Proprio quella notte
Frances era andata a casa del fratello per consolarlo di una delusione amorosa, ma Frank si mangiò metà della crostata di ciliege che lei gli aveva portato e della donna che lo aveva deluso disse poco o niente. Era su di giri per un sermone che aveva ascoltato nel pomeriggio. Il dottor Violet aveva superato se stesso, le disse. Aveva pronunciato il suo migliore sermone; una vera pietra miliare. E Frank voleva ripeterlo per Frances, proprio come quando erano ragazzini e le rifaceva le scene salienti dei film.
– Sono cosí di corsa, Franky.
– Non è mica lungo, – replicò Frank. – Cinque minuti. Dieci al massimo e sarai fuori di qui.
Tre anni prima, mentre guidava l’auto di Frances, Frank era andato a sbattere contro il pilone di un ponte della superstrada e poco mancò che non morisse; successivamente, mentre era in cura per disintossicarsi, era stato di nuovo in fin di vita per un attacco del grand mal. Ora le voleva recitare un sermone come fosse un predicatore. Frances immaginava di doversi sentire grata. Disse che gli concedeva dieci minuti.
Era una serata calda e umida, ma Frank come sempre indossava una camicia con le maniche lunghe per nascondere gli strani tatuaggi con cui si era svegliato un mattino, quando era di stanza a Manila. La camicia era bianca, inamidata e perfettamente stirata. La cravatta che aveva messo per andare in chiesa era ancora ben annodata sotto il prominente pomo d’adamo. Frank era un uomo voluminoso dentro una piccola stanza, e cominciò a camminare avanti e indietro davanti al divano, concentrandosi su ciò che stava per dire. Cercava di risparmiare la gamba sinistra, il cui ginocchio era uscito molto malconcio dall’incidente d’auto, e ogni volta che posava il piede destro sul pavimento, i piatti tintinnavano nella credenza.
– Ecco, ci sono, – disse Frank alla fine. – Ho qualche lacuna qua e là, ma nel complesso mi sembra di ricordare quasi tutto –. Continuò a camminare, a passi lenti e misurati, con le mani incrociate dietro la schiena, il capo piegato secondo un’angolatura da cui si doveva dedurre che Frank stava ponzando. – Miei cari amici, – esordí, – forse anche voi, non molto tempo fa, avete letto sui giornali il caso di quel nostro conterraneo, un cittadino del nostro stesso Stato, un genitore come ce ne sono tanti fra di voi, riuniti qui, oggi... Ma un genitore che il destino pose davanti a una terribile scelta. Mike Bolling, questo è il suo nome. È un ferroviere, Mike, è addetto agli scambi, e lavora nelle ferrovie da quando ha finito le superiori, esattamente come fecero suo padre e suo nonno prima di lui. Mike è sposato con Janice, oramai sono dieci anni. Avevano sperato di avere una casa piena di bambini, ma il Signore volle dargliene uno solo, e molto speciale. Il bambino nacque nove anni fa, si chiama Benny, come il padre di Janice. Anche se il padre di Janice è morto quando lei era piccola, Janice ricorda ancora il suo grande sorriso sbilenco e il modo come gettava indietro la testa quando rideva, e Janice sperava che battezzandolo con questo nome un po’ del buon umore di suo padre sarebbe passato al bambino. Be’, Benny rivelò da subito tutta l’allegria che Janice aveva sperato, e anche piú.
– Benny. Benny era venuto al mondo ingranando la marcia piú alta e non passò mai alle marce inferiori. Mike diceva che avresti potuto farci andare un treno, con tutta l’energia che aveva quel bambino. Riusciva benissimo nello studio e aveva un talento naturale per gli sport, ma il suo pallino era la meccanica. Benny era uno di quei ragazzini che se li lasci in una stanza dove c’è un orologio te lo smontano prima che tu abbia avuto il tempo di dire ah. Frequentava solo la seconda, ma era già capace di rimontare oltre che smontare gli orologi, per non parlare dell’aspirapolvere, del televisore o del motore del vecchio tosaerba di Mike.
