8. CHE SIA LA LUCE!
La luce ha un ruolo importantissimo in natura, poiché quasi tutte le creature sul pianeta vivono di energia solare trasformata. Grazie alla fotosintesi si produce lo zucchero, il carburante della vita vegetale e indirettamente anche di animali ed esseri umani. È normale, quindi, che in natura si lotti per ogni raggio di luce, per ogni briciolo di energia. La prova più evidente è l’esistenza stessa degli alberi: sono cresciuti in altezza per poter emergere e superare la concorrenza di piante erbacee e cespugli.
La formazione di corone e tronchi maestosi richiede una grande quantità di energia: un faggio giunto a maturità contiene sino a 13 tonnellate di legno, che corrisponde a un valore energetico tramite combustione di 42 milioni di chilocalorie. Un confronto ci aiuterà a capire meglio: un uomo necessita di assorbire quotidianamente dal cibo, in base alle sue attività, fra le 2500 e le 3000 chilocalorie. Un faggio adulto immagazzina una quantità di energia solare pari a quella che potrebbe nutrire un essere umano per 40 anni… sempre se il nostro apparato digestivo fosse in grado di digerire il legno! Non c’è da stupirsi, allora, che il processo duri decine di anni e che nel frattempo gli alberi invecchino.
L’ecosistema del bosco è quindi di fatto un immenso serbatoio di energia. Fin qui, tutto chiaro: ma la luce è fondamentale anche per molti altri motivi. Le sue onde ricche di energia stimolano la retina oculare, che le trasforma in informazioni. La maggior parte degli animali ha sviluppato la vista in modo da poter analizzare e interpretare la luce, a condizione, beninteso, che ce ne sia in quantità sufficiente. A prescindere dal fatto che le gigantesche chiome degli alberi trattengono il 97% della luce, le specie che hanno bisogno di queste onde per vedere si trovano anche di fronte a un problema di tutt’altra natura: per la metà del tempo, cioè di notte, è buio. Solo il debole lucore delle stelle, ravvivato dalla luminosità della luna piena, può arrecare qualche sollievo. Ma se il cielo è coperto, come spesso succede, regna la più profonda oscurità. Perché dunque non fare di questa necessità virtù?
Anche se il capitolo s’intitola «Che sia la luce!», per alcuni esponenti di flora e fauna vale piuttosto: «Che la luce si spenga!». Parliamo delle creature notturne, che lo sono per i motivi più vari. Alcuni fiori sbocciano soltanto al buio per sfuggire alla concorrenza. Durante il giorno, infatti, piante erbacee, cespugli e alberi di ogni tipo si impegnano per farsi notare e richiamare l’attenzione degli insetti impollinatori. Le api, del resto, possono far visita solo a una quantità limitata di fiori e, se il rigoglio vegetale è troppo ricco, alcuni di questi rimangono a bocca asciutta e non possono propagare i loro semi. Per evitarlo, piante e fiori fanno il possibile per arricchire la tavolozza dei colori e impregnano l’aria di fragranti messaggi odorosi. Ciò che solletica il nostro olfatto, piace anche agli insetti e segnala loro la presenza di un nettare delizioso.
Alcune specie, tuttavia, non si uniscono a questo coro policromo di messaggi visivi e olfattivi e riservano la fioritura al cuore della notte. I loro nomi comuni fanno spesso riferimento proprio a questa particolarità, come nel caso della bella di notte (enotera), e del fiore di luna (ipomea bianca). Dopo il tramonto, le altre specie hanno già chiuso bottega e la concorrenza dorme sonni beati. Gli insetti possono allora concentrarsi sui rari vegetali che offrono la loro dolce ambrosia. Peccato che anche le api, insieme agli altri fiori, si concedano una pausa: sono già ritornate all’alveare e trascorrono la notte a trafficare sul bottino per conservarlo sotto forma di miele.
