Due ragazzi e una ragazza

Gilbert la notò per primo. Fu verso la fine di giugno, a una festa. Lui stava andando a prendersi una birra in frigo, lei era seduta sola soletta nel cortile dietro la casa, allungata su una sedia a sdraio. Cercò di pensare a qualche frase di approccio, ma lei sembrava a suo agio cosí da sola e lui ebbe paura di sembrare invadente e banale. Piú tardi la vide di nuovo, dentro casa stavolta; era una ragazza pallida con i capelli e gli occhi scuri, uno sbaffo di rossetto sui denti. Stava ballando con Rafe, il migliore amico di Gilbert. La sera dopo la stessa ragazza era con Rafe, quando Rafe passò a prendere Gilbert per andare a un’altra festa, e la sera dopo uguale. Si chiamava Mary Ann.

Mary Ann, Rafe e Gilbert. Andarono dappertutto insieme quell’estate, alle feste, al cinema e al lago, nelle piscine degli amici, e a zonzo con l’auto, quando Gilbert finiva di lavorare nella libreria di suo padre. Gilbert non aveva l’auto, era Rafe a guidare; suo nonno gli aveva regalato la sua vecchia ma immacolata Buick decappottabile, un premio per essere stato accettato a Yale. Mary Ann si appoggiava a Rafe e appoggiava i bianchi piedi nudi sul cruscotto, mentre Gilbert si stravaccava sul sedile posteriore e passava le birre e faceva battute ironiche su tutto quello che attirava la sua attenzione.

Gilbert era sempre ironico. Alle superiori, dove lui e Rafe erano stati compagni di classe, i redattori dell’annuario lo avevano definito Il Piú Cinico. La definizione gli piacque. Gilbert riteneva che la disillusione fosse la conseguenza naturale, addirittura il compito, di una mente che non si accontentava della versione autorizzata della realtà ma cercava di arrivare alla natura vera delle cose. Si faceva un dovere di non prendere niente per buono senza le opportune verifiche, di non rispettare alcuna autorità fuorché quella del proprio giudizio, e di restare elegantemente imperturbato davanti ai crimini e alle follie piú plateali, soprattutto quelli concordemente esecrati dal mondo.

Mary Ann ascoltava tutto quello che Gilbert diceva, anche quando sembrava occupata con Rafe. Gilbert questo lo sapeva, e si accorgeva anche di quando riusciva a scandalizzarla. Perché Mary Ann stringeva le mani, batteva rapidamente le palpebre, e una chiazza rossa, intensa come una voglia, le spuntava sulla pelle lattea del collo. Non era difficile scandalizzarla. Il padre di Mary Ann, un capitano della Guardia costiera, era l’uomo piú tradizionalista che Gilbert avesse mai conosciuto. Una sera mentre Gilbert e Rafe aspettavano Mary Ann, il capitano McCoy fissò i sandali di Gilbert e gli domandò con voce severa cosa ne pensasse dei beatnik. La signora McCoy aveva disseminato la casa di centrini, quadri con teneri micetti, vedute della Terra Santa, cani che giocavano a poker; in gabinetto c’erano quei cosi chimici che facevano diventare blu l’acqua dello sciacquone. Gilbert si sentiva stringere il cuore per Mary Ann ogni volta che faceva pipí in casa sua.

All’inizio di agosto, Rafe andò a pescare in Canada con suo padre. Lasciò a Gilbert le chiavi della Buick e lo pregò di avere cura di Mary Ann. A Gilbert questa frase sembrò la battuta che l’eroe di un film di guerra rivolge allo scialbo amico del cuore prima di partire per una missione impossibile.

Rafe impartí queste istruzioni mentre era in camera a preparare i bagagli per il viaggio. Gilbert era sdraiato sul letto e lo guardava. Avrebbe voluto scambiare quattro chiacchiere con lui, ma Rafe aveva messo su uno dei dischi de I pagliacci, erano sei in tutto: Rafe possedeva l’opera completa. Gilbert era convinto che non gli piacesse davvero, anche se Rafe di tanto in tanto mugolava a bocca chiusa come se conoscesse a memoria tutto lo spartito. Gilbert pensò che Rafe stava andando in fissa per l’opera lirica nello stesso modo in cui l’inverno precedente era andato in fissa per lo squash. Restò sdraiato, senza dire una parola. Rafe preparava i bagagli muovendosi con grazia e precisione, radunò tutta l’attrezzatura senza girare a vuoto, ogni cosa aveva un suo posto e lui senza esitare ne rammentava all’istante l’ubicazione. A un certo punto, Rafe si piazzò davanti allo specchio e si studiò come se fosse solo. Gilbert fu sorpreso dalla rabbia che questo gesto gli provocò. Fu a quel punto che Rafe si girò verso di lui, buttò le chiavi della Buick sul letto e pronunciò il fatidico invito a prendersi cura di Mary Ann.