Questo pistolotto non sembrava proprio di Frank. Lui aveva un modo di parlare molto semplice, non era mai ampolloso e arzigogolato, ma anzi molto sobrio, se non addirittura aspro, al punto che le sue battute rischiavano spesso di risultare provocatorie, o offensive. Frances era piú o meno l’unica che capisse il suo umorismo. Ma adesso questo tono estraneo le diede sui nervi. Era evidente che stava per accadere qualcosa di terribile nella storia che Frank voleva raccontarle, qualcosa che Frances si sarebbe rammaricata di avere ascoltato. Lo sapeva. Ma non lo bloccò. Frank era il suo fratellino, e gliele avrebbe date sempre tutte vinte.
Quando Frank era un bebè e ancora non sapeva nemmeno camminare, Frank senior, il padre di Frances e di Frank, si era messo in testa di insegnare al figlio il significato della parola no. A cena faceva dondolare il suo orologio da polso sotto il naso di Frank, poi esclamava – No!– e ritraeva con uno scatto l’orologio appena Frank faceva per afferrarlo. Quando Frank insisteva, Frank senior lo picchiava sulla mano finché il bambino non cominciava a ululare di rabbia e di desiderio. Questa scena si ripeteva quasi ogni sera, dopo cera. Frank non voleva saperne di imparare la lezione; appena il padre gli offriva l’orologio, provava a ghermirlo. Frances seguiva l’esempio di sua madre e non diceva niente. Aveva otto anni, e benché temesse l’attenzione del padre ne sentiva anche la mancanza, inoltre la offendeva l’ostinazione di Frank e i fastidi che stava provocando. Perché non imparava? Poi una sera suo padre diede uno schiaffo in faccia a Frank. Era la vigilia di Natale. Frances ancora si ricordava di quegli stupidi cappellini con le nappe che tutti loro avevano in testa quando suo padre schiaffeggiò il piccolo Frank. Dopo lo schiaffo, sembrò che il tempo restasse sospeso e nel silenzio non si udí altro suono che il lungo risucchio d’aria nei polmoni del bebè mentre, rosso in faccia, dimenandosi sul seggiolone, raccoglieva le forze preparandosi a urlare. Frank senior abbassò la testa. Frances capí che suo padre era stupito di se stesso e spaventato da ciò che sarebbe seguito. Poi guardò sua madre, e vide che aveva chiuso gli occhi. Negli anni successivi, quando Frances cercava di ricordare un momento in cui sarebbe bastato uno scarto anche minimo perché le loro vite prendessero un’altra direzione, le tornava sempre in mente quell’istante in cui suo padre comprendeva l’errore che aveva commesso e ne era turbato al punto da essere pronto a essere biasimato. Cosa sarebbe successo se sua madre fosse saltata su dalla sedia e avesse ingiunto a suo padre di smetterla, adesso e per sempre? O se anche solo lo avesse guardato, confermando la vergogna che lui stava provando? Ma gli occhi di sua madre erano chiusi, e restarono chiusi finché Frank non diede voce alla propria disperazione, e a quel punto Frank senior uscí dalla stanza. Ma, come Frances intuí persino allora, sua madre non poteva permettersi di vedere ciò cui non aveva la forza di opporsi. Aveva problemi di cuore. Tre anni dopo, mentre si piegava per prendere una bottiglia di ammoniaca, disse «Oh», si sedette sul pavimento, e morí.
Frances invece si opponeva al padre. A dispetto dei suoi ordini, portava da mangiare a Frank, quando lo relegavano in camera, ed era sempre dalla sua, dicendogli che aveva il diritto di difendersi. Frank Senior aveva deciso che suo figlio doveva essere spezzato, ma Frank non si spezzava. Faceva tutto quello che il padre gli diceva di non fare, con Frances che lo incitava e lo coccolava quando veniva scoperto. Col tempo Frank senior smise di cercare motivi per il suo disappunto. A mano a mano che il suo silenzio si faceva piú pesante, altrettanto pesante diventava la sua mano. Una sera Frances afferrò la cinta con cui suo padre aveva cominciato a picchiare il suo fratellino, ma mentre lui cercava di respingere la figlia, Frank, tipo ariete, gli diede una gran testata nello stomaco. Frances assalí il padre saltandogli sulla schiena e caddero tutti e tre rovinando per la stanza. Quando tutto fu finito, Frances si ritrovò lunga distesa sul pavimento, con un taglio al labbro e un ronzio nelle orecchie, stava ridendo come una pazza. Frank invece stava piangendo. Quella fu la prima volta.