Ma anche tra gli insetti ci sono lavoratori notturni, per esempio le tarme. Le ricordo senza piacere alcuno, perché non hanno una bella fama – anche nella mia famiglia, e a ragion veduta… Alcuni anni fa ritornavamo da una vacanza in Svezia e ci stavamo riposando sul divano dopo aver scaricato l’automobile: ci accorgemmo allora di uno sciame di farfalline che svolazzava intorno. Colto da un cattivo presentimento, alzai un lembo del tappeto di lana. Che orrore! Migliaia di larve brulicavano tra le fibre del tessuto e l’interferenza fece volare via una nube di tarme, che cominciarono a volteggiare in tutto il soggiorno come fiocchi di neve. Arrotolammo il tappeto in tutta fretta e lo trasportammo in garage. Mi è rimasta una sensazione sgradevole al pensiero di questi insetti, che si riaccende ancora oggi quando è in ballo un tessuto di pura lana…
Queste farfalle che si muovono di notte sono generalmente raccolte sotto la definizione di «falena», tipologia a cui peraltro appartengono tre quarti delle farfalle dell’Europa centrale. Certo, non sono così variopinte come le loro colleghe diurne, ma non è un caso. Mentre le farfalle che agiscono durante il giorno utilizzano il colore come segnale per le loro simili o contro i predatori, quelle notturne hanno una ben diversa strategia: per loro è vitale non dare nell’occhio e confondersi il più possibile con l’ambiente, dato che trascorrono la giornata sulla corteccia degli alberi, dove è assolutamente necessario che non vengano scoperte dagli uccelli pronti a divorarle.
Quando scende il buio il nemico piumato si addormenta: un indiscutibile vantaggio se ci si vuole abbeverare al dolce calice delle piante notturne. Per fortuna anch’esse aspettano le ore di oscurità, prive di fascino per il resto della flora. Ma, dato che questa interazione tra falene e piante notturne esiste da milioni di anni, non c’è da meravigliarsi che qualche cacciatore approfitti della situazione.
Tra questi vi sono innanzitutto i pipistrelli, che durante la stagione calda vanno a caccia di farfalle. E poiché di notte la luce scarseggia, si servono di ultrasuoni per individuare le prede. Io credo sia possibile che i pipistrelli, grazie alle loro strida e alle onde sonore riflesse dagli oggetti, si creino delle vere e proprie immagini – in un certo senso si può dire che sono in grado di «vedere».
Gli scienziati partono dal presupposto che i cacciatori notturni, mediante l’eco degli ultrasuoni emessi, possono distinguere con precisione ciò che hanno davanti. Una foglia che cade dall’albero non provoca lo stesso motivo sonoro del battito d’ali di una farfalla. I pipistrelli captano persino fili metallici dallo spessore di soli 0,05 millimetri. È possibile dunque che abbiano una «visione» del loro ambiente molto più dettagliata di quella che abbiamo noi grazie all’organo della vista e in pieno giorno.32 In ultima analisi, la vista di noi uomini non è altro che la ricezione di onde riflesse dagli oggetti, con la differenza che noi non dipendiamo dal suono, ma dalla luce. E i pipistrelli, per poter vedere, sono obbligati a emettere continuamente dei suoni.
Le loro strida non si propagano con la stessa lentezza delle nostre urla, come quando cerchiamo di produrre un’eco durante una passeggiata in montagna. No, i cacciatori notturni hanno una frequenza di emissione molto ravvicinata, che può produrre fino a 100 suoni ogni secondo. La parola chiave è il suono, con la sua intensità: può raggiungere anche i 130 decibel, che in noi umani provocherebbero dolore, se potessimo sentirli. Le tonalità molto acute, a differenza di quelle gravi, sono assorbite più rapidamente dall’aria, al punto che a 100 metri di distanza, noi non percepiremmo quasi più nulla. Eppure di notte, nel periodo estivo, boschi e prati rimbombano di un continuo frastuono.
Per sfuggire alla riflessione delle onde luminose o, per dirlo più semplicemente, per non essere visti, basta assumere un colore che si adatti allo sfondo. Lo stesso vale quando ci si vuole camuffare di fronte alle onde sonore. Adattarsi allo sfondo in questo caso significa per una falena riverberare la minima quantità di eco. Una passeggiata in montagna ci permetterà di capire meglio il fenomeno.
Le vostre grida producono un’eco più sonora quando i declivi non sono ricoperti di vegetazione. Se gli alberi invece sono molto fitti, le «risposte» diventano rare, perché tronchi e chiome assorbono i richiami. