardò l'alberello rinverdito, il suo amico fedele delle ore di tristezza e di scoramento.
Il giorno nasceva. Il chiarore dell'alba dava una tagliente nettezza di contorno alle foglie, ai rami, alle pietre sporgenti del muro di fronte.
Il cortile angusto era pieno del canto degli uccelli.
De Vincenzi respirò a pieni polmoni. Allargò le braccia, gettò all'indietro la testa. Aveva bisogno di ritrovare il possesso del proprio corpo. Così, forse, avrebbe riacquistato anche il dominio del cervello, avrebbe potuto liberarsi dall'incubo.
— Oh! che notte d'inferno!
Era ritornato a San Fedele da Trenno. I pompieri avevano domato l'incendio, ma delle scuderie del barone Verbena non rimaneva in piedi che qualche muro.
In mezzo al primo cortile, coperti da un lenzuolo e da una coperta, piantonati da Cruni e dagli agenti, giacevano i cadaveri di due uomini e di un cavallo. Uno di quei due uomini era caduto vittima del dovere.
De Vincenzi rivide quel corpo e la sua angoscia si fece più acuta. La moglie... i bambini...
Cercò di non pensare adesso a quella tragedia così umile e così lacerante... Su di lui incombeva il mistero di una più vasta tragedia, meno patetica forse, ma più immanente, più acuta e lancinante per le conseguenze e per i doveri del suo mestiere.
La Vergine era morta incontaminata proprio come la goletta!
Ma quale poteva esser mai la ragione di un simile eccidio?
Egli vedeva luci nel mistero; ma ancora non ne afferrava l'intera spiegazione. Troppi punti gli erano oscuri.
Ritrovata la freddezza, dopo il primo sbalordimento pauroso prodottogli dall'inatteso scoppiare dell'incendio, mentre aveva diretto la lotta contro il fuoco, aveva anche provveduto ad aumentare la sorveglianza nel palazzo del barone. La scomparsa di Verità e di Curti Bo' gli era stata spiegata dall'autista, tornato a San Siro dopo avere accompagnati l'omino e la ragazza sino al quadrivio di via Eustacchi. Ma lui, appena Sani era giunto a San Siro, lo aveva mandato a prenderli.
L'omino avrebbe certo potuto fornirgli molte spiegazioni.
Oh! se quello lì, intestardito a voler trovare da solo le prove della frode fiscale del barone, gli avesse invece rivelato a tempo il frutto delle proprie scoperte! Forse, la tragedia non avrebbe avuto un ritmo così pauroso di avvenimenti e i morti sarebbero stati meno!
Sentì un passo nella camera di Sani e poi picchiare alla sua porta.
— Avanti! — disse, senza voltarsi. — Che c'è?
— Eccomi qui! Sono io, commissario...
Era l'omino. Fresco, sorridente, il cappelluccio contro il petto, il bastone in mano.
— Di dove viene, lei?
— Ho condotto miss Verity in una clinica... Aveva bisogno di cure immediate. Poi sono corso da lei... Nutrivo il dubbio che lei volesse parlarmi...
Era ineffabile! De Vincenzi tornò al tavolo e sedette.
— Segga! — gli disse. E si mise a guardarselo.
Curti Bo' fece per sedere, ma prima andò a deporre cappello e bastone sopra la scansia. Ritornato e lasciatosi cadere sulla seggiola, emise un profondo sospiro.
— Storia chiusa! — gemette. — Immagino che il sedicente mister Drake sia perito nel rogo acceso da lui stesso. Una morte da martire cristiano! A meno che non si sia tirato un colpo di rivoltella prima di cominciare ad arrostire...
— Sì — fece De Vincenzi. — Si è ucciso con una revolverata... Lei ha potuto far parlare la ragazza?
— Oh! è stato terribile...
E sembrò assorbirsi.
De Vincenzi dovette scuoterlo dai suoi pensieri.
— Ebbene? L'ha condotta in una clinica, mi ha detto. Contraccolpo fisico... oppure le funzioni mentali sono scosse?
Vladimiro sollevò l'arguto volto da faina e guardò il commissario con occhi brillanti.
— Lei ha compreso quel che avveniva nella stanza chiusa, prima che noi entrassimo?!
— Non ho certo creduto che la signorina Verità si stesse confessando dei suoi delitti!... Abbastanza inverosimile la cosa e non so capire come Fred Drake abbia potuto supporre che noi avremmo prestato fede a una confessione di quel genere!