Frank senior negava sempre tutto a suo figlio, e Frances non gli avrebbe negato mai niente. Frank, consapevole di questa riluttanza della sorella, imparò a servirsene, e nel modo piú spudorato, soprattutto nei mesi precedenti il suo incidente d’auto. Aveva invaso la casa di Frances a tutte le ore del giorno e della notte, le aveva provocato dei problemi sul luogo di lavoro, aveva quasi distrutto il suo matrimonio. Ancora adesso il marito non l’aveva perdonata per quella che, secondo la sua definizione, era la complicità di Frances in questo incubo. Ma suo marito non era mai stato fatto volare a scappellotti da un capo all’altro di una stanza, non era mai stato preso a calci, nessuno gli aveva mai sbattuto la testa contro una porta. E nessuno gli aveva mai nemmeno parlato come suo padre aveva parlato a Frank. Suo marito non sapeva cosa significa essere inermi e soli. Nessuno dovrebbe essere solo a questo mondo. Tutti dovrebbero avere qualcuno che ti resta fedele, a ogni costo e per sempre.
– Proprio quella sera, – proseguí Frank, – il capo telefona a Mike e gli chiede di sostituire il collega del turno di notte al ponte ferroviario mobile. Era un lunedí sera, metà gennaio, un freddo cane. Janice era a una riunione dell’associazione genitori-insegnanti quando arrivò la telefonata, ragion per cui Mike non poté fare altro che portare Benny con sé. Era contro il regolamento, a volere essere pignoli, ma Mike ci teneva a fare gli straordinari e già in passato gli era capitato piú di una volta di violarlo. Nessuno aveva mai detto niente. Benny si comportava sempre bene, ed era una buona occasione per stare insieme e fare comunella. Avrebbero chiacchierato e scherzato, avrebbero abbrustolito qualche salsicciotto, poi Mike avrebbe messo Benny a dormire nel sacco a pelo sul materassino gonfiabile. Un’avventura già collaudata.
– Era una notte freddissima, come ho detto. Nella stazione c’era una stufa, ma non funzionava. Il collega che Mike aveva rilevato aveva su la giacca a vento e i guanti. Mike lo aveva preso in giro per come era imbacuccato, ma ben presto anche lui e Benny si rinfilarono i cappelli e i guanti. Mike preparò una cioccolata calda, e si misero a giocare a gin rummy, o almeno ci provarono, non è molto facile con i guanti. Ma loro non pensavano a vincere o a perdere. Bastava già solo essere lí, padre e figlio, soli soletti, col vento gelido che soffiava contro le finestre. Padre e figlio insieme: cosa c’è di piú bello di questo? Poi Mike dovette alzare il ponte per fare passare un paio di navi, e la situazione si fece complicata perché una delle due imbarcazioni si avvicinò troppo alla banchina e rischiò di incagliarsi. Il capitano della nave dovette tornare al centro del fiume a marcia indietro e tentare di nuovo il passaggio. La cosa andò per le lunghe e quando finalmente anche la seconda nave fu passata, Mike era in ritardo sulla tabella di marcia e doveva sbrigarsi ad abbassare il ponte perché era in arrivo il treno espresso da Portland. E solo in quel momento si accorse che Benny non c’era piú.
Frank si fermò accanto alla finestra e guardò fuori con l’aria di chi però non vede niente. Sembrava piuttosto riflettere sull’opportunità di proseguire o no il racconto. Ma poi si staccò dalla finestra e ricominciò a parlare, e Frances capí che anche quel breve attimo di incertezza faceva parte del sermone.