Il giorno dopo, Gilbert scorrazzò per tutta la città da solo, al volante della Buick. Parcheggiò in doppia fila davanti a Nordstrom’s, con la capote abbassata, restò lí a fumare qualche sigaretta e a osservare tutte le ragazze che uscivano, come se ne aspettasse una. Di tanto in tanto dava un’occhiata all’orologio e si accigliava. Poi guidò fino a una banchina del porto e salutò una signorina a bordo della nave per Victoria. Lei guardava l’acqua sotto la fiancata, e non lo vide finché non alzò gli occhi quando la nave si mosse per uscire dalla darsena. Lo sorprese proprio nel momento in cui stava mandandole un bacio con la punta delle dita e si staccò subito dal parapetto della nave, scomparendo dalla sua vista. Dopodiché, Gilbert andò al La Luna, un bar vicino all’università dove sapeva che non gli avrebbero chiesto la tessera, e sedette su uno sgabello da cui poteva vedere la Buick. Quando il bar fu pieno, uscí, abbassò la capote e controllò l’olio, proprio davanti alla grande finestra panoramica del bar. A una coppia che passava, Gilbert disse: – Questa carretta beve tanto di quell’olio! Ormai ha fatto il suo tempo –. Dopodiché, mise in moto e partí con l’espressione di chi ha da sbrigare diverse faccende importanti e non propriamente piacevoli. Si fermò e comprò le sigarette in due diversi drugstore. Dal secondo telefonò anche a casa e disse a sua madre che non sarebbe tornato per cena. Poi le domandò se fosse arrivata posta per lui. No, disse sua madre, niente. Gilbert mangiò in un drive-in e poi gironzolò ancora per un po’, prima di salire fino al belvedere sopra Punta Alki e sedersi sul cofano della Buick a fumare con aria scontrosa e scettica, a bella posta ignorando le ragazze coi loro ragazzi nelle auto attorno a lui. Lentamente dallo stretto si levò una nebbia fitta e pesante. Sulla riva opposta le luci della città si fecero sfocate, e la sirena da nebbia di una nave cominciò a suonare. Con un rapido movimento delle dita Gilbert lanciò il mozzicone nel buio e si sfregò le braccia nude. Quando arrivò a casa telefonò a Mary Ann, e si misero d’accordo per andare al cinema insieme l’indomani sera.

Dopo il cinema, Gilbert riaccompagnò Mary Ann a casa con la Buick, ma lei anziché scendere subito restò seduta dov’era e continuarono a parlare. Era facile, piú facile di quanto Gilbert avesse immaginato. Quando c’era anche Rafe, Gilbert poteva usarlo un po’ come un filtro per parlare con Mary Ann e mostrarsi di volta in volta spiritoso, profondo o provocatorio. Invece, nei momenti in cui era capitato che restassero soli in attesa che Rafe li raggiungesse, lui era precipitato sempre nel mutismo, sopraffatto da una specie di panico. Si lambiccava il cervello per trovare qualcosa da dire, e tutto quello che alla fine riusciva a spremere suonava inquietante e duro. Ma non andò cosí, almeno non quella sera.

Pioveva a catinelle. Quando Gilbert vide che Mary Ann non aveva fretta di scendere dall’auto, spense il motore e restarono là nella fioca luce marina della banda di sintonizzazione della radio, mentre le ombre liquide della pioggia che ruscellava giú dai finestrini fluttuavano sul loro viso. La pioggia picchiava a raffiche sulla capote di tela, ma nell’abitacolo l’atmosfera era calda e intima, come sotto una tenda durante un temporale. Mary Ann stava raccontando della scuola per infermiere e del suo timore di non essere all’altezza dei corsi piú difficili, come Anatomia o Fisiologia. Gilbert credette che quella di Mary Ann fosse un’umiltà ostentata solo pro forma ed esclamò: Oh, avanti, te la caverai benissimo!

Non lo so, rispose lei. Davvero non lo so. E a quel punto gli raccontò che in scienze e matematica era sempre andata male, e che due dei suoi professori si erano dovuti recare personalmente negli uffici della scuola per infermiere a caldeggiare la sua ammissione. Gilbert capí che Mary Ann aveva veramente paura di non riuscire, e che le sue paure non erano del tutto immotivate. Adesso che Mary Ann aveva ammesso le proprie difficoltà, Gilbert credette anche di capire da cosa dipendessero. Mary Ann non aveva quel tipo di prontezza che la scuola richiede; in fondo non era molto intelligente. In lei c’era una certa semplicità.

Mary Ann si rincantucciò nell’angolo, appoggiandosi allo schienale, e guardò la pioggia. Aveva l’aria triste. Gilbert ebbe voglia di sfiorarle la guancia col dorso della mano, per rassicurarla. Aspettò un attimo, poi le disse che non era vero che lui stava cercando di decidere se andare all’università di Washington o in quella di Amherst. Avrebbe dovuto chiarire quella faccenda già da tempo. In verità non era ancora stato ammesso ad Amherst. Era riuscito a farsi mettere nella lista di attesa, ma adesso che mancavano solo tre settimane all’inizio dell’anno accademico gli sembrava evidente che c’erano poche speranze che accettassero la sua domanda.