— Oh! quella non era che la preparazione!... L'uomo, aveva saputo impadronirsi del cervello della ragazza... lo aveva reso plastico come cera e stava incidendolo proprio a quel modo che si fa con un disco. Era stata la sua ultima vendetta, quella! La più raffinata e crudele! Far credere che i delitti da lui commessi lo fossero stati da Verità... Ma ha sentito qualche rumore sullo spiazzo e ha aperto la finestra per accertarsene... In quel momento noi ci siamo gettati contro l'uscio e lui si è visto costretto a fuggire. Poi... poi gli avvenimenti lo hanno travolto... Un pazzo lucido, naturalmente! Il pericolo, la lotta hanno fatto sparire in lui... la lucidezza ed è rimasta la pazzia! La sua risata mi risuonerà nelle orecchie finché vivrò!
L'omino diede un guizzo sulla seggiola. Era turbato. De Vincenzi a guardarlo comprese quanto doveva esser stato penoso l'interrogatorio da lui fatto subire a Verità. Un tipo unico, quel Curti Bo' impiegato all'Intendenza di Finanza. Che meraviglioso poliziotto sarebbe stato!
— Sicché lei, adesso, è in grado di spiegare tutti gli avvenimenti?
— Oh! sì... Un caso pauroso e originalissimo di follia... Una forma atrocemente morbosa di autosuggestione e di monomania... Il cervello che si divide in due compartimenti stagni...
— Non capisco!
— Mi interroghi, commissario! Io esco appena dall'aver fatto parlare la ragazza!... Non mi ci proverei un'altra volta, glielo garantisco!... Quello lì la teneva sotto il dominio dell'ipnosi e, per ricondurla alla realtà, ho dovuto correre il rischio di vederle perdere la ragione...
— Lei ha detto: il sedicente Fred Drake... Se cominciassimo da lui?... Chi era realmente Fred Drake?
— Oh! per essere Fred Drake lo era!... Era lui ed era un altro!... Da quando cominciò la serie degli assassinii, Fred Drake credette di essere Marco Mac Lare...
De Vincenzi sussultò.
— Ma che dice! Il figlio della prima moglie del barone?!
— Già! Egli lo vendicava e si era così profondamente compenetrato nella vendetta da credersi l'autentico figlio di Maud Mac Lare... perito assieme alla madre nell'incendio della Vergine!
Seguì un silenzio. De Vincenzi cominciava a comprendere. Un caso patologico di allucinazione e di delirio. Ma da che cosa provocato? Quale la causa razionale dell'irrazionale e morboso deviamento del cervello di Fred Drake? E, soprattutto, come aveva fatto Fred Drake a conoscere il delitto mostruoso, compiuto quasi trent'anni prima da Gerolamo Verbena del Santo e da Matthew Scott?
— Oh! la storia è complicata, commissario... E i drammi sono più di uno! Quello del barone, per cominciare... poi quello di sua figlia Verità e infine la tragedia cerebrale di Fred Drake... Io posso raccontarglieli perché, fatto cessare lo stato ipnotico... nella ragazza è subentrato un grande abbandono... Comprende? Un bisogno disperato di aiuto... La signorina Verità usciva da un naufragio... ed era pronta ad aggrapparsi alla prima tavola di salvezza... Ha trovato me ed ha parlato...
La confessione del barone a De Vincenzi era stata sincera nelle sue linee essenziali e reticente nei particolari.
Per un bisogno naturale di alleggerire le proprie colpe, quegli aveva taciuto due fatti essenziali: che la soppressione di Maud Mac Lare e del figlio Marco era stata da lui voluta con spietata freddezza, non appena la sua prima moglie, scoperto il secondo matrimonio, aveva manifestato il proposito di far valere i propri diritti; e che dell'esistenza di questa moglie, Ellen Mackenzie, la madre di Verità, era consapevole, per una lettera inviatale da Maud, prima d'imbarcarsi sulla Vergine.
Avvenuto il disastro della Vergine, fu facile a Ellen Mackenzie ricostruire i fatti ed acquistare la certezza dell'orribile delitto compiuto dal marito.
Ellen aveva dovuto soffrire! Soffrire fino allo spasimo di aver sposato un bruto, capace di commettere un uxoricidio e un parricidio! E in quel suo tragico dolore, aumentato e reso spasimante dall'essere lei stessa in procinto di divenir madre, Ellen non trovò conforto che nella vicinanza della propria fedele cameriera, Virginia Carey. Virginia ebbe le confidenze della sua padrona e ricevette la sacra missione di vegliare su Verità, che la madre sapeva di dover presto abbandonare — prescienza illuminante di tutti gli ammalati gravi, che presentono la morte — e che aveva terrore di lasciare alla mercé del marito.