– Mike chiama il figlio per nome. Niente. Lo chiama di nuovo, con quanto fiato ha nei polmoni. Bisogna capire la posizione in cui si trova Mike. Deve abbassare il ponte per fare passare il treno e il tempo stringe. Non sa dove sia Benny, ma può supporlo. Benny è proprio dove non dovrebbe essere. Giú di sotto, nella sala motori.
– La sala motori. Il mulino, come l’hanno soprannominata Mike e gli altri addetti ai lavori. Non è difficile immaginare quale potenza occorra per alzare e abbassare un ponte ferroviario, e oltre al motore in sé, tutti gli argani necessari e le leve, le pulegge, gli assali, le ruote e via dicendo. Un macchinario imponente. Dappertutto viti gigantesche che ruotano, ingranaggi dentati grandi come una casa. Nell’impianto ci sono delle passerelle e dei cunicoli per il lavoro dei meccanici, ma nessuno scende mai laggiú senza un motivo preciso. Bisogna sapere bene dove mettere i piedi, e stare attenti a non toccare niente, neanche per sbaglio, e indossare una tenuta speciale. E anche se sei un addetto ai lavori, certamente non scendi mai là sotto quando il ponte viene alzato o abbassato. Mai. Quello è un momento troppo delicato, è troppo grande il rischio di restare impigliati negli ingranaggi ed essere trascinati via. Mike questo a Benny glielo ha detto centinaia di volte, Sta’ lontano dal motore, gli ha detto. È l’unica regola ferrea quando Benny viene con lui qui alla stazione. Ma Mike ha commesso l’errore di portarlo là sotto una volta, perché desse un’occhiata all’impianto mentre facevano la manutenzione al motore, e ha visto che Benny si è illuminato alla vista di tutto quell’acciaio, di tutti quegli ingranaggi. Benny moriva dalla voglia di toccare quelle ruote, quelle pulegge e vedere come ogni cosa si adattava all’altra. Mike sentiva che il motore attirava Benny come una calamita gigante. Dopo quell’episodio, lo aveva tenuto sempre sott’occhio, almeno fino a questa notte, quando si è distratto per il difficile passaggio della seconda nave. E adesso Benny è là sotto. Mike ne è sicuro, potrebbe metterci la mano sul fuoco.
Frances disse: – Non ho voglia di sentire questa storia.
Frank non diede segno di averla sentita. Lei stava per aggiungere qualche altra cosa, ma fece una smorfia e decise di lasciarlo continuare.
– Per arrivare alla sala motori, Mike dovrebbe attraversare tutta la stazione e poi o aspettare l’ascensore o scendere per la scala d’emergenza. Non ha il tempo di fare né una cosa né l’altra. Non ha tempo di fare alcunché salvo abbassare il ponte, e anche per questa operazione ormai dispone solo del tempo strettamente necessario. Deve abbassare il ponte immediatamente o il treno carico di passeggeri finirà nel fiume. Questa è la posizione in cui si trova Mike; questa è la scelta che deve compiere. Suo figlio, il suo Benjamin, o tutta la gente che è a bordo di quel treno.
– Ecco, pensiamo per un attimo alle persone che sono sul treno. Mike non ha mai conosciuto nessuno di loro, ma ha vissuto abbastanza da sapere lo stesso che tipo di persone siano. Sono persone proprio come noi. Ce ne sono alcuni che conoscono il Signore, che amano il loro prossimo, e vivono nella luce. E ci sono anche gli altri. Su questo treno ci sono degli uomini che bisbigliano su documenti furbescamente astrusi coi quali raggirare una povera vedova e toglierle la sua misera parte. Su questo treno c’è un uomo le cui fabbriche uccidono e storpiano gli operai che ci lavorano. Ci sono dei ladri, su questo treno, e dei bugiardi, e degli ipocriti. C’è l’uomo che non s’accontenta della propria moglie, e non è felice se non possiede anche ogni donna che incontra. C’è l’uomo che ha reso falsa testimonianza. C’è il corrotto che non rifiuta mai le bustarelle. C’è la donna che abbandona il marito e i figli per seguire il proprio piacere. C’è il venditore di merci avariate, il vigliacco, e l’usuraio, e c’è l’uomo che vive per la droga, che è pronto a tutto pur di procurarsi quella falsa promessa, è pronto a derubare coloro che gli danno lavoro, i suoi amici, la sua famiglia, sí, persino la sua famiglia, sfruttando l’altrui pietà, prendendo a prestito in malafede, pronto a penetrare di soppiatto nelle loro case per sgraffignare. Tutti costoro sono sul treno, ben svegli e affamati come lupi, ma sul treno ci sono anche altri, quelli che dormono con gli occhi aperti, quelli che vivono i loro giorni come sonnambuli, senza commettere il male e senza opporvisi, un po’ come dei soldati che restano a terra fingendosi morti e non difendono le loro città e le loro case, e nemmeno le mogli e i figli. E per gente come questa che Mike dovrebbe rinunciare a suo figlio, al suo Benjamin, che non ha colpe di sorta?
– No, non può farlo. È evidente che non può scegliere di sacrificare suo figlio, se fosse solo a scegliere. Ma Mike non è solo. E sa quello che noi tutti sappiamo, persino quando cerchiamo di dimenticarlo: noi non siamo mai soli, mai. Noi siamo al cospetto del Padre Nostro nella luce del giorno come nel buio della notte, e persino in quelle tenebre dove ci nascondiamo per sfuggirgli, celando il volto come bambini impauriti. Lui non ci lascia. No. Lui è con noi, non siamo mai soli. Anche se chiudiamo tutte le finestre e sbarriamo tutte le porte, Lui entrerà lo stesso. Anche se svuotiamo i nostri cuori e li trasformiamo in pietra, Egli farà sempre la Sua casa nel nostro cuore.
– Lui non ci lascerà mai soli. Lui è con tutti voi cosí come è con me. Lui è con Mike, e anche con coloro che sono sul treno, il corrotto, e la donna che ha bisogno del marito della sua amica, e l’uomo che ha bisogno di bere sempre un cicchetto. Lui conosce i bisogni di tutte queste persone meglio di loro stesse. Egli sa che è di Lui che costoro in realtà hanno bisogno, e benché essi fuggano la Sua voce, Egli non smette mai di ripetere loro che Lui è qui. E quando Mike non ha piú un luogo dove nascondersi e non ha piú parole da dirsi, può solo ascoltare, e allora capisce di non essere solo, e sa cos’è che deve fare. Non è il primo ad agire cosí, persino Colui che ci parla, il Padre di Tutti, rinunciò a Suo Figlio, il Suo Prediletto, perché gli altri potessero essere salvati.
– No! – esclamò Frances.
Frank si interruppe e guardò sua sorella come se stentasse a ricordarsi chi era.
– Basta cosí, – proseguí lei. – Con questa dose di santità vado avanti almeno un anno.
– Ma c’è dell’altro.
– Lo so, lo vedo arrivare. Mike uccide il figlioletto, giusto? Senti, Frank, scusa se te lo dico, ma come racconto è davvero scadente. Quale sarebbe la morale della favola, dovremmo essere pronti a uccidere i nostri figli per salvare un estraneo?
– È qualcosa di piú.
– D’accordo, diciamo un treno pieno di estranei, diciamo anche dieci treni pieni di estranei. Dovrei sacrificare mio figlio perché il cosiddetto Padre di Tutti sacrificò il Suo? È questo il nocciolo? Comunque, vorrei sapere come si fa a inventare una storia cosí. Fa acqua da tutte le parti.
– È una storia vera!
– Vera? Franky, fammi il piacere! Non sarai mica cosí cretino da credere che sia vera.
– Il dottor Violet conosce uno che era a bordo di quel treno.
– Ci avrei scommesso. Dunque, lasciami indovinare... – Frances chiuse gli occhi, poi li spalancò di botto. – Ma sí, certo, il drogato! Sí, il tossico che poi, dopo il fatto, si è ravveduto ed è andato a lavorare coi bambini di strada, in Brasile, dimostrando a tutti che il sacrificio di Mike non è stato vano. È cosí, Frank?