Lei si girò a guardarlo. Lui non riuscí a leggere l’espressione dello sguardo. Gli occhi di Mary Ann erano due laghi neri con appena un barlume di luce sul fondo. Gli domandò come mai non l’avessero ammesso.

Per questa domanda Gilbert aveva una serie infinita di risposte. Ne pensava di nuove ogni giorno, e ormai gli davano tutte la nausea. Ho smesso di applicarmi, disse. Mi ha preso la pigrizia.

Ma tu avresti potuto entrare in qualsiasi università volevi. Cervello ne hai da vendere.

Oh, io sono buono solo a parole, mi sa. Tirò fuori una sigaretta e la batté sul volante di acciaio. Non so mica perché le fumo queste maledette sigarette, accidenti a me, sbottò.

Ti piace l’aria che ti danno. L’aria da intellettuale.

Forse hai ragione, disse lui e accese la sigaretta.

Lei lo scrutò mentre aspirava la prima boccata. Me la passi? gli domandò. Do solo un tiro.

Le loro dita si sfiorarono quando lui le passò la sigaretta.

Sarai un’ottima infermiera, le disse.

Lei aspirò poi sboffò il fumo, lentamente.

Per un po’ restarono in silenzio.

Adesso sarà meglio che rientri, gli disse lei.

Gilbert la guardò mentre risaliva il vialetto di accesso. Non si ingobbí e non si mise a correre ma avanzò compostamente sotto la pioggia che cadeva a dirotto come se fosse una sera uguale alle altre. Aspettò finché non la vide entrare in casa, poi spense la radio, rimise in moto e si allontanò. Continuava a sentire il sapore del rossetto di lei sul filtro della sigaretta.

Il giorno dopo, quando le telefonò dal lavoro, rispose sua madre e lo pregò di aspettare. Mary Ann quando arrivò al telefono aveva il fiatone. Disse che quando lui aveva chiamato era fuori, sulla scala, stava aiutando il padre a ridipingere la casa. E tu cosa combini? gli domandò.

Niente, rispose lui. Mi chiedevo solo cosa stavi facendo tu.

Quella sera la portò in quel bar, La Luna, e anche la sera successiva. Entrambe le volte scelsero lo stesso séparé, quello accanto al jukebox. Era appena uscita Don’t think twice, it’s all right e mentre chiacchieravano Mary Ann continuava a mettere quel disco. La terza sera, il tavolo era occupato da certi ragazzi in tenuta da baseball. Gilbert si seccò, e vide che anche lei ci restava male. Sedettero per un po’ sugli sgabelli davanti al banco ma era una tortura con tutti gli spintoni degli avventori in piedi alle loro spalle. Decisero di andare in un altro locale. Gilbert stava per pagare il conto quando i giocatori di baseball si alzarono lasciando libero il tavolo e Mary Ann scivolò rapidamente nel séparé precedendo un’altra coppia in attesa lí accanto.

C’eravamo prima noi, disse a Mary Ann la tipa rimasta in piedi col suo ragazzo, mentre Gilbert le si sedeva davanti.

Ma questo è il nostro tavolo, ribatté Mary Ann, col tono amichevole di chi dà un’informazione.

E chi l’ha deciso?

Mary Ann guardò la ragazza come se le avesse rivolto una domanda davvero eccentrica. Non saprei, rispose infine. È cosí e basta.

Dopo, Gilbert continuò a ripensare al modo in cui Mary Ann aveva detto «il nostro tavolo». Raccoglieva sempre tutti gli indizi di questo genere e ci rifletteva quando era lontano da lei: il fiato rotto con cui gli aveva risposto al telefono, l’abitudine che ormai aveva preso di dare qualche boccata alle sigarette di lui e di servirsi con disinvoltura dei suoi spiccioli per fare andare il jukebox, il modo in cui lo ascoltava palesemente pronta a credere a tutto quello che lui le avrebbe raccontato, al punto che per Gilbert era diventato impossibile fare lo spaccone, o la vittima o anche solo parlare a vanvera tanto per impressionarla. Non riusciva a fare lo spiritoso con Mary Ann. Lei prendeva alla lettera ogni sua frase, cosí gli toccava interrompersi di continuo per spiegarle che in realtà aveva voluto dire tutto il contrario. La sua ironia cominciò a sembrargli fiacca e come invidiosa. Mediocre e poco virile.

Mary Ann gli dava poche occasioni per sfoderarla. Lei lo prendeva sempre sul serio. Si appuntava i titoli dei libri di cui lui parlava – Sulla strada, Lo straniero, La sorgente – anche quelli che lui non aveva letto ma di cui conosceva la trama e che aveva intenzione di leggere appena avesse trovato il tempo. Lo ascoltava in silenzio quando lui le spiegava cosa c’era di sbagliato in Barry Goldwater e nel «Reader’s Digest» e nei varietà televisivi che a lei piacevano tanto, e finiva sempre con l’ammettere che forse aveva ragione lui. Nella solenne attenzione con cui lei lo stava ad ascoltare, Gilbert si sentiva dire delle cose che non aveva mai detto a nessuno e confessare speranze cosí poco plausibili che a stento le aveva confessate a se stesso. Gilbert si stupiva della propria franchezza. Ma evitò sempre di raccontare a Mary Ann ciò che piú di tutto gli occupava la mente, qualcosa che lui credeva che lei sapesse già, perché era possibile che invece lei non lo sapesse o anche solo che non fosse pronta ad ammettere che lo sapeva. Una volta che le avesse detto quella cosa, sarebbe cambiato tutto, per tutti loro, e Gilbert non se la sentiva di correre questo rischio, o almeno non ancora.

Uscirono insieme tutte le sere tranne due, perché una volta Gilbert dovette fare lo straordinario e un’altra volta il capitano McCoy portò la moglie e Mary Ann a cena fuori. Gilbert e Mary Ann andarono un altro paio di volte al cinema, e poi a una festa, e poi al bar La Luna, e a zonzo in auto per la città. Le serate erano calde e limpide e Gilbert tirava giú la capote e guidava lentamente tenendo la corsia di destra. Un tempo si domandava, spazientito, perché mai Rafe avesse il vizio di guidare a passo di lumaca. Adesso lo aveva capito. Stare al volante di un’auto scoperta con una ragazza sul sedile accanto significava essere immerso in una situazione di cui solo uno sciocco avrebbe affrettato la fine. Cosí Gilbert guidava lemme lemme attorno al lago, poi tornava verso il centro della città, per salire fino a questo o a quel belvedere e poi scendere di nuovo giú, per riportare a casa Mary Ann. Le prime sere restarono a chiacchierare in auto. Poi Mary Ann lo invitò a entrare in casa.

Lui parlava; lei parlava. Gli raccontava di Colleen, la sorella minore, morta di fibrosi cistica circa due anni prima, la cui lunga e difficile agonia aveva rafforzato il senso di unità della sua famiglia e aveva fatto nascere in lei l’idea di diventare infermiera. Parlava delle sue amiche di scuola e delle suore che aveva avuto come insegnanti. Parlava dei suoi genitori, dei nonni e di Rafe. In sostanza, parlava sempre e solo dei suoi affetti. A Gilbert l’entusiasmo incondizionato in genere dava noia, ma Mary Ann si sperticava a elogiare gli altri, gli pareva, non perché quegli elogi si riflettessero su di lei e neanche per dissimulare una sua qualche segreta amarezza, ma solo perché questa era la sua natura. Lei era fatta cosí, e gli piaceva proprio per questo, cosí come gli piaceva che lei non dubitasse di ogni cosa ma al contrario si fidasse senza riserve, come un bambino.

Mary Ann aveva imparato da sola a suonare la chitarra, e a volte acconsentiva a suonare e a cantare per lui, erano delle vecchie ballate su tragici incidenti in miniera, simpatici ragazzi dalla testa calda che venivano impiccati per bracconaggio e gentildonne che affogavano i loro bebè. Gilbert capiva che le parole di quelle canzoni la commuovevano, al punto che in certi momenti le veniva meno la voce e allora si mordeva il labbro inferiore, fissando il pavimento. Altre volte metteva su dei dischi di musica folk e stava ad ascoltarli a occhi chiusi. Le piacevano anche Roy Orbinson, i Fleetwoods e Ray Charles. Una sera proprio mentre Mary Ann tornava dalla cucina portando dei cioccolatini su un piatto arrivarono le prime note di Born to lose. Gilbert allora si alzò in piedi e le offrí il braccio con un’aria cosí compita che un’altra, al posto di Mary Ann, si sarebbe messa a ridere. Invece lei posò il piatto e prese la mano che lui le porgeva e cominciarono a ballare, un po’ rigidi all’inizio, e a un certa distanza, poi sempre piú sciolti e vicini. Erano perfetti insieme. Perfetti. Gilbert sentí la carezza dei fianchi e delle cosce di lei, il calore della sua pelle. La mano calda di lei che stringeva la sua. Sentí il profumo dell’acqua di lavanda e quello dei capelli di lei che sapevano di sole e quello del corpo, leggermente salino. Respirò tutti questi aromi insieme, piú e piú volte. E poi sentí che gli veniva duro, e il pene gli si rizzò contro di lei. Adesso Mary Ann avrebbe capito, avrebbe capito per forza, e Gilbert aspettò che si scansasse. Ma lei non si scansò. Anzi, restò stretta a lui anche dopo che finí la canzone, per un attimo o due. Poi fece un passo indietro, lasciò andare la sua mano e con voce roca gli chiese se gli andava qualche cioccolatino. Erano uno davanti all’altro, ma lei si sforzava di non guardarlo in faccia.

Magari dopo, disse Gilbert, e di nuovo le offrí il braccio. Posso avere l’onore?

Ma lei andò verso il divano e si sedette. Sono cosí goffa.

No, niente affatto. Balli bene.

Lei scosse la testa. Lui si sedette sulla poltrona dirimpetto. Mary Ann continuava a non guardarlo. Congiunse le mani e fissò lo sguardo su quelle.

Poi disse: Ma perché Rafe e suo padre bisticciano tutto il tempo?

Chissà. Ma per me non c’è un motivo particolare. È un fatto chimico, non si pigliano e basta.

Suo padre dice che Rafe non ne fa mai una giusta. Lo riprende sempre, persino davanti a me. Scommetto che anche in questo momento gli sta facendo vedere i sorci verdi.

Era vero che né il padre né la madre di Rafe erano particolarmente soddisfatti del figlio. Gilbert non aveva idea del perché. In ogni caso era uno strano argomento da tirare in ballo cosí di punto in bianco, e altrettanto strano fu che lei tutto a un tratto sembrasse sul punto di piangere. Non preoccuparti per Rafe, le disse Gilbert. Sa badare a se stesso.

La pendola fece riecheggiare le campane di Westminster e poi batté dodici rintocchi. L’orologio era stato acquistato perché si intonava con l’arredamento del soggiorno ma quel suono, metallico e fasullo, diede sui nervi a Gilbert. Tutta quella casa gli dava sui nervi, quei quadri, quei mobili in stile coloniale, quell’unico scaffale pieno di libri in versione condensata. Sembrava la casa in cui delle spie russe si potrebbero esercitare a vivere da americani.

Ma è una cosa ingiusta, insisté Mary Ann. Rafe è cosí dolce.

Sí, Rafe è in gamba, disse Gilbert. Questo è sicuro. È uno dei migliori.

È il migliore.

Gilbert si alzò per andarsene e Mary Ann allora lo fissò quasi con apprensione. Si alzò anche lei e lo seguí fino fuori, in veranda. Quando arrivò in fondo al vialetto di accesso, Gilbert si girò e vide che lei lo stava osservando con le braccia incrociate sul petto. Chiamami domani, gli disse Mary Ann. Ok?

Pensavo di passare la serata a casa, a leggere, rispose lui. Poi aggiunse: Vediamo. Vediamo come vanno le cose.

La sera dopo andarono al bowling. Fu un’idea di Mary Ann. Lei giocava bene ed era chiaro che lo avrebbe battuto. Ogni volta che faceva strike, buttava indietro la testa e lanciava un gridolino di trionfo. Continuava a questionare sul modo in cui Gilbert segnava i punti finché lui non si seccò e le disse di segnarli lei, e lei non se lo fece ripetere due volte. A un certo punto la palla le finí nella scanalatura, Mary Ann sostenne di essere scivolata perché la pista era umida e voleva rifare il tiro. Lui glielo impedí, capendo che se gliela avesse data vinta lei lo avrebbe disprezzato, ma la spudoratezza di lei chissà perché gli mise addosso un’allegria che non aveva avuto in tutta la giornata.

Erano arrivati quasi a casa di lei, quando Mary Ann gli disse: La prossima volta ti do io qualche dritta sul bowling. Giocheresti meglio se sapessi come si fa.

Nel sentirle dire «la prossima volta», Gilbert spense il motore, si girò verso di lei e la fissò. Mary Ann, le disse.

Era la prima volta che la chiamava cosí, tutto serio.

Lei guardò dritta davanti a sé e non rispose. Dopo qualche istante gli disse: Muoio di sete. Non ti va un succo o qualcosa cosí? Prima che Gilbert potesse rispondere, lei aggiunse: Ma restiamo a sedere in veranda, okay? Mi sa che abbiamo svegliato mio padre, l’altra sera.

Gilbert aspettò sui gradini mentre Mary Ann entrava in casa. Sulla balaustra della veranda c’erano dei barattoli di vernice e dei pennelli. Ogni estate, il capitano McCoy scrostava e ripidingeva un lato della casa. Quest’anno toccava alla facciata. Era tipico di quell’uomo procedere cosí, un lato alla volta. Gilbert una sera aveva aiutato il capitano McCoy a preparare del ghiaccio tritato per i cocktail. Il capitano aveva un suo metodo: prendeva un cubetto e lo massacrava col martello fino a ridurlo in frantumi. Poi passava a un altro cubetto. E poi a un altro ancora e cosí via. Quando Gilbert avvolse in un canovaccio il contenuto di un’intera vaschetta di cubetti e cominciò a sbatterlo contro il banco della cucina, il capitano glielo strappò subito di mano. Non si fa mica cosí! esclamò. Trovò un altro martello per Gilbert e tutti e due stettero lí a frantumare un cubetto dopo l’altro.

Mary Ann tornò con due bicchieri di aranciata. Sedette accanto a Gilbert e bevvero in silenzio, guardando la Buick che luccicava sotto la luce del lampione.

Domani non lavoro, disse Gilbert. Ti va di andare a fare un giro in auto?

Oh, sí, mi piacerebbe, ma non so se posso. Ho promesso a papà che avrei dipinto la staccionata.

E allora dipingeremo la staccionata.

No, che c’entra? È il tuo giorno libero. Devi fare qualcosa.

Dipingere una staccionata è qualcosa.

Qualcosa che ti piace, stupido.

Mi piace dipingere. È uno dei miei passatempi preferiti.

Gilbert!

Dico sul serio, mi piace da matti. Chiedi ai miei. Appena ho un minuto libero son lí con il pennello in mano.

Non scherzare.

A che ora cominciamo? Vedi, non sono passate che tre ore dall’ultima staccionata che ho dipinto e già mi trema la mano dalla voglia di ricominciare.

Piantala. Comunque, se proprio ci tieni, vieni... Boh, non lo so. Quando ti pare. Dopo colazione.

Lui finí l’aranciata e cominciò a rotolare il bicchiere fra le mani. Mary Ann.

Sentí che lei esitava. Sí?

Continuò a fare rotolare il bicchiere. Cosa pensano i tuoi di questo fatto che usciamo cosí tanto insieme?

Non sono mica scocciati. Anzi, penso siano contenti.

Non sono esattamente il loro tipo.

Ah, puoi ben dirlo!

Allora di cosa sono contenti?

Del fatto che non sei Rafe.

Cosa? A loro Rafe non piace?

Oh, sí, lo trovano un sacco simpatico. Dicono sempre che se avessero un figlio, vorrebbero che fosse come lui e compagnia bella. Però papà pensa che la stiamo prendendo troppo sul serio.

Ah, troppo sul serio! Dunque, io sarei il diversivo comico.

Ma cosa dici?

Non sono un diversivo comico?

No.

Gilbert posò i gomiti sul gradino dietro di lui. Alzò gli occhi, guardò il cielo poi, con tono guardingo, disse: Rafe tornerà fra un paio di giorni.

Lo so.

E allora?

Lei si allungò in avanti e scrutò il cortile come avesse sentito un rumore.

Lui aspettò qualche secondo, cosciente di ogni respiro che faceva. E allora? ripeté.

Non so. Forse... No, non so. Sono stanca morta, davvero. Tu vieni domani, giusto?

Se è questo che vuoi.

Hai detto che venivi.

Solo se ti va.

Mi va.

Ok. D’accordo. A domani, allora.

Tornando a casa, Gilbert si fermò in una tavola calda. Mangiò una fetta di torta di mele e sorseggiò una tazza di caffè osservando le auto che passavano. Alla gente normale, a quelli che passavano di lí con le loro auto, Gilbert si immaginava di apparire come una figura decisamente tragica, seduto tutto solo con una tazza di caffè e il fumo della sigaretta che gli spiraleggiava davanti al viso. E la cosa strana era che avrebbero avuto ragione. Gilbert era sul punto di tradire il suo migliore amico. Era sul punto di allontanare Rafe dalle due persone di cui si fidava di piú, e forse, pensò Gilbert, sul punto di distruggere in lui la possibilità stessa di nutrire fiducia. E stava per tradire anche se stesso, la propria convinzione, celata sotto la maschera dell’ironia, di essere un tipo affidabile e leale. Per giunta, Gilbert sapeva cosa stava per fare. Ecco perché tutta questa faccenda era tragica: sapeva cosa stava per fare e non era in grado di comportarsi altrimenti.

Ci aveva pensato e ripensato. Poteva darsene mille di giustificazioni. Prima o poi, Rafe e Mary Ann si sarebbero lasciati comunque. Rafe stava per partire. Rafe non lo sapeva, ma si sarebbe dimenticato di Gilbert e di Mary Ann. Si sarebbe fatto dei nuovi amici all’università, ragazzi di buona famiglia che lo avrebbero invitato a passare le vacanze nelle loro ville, che lo avrebbero portato a sciare e in barca a vela. Avrebbe indossato lo smoking per andare alle feste delle debuttanti, dove avrebbe incontrato delle ragazze che studiavano a Smith e a Mount Holyoke, per laurearsi in filosofia o in letteratura inglese, ragazze intelligenti e preparate, che leggevano gli stessi libri che leggeva lui e altri libri ancora, che dicevano cose che lui non si sarebbe mai aspettato di sentire dire da delle ragazze. Avrebbe finito con l’interessarsi a una di loro e avrebbe fatto diverse gite in auto coi suoi muovi amici fino all’università di lei. Lei sarebbe venuta a New Haven. Si sarebbero incontrati ancora, dandosi appuntamento a Boston e a New York. Lui avrebbe conosciuto i genitori di lei. E poi, il primo giorno del suo successivo soggiorno a casa, l’onesto Rafe sarebbe entrato in casa di Mary Ann e se ne sarebbe uscito un’ora dopo con un’espressione addolorata in viso e il cuore che batteva per la gioia. Dopodiché, non ci sarebbero stati piú altri ritorni a casa. Cosa avrebbe potuto indurlo a sobbarcarsi tutta quella strada? Certo, non i genitori, quei due coccodrilli. Non Mary Ann. Lui, forse? Il buon vecchio Gilbert? Ma per favore!