Morta Ellen Mackenzie, Virginia sentì il peso dell'obbligo assunto verso la bimba e la propria responsabilità le apparve enorme. Come difenderla contro il proprio padre? E non seppe tacere alla piccola Verità il delitto compiuto dal barone! La semplice donna, l'umile servente devota alla memoria della morta, pronta al sacrificio della propria vita per proteggere il tesoro vivo affidatole, non aveva neppur supposto per un istante quale terribile rovina d'animo avrebbe prodotta con quella rivelazione mostruosa.
Verità, sconvolta fin nel profondo della sua anima di fanciulla, provò terrore e ribrezzo per l'uomo al quale pure, per legge di natura, avrebbe dovuto amore e rispetto, e arrivò al punto di credere che anche la morte della propria madre non fosse stata naturale. L'odio e la paura covarono così in lei, rendendole la vita in comune col padre una tortura.
Come descrivere lo strazio di quella fanciulla, fattasi giovinetta e donna?
E quale meraviglia ch'ella si fosse abbandonata al primo uomo che le si era avvicinato e che le aveva data l'impressione di poterla proteggere e difendere?
Dopo un paio d'anni che Fred Drake era giunto a Milano, Verità si era unita a lui con un legame segreto, sempre più stretto e avvinghiante. La casa di via Giannone era divenuta il suo secondo domicilio.
Curti Bo' aveva la sicurezza di questo, oltre che per la confessione fattagli dalla giovane, per le evidenti tracce di un soggiorno costante trovate nella camera abitata da Verità.
Verità amava Fred Drake o non piuttosto ella aveva perseguito uno scopo nel legarsi proprio all'uomo, che doveva necessariamente avere contatti quotidiani con suo padre?
Vladimiro non poteva essere esplicito su questo punto. In qual modo ricostruire, senza tema d'errore, i movimenti dell'anima di una fanciulla, turbata da un trauma psichico profondo ed eccezionalmente tragico?
In lei l'abbandono al primo uomo che le aveva parlato d'amore poteva essere anche determinato da un oscuro bisogno di punizione, illogico, certo, ma reso naturale dall'atroce sospetto che anche sua madre fosse stata uccisa da colui che la fanciulla riteneva oramai un mostro capace di ogni nefandezza.
Un fatto era certo: Verità confidò il suo terribile segreto all'amante.
Che cosa avvenne, allora?
Altro mistero psichico, che Curti Bo' cercava di illuminare; ma che ad ogni modo riceveva la sua spiegazione dalle terribili azioni disseminate compiute da Fred Drake.
La disgraziata figlia di Ellen Mackenzie, fuggendo o cercando di sottrarsi a un assassino per calcolo e forse per occasione, si era imbattuta in un folle anormale, in uno squilibrato a cui il suo racconto del delitto compiuto dal barone e da Matthew Scott aveva fatto rompere l'ultima molla, che regolava il congegno già guasto del suo cervello.
Fred Drake, secondo Curti Bo', era giunto per gradi alla follia sanguinaria.
Determinatosi per un impulso ancora giustificabile — sopratutto se egli realmente aveva amato Verità e senza dubbio doveva averla amata specialmente all'inizio della loro relazione — a vendicarla, l'allenatore aveva cominciato a manifestare la sua potenza di azione contro il barone con un «gesto».
Un «gesto» capace di gettare lo scompiglio e il terrore nell'animo e nel cervello del colpevole, ma insomma soltanto gesto.
Aveva chiamato Vergine la cavalla acquistata a Londra.
Quali erano le conseguenze ch'egli si attendeva? Quale la reazione prevista?
Impossibile a dirsi. Fred Drake aveva forse soltanto gettato quella pietra nel gorgo nero per misurarne la profondità dal suono della caduta.
Il barone si era spaventato. E indubbiamente i segni esteriori del suo terrore dovevano esser stati visibili, perché l'altro aveva continuato. Eran venuti gli ammonimenti intimidatori con la parola Vergine scritta sui fogli lasciati sopra il tavolo; era venuta quella specie di vigilanza imponderabile vaga imprecisa di cui il barone si era reso conto con crescente orgasmo, sino a sentirsi spiato, minacciato e sino a meditare una fuga assurda.
Quando Fred Drake scoprì il maneggio di Swan per portare i denari all'estero, quando ottenne la confidenza dal barone — il quale non diffidava più di lui, dopo le ricerche fatte in Scozia — circa l'intenzione di realizzare un grosso guadagno, speculando fraudolentemente sulla corsa della Vergine, affrettò i tempi della vendetta. Di quella almeno che egli riteneva una vendetta.