– Non stai capendo il punto, Frances. Il senso è un altro. Fammi finire.
– No, Frank. È una storia terribile. Nessuno si comporterebbe mai cosí. E io men che meno, chiaro?
– Ma a te non è stato chiesto questo. Non capisci? Lui non ci chiede di fare ciò che non possiamo fare.
– Me ne infischio di quello che Lui ci chiede o non ci chiede. Vorrei sapere dove hai imparato questo modo di parlare. Non sembri piú tu.
– Sono cambiato. È cambiato il modo in cui vedevo le cose. È facile che io sembri anche diverso.
– Già. Be’ ti assicuro che mi sembravi meglio quando ti sbronzavi.
Frank fu lí lí per dire qualcosa, ma poi rinunciò. Fece qualche passo indietro e si lasciò cadere su un’orrenda poltrona a scacchi con lo schienale reclinabile, ereditata dall’inquilino precedente. Lo schienale era regolato in posizione perfettamente verticale.
– Me ne infischio, non lo farei neanche se l’Onnipotente mi tenesse un fucile puntato sulla tempia, non lo farei mai e poi mai, – disse Frances. – Nemmeno in un milione di anni. E tu uguale. Su, Franky, di’ la verità, mi lasceresti dilaniare dagli ingranaggi, fossi io quella giú nel motore?
– Non è una scelta che devo compiere.
– Sí, certo, lo so. Ma facciamo finta che sí.
– Ma non è cosí. Lui non ci punta il fucile alla testa.
– Oh, davvero? E l’inferno, allora? Cosa mi dici dell’inferno? Comunque, chissene. Chi se ne frega dell’inferno. Allora, resto stritolata o no?
– Non mettermi alla prova, Frances. Non è compito tuo.
– Io sono giú nel motore, Frank. Sono incastrata negli ingranaggi ed ecco che arriva il treno con su Madre Teresa e cinquecento peccatori, tuuu tuuu tuuu. Chi, Frank, chi? Loro o me?
A Frances venne da ridere. Tetro in volto, ritto sulla sua poltrona, le mani serrate sui braccioli, Frank sembrava qualcuno che sta per essere investito da un uragano. Ma Frances tenne per sé questa immagine. Frank stava pensando, doveva lasciarglielo fare. Tanto sapeva quale sarebbe stata la sua risposta – alla fine ce n’era una sola – ma lui non era capace di dire semplicemente Frances è mia sorella e finirla lí. No, lui doveva impapocchiare qualche motivo virtuoso, altisonante, per potere scegliere lei. E magari all’inizio nemmeno l’avrebbe fatto, magari avrebbe avuto paura e si sarebbe nascosto dietro la risposta imparata al catechismo. Be’, Frances era pronta, non si tirava indietro se c’era da dare battaglia; lo avrebbe convinto. Frances non aveva paura di azzuffarsi, men che meno di azzuffarsi per suo fratello. Per suo fratello Frances aveva affrontato i teppisti del quartiere, gli insegnanti stizzosi e gli allenatori aggressivi, gli usurai, i padroni di casa, i portieri. Quando era una ragazzina con le ginocchia sempre coperte di croste aveva lottato contro suo padre per difendere Frank, e se la mettevano alle strette avrebbe lottato anche contro il Padre di Tutti, quel bullo imperscrutabile. Era pronta. Sarebbe stato come ai vecchi tempi, lei e Frank in attesa nella camera al piano di sopra, mentre Frank senior, al piano terra, lascia che la collera gli monti dentro, e va in giro brontolando e sbattendo le porte, e impuzzonisce la casa con tutti i sigari che fuma quando è nervoso. Frances ricordava perfettamente ogni cosa, il tremore alle gambe, il pulsare martellante alla nuca a mano a mano che l’odore di fumo diventa piú forte. Le sembrò di sentire ancora il tanfo del sigaro e i passi di suo padre su per le scale, Frank col fiato grosso accanto a lei, che le si fa piú vicino, e sussurra il suo nome e lei che gli risponde mentre al posto della paura subentrano la ferocia e una inspiegabile gioia: – Va tutto bene, Franky. Sono qui.