La vittima
B.D. aveva determinati obbiettivi. Nelle disposizioni e nei piani B.D. osservava un determinato ordine, e diventava nervoso e si impauriva ogni volta che quell’ordine veniva infranto. C’erano determinate parole che egli si ripeteva in determinati momenti, parole potenti. A volte credeva davvero in tutto questo; altre volte, non credeva in niente. Ma era vivo, e nutriva rispetto per tutte le cause possibili e immaginabili.
Il suo nome era Benjamin Delano Sears, B.D. per brevità, ma gli amici della squadra lo chiamavano Biddy «Mamma Chioccia» per via del nervosismo e per come li covava, proprio come una chioccia. Doveva sapere sempre dov’erano. Li assillava perché prendessero le pillole contro la malaria e le tavolette di sali minerali. Quando uscivano nella boscaglia li faceva diventare matti a forza di verifiche dell’equipaggiamento. Faceva funzioni di caposquadra, ma non era caposquadra né lo sarebbe diventato mai, perché al sergente Holmes non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello di prenderlo in considerazione per quell’incarico. Il sergente Holmes sapeva un sacco di detti da sergente. Uno di questi era: «Se non ce li hai tu, ce li avranno loro, e te lo metteranno subito in quel posto». Il sergente Holmes aveva deciso che B.D. non ce li aveva, e B.D. non stava a discutere; lui lo sapeva anche meglio del sergente quanta fifa aveva in corpo. Solo una cosa gli stava a cuore: riportare a casa la pelle, la sua e quella dei suoi amici.
La maggior parte di loro in effetti tornò a casa. L’unità subí solo leggere perdite durante la ferma di B.D., piú che altro per sfortuna. Uno dopo l’altro, i suoi amici vennero rimpatriati negli Stati Uniti, e alla fine non rimase che Ryan. B.D. e Ryan erano arrivati la stessa settimana. Conoscevano le medesime storie. I nomi di uomini ora assenti, di operazioni passate, di luoghi remoti e oscuri, per loro due avevano un senso, e quelli che arrivarono dopo cominciarono a vederli un po’ come due idoli da venerare. E tali, piú o meno, B.D. e Ryan si consideravano.
Non avevano cominciato da amici. Ryan era un chiacchierone, mai che tenesse la bocca chiusa. Commentava tutto quello che succedeva, tipo radiocronista sportivo, ma il suo commento non si intonava mai con quanto andava succedendo. Per esempio, si lamentava quando un’operazione veniva cancellata, andava in brodo di giuggiole davanti alle fredde razioni in scatola, si sperticava in elaborate espressioni di ammirazione davanti agli ordini della piú plateale stupidità. All’inizio B.D. pensava che Ryan fosse solo un rompiscatole. Poi un mattino si svegliò ridendo per qualcosa che Ryan aveva detto la sera prima. Stavano sistemando delle mine. Il sergente Holmes spazientito nel trafficare con uno di quei cosi aveva detto: – Nessuno di voi ragazzi ha un cacciavite? – e Ryan immediatamente aveva detto: – Che misura? – Questo era il suo solito modo di aprire bocca e dargli fiato, ma su B.D. stavolta fece effetto. Continuava a sentire la voce di Ryan, il tono vivace e competente, l’imitazione quasi perfetta del buon senso.
Che misura?
A Ryan e B.D. mancavano circa sei settimane al rimpatrio, quando il tenente Puchinsky, il loro comandante venne trasferito al quartiergenerale del battaglione. Pinch Puchinsky si considerava un asso – aveva giocato come quarterback nella squadra di football dell’università della Pennsylvania, viziato, coccolato, e foraggiato sottobanco – e dava per scontato che gli altri lo considerassero nello stesso modo. E cosí era. Non doveva mai insistere su un ordine e nemmeno mai gli veniva in mente di farlo, perché non riusciva a immaginare che qualcuno potesse rifiutargli alcunché. Non riusciva a immaginare niente di spiacevole, in realtà, e si comportava in mezzo a ogni pericolo come se la cosa non lo riguardasse. Siccome quasi nessuno dei suoi restò mai ferito, gli uomini lo portavano in palmo di mano.
Era dunque nella natura delle cose che il suo rimpiazzo, il tenente Dixon, dovesse essere disprezzato, benché non fosse un tipo disprezzabile. Era un uomo orgoglioso, meditabondo, che era già stato ferito due volte e adesso si ritrovava in mezzo a soldati la cui trascuratezza sembrava calcolata apposta per dargli il colpo di grazia. Gli uomini non curavano la manutenzione delle armi quanto avrebbero dovuto. Non avevano alcuna nozione di disciplina nei collegamenti radio. Durante le perlustrazioni erano sbadati, rumorosi, e lenti a reagire. Il tenente Dixon si assunse il compito di rimetterli in riga.
Il compito si rivelò arduo. Il tenente Dixon non aveva né pazienza né senso dell’umorismo, nessuna predisposizione al comando. Era basso e calvo; quando usciva dai gangheri diventava tutto rosso in faccia e la voce gli si riduceva a un falsetto. Di conseguenza, gli uomini lo chiamavano lo Stonato. Ryan lo imitava incessantemente e con terribile precisione. Era inevitabile che prima o poi il tenente Dixon lo sentisse, e alla fine successe, un giorno in cui Ryan, B.D. e altri ragazzi stavano rinforzando con dei sacchetti di sabbia le pareti interne di un bunker. Ryan stava dissertando con la voce del tenente Dixon quando la testa del tenente spuntò nel vano della porta. Lo videro tutti. Ma anziché chiudere il becco, Ryan andò avanti a imitarlo, come se lui non fosse lí. B.D. restò a testa bassa e tenne le mani occupate. Nemmeno per un attimo ebbe la tentazione di ridere.
– Ryan, – esclamò il tenente Dixon, – dimmi solo cosa pensi di fare.
Ancora imitando la voce del tenente, Ryan rispose: – Sto preparando i sacchetti di sabbia, signore.
Il tenente Dixon lo fissò. Disse: – Ryan, questa è la tua idea di sche-cherzo?
– No, signore. La mia idea di sche-cherzo è un cazzo di dieci centimetri su un tenente di cinque.
B.D. chiuse gli occhi, e quando li riaprí il tenente Dixon era scomparso. Si raddrizzò. – Gentile, – disse rivolto a Ryan.
Ryan affondò la pala nel terriccio e si appoggiò al manico. Si slacciò la bandana dalla fronte e ci si asciugò il sudore dalla faccia, dalle spalle e dal petto. Era magro. Gli si vedevano le costole. Aveva la pelle bianca, dappertutto fuorché sulle mani, sul collo, sulla faccia, che erano punteggiati fittamente di lentiggini, e quasi neri nell’oscurità del bunker. – È piú forte di me, – disse.
Tre sere dopo il tenente Dixon mandò fuori Ryan con un gruppo di ragazzi nuovi a preparare un’imboscata. Questo era del tutto contrario alla linea seguita dal tenente Puchinsky, secondo cui meno tempo ti restava da fare, meno dovevi fare. Quando ti restavano meno di due mesi era escluso che ti venisse appioppato quel genere di incarichi. Il tenente Dixon non gli ordinò precisamente di uscire. Piuttosto, durante la riunione di mezzogiorno, gli chiese se si offriva volontario. E Ryan disse che era felicissimo di offrirsi volontario, che era proprio lí che moriva dalla voglia di uscire con la pattuglia. E il tenente Dixon appuntò il suo nome.
B.D. guardò la pattuglia uscire quella notte. Con le facce tinte di nero i ragazzi attraversarono la fascia esterna del campo, avanzando a zig zag fra le mine e i razzi e il terreno brullo oltre il filo spinato finché non scomparvero nel buio fra gli alberi. Il cielo era velato da una foschia lilla.
B.D. tornò alla sua branda e se ne restò seduto, con le mani sulle ginocchia, a contemplare il disordine sulla branda di Ryan: un rasoio elettrico, delle sigarette, dei vestiti sporchi, un paio di sandali, un annuario di liceo che Ryan amava sfogliare. B.D. alzò la zanzariera e prese l’annuario. The Aloysian, questo era il titolo. Nella galleria di ritratti degli studenti dell’ultimo anno trovò la foto di Ryan. Aveva un’aria solenne, quasi malinconica. Portava i capelli lunghi. Il fotografo aveva tolto con l’aerografo le lentiggini e aveva usato il controluce per schiarire il contorno della testa e delle spalle. Se non ci fosse stato il nome, B.D. non l’avrebbe riconosciuto. Sotto la foto di Ryan c’era un verso che diceva: «Oh, per un boccale del caldo Sud!»
Cosa diavolo significava?
Trovò Ryan anche in alcune foto di gruppo. In una, scattata nel laboratorio di applicazioni tecniche, c’erano alcuni ragazzi e Ryan, dietro l’insegnante, che reggeva un groviglio di rami che sembrava il palco di un cervo sopra la testa del prof.
B.D. studiò la foto. Qui l’espressione di Ryan gli era piú famigliare, c’era la sua solita affettata gentilezza portata come una maschera sopra l’astuzia e l’ironia. B.D. avrebbe voluto poter incrociare lo sguardo di Ryan per fargli capire che aveva capito. Rimise l’annuario sul letto di Ryan.
Gli faceva male lo stomaco. Era un dolore nuovo, non acuto ma persistente, e cosí diffuso che B.D. dovette tastarsi con le dita per trovarne la fonte. Quando si piegò, il dolore crebbe, poi diminuí quando si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, davanti alla sua branda. Uno dei ragazzi nuovi, un hawaiano grosso come un armadio, disse: – Ehi, Biddy, stai bene? – B.D. si fermò. Si era dimenticato che c’erano delle altre persone nell’alloggiamento. L’hawaiano, un tipo con una visiera verde calata sugli occhi e altri due tre che giocavano a carte. Tutti stavano guardando lui.
B.D. disse: – Non avete letto l’avviso dell’Ufficiale Medico?
L’hawaiano abbassò gli occhi studiando la sigaretta che aveva fra le dita.
– Che stronzo quel Biddy, – disse il tipo con la visiera, come se B.D. non fosse lí. – Otto mesi che marcisco in questo buco di merda e lui ancora mi chiama quello nuovo.
– Ryan a me mi chiama Pellerossa, – disse l’hawaiano. – Sembro forse un indiano?
– Beh, bianco non sei.
– Davvero? Comunque non sono nemmeno indiano, ok?
– Allora tu chiamalo Manuelito. Vediamo come la prende, l’irlandese.
– Ryan? Oh, gli piacerà da pazzi.
B.D. andò verso l’alloggiamento del sergente Holmes. Il cielo era basso e pesante. Quella sera gli avevano dato hamburger per cena, «rattoburger» li chiamava Ryan (Ehi, grande chef, cosa ne diresti di rinfilare la coda dentro a questo qua?), e l’aria ancora puzzava di grasso. B.D. a un tratto sentí freddo alla schiena e si accovacciò, aspettando qualcosa; non sapeva cosa. Sentiva lo scoppiettio dei generatori, il rumore sordo e cupo dell’artiglieria in lontananza, il ronzare frenetico degli insetti. B.D. restò rannicchiato là. Poi si alzò, si guardò attorno e riprese a camminare.
Il sergente Holmes era steso sulla sua branda, ascoltava della musica da una grossa radio con una cuffia che gli copriva la testa come un elmetto. Addosso aveva solo un paio di bermuda rossi. Teneva gli occhi chiusi, le dita lunghe e sottili fluttuavano languidamente al di sopra del ventre incavato. Aveva la pelle piú nera che B.D. avesse mai visto. Gli si sedette accanto e lo scosse per un piede. – Ehi, – disse. – Ehi, Russ.
Il sergente Holmes aprí gli occhi, poi lentamente si tolse la cuffia.
– Non è compito di Dixon mandare fuori Ryan a preparare un’imboscata.
Il sergente Holmes si drizzò a sedere e posò la cuffia sul pavimento. – Qui ti sbagli. Il suo compito è esattamente questo, mandare fuori la gente.
– Ryan è stato fuori. Un sacco di volte. Adesso gli mancano meno di due mesi.
– Anche a te, vero?
B.D. annuí.
– Allora capisco perché ti preoccupi.
– ’Fanculo, – disse B.D.
Il sergente Holmes ghignò. Era un evento, in quel viso nero.
– Questo non è nei patti, Russ.
– Patti? Ma quali patti? Hai qualcosa di scritto?
– Era sottinteso.
– Non siete piú agli ordini del tenente Pinch, Biddy. Adesso il grande Ammazzasette è il tenente Dixon, e lui ha un’altra filosofia.
– Filosofia, – disse B.D.
– Cosí stanno le cose, – disse il sergente Holmes.
B.D. restò seduto a guardare il pavimento, sfregandosi le nocche. – Ma tu cosa pensi?
– Penso che adesso il capo è Dixon.
– I nuovi possono fare da soli. Noi l’abbiamo fatto.
– Tu non hai mai fatto un cazzo, Biddy. Da quando sei qui, hai solo cercato di pararti il culo, e Ryan uguale.
– Abbiamo corso i nostri rischi.
– Ehi, adesso le cose funzionano cosí, Biddy. Se non ti piace, parla col tenente. Si rimise la cuffia, si sdraiò sulla branda, chiuse gli occhi. Le dita ripresero a fluttuare in aria come alghe marine.
Alcuni giorni dopo il tenente Dixon organizzò un’altra pattuglia per un’imboscata. Prima di leggere ad alta voce i nomi domandò se qualcuno di quelli cui stava per finire il tempo si offriva volontario. Nessuno rispose. Restarono tutti zitti, in attesa. Il tenente Dixon studiò la sua cartelletta, scribacchiò qualcosa, poi alzò gli occhi e ripeté: – Bene. Allora, chi va? – Quando nessuno rispose, insisté: – Avanti, non è poi cosí brutto, vero Ryan?
B.D. era in piedi accanto all’amico. – Non rispondere, – gli sussurrò.
– Altroché, è stupendo! – esclamò Ryan. – Non c’è niente di meglio, signore. Vai con le stelle che scintillano là nella volta celeste.
– Grazie, – disse il tenente Dixon.
– Gli alberi sono i tuoi compagni...
– Chiudi il becco, – disse B.D.
Ma Ryan continuò finché il tenente Dixon si spazientí e lo interruppe. – Basta cosí, – sbottò, poi aggiunse: – Sono contento di sentire che ti piace cosí tanto uscire in pattuglia.
– Non mi basta mai, signore!
Il tenente Dixon si picchiò la cartelletta sulla gamba. Poi ripeté il gesto. – Sicché mi pare di capire che non avresti niente in contrario a uscire di nuovo.
– Davvero, signore?
– Sí, si può fare.
B.D. seguí Ryan negli alloggiamenti, dopo il pranzo. Ryan stava preparando l’equipaggiamento. – Lo so, lo so, – disse. – Ma è piú forte di me.
– Perché non tieni la bocca chiusa? Devi smetterla di prendere per il culo quello stronzetto.
– Il fatto è che non ci riesco. Ci provo ma non ci riesco.
– Balle, – esclamò B.D., ma capí cosa intendeva Ryan, e questo gli mise addosso una grande stanchezza. Si lasciò cadere sulla branda, si sdraiò e si mise a fissare il tetto di tela. La luce del sole brillava da mille forellini.
– È un tale pezzo di merda, – disse Ryan. – Qualcuno deve pure farglielo capire, visto che lui non ci arriva. Non ha la minima coscienza di essere il pezzo di merda che è. Qualcuno qui deve pure prendersi la briga di insegnarglielo.
– Nessuno ha detto che devi prendertela tu, – ribatté B.D.
– Iniziativa individuale, – disse Ryan. Si sedette sul bauletto ai piedi della branda e cominciò a trafficare col sottogola dell’elmetto.
B.D. chiuse gli occhi. L’aria era afosa e opprimente, sentiva l’odore della tela sopra le loro teste, un odore che gli ricordava i campeggi estivi di quando era ragazzino.
– Ma non è questo, – disse Ryan. – Forse è venuto davvero il momento di piantarla. Ormai ho detto tutto quel che avevo da dire.
– Su questo non ci piove.
– È come se fossi allergico, sai? Come certa gente coi gatti. Mi basta averlo vicino che... Bum! Il cuore comincia a pompare come un matto e mi esce di bocca tutta quella roba. E io sto lí, e lo vedo accadere. Strano, eh? Strano ma vero.
– Tutto quello che devi fare, – disse B.D., sfiduciato, – è tenere la bocca chiusa.
La potenza di una M-26, una bomba dirompente capace da sola di fare saltare il tetto di una casa, secondo il volantino distribuito dal comandante della base poteva «crescere esponenzialmente» se la bomba veniva fatta esplodere in un contenitore pieno di sostanze volatili. Questo volantino, che avrebbe avuto lo scopo di mettere in guardia circa la pratica del nemico di fare scivolare delle bombe a scoppio ritardato nei serbatoi della benzina di jeep e camion non sorvegliati, era scritto con uno stile assurdamente elaborato, risultando incomprensibile per metà degli uomini della divisione. Ma B.D. l’aveva capito a puntino, e se l’era stampato bene in mente.
La sua idea era di prendere una latta di benzina da venti litri da uno dei generatori e lasciarla accanto alla tenda dove il tenente Dixon sbrigava il suo lavoro a tavolino, la sera. Avrebbe fermato con del nastro adesivo la leva, avrebbe tolto la sicura, e avrebbe lasciato cadere la bomba nella latta. Quando la benzina scioglieva il nastro adesivo, lui sarebbe stato già nella sua branda.
B.D. pensava di non avere ancora ucciso mai nessuno. La sua compagnia aveva subito tre attacchi e lui aveva risposto al fuoco come tutti gli altri, ma sempre istericamente e quasi immerso in una specie di nebbia. Qualcosa aveva alterato la sua capacità visiva; le immagini erano giallastre e confuse, una serie di fotogrammi che si susseguivano a singhiozzo, e di cui dopo non gli restava alcuna memoria precisa. Non sapeva per certo cosa fosse accaduto. Tuttavia credeva che l’avrebbe sentito se avesse ucciso qualcuno, anche se la cosa fosse successa col buio o se avesse sparato protetto dietro qualche riparo da cui non poteva vedere l’uomo cadere. Era sicuro che lo avrebbe sentito.
Solo in un’occasione ricordava chiaramente di avere inquadrato qualcuno nell’alzo del fucile. Era accaduto durante un’azione in una zona dichiarata di fuoco libero dopo che la popolazione civile era stata fatta sgombrare. Si supponeva che non ci fosse piú nessuno. Per tutta la mattinata erano avanzati lentamente risalendo il corso del fiume, perlustrando i piccoli villaggi abbandonati che sorgevano lungo la riva. Niente. Niente trappole esplosive, niente cecchini, niente mine. L’area era pulita. Poi, tutto a un tratto, mentre stavano consumando il pranzo, B.D. notò qualcosa. Lui era di guardia nelle retrovie quando un uomo uscí dal folto degli alberi, entrando in una vasta risaia dove le piante erano cresciute esageratamente. L’uomo aveva in mano un bastone e lo faceva oscillare davanti a sé mentre avanzava a passi lenti ed esitanti verso l’opposto filare di alberi. B.D. restò immobile a guardarlo. Sentiva il sole caldo sulla schiena. La brezza soffiava sulla risaia piegando l’erba e increspando l’acqua. Alla fine, B.D. alzò il fucile e inquadrò l’uomo nel mirino. Ce l’aveva nell’alzo. Abbatterlo sarebbe stato facile come bere un bicchiere d’acqua, ma decise che l’uomo era cieco. Cosí lo lasciò passare e non disse niente agli altri. Ma poi si domandò: E se non era veramente cieco? E se era solo un uomo con un bastone, che gironzolava cosí per i fatti suoi? In ogni caso, non aveva diritto di stare laggiú. Tutta la faccenda gli piaceva poco. E se quello era un vietcong e uccideva un sacco di americani dopo che B.D. l’aveva lasciato passare? Avrebbe potuto essere un vietcong anche se era cieco; magari era un quadro, un addetto alle infrastrutture, un alto ufficiale...
I ciechi ne potevano fare di cose.
Appena fece buio, B.D. attraversò il campo diretto a uno dei bunker di sorveglianza e nascose nella mano una granata rubandola da una cassa aperta mentre faceva finta di cercare un certo Walcott.
Stava per andarsene quando nel vano della porta, tutto trafelato, comparve il capitano Kroll con la sua grossa testa. Il corpo era abbastanza normale, magari un po’ troppo in carne ma niente di straordinario, la testa invece era davvero incredibile. Era cosí spropositata che tutti nel campo lo conoscevano e in genere lo trattavano con un rispetto di cui forse non avrebbe goduto se avesse avuto il cranio appena un po’ piú piccolo. Lo chiamavano «Capitan Testa», o anche solo «Testa». Lavorava, era da ridere viste le proporzioni del cranio, per l’intelligence del battaglione, e sembrava non rendersi affatto conto di avere una testa molto, molto grossa.
Il capitano Kroll si accoccolò sul pavimento e fece radunare tutti attorno a sé; sembrava quasi una consultazione durante una partita di football. B.D. non poté fare altro che unirsi a loro. Il capitano Kroll li guardò in faccia uno dopo l’altro, e con voce sommessa disse che le pattuglie mandate in ricognizione stavano riferendo beaucoup movimenti di truppe nella valle. Occorreva mantenere il massimo stato di all’erta, disse. Mister Charles aveva bisogno di qualche scalpo da mostrare a Parigi. Mister Charles voleva fare festa.
– E vai col rock’n’roll! – esclamò un tipo dietro B.D.
Una cazzata piú grossa non la poteva dire. Degli altri, nessuno fiatò.
– Nessuna domanda? – domandò il capitano Kroll.
Nessuna domanda.
Il capitano girò quella sua grossa testa in qui e in là. – Allora, procuratemi questi scalpi, – disse.
Tutti scoppiarono a ridere.
Il capitano Kroll si inclinò indietro come se l’avessero schiaffeggiato, poi si alzò in piedi e lasciò il bunker. B.D. uscí dietro di lui ma prese la direzione opposta. La granata gli urtava contro il fianco mentre gironzolava, torpido e ottuso, per il campo. Non seppe dove stava andando finché non fu lí.
Il tenente Puchinsky stava bevendo una birra con un paio di altri ufficiali. B.D. restò sulla soglia dell’alloggiamento. – Sono Biddy, signore, – disse. – Biddy Sears.
– Biddy? – Il tenente Puchinsky si allungò in avanti e lo guardò socchiudendo gli occhi. – Cristo. Biddy –. Posò la lattina. Fecero quattro passi insieme. Il tenente Puchinsky aveva l’autorevolezza dell’uomo maturo, e non dipendeva solo dal grado, B.D. questo se lo era dimenticato e se lo ricordò all’improvviso, mentre erano insieme. Respirò a fondo, rassicurato da quella maturità cosí come dalla mole del tenente, dalla sua figura torreggiante.
Il tenente Puchinsky si fermò vicino a una recinzione circolare che proteggeva una fossa piena di casse. – Mi sa che ti manca poco, – disse.
– Trentaquattro giorni e poi via.
– A me ne mancano venti.
– Venti? Dio santo, signore, è fantastico! Solo venti giorni? Io non starei nella pelle!
Un razzo esplose in cielo, sopra lo sterrato oltre la recinzione che chiudeva il campo. Sotto quella luce improvvisa i due uomini arretrarono. Il razzo scese lentamente, sibilando mentre cadeva e inondava il campo di una fredda luce verde in cui ogni cosa sembrò come rattrappirsi, indifesa. Non parlarono finché il razzo non toccò terra.
– I nostri, disse il tenente Puchinsky.
– Sí, signore, – disse B.D., benché sapesse che poteva essere vero anche il contrario.
Il tenente Puchinsky spostava il peso da un piede all’altro.
– È per via del tenente Dixon, signore.
– Oh, Cristo. Non sarai mica venuto a parlarmi perché hai dei problemi col tenente Dixon?
– Sí, signore.
Quando il tenente Puchinsky gli domandò perché non ricorreva ai canali ufficiali, B.D. seppe di avere già perso. Cercò di spiegare la situazione ma non riuscí a trovare le parole giuste, e il tenente Puchinsky continuava a interromperlo dicendo che queste cose non erano piú affar suo. Non volle nemmeno ammettere che era stata commessa un’ingiustizia dal momento che Ryan, dopotutto, si era offerto volontario.
– Si è offerto volontario perché il tenente Dixon l’ha costretto, – disse B.D.
– E come?
– Non riesco a spiegarlo, signore. Ha un modo tutto suo.
Il tenente Puchinsky non disse niente.
– Noi abbiamo fatto sempre quello che lei voleva, – disse B.D. – Abbiamo rispettato i patti, noi.
– Ma quali patti! – esclamò il tenente Puchinsky. – Mi sembra piuttosto che tu abbia un problema personale, soldato. Ma sappi che se la tua missione comporta dei problemi personali, noi ti daremo tutti i problemi personali che servono. Chiaro?
– Sí, signore.
– Se ti preoccupi cosí tanto per Ryan, perché non ti offri tu volontario?
B.D. scattò sull’attenti e dopo un impeccabile saluto militare fece dietrofront.
– Ehi, Biddy, aspetta un attimo! – Il tenente Puchinsky lo raggiunse. – Cosa vorresti che facessi? Prova a metterti nei miei panni, io cosa potrei fare?
– Potrebbe parlare col tenente Dixon.
– A che pro? Non servirà a niente, te l’assicuro –. Quando B.D. non rispose, il tenente Puchinsky capitolò: – D’accordo. Gli parlerò, se questo ti farà sentire meglio...
B.D. si sentí meglio, ma non per molto.
Fece fatica ad addormentarsi quella notte, e mentre giaceva al buio, gli occhi aperti, un gusto rugginoso in bocca, il proprio fallimento gli apparve in tutta la sua vastità. Sapeva esattamente come sarebbe andata. Il tenente Puchinsky credeva di volere parlare col tenente Dixon, e sarebbe stato fermo su questa intenzione forse per un’ora o due, magari persino per tutta la notte, ma al mattino ogni cosa sarebbe stata già bell’e dimenticata. Puchinsky era un ufficiale. Gli ufficiali a vederli potevano pure sembrare e parlare come tutti gli altri, ma quando tracciavi una linea di demarcazione loro passavano sempre di là, dalla parte degli ufficiali, perché questo erano. Il tenente Puchinsky era convinto che parlare col tenente Dixon non sarebbe servito a niente. E aveva ragione. B.D. questo lo sapeva. Capí di averlo saputo da sempre e di essere andato da lui solo perché cosí, dopo, non avrebbe piú potuto affrontare il tenente Dixon. Aveva scoperto le proprie carte solo perché aveva paura di giocarle, e adesso l’occasione buona era sfumata. Tempo quattro o cinque giorni, e il battaglione avrebbe avuto bisogno di un’altra pattuglia per un’imboscata, cosí il tenente Dixon sarebbe venuto a cercare volontari, e di nuovo Ryan non sarebbe stato capace di tenere chiusa quella sua boccaccia.
E il tenente Puchinsky pensava che B.D. dovesse offrirsi volontario al posto di Ryan.
B.D. restò sdraiato sulla schiena per un po’, poi si girò su un fianco. C’era un caldo terribile. Alla fine si alzò, e uscí dall’alloggiamento. Uno dei ragazzi nuovi era seduto là fuori, con addosso solo i boxer, a fumare la pipa. Fece un cenno del capo a B.D. ma non disse una parola. Non c’era un alito di vento. B.D. restò sulla soglia, poi tornò dentro e si sedette sulla sua branda.
B.D. non era un uomo coraggioso. Lui questo ormai lo sapeva, cosí come sapeva diverse altre cose di sé che, un anno prima, non avrebbe creduto possibili. Non avrebbe creduto di potere camminare davanti a dei bambini che chiedevano l’elemosina senza sentire niente. Non avrebbe creduto di potere diventare un frequentatore di prostitute. Non avrebbe creduto di potere diventare un frignone, un coniglio. Era stato costretto ad abbandonare certe immagini di sé che una volta erano fonte di orgoglio e della sicurezza di avere diritto di vivere, c’era solo un’immagine cui non aveva rinunciato, anzi, gli era diventata essenziale, quella di essere un uomo pronto a tutto per un amico.
Tutto significava tutto. Cioè anche restare ferito o addirittura ucciso. B.D. aveva un’idea di come questo avrebbe potuto accadere sull’onda di un gesto impulsivo, tipo andare in cerca di un amico ferito e saltare su una granata, cose che aveva sentito raccontare e che aveva letto, e che gli parevano possibili anche per la sua natura. Ma qui il caso era diverso.
C’era una grossa differenza, secondo B.D., perché una cosa è buttarsi avanti nell’eccitazione del momento, altro è pensarci su, accettare il rischio in anticipo. Tutto significava tutto, ma B.D. non aveva mai pensato che implicasse anche l’offrirsi volontario e uscire in pattuglia per un’imboscata. L’aveva già fatto e non c’era niente che odiasse di piú. Dovevi startene sdraiato là fuori tutta la notte senza muoverti. Quando pensavi che erano passate un paio d’ore, scoprivi che erano passati solo quindici minuti. Non si vedeva niente. Dovevi immaginarti tutto con le orecchie, e ogni rumore ti faceva venire voglia di fare saltare in aria tutto quanto, ma non potevi perché cosí quelli avrebbero capito dov’eri. E allora eri fregato. Oppure qualche unità amica sentiva gli spari e allora, in preda al panico, chiamava l’artiglieria. Era accaduto una volta che B.D. era fuori; alcuni ragazzi avevano strippato sparando a cazzo di cane dentro certi cespugli, nemmeno tre minuti dopo, ecco l’artiglieria. B.D. aveva conosciuto il fuoco dei mortai ma non era mai stato sotto quello dell’artiglieria prima di allora. L’artiglieria era tutta un’altra storia. L’artiglieria era come la fine del mondo. Era un miracolo se non c’era rimasto secco, un miracolo. B.D. non sapeva se se la sentiva di affrontare di nuovo tutta quella faccenda. Proprio non lo sapeva.
Frugò fra le cose di Ryan cercando le sigarette. Ne accese una e diede una tirata senza aspirare, soffiando il fumo verso l’alto; odiava quell’odore. Gli uomini attorno a lui dormivano, i corpi pallidi e indistinti dietro le zanzariere. B.D. spense la sigaretta sul pavimento e si coricò di nuovo.
In fin dei conti, non è mica che conoscesse Ryan cosí bene. Le cose che sapeva sul suo conto poteva contarle sulle dita di una mano. Ryan aveva diciannove anni. Aveva quattro sorelle piú grandi, niente fratelli, una ragazza di cui non parlava mai. Quello di cui gli piaceva parlare era di quando con gli amici prendeva l’auto per andare su nel New Hampshire a pescare le trote. Era brusco. Parlava troppo. Era capace di mangiare qualsiasi cosa, persino la roba dei musi gialli. Chiamava zulú tutti i ragazzi neri, ma con loro andava d’accordo piú di B.D., che sosteneva di essere daltonico. Sua madre era morta. Suo padre aveva un negozio di ferramenta e arrotondava i guadagni andando a cantare nostalgiche canzoni irlandesi ai matrimoni e alle veglie. Ryan imitava suo padre che cantava ed era uno spasso. B.D. moriva dal ridere ogni volta. Era qualcosa che Ryan faceva con le sopracciglia. Solo a ripensarci B.D. ridacchiò silenziosamente nel buio.
Quel fine settimana Ryan era stato assegnato al gruppo rifornimenti, una cosa di normale amministrazione, e stava portando delle munizioni fuori da un deposito in fondo al campo, quando una mitragliatrice aprí il fuoco da una bassa collina considerata sicura. Le raffiche sorpresero Ryan e diversi altri uomini mentre attraversavano con le casse in spalla lo sterrato fangoso. Scattò l’allarme nell’intera area. Le sentinelle lungo il perimetro cominciarono a sparare all’impazzata verso la collina. Gli ufficiali passavano di corsa, urlando chi un ordine, chi un altro.
Quando B.D. sentí cosa era successo a Ryan, lasciò la sua posizione e si mise a correre verso la Zona d’Atterraggio. Là c’erano due uomini feriti, ma in grado di camminare, e un cadavere in un sacco, Ryan però non c’era piú. L’avevano portato via in elicottero insieme ad altri due feriti gravi appena pochi minuti prima. L’ufficiale medico disse che Ryan si era beccato un confetto appena sopra l’occhio sinistro, o forse era destro? Non era in grado di giudicare la gravità della ferita, non sapeva se il proiettile gli era entrato dentro per dritto o di lato.
B.D. alzò gli occhi, scrutando le nuvole scure e basse che turbinavano in cielo. Consapevole della presenza degli altri uomini, serrò la mascella per mostrare che si sforzava di tenere sotto controllo i propri sentimenti, ed era vero. Anni dopo, raccontò tutto questo alla donna con cui viveva e che successivamente avrebbe sposato, offrendole questa storia come qualcosa d’importante da sapere sul suo conto; raccontò come Ryan, il suo amico per la pelle, era rimasto ferito, e come era corso da lui, per essergli vicino, ma Ryan non c’era piú. Descrisse la scena nella radura, gli uomini feriti seduti su dei ceppi, imbrattati di fango, muti per lo shock, e il morto dentro il sacco, non disteso, come qualcuno che dorma, ma quasi appallottolato. Una specie di grosso bitorzolo. Descrisse la terra smossa, il caos di scatoloni e di latte. Il cielo scuro. E Ryan che non c’era piú, Ryan scomparso. Ryan, il suo migliore amico.
Questa storia non veniva facile a B.D. Non parlava quasi mai della guerra, e le poche volte che lo faceva, sempre nervosamente e di malavoglia, si teneva comunque sulle generali. Non voleva fare come tutti gli altri, che quando capitava l’argomento, facevano la faccia lunga oppure mettevano tutto in burletta, assumendo una posa. Non voleva dare a intendere di avere fatto piú di quello che aveva fatto, o dire, come pure credeva, di non avere fatto abbastanza. Quando ripensava a quei tempi, la vita che aveva vissuto dopo – pagandosi gli studi lavorando, iniziando un’attività in proprio, essendo un buon amico per i suoi amici, occupandosi di sua madre per tre mesi mentre lei moriva di cancro – scompariva di colpo, come non se non valesse niente, e lui si sentiva di nuovo come si era sentito allora, debole, corrotto e spaventato.
Ragion per cui B.D. evitava l’argomento.
Eppure sapeva che quel silenzio era diventato un po’ la sua posa, e fu per questo motivo che raccontò di Ryan alla sua ragazza. Voleva essere sincero con lei. Che sorpresa, dunque, sentire che tutto gli usciva di bocca come una bugia. La storia non veniva come doveva, B.D. non riusciva a esporre con chiarezza ciò che aveva provato. Usò le parole sbagliate, parole che chissà come suonavano false, pronunciate con un’intonazione sentimentale. I particolari sembrarono inventati. La voce di lui risultò esitante e grave, stucchevole per l’autoconsapevolezza, stonata. La cosa lo imbarazzò e si accorse che anche per lei era imbarazzante, cosí si interruppe. B.D. ne concluse che era impossibile descrivere il dolore.
Ma non era per questo che aveva fatto fiasco. B.D. aveva fatto fiasco perché quel giorno, scoprendo che Ryan non c’era piú, non aveva provato dolore. No, lui si era sentito sollevato, liberato. Non poté riconoscere questo stato d’animo, né tanto meno ammetterlo, tuttavia ciò che aveva sentito era stato un sollievo intenso, quasi paralizzante. Questa emozione lo colse di sorpresa, ma lui lottò per reprimerla, e riuscí a dominarla prima ancora di scoprire di cosa si trattasse, prendendola per qualcos’altro. Quando arrivò l’elicottero successivo, B.D. aiutò l’ufficiale medico a caricare il cadavere e i feriti a bordo, poi tornò alla sua posizione. Stava cominciando a piovere.
A Qui Nhon un medico fece quello che poteva per Ryan e poi lo incluse fra i feriti che andavano imbarcati per il Giappone. La sera stessa Ryan fu caricato su un C-141 dei servizi sanitari diretto a Yokota, da lí lo avrebbero trasferito all’ospedale di Zama. Fu un viaggio terribile, specie all’inizio, a causa dei venti e delle brusche virate a spirale cui il pilota fu costretto per evitare il nutrito fuoco proveniente dalla zona attorno al campo di aviazione. Le infermiere si accovacciarono nel corridoietto, reggendosi ai telai delle brande mentre l’aereo beccheggiava e imbardava. Le luci tremolarono. Le sacche oscillarono dai loro ganci. Gli uomini gridarono. Andarono sempre spiraleggiando finché non raggiunsero le altezze celesti, sottili, fredde e imperturbate, e a quel punto il pilota regolò la rotta, e gli uomini quasi tutti si acquietarono, mentre le infermiere riprendevano le loro mansioni.
Una, passando davanti alla branda di Ryan, lo sentí mormorare qualcosa. Gli si inginocchiò accanto e lui ripeté una parola che lei non riuscí ad afferrare. Gli sentí il polso, controllò la respirazione: poco profonda ma regolare. La fasciatura che gli copriva la fronte e parte del viso era completamente zuppa. Gliela cambiò, ma non poté sostituire la compressa a diretto contatto con la ferita; gli ordini sulla cartella clinica specificavano che nessuno doveva toccarla finché il ferito non veniva visitato da una certa squadra di medici, a Zama. L’infermiera, appena ebbe finito di bendare Ryan, cominciò ad asciugargli la faccia. – Su, avanti... – disse lui, e le strinse la mano.
Lei sobbalzò. – Come? – disse.
Ma lui non parlò piú. Lei lasciò che Ryan le tenesse la mano finché la presa non si affievolí, quando però fece per staccarsi, lui la riagguantò. Ora le sue labbra si muovevano ma senza che ne uscisse il minimo suono.
Nella branda accanto a quella di Ryan c’era un ragazzo che aveva perso entrambi i piedi. Era addormentato, o svenuto; l’infermiera vedeva il suo torace che si alzava e si abbassava. La mano del ragazzo era posata sul pavimento. La prese per il polso, e appena Ryan allentò di nuovo la presa, sostituí la propria mano con quella del vicino. Ryan non parve accorgersi della differenza. Gli asciugò di nuovo il viso, poi andò ad aiutare una collega alle prese con un ferito che continuava a cercare di alzarsi.
L’infermiera non era sicura di quando esattamente era morto Ryan. Lui ancora era vivo, quando gli si avvicinò di nuovo, ma poco dopo, quando tornò al suo capezzale, era andato. Stringeva sempre la mano del ragazzo vicino. Restò là a guardarli. Non riusciva a pensare cosa fare. Alla fine andò da un’altra infermiera, la prese da parte e le disse: – Sento di avere bisogno di quella certa cosina, dopo tutto.
L’altra si guardò attorno. – Non ne ho, – disse.
– Beth, – implorò lei. – Ti prego.
– Non chiedermelo, ok? Mi avevi fatto una promessa...
– Senti, – insisté, – solo per questo viaggio. È tutto sotto controllo, ti assicuro. Beth, dico sul serio. Va tutto bene.
Durante un attimo di calma, un po’ piú tardi, l’infermiera si fermò e appoggiò la fronte a un oblò. Il sole era appena al di sopra della linea dell’orizzonte. Il cielo era limpido, niente nuvole fra lei e il mare sottostante, il cui nome le piaceva sentire ripetere dai piloti: Mar Cinese Orientale. Attraverso il plexiglas screpolato riuscí a individuare alcune isolette e il bagliore biancastro di una nave al vertice della sua scia. Un giorno o l’altro avrebbe fatto un viaggio su una di quelle navi, da sola o forse con qualche amico. Starsene sdraiati al sole. Respirare l’aria buona. Fare niente tutto il giorno salvo mangiare dormire e lavarsi. Gettare briciole ai gabbiani. Guardare i delfini giocare nuotando accanto alla nave, i delfini che si immergono e guizzano fuori dall’acqua, mettendosi in mostra per la gente raccolta sul ponte, per lei e i suoi amici. Vedeva già tutta la scena. Quando chiudeva gli occhi vedeva già tutta la scena, perfettamente.