Oramai, il suo cervello di folle era completamente scompaginato e maturo per il delitto.
Lucido sino alla perfezione, Fred Drake immaginò un piano formidabile.
E lo attuò.
De Vincenzi aveva ascoltato l'omino con ammirazione.
— Eccezionale!
— Oh, sì! Tutta questa storia è eccezionale!
— Io dico che lei, Curti Bo', è eccezionale...
— Crede? — fece con modestia Vladimiro e incrociò le mani sulle ginocchia.
— Perry Hodburn?
— Lei ha ascoltato le parole che la signorina Verità ripeteva in stato d'ipnosi. Quella confessione non era altro che la confessione di Fred Drake. I fatti, così come si sono svolti, sono quelli. Perry Hodburn aveva effettivamente scoperto il maneggio del barone per non far arrivare la Vergine e tentò il ricatto. Fred Drake agì prima e fece trovare un cadavere a Matthew Scott. Il suo piano consisteva nel ridurre alla pazzia il barone, col circondarlo di cadaveri e col fargli vivere una vicenda d'incubo.
De Vincenzi, macchinalmente, prendeva appunti.
— Clark O' Brian?
— Clark aveva veduto Matthew Scott scendere dalla finestra della camera di Perry alla mezzanotte di quel giorno in cui Hodburn fu ucciso... La mattina seguente egli attribuì l'assassinio al vecchio maggiordomo e anche lui, afferrato dal demone del ricatto, telefonò al barone. Medesima storia! Fred Drake lo uccise e ne trasportò il cadavere sul viottolo... Poi s'incontrò con Verità... È a questo punto che il piano del pazzo dovette essere modificato ed è così che un altro cadavere... un cadavere non previsto nel conto... si venne ad aggiungere al massacro... Verità, messa in sospetto dalla morte di Perry... che lei aveva attribuito subito a suo padre... si era recata alle scuderie e aveva tentato di far parlare Clark O' Brian... Da Clark, già determinato al ricatto, non seppe nulla, ma nella camera di Hodburn scoprì anche lei le tracce della candela... Poiché conosceva gli esperimenti del suo amante sull'acido prussico... la deduzione le venne facile... E la povera figliola ricevette un altro colpo! Io mi domando ancora come la ragione di Verità abbia resistito e se resisterà davvero!... Pensi, commissario!... Lei si era affidata, si era attaccata disperatamente a Fred Drake per sottrarsi all'influenza... alla vicinanza... al contatto di un assassino e veniva a scoprire che anche Fred lo era!... Quella notte... la notte della tempesta, ricorda?... avvennero fatti inimmaginabili, scene che un tragico greco non avrebbe pensate!... Il colloquio che ebbe Verità con Fred Drake, nella casa di via Giannone, verso le dieci di sera, deve aver raggiunto l'acme dell'orrore!... Fred Drake rinchiuse Verità... la quale voleva fuggirlo... fuggire lontano... nella camera ch'ella abitava... e poi, introdottosi nel palazzo Verbena, riportò nella stanza da letto della giovane l'abito rosso, il mantello e la borsa, per far credere ch'ella si fosse allontanata di propria volontà...
— Ed uccise Virginia Carey!
— Oramai, gli era indispensabile farlo, perché egli sapeva della fuga progettata da Verità assieme alla vecchia nutrice... e poteva credere che Virginia si sarebbe messa disperatamente alla ricerca di colei ch'ella amava come una figlia... Seguì un silenzio. Adesso, la matita di De Vincenzi tracciava sul foglio circoli e triangoli, lo spirito del commissario era turbato.
— E Teodoro Timoteo Swan? — chiese, levando la testa e dando all'omino uno sguardo concentrato.
— Ah! qui siamo ridotti al campo delle supposizioni. Colui che poteva illuminarci è morto! Io credo che ieri sera Fred Drake si sia introdotto nello studio del barone per ucciderlo. Oramai, egli voleva concludere! Il suo cervello di pazzo scatenato cercava di dare l'ultima pennellata al quadro macabro. Secondo me, Fred Drake fu sorpreso dall'arrivo dell'Imperatore... assistette al colloquio fra i due uomini... conobbe in tutti i suoi particolari il traffico del denaro e per un ultimo guizzo mostruosamente beffardo del suo spirito, volle uccidere Swan... Dopo, invece di farla finita anche col barone, meditò un'ultima vendetta... più sottile... più terribile contro di lui... Impose a Verità di confessarsi autrice di tutti i delitti... Egli sapeva che Verbena amava sua figlia... Scatenargli addosso quest'ultima nemesi poteva spingerlo al suicidio o alla pazzia...
De Vincenzi si alzò.
Tornò verso la finestra. Il giorno era più chiaro, il canto degli uccelli meno assordante. Il verde dell'alberello aveva perduto quella sua opacità liquida.
L'omino si alzò adagio, andò a prendersi il capello e il bastone, si avvicinò alla porta in punta i piedi.
Sulla soglia disse:
— Sono felice di averla conosciuta, commissario!
Capitolo XXXII
Fisco
— Curti Bo', che ne direbbe se la mandassi a Venezia?
L'omino sospirò. La sua camera tranquilla sul quadrivio, le soste notturne ai tavoli di «Fulgenzio»! Era appena finita la storia della Vergine ed ecco che ne cominciava una nuova! Non si sarebbe fatto prendere certo in un altro groviglio di quel genere. Quel che doveva fare e niente di più. Il suo mestiere, le sue indagini... Guardava il suo capo ufficio cogli occhi melanconici. Si diede una tiratina alla cravatta cremisina.
— Ebbene?
— Se è necessario...
— Conosce Venezia?...
— Come si può vivere senza conoscerla e come si può rimanervi dopo averla conosciuta?
— Non è poeta, lei?
— Appunto, appunto... È la troppa poesia di Venezia che mi sopraffà... lo sono un sentimentale, cavaliere! La laguna, le gondole, i rii stretti come gallerie d'acqua verde... mi fanno venire un groppo alla gola... mi ricordano che siamo mortali e che questa nostra permanenza sulla terra non è che un passaggio... un brevissimo passaggio...
Il cavaliere aggrottò le ciglia e i baffi gli si rizzarono minacciosi. Quel Curti Bo' era pieno d'imprevisti e, per quanto lui ci fosse abituato, doveva qualche volta farsi forza, per non ridergli sulla faccia.
— Non è proprio a Venezia che la mando... È al Lido... Che cosa potrebbe desiderare di più? Il lido in luglio e in agosto, come i milionari americani e le stars d'Hollywood!...
— Già!...
Ma l'omino s'era sentito un brivido alla schiena. Sempre i presentimenti gli si manifestavano a quel modo e quella storia del Lido coi milionari e le stars non gli piaceva. — Dunque, mi ascolti, Curti Bo'...
E il capo ufficio prese la cartella verde d'una «pratica» dall'enorme mucchio di cartelle tutte eguali che coprivano il suo tavolo...
— Si tratta di contrabbando di gioielli...
— Oh! Un affare grosso...
— Naturalmente! Perché dice naturalmente?
— Perché non mi scaraventerebbe al Lido, se non fosse un affare grosso... Lo sa che mi ci vorranno cento lire di diaria?!
— L'Amministrazione gliene passa trentacinque...
— Oh! sì! E questa volta il sospiro dell'omino avrebbe intenerito i sassi.
Crediti
Augusto De Angelis
Il Commissario De Vincenzi. Il mistero della “Vergine” (1938)
Una realizzazione Falsopiano
secondo gli standard dell'International Digital Publishing Forum

ISBN 9788893040013
Tra i Fogli volanti
Jack London, Autobiografia alcoolica
Edgar Wallace, Il cavallo grigio e la mosca assassina
Gustave Le Rouge, Il Dr. Cornelius lo scultore di carne umana
Oscar Wilde, Teleny
Charles H. Hinton, Il re di Persia
Edgar Wallace, La doppia vita di Kate
Annie Vivanti, I divoratori
Edgar Wallace, La melodia della morte
Robert Louis Stevenson, Il Club dei suicidi
Edgar Wallace, La maledizione del libro onnipotente
Elinor Glyn, Quel certo non so che – It
Elinor Glyn, Sei giorni
Ambrose Bierce, Dizionario del Diavolo
Jack London, I Servi di Mida
Rosaria M. Notarsanto, Le mani diverse
Edgar Wallace, Il sindacato del crimine
Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto
Ambrose Bierce, Il Club dei parenticidi
Jules Verne, Un biglietto della lotteria
Umberto Boccioni, Taccuini futuristi
Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi. Cinque inchieste
Robert Louis Stevenson, La cassa sbagliata
Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi. Quattro inchieste
Filippo Tommaso Marinetti, Come si seducono le donne
Marc Bloch, Apologia della storia
Augusto De Angelis, La prima inchiesta. Il banchiere assassinato
Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti
Henri Barbusse, L'inferno
Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Il do tragico
George Ohnet, Il padrone delle ferriere. Storia di Claire e Philippe
Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Le sette picche doppiate
Ethel Lina White, La scala a chiocciola