E Mary Ann? Cosa dire di Mary Ann? Dopo che Rafe l’aveva trascurata e infine mollata su due piedi, che fine avrebbe fatto la sua semplicità, la sua bontà di cuore? Avrebbe cominciato a considerare gli altri con un certo sospetto, a stare in guardia? Gilbert aveva il diritto di fare qualsiasi cosa pur di impedire che ciò accadesse.

Queste erano le sue giustificazioni, e non erano per nulla infondate, ma Gilbert non sapeva che farsene. Era perfettamente consapevole che avrebbe fatto ciò che stava per fare anche se Rafe fosse rimasto a casa, frequentando la sua stessa università, anche se Mary Ann fosse stata una ragazza molto meno ingenua. Noi cerchiamo delle giustificazioni sempre con lo stesso scopo, per mostrare l’esistenza di un conflitto fra i nostri principi e i nostri desideri. Ma questo conflitto non c’era stato. I principi contano solo finché non scopri cosa vuoi davvero.

Il capitano McCoy stava aiutando la signora McCoy a salire sull’auto quando Gilbert parcheggiò la Buick proprio dietro di loro. Il capitano aspettò che sua moglie raccogliesse le falde del vestito dentro l’abitacolo, poi chiuse lo sportello e andò verso la Buick. Gilbert girò attorno all’auto andandogli incontro.

Mary Ann mi ha detto che le darai una mano a dipingere la staccionata.

Sí, signore.

Non è ridotta troppo male, vedrai, non sarà un lavoro lungo.

Entrambi scrutarono la staccionata, una ventina di metri di paletti che correvano lungo il marciapiede. Mary Ann uscí in veranda e fece ciao con la mano.

Il capitano McCoy disse: Ti dispiace andare tu a ritirare la vernice? Da Glidden, quel negozio in California Avenue, hai presente? Basta che fai il mio nome. E poi mi raccomando, per prima cosa dà una bella raschiata. Questo è il segreto. Dà una bella raschiata e il resto verrà facile. E cerca di non sporcare l’erba di vernice.

Mary Ann uscí dal cancello sventolando la mano mentre l’auto coi suoi genitori si allontanava. Spiegò a Gilbert che stavano andando a Bremerton, a trovare sua nonna. Be’, gli disse, ti va un caffè, qualcosa?

Sono a posto cosí, grazie.

Gilbert la seguí su per il vialetto di accesso. Mary Ann era in calzoncini corti. La guardò mentre saliva i gradini della veranda, aveva le gambe molto bianche e flessuose. Il capitano McCoy aveva lasciato due raschietti e due pennelli sulla righiera della veranda, tutti e quattro gli oggetti erano schierati in posizione perfettamente parallela. Mary Ann porse a Gilbert un raschietto e tornarono alla staccionata. Che bel cielo! esclamò lei. Non trovi che oggi il tempo è favoloso? Si inginocchiò a destra del cancello e cominciò a raschiare. Poi si girò verso Gilbert che era alle sue spalle e la guardava e gli disse: Perché non vai di là e fai quell’altro lato? Cosí vediamo chi finisce prima.

Non c’era granché da raschiare, giusto qualche bolla e qualche chiazza qua e là, dove la vernice si era spellata. Questa staccionata è praticamente perfetta, disse Gilbert. Chi ve lo fa fare di ridipingerla?

La cancellata va con la facciata. Quando dipingiamo la facciata, facciamo sempre anche la staccionata.

Ma non ce n’è bisogno. Basterebbe qualche ritocco.

Sí. Però papà vuole che la dipingiamo. Lui la dipinge sempre, quando fa la facciata.

Gilbert osservò la casa bianca e luccicante, il folto prato senza nemmeno un’erbaccia, tosato a puntino, come dei capelli tagliati a spazzola.

Indovina chi ha telefonato stamane? disse Mary Ann.

Chi?

Rafe! Pare che ci fosse una burrasca in arrivo, cosí hanno deciso di partire prima. Dice che sarà qui stasera. Sembrava in gran forma. Ha detto di salutarti.

Gilbert raschiò in su e in giú un paletto.

È stato bello sentire la sua voce, disse Mary Ann. Avrei voluto che tu fossi qui, cosí avresti potuto parlare con Rafe.

Passò un ragazzino in bici, un rumore di cartoncino che urtava contro i raggi della ruota.

Dovremmo fare qualcosa, disse Mary Ann. Preparargli una sorpresa. Magari potremmo andare in auto davanti a casa sua, e aspettare lí il suo ritorno. Non sarebbe fantastico?

E io poi come torno a casa?

Portrebbe riaccompagnarti Rafe.

Gilbert fece qualche passo indietro per guardarla meglio. Era arrivata a metà della sua parte di staccionata. Aspettò che Mary Ann si girasse a guardarlo. Invece lei si rimise a lavorare, piegandosi quasi fino a terra. I capelli le caddero in avanti, lasciando nuda la nuca. Magari potresti invitare qualcun altro, disse Mary Ann.

Qualcun altro? Parla chiaro, vuoi dire una ragazza?

Già. Sarebbe carino se tu avessi una ragazza. Sarebbe perfetto.

Gilbert buttò il raschietto contro la staccionata. Vide Mary Ann pietrificarsi. Non sarebbe affatto perfetto, le disse. Quando lei continuò a non girarsi, si alzò, fece tutto il vialetto, entrò in casa e andò in cucina. Cominciò a misurarla a grandi passi avanti e indietro. Andò al lavello, bevve un bicchiere d’acqua, e restò con le mani appoggiate sul banco. Capí cosa si immaginava Mary Ann, vedeva loro due seduti nella Buick scoperta, poi lei che saltava fuori appena spuntava Rafe, l’abbraccio scatenato. Rafe con la barba lunga e un forte odore di fumo e di natura, un po’ imbarazzato per quella manifestazione d’affetto davanti a suo padre ma anche compiaciuto e divertito. Mentre per tutto il tempo Gilbert se ne sta tranquillo a guardarli, le mani in tasca, pronto a pronunciare le acute, ironiche parole dalle quali Rafe avrebbe capito che tutto è come prima. Cosí dovevano andare le cose, secondo Mary Ann. Come se non fosse successo niente.

Mary Ann aveva quasi finito di raschiare la sua parte della staccionata quando Gilbert tornò fuori. Vado a prendere la vernice, le disse. La mia metà di staccionata mi sembra a posto, prova a dare un’occhiata comunque.

Lei si alzò in piedi e provò a sorridere. Grazie, gli disse.

Gilbert capí che aveva pianto, ma questo non gli provocò dubbi, al contrario lo rinsaldò nel suo proposito.

Mary Ann aveva già steso l’incerata, infilandone un lembo sotto i paletti cosí la vernice non sarebbe sgocciolata sull’erba. Quando Gilbert aprí il barattolo lei rise e disse: Guarda! Ti hanno dato il colore sbagliato.

No, è proprio quello giusto.

Ma è rosso. A noi serve il bianco. Dobbiamo farla bianca, com’è adesso.

No, non ti occorre il bianco, Mary Ann, credimi.

Lei aggrottò la fronte.

Ci vuole il rosso, qui. Il rosso è il colore perfetto per questa staccionata. Senza offesa, ma il bianco sarebbe la scelta peggiore in questo caso.

Ma la casa è bianca.

Appunto, disse Gilbert. È bianca proprio come tutte le altre case di questa strada. Mettici anche una bella staccionata bianca, e il risultato è la noia completa. Effetto ospedale, capisci cosa voglio dire?

Non sono sicura. Forse che è tutto troppo bianco?

Esatto. Invece sai cosa succederà col rosso? Il rosso darà un certo contrasto e richiamerà i mattoni del vialetto. È proprio quello che serve qui.

Be’, forse hai ragione. Ma il fatto è che non credo di poterlo fare. Non stavolta. La prossima volta, magari, se papà sarà d’accordo.

Senti, Mary Ann. Quello che tuo padre vuole è che tu ragioni con la tua testa.

Mary Ann guardò di sottecchi la staccionata.

Fidati di me, okay?

Lei si succhiò il labbro inferiore, poi annuí. Okay. Se sei proprio sicuro.

Gilbert affondò il pennello nel barattolo di vernice. Il mondo è già abbastanza insipido, non trovi? Tutti parlano sempre della banalità del male... ma il male della banalità dove lo mettiamo?

Pitturarono per tutta la mattinata e parte del pomeriggio. Ogni tanto Mary Ann faceva qualche passo indietro per osservare il lavoro. All’inizio tenne per sé le sue impressioni. Piú dipingevano, piú ne avrebbe avute di cose da dire, ma continuò a lavorare in silenzio. Verso la fine, uscí in strada e restò là, sul marciapiede, con le mani sui fianchi. È interessante, eh? Fa tutto un altro effetto. Ora capisco cosa intendevi quando dicevi che avrebbe ripreso il rosso dei mattoni. Ora però forse è troppo rosso.

No, cosa dici? È perfetto.

Credi che a papà piacerà?

A tuo padre? Gli piacerà da pazzi.

Pensi, Gilbert? Davvero?

Sicuro. Vedrai la faccia che farà.