Sanità di mente
Andare da La Jolla all’ospedale Alta Vista non è facile, a meno che non abbiate l’automobile o l’esaurimento nervoso. Al padre di April venne l’esaurimento nervoso e lo portarono all’Alta Vista in men che non si dica. Il viaggio di April e della sua matrigna fu piú lungo; dovettero prendere due diversi autobus, poi fare l’autostop per percorrere la strada tortuosa e assolata che attraversava la vasta proprietà dell’ospedale; infine, quando la visita fu finita, dovettero fare la medesima strada a piedi per ritornare alla fermata dell’autobus. Passavano poche auto, e nessuno si fermò per offrire loro un passaggio. April non li biasimò. Quelli che passavano in auto probabilmente immaginavano che lei e Claire fossero due pazienti uscite dall’ospedale per una passeggiata. Questo è quello che avrebbe pensato lei, imbattendosi in loro due lungo questa strada. Un’occhiata e avrebbe tirato diritto.
Claire era alta e stava sempre ben eretta. Quel giorno indossava un elegante completo grigio, scarpe coi tacchi alti e un cappello nero a larghe falde. Si muoveva con una certa rigidità per via dei tacchi, ma aveva lo stesso un’andatura molto decisa e dignitosa. «Nave Ammiraglia» cosí la chiamava il padre di April quando Claire si sentiva obbligata a qualche dimostrazione di fermezza e risolutezza. April la seguiva in ordine sparso. Si fermava di tanto in tanto a riprendere fiato, per mettere una certa distanza fra lei e la matrigna, poi però affrettava il passo e quasi si metteva a correre per ridurre la distanza. April era una ragazza non molto alta, muscolosa, che camminava a grandi passi, come un uomo. In viso aveva un’espressione torva nella luce caliginosa di mezza estate. Aveva le mani rosse. Indossava un vestito senza maniche, giallo, con dei fiori neri, della cui bruttezza April era perfettamente consapevole e se continuava a indossarlo era solo perché questo vestito garantiva comunque che la gente si accorgesse di lei.
Passarono due auto, le gomme giravano sull’asfalto appiccicaticcio facendo il rumore di un nastro adesivo che si stacca. Pochi giorni prima di essere ricoverato in ospedale, il padre di April aveva venduto per due lire la Volkswagen, e a Claire non era nemmeno venuto in mente di cercare una nuova auto. Aveva un po’ di soldi in banca, ma li stava mettendo da parte perché intendeva fare un viaggio in Italia, con sua sorella, appena il padre di April tornava a casa.
Claire era stata silenziosa durante quasi tutta la visita, silenziosa e sulle spine, e adesso che era finita, non cercò di nascondere il suo sollievo. Aveva voglia di chiacchierare. Disse che il dottore con cui avevano parlato le ricordava tanto Walt Darsh, l’uomo cui era stata sposata durante l’ultima Era Glaciale. Questa era la definizione che usava per ogni cosa accadutale nel passato: «durante l’ultima Era Glaciale». April sapeva che Claire amava sentirsi replicare che era ancora giovane e attraente, e non sarebbe stata una bugia dirlo, ma stavolta April non disse niente.
Aveva già sentito parlare di questo Walt Darsh, della sua inaffidabilità, della sua crudeltà. Ma nonostante i racconti di Claire fossero sempre piuttosto interessanti, mettevano April a disagio e la facevano sentire strana. Cosí appena Claire cominciò, le disse: – Se era un tale mascalzone, perché lo sposasti?
Claire non rispose subito. Rallentò il passo, e piegò pensosamente il lungo collo, dando tutti i segni di qualcuno concentrato su una nuova e impegnativa domanda. Osservò April, poi stornò lo sguardo. – Per il sesso, – rispose.
April vedeva il luccicare dei parabrezza in lontananza. C’era una panchina alla fermata dell’autobus; non appena lí, si sarebbe sdraiata e avrebbe chiuso gli occhi, fingendo di dormire.
– È difficile da spiegare, – disse Claire con tono prudente, come se April la stesse pressando con le sue domande. – Non era tanto l’aspetto fisico. Darsh non è quello che definiresti un bell’uomo. Ha la classica faccia del furbo, hai presente, tutta appuntita... tipo volpe. Capisci cosa voglio dire? E non parlo solo dei lineamenti, perché dipende anche dal modo come ti guarda, sempre un po’ ghignando, come se la sapesse lunga su di te –. Claire si fermò all’ombra di un albero. Si tolse il cappello, si ravviò i capelli, arricciò qualche ciocca ribelle dietro le orecchie, poi si rimise il cappello calcandolo di traverso sulla fronte. Trovò un fazzolettino di carta nella borsetta e si picchettò l’angolo degli occhi prolungato da una sottile linea di mascara. Claire aveva la dote, misteriosa agli occhi di April, di sapere esattamente quale fosse il proprio aspetto anche senza guardarsi allo specchio. Per April la propria faccia era sempre una sorpresa, ogni volta le appariva in qualche modo diversa da come se l’era immaginata.
– Ovviamente, quella è una cosa che può anche risultare attraente, – proseguí Claire, – dico, essere guardate a quel modo. In genere, quando gli uomini ti guardano cosí è fastidioso, ma ci sono delle eccezioni. Con lui era una cosa attraente. Per cui suppongo che si potrebbe dire che Darsh non era un piacere per gli occhi ma con gli occhi sapeva dare piacere. Non so se cogli la differenza.
April coglieva la differenza, e anche la soddisfazione di Claire nell’averla stabilita. Non le piaceva la piega che il discorso stava prendendo ma non poteva farci niente, perché era colpa sua se Claire la credeva matura per una discussione spregiudicata su simili temi. Nel corso degli ultimi mesi Claire si era convinta che April avesse cominciato ad andare a letto con Stuart, il ragazzo con cui usciva. Non era vero. Stuart ogni tanto faceva qualche allusione sempre senza molte speranze, col suo tono educato e scherzoso, ma in realtà non aveva intenzioni serie e neanche April. Se non aveva chiarito le cose con Claire era perché all’inizio le piaceva essere trattata da donna navigata. Claire si dava un sacco di arie, ci teneva a fare capire che sapeva come va il mondo; April era contenta di farle abbassare un po’ la cresta. Claire non aveva mai fatto domande dirette, la sua era stata una semplice supposizione, ma una volta che quella supposizione si fu insediata non ci fu piú modo di riaggiustare le cose.
L’orlo del cappello di Claire sventolava su e giú. Sembrava che le fosse venuta un’idea la cui fondatezza le pareva incontrovertibile. – Indubbiamente, – le disse, – l’aspetto fisico conta. Ma non è tutta qui la faccenda. L’attrazione sessuale non dipende mai da un solo fattore, non trovi? Prendi la tecnica, per esempio –. Claire si girò e si rimise in cammino, la testa ancora pensosamente china. April sentiva che stava per arrivare la lezioncina. Claire insegnava sociologia nello stesso liceo dove il padre di April, fino a poco tempo prima, insegnava psicologia, e proprio come suo padre era svelta a montare in cattedra.
– Si fa un gran parlare della tecnica, – proseguí Claire, – come se il sesso fosse una partita di baseball, il che è assurdo. Sai chi la monta questa balla della tecnica? Te lo dico io: gli editori. Perché cosí anche questo diventa un prodotto e loro lo possono commercializzare tirando fuori fior di manuali, tipo la Guida per viaggiare in Messico o il Manuale Fai da Te per costruire un solarium in legno di sequoia. Peccato solo che non funziona. E sai perché? Perché cosí si trasforma il sesso in un’esperienza letteraria.
April non riusciva a smettere di ridacchiare. Questo le dava un’aria sciocca, lo sapeva.
– Parlo sul serio, – disse Claire. – Lo capisci subito quando hai a che fare con qualcuno che ha studiato la materia sui libri. Cominci a vederti come il personaggio raffigurato in una qualche illustrazione, con tutte le parti intime in bell’evidenza, mentre il tuo interlocutore, un altro piccolo coscienzioso personaggio da fumetto, ti accarezza premuroso.
Claire si fermò di nuovo e contemplò i campi che costeggiavano la strada dell’ospedale, una mano posata con disinvoltura su uno dei pali della staccionata. Un tempo, a sentire il padre di April, i pazienti dell’Alta Vista venivano incoraggiati a coltivare la terra. Ma adesso i terreni erano in stato di completo abbandono, l’erba era alta e giallastra, gli alberi stentati. Gli insetti stridevano rumorosamente.
– Ma c’è anche un’altra ragione per cui i libri che pretendono di insegnarti il sesso sono privi di valore, – riprese Claire. – Parlano tutti dell’importanza di condividere la propria esperienza con il partner e di anticiparne i bisogni, e della tenerezza eccetera eccetera. Praticamente, un manuale di catechismo per come comportarsi a letto. Non scherzo mica, April. Ecco cosa c’è dietro tutta questa roba, dietro tutta questa storia della tecnica. Gli scrupoli della morale giudaico-cristiana. La Regola Aurea. Capisci cosa intendo?
– Sí, credo di si, – rispose April.
– Invece noi qui abbiamo a che fare con una transazione molto essenziale, – disse Claire. – Un’azione molto piú rudimentale di quella, per esempio, di prestare del denaro a un amico. Pensaci, April. Il prestito è un’attività altamente evoluta. Le altre specie non la conoscono, solo noi la pratichiamo. Prova a considerare quanti sono gli elementi coinvolti in questo gesto di prestare del danaro. Stabilità sociale, fiducia, generosità. La capacità di immaginarsi al posto di un altro. È un’attività incredibilmente complessa, un segno di civiltà. E questo mi sta bene. Ma il punto è, secondo me, che il sesso appartiene a un’altra sfera. Il sesso non c’entra con la civiltà. Il sesso non ha niente a che vedere con la capacità di non essere egoisti.
Un’ambulanza passò loro accanto, lentamente. April la seguí con lo sguardo, poi tornò a fissare Claire, che ancora osservava i campi. April vide il profilo di lei sotto l’ombra del cappello, vide com’era asciutta e fresca la sua pelle, vide la compostezza del suo sorriso. April vide tutte queste cose e non poté non percepire la propria condizione e sentirsi appiccicaticcia, preoccupata, incompleta. – Sarà meglio avviarci, – le disse.
– A dire la verità, – continuò Claire, – fu proprio questa una delle cose che piú mi attrassero di Darsh. Lui era totalmente egoista, gli interessava solo compiacere se stesso. E questo gli dava un certo fuoco. Un certo potere. Le femministe mi ucciderebbero se mi sentissero dire questo, ma è la pura verità. Ti ho raccontato mai della nostra luna di miele?
– No –. April cercò di avere un tono neutro, schivo, benché fosse curiosa.
– O la storia della cameriera? Ti ho mai raccontato la storia della cameriera di Darsh?
– No, – ripeté April. – Com’è la storia della luna di miele?
– Uhm, è troppo lunga. Ti voglio raccontare invece quella della cameriera.
– Non sei mica obbligata, sai? – disse April.
Claire, sorridendo fra sé e sé, continuò: – Devi sapere che una volta, quando Darsh era bambino, sua madre lo portò a fare un viaggio in Europa. Il classico gran tour. Ma lui era un po’ troppo piccolo per apprezzare la cosa, aveva tredici, quattordici anni, una roba cosí. Quando arrivarono ad Amsterdam, lui aveva già fatto il pieno di musei, sognava solo di non vedere piú nemmeno un quadro in vita sua. Ecco il problema quando si vuole imporre la cultura ai bambini, finiscono per odiarla. È meglio lasciare che ci si avvicinino da soli, non trovi?
April si strinse nelle spalle.
– Prendi Jane Austen, per esempio. Mi hanno costretto a ingollare quintalate di Jane Austen, quando ero a scuola. Orgoglio e pregiudizio. Ovviamente, lo aborrivo, perché non ero in grado di capire cosa succedeva davvero in quel romanzo, non vedevo la commedia sessuale dietro le buone maniere, la critica sociale. L’economia! Per forza, non avevo vissuto! Bisogna avere un po’ di vita sotto la cintura prima di potere afferrare qualcosa di un libro come quello.
– Comunque, Darsh, puntò i piedi, quando arrivarono ad Amsterdam. Fu irremovibile. E ottenne di restare in stanza, in albergo, tutto il santo giorno, a leggere romanzi gialli facendosi servire il pranzo in camera, mentre sua madre andava in giro per musei. Un pomeriggio, entrò una cameriera che doveva pulire il lampadario. Montò sopra la scala che si era portata appresso e Darsh, da dove era seduto, non poté evitare di vedere sotto il suo vestito. Dico, vedere tutto, fino in cima, ok? E la cameriera questo lo sapeva. Lui capí che lei aveva capito e dopo un po’ smise persino di dissimulare i suoi sguardi, la guardava e basta. Lei non parlò. Non disse nemmeno una parola. Non solo, ma se la prese comoda lassú, lucidando ogni pendente, imperturbabile. Secondo Darsh questa scena andò avanti un paio d’ore, e anche se in realtà durò solo mezz’ora, è sempre un bel po’ di tempo, se ci pensi.
– E poi cosa successe?
– Niente. Non successe niente. È questo il punto, April! Se fosse successo qualcosa, probabilmente si sarebbe infranta quella magia. Tutta quella incredibile energia si sarebbe dissolta. E invece restò chiusa dentro di lui. Ed è sempre lí che bolle, pronta a esplodere con la pazza tensione di un quattordicenne. Cosí la cameriera è una delle fisse di Darsh. Figurati che possedeva tutta la divisa, magari ce l’ha ancora, sai, la blusa bianca con le gale, la gonna nera, le calze di nylon nere, con tutte quelle piccole becche. È un cliché, ovviamente. I pornografi lo usano da secoli. E perché no, se funziona ancora? La maggior parte dei nostri desideri sono cliché, giusto? Pronti per essere indossati, taglia unica. Dubito che sia possibile per chiunque nutrire un qualche desiderio originale.
– Vuoi dire che Darsh ti faceva vestire da cameriera?
April vide Claire pietrificarsi alle sue parole, come se le avesse detto qualcosa di ingiurioso, di volgare. Claire si raddrizzò e lentamente riprese a camminare. April restò là, poi si mise a seguirla ma ad alcuni passi di distanza finché Claire non si fermò ad aspettare che la figliastra la raggiungesse. Dopo un po’, Claire disse: – No, cara. Non era Darsh, lui non mi chiedeva mai niente. È solo che è molto eccitante quando sai che qualcuno desidera qualcosa cosí ardentemente. E io adoravo come lui mi guardava. Mi mangiava con gli occhi, ma c’era anche tanta innocenza.
– Forse, – concluse Claire, – detto cosí sembra banale. Sono cose difficili da descrivere.
A quel punto Claire restò in silenzio, e lo stesso fece April. Non aveva bisogno di farsi descrivere alcunché. Pensava di riuscire a immaginarsi perfettamente gli sguardi che Darsh aveva rivolto a Claire, benché nessuno avesse mai guardato lei in quel modo. Certo non Stuart. Con lui, si sentiva sicura, sicura e sonnolenta. I tipi come Stuart non l’avrebbero mai fatta sentire cosí accesa e disponibile come Darsh aveva fatto sentire Claire, almeno a quanto diceva la sua matrigna. April aveva la sensazione di conoscerlo, Darsh, e che lui conoscesse lei, come se in qualche modo sapesse che Claire le parlava di lui, e che lei ascoltava con interesse.
Erano quasi arrivate al viale dove c’era la fermata dell’autobus. April si fermò per guardare indietro ma gli edifici dell’ospedale ormai non si vedevano piú, la collina li nascondeva. Si girò e riprese a camminare. Avrebbe dovuto farne ancora uno di questi viaggi. Poi, la settimana dopo, suo padre sarebbe tornato a casa. Era stato teatralmente pacato durante tutta la loro visita, restando seduto vicino alla finestra, su una sdraio, con i piedi allungati sul poggiapiedi, un giornale in grembo. Era in pantofole e aveva un cardigan. Gli mancava solo la pipa. Sembrava che stesse bene, era il ritratto della salute, ma si trattava solo di questo: di un ritratto. A casa suo padre non leggeva mai il giornale. E neanche restava mai seduto a lungo. L’ultima volta che April lo aveva visto fuori dell’ospedale, circa un mese prima, suo padre era tenuto sotto controllo nell’appartamento del loro padrone di casa, dove era andato a protestare per il cattivo funzionamento della doccia. Si agitava come un ossesso, scalciava e urlava. Gli occhiali gli penzolavano da un orecchio. Le aveva ingiunto di chiamare subito la polizia, e uno dei poliziotti che lo stavano tenendo fermo era scoppiato in una risata irrefrenabile.
Ma adesso suo padre non aveva mica rimesso i piedi per terra. No, stava ancora volando. April glielo aveva letto negli occhi, oltre il velo del litio o di chissà che diavolo gli davano lí in ospedale, ed era sicura che anche Claire se ne fosse accorta. Claire non aveva detto niente, ma April aveva già vissuto tutto questo con Ellen, la matrigna precedente, e aveva sviluppato come un istinto. Cosí ora April aveva paura che Claire fosse stufa, e che non intendesse ritornare dal viaggio in Italia. O almeno, non da loro. Claire non avrebbe fatto piani precisi, sarebbe successo punto e basta. Ma April non voleva assolutamente che Claire partisse, non ora. Aveva bisogno della matrigna almeno per un altro anno. Anche meno, dieci mesi, giusto il tempo di finire la scuola e iscriversi a una qualche università. Se riusciva ad arrivare fino a quel punto, April era sicura di potere gestire tutto ciò che avrebbe potuto succedere dopo.
Non voleva che Claire andasse via. Claire aveva il suo carattere, ma era stata sempre buona con April, specialmente all’inizio, quando April trovava di continuo a che ridire su di lei. Claire non se ne era avuta a male e aveva portato pazienza, aspettando che April si avvicinasse a lei col suo tempo. Cosí una sera successe che April si appoggiò a Claire mentre erano sedute tutte e due sul divano, a leggere, e Claire si appoggiò ad April, e nessuna delle due si tirò indietro. Diventò una loro abitudine sedersi in quel modo, puntellandosi l’una con l’altra, mentre leggevano. Claire non era una sventata. Aveva parlato sempre francamente con April, ma con un certo ritegno. Adesso il ritegno era scomparso. Da quando si era convinta che April fosse andata «fino in fondo» con Stuart, Claire aveva ritirato la protezione del decoro e del tatto, cosí come molto presto avrebbe ritirato anche la protezione del suo stipendio, delle sue cure, della sua presenza.
Non c’era modo di tornare indietro. E se anche ci fosse stato, se dicendo «sono ancora vergine» April avesse potuto trasformare Claire in una specie di madre perfetta, non l’avrebbe fatto. Sarebbe stato ridicolo e falso. Vergine lei non lo era piú, salvo che per quanto riguardava l’aspetto strettamente fisico. Ma April non considerava la verginità qualcosa che ha a che vedere col corpo. Per lei era piú una qualità dello spirito, qualcosa che potevi perdere solo spiritualmente. Lei questo lo aveva fatto; non sapeva esattamente quando o come, ma sapeva di averlo fatto e non ne era pentita. Non voleva essere una vergine e non avrebbe finto di esserlo per niente al mondo. Quando pensava a una vergine, April vedeva una fanciulla mezza nuda, coi polsi legati, gli occhi stupidi e fiduciosi, una ghirlanda di fiori fra i capelli. Vedeva una radura nella foresta, e nella radura un altare.
Il loro autobus era già passato e c’era parecchio da attendere prima che ne passasse un altro. Claire si sistemò sulla panchina e si mise a leggere un libro. April aveva dimenticato di portare il suo. Per un po’ restò seduta accanto a Claire, poi si alzò e cominciò ad andare su e giú, lungo la strada, quando la serenità di Claire le diventò intollerabile. Camminava con le braccia incrociate sul petto e la testa piegata in avanti, tutta accigliata, strascicando i piedi. Le auto le passavano accanto sparando musica; una grossa barca a vela su un carrello; un convoglio di camion militari, coi fari accesi, i soldati che ondeggiavano seduti dietro. L’aria era blu per i gas di scarico. April, passando davanti a un gommista, guardò nella vetrina e si vide riflessa. Raddrizzò le spalle e lasciò cadere la braccia lungo i fianchi, costringendosi a mantenerle in quella posizione con uno sforzo di volontà mentre proseguiva per il viale fino a dove una sfilza di bandierine di plastica sventolavano segnalando il parcheggio di un concessionario della Toyota. Un uomo con un vestito color panna era fermo sulla soglia dell’autosalone, a guardare il traffico. Perfino da dove era lei, si capiva il taglio elegante del vestito. L’uomo aveva gli zigomi alti, i capelli neri lisci pettinati indietro, un gran naso dritto e deciso. Nel complesso, aveva l’aria di un tipo assolutamente padrone di sé e potenzialmente pericoloso, e April comprese che lui ci metteva una certa cura per farsi identificare in questo modo. Sapeva che lui si era accorto di lei, ciò nonostante l’uomo non si diede la pena di girarsi verso April. Lei gironzolò fra le auto esposte, poi tornò alla fermata dell’autobus e si lasciò cadere pesantemente sulla panchina.
– Che pizza, – disse.
Claire non rispose.
– Non muori di noia?
– Non particolarmente, – disse Claire. – L’autobus sarà qui a momenti.
– Sicuro, tempo uno o due secoli, l’autobus arriva –. April divaricò la punta dei piedi poi li richiuse di botto facendo urtare la faccia interna delle scarpe. – Facciamo una passeggiata, – disse.
– Per oggi ho già camminato abbastanza. Ma tu va’ pure. Solo non allontanarti troppo.
– Non mi va di andare da sola, Claire. Dài, vieni anche tu. Qui è una tale barba –. April odiò il suono della propria voce e si accorse che neanche a Claire piaceva. Claire chiuse il libro ma restò senza muoversi, poi disse: – Capisco di non avere scelta.
April balzò in piedi. Fece qualche passo poi si fermò ad aspettare mentre Claire infilava il libro nella borsa, si alzava in piedi, si rassettava il davanti della gonna lisciandosela con le mani, e infine lentamente si muoveva per raggiungerla.
– Giusto due passi per sgranchirci le gambe, – disse April. Portò Claire su per la strada fino al parcheggio dell’autosalone, dove cominciò a girare attorno a una Celica rossa decappottabile.
– Avevo capito che volevi camminare, – disse Claire.
– Sí, solo un attimo, – disse April. In quel momento la porta laterale dell’autosalone si aprí di colpo e l’uomo col vestito color panna uscí nel parcheggio. Lipperlí sembrava che non si fosse accorto della loro presenza. Si accoccolò dietro a una berlina e scrisse qualcosa sulla cartelletta che aveva in mano. Poi si alzò e scrutò l’autoadesivo sul parabrezza e scrisse qualche altra cosa sui suoi fogli. Solo a quel punto si permise di notarle. Appuntò subito la sua attenzione su Claire, e dopo averle rivolto una lunghissima occhiata le disse di essere a sua disposizione, se aveva bisogno di qualcosa. La voce dell’uomo esprimeva una neutralità studiata, quasi insolente.
– Oh, stiamo solo aspettando un autobus, – disse Claire.
– Quest’auto regge il confronto con la RX-7? – domandò April.
– Ma vuole scherzare? – Avanzò verso di loro fra le auto. – Se fossi qui per vendere, ne darei di punti alla Mazda con quest’auto qua!
April domandò: – Lei non è un venditore?
Lui si fermò davanti alla Celica. – Qui non ci sono venditori, dolcezza. Noi qui raccogliamo solo i soldi e cerchiamo di tenere a bada la folla.
– Be’, metà di questa folla pende dalla sua bocca, – disse Claire.
– Questa Celica non ha nemmeno un anno, – disse lui. – Quasi nuova di pacca. Accessoriatissima. È arrivata ieri sera, una restituzione. Domani a quest’ora, sarà già venduta. Guardi il contachilometri, bella signorina. Cosa dice il contachilometri?
April aprí la portiera e diede un’occhiata dentro. – Quattromila e due, – disse. Sedette al posto di guida e saggiò la leva del cambio.
– Esatto. Quattromila chilometri. Praticamente è ancora col suo primo pieno di benzina!
– E scommetto che la proprietaria era una dolce vecchietta, eh? – disse Claire.
Lui le diede un’altra lunga occhiata prima di rispondere. – Un dolce vecchietto. Un marinaio in pensione. Non riusciva a tenere dietro ai pagamenti. Ho le chiavi proprio qui.
– Capisco, ma ora non possiamo. Mi spiace, forse un altro giorno...
– Lo so, state aspettando l’autobus. Ragion per cui che male c’è a parlare tanto per ammazzare il tempo?
April scese dall’auto ma non chiuse lo sportello. – Claire, devi provare assolutamente quel sedile, – disse.
– E invece dovremmo proprio andare, – replicò Claire.
– Claire, ti prego, credimi, devi provare a sederti in quest’auto. Ti prego, – insisté April. – Ti prego, prova.
L’uomo si avvicinò allo sportello aperto e tese la mano a Claire. – Madame, – disse. E quando Claire restò dov’era, fece segno con la mano e ripeté: – Madame! Entrez!
Claire si avvicinò all’auto. – Davvero dovremmo proprio andare, – disse ancora. Con un unico movimento, si sedette di fianco sul sedile e tirò dentro le gambe. Fece un cenno col capo al tipo e lui chiuse lo sportello. – Ehi, – esclamò lui, – è proprio come pensavo. L’ingegnere che ha disegnato questa vettura doveva essere un suo amico, qualcuno che la conosce bene. Infatti è evidente che chi ha progettato questa auto aveva in mente lei.
– Oh, Claire, sei favolosa, – disse April. Era vero, e capí che anche Claire era perfettamente consapevole di questa verità. Lo lesse nella piega della sua bocca, nel modo in cui posò le mani sul volante.
– Manca solo un particolare, – disse il tipo. Studiò Claire. – Gli occhiali da sole, – concluse. – Una bella donna alla guida di una decappottabile deve assolutamente portare gli occhiali da sole.
– Dài, mettiteli, – disse April.
– La prego, – disse l’uomo con voce gentile. Si piegò sull’auto e con la sua mole eclissò Claire, dando la schiena ad April, e April comprese che adesso non doveva piú aprire bocca. Aveva fatto la sua parte; lui avrebbe concluso l’affare a modo suo. L’uomo disse qualcosa a bassa voce, e Claire prese gli occhiali da sole dalla borsetta e li inforcò. Poi gli porse il cappello perché lui glielo reggesse. Una folata di vento caldo soffiò sopra il parcheggio facendo sventolare le bandierine, mentre April entrava nell’autosalone. Aveva l’aria di essere fresco là dentro, oltre quelle vetrine leggermente colorate. E silenzioso. Il tipo avrebbe offerto loro del caffè nella sala d’aspetto, e in giro ci sarebbe certo stata qualche vecchia copia di «People». April avrebbe potuto riposare un po’ i piedi e leggere tutte le novità sulle stelle del cine.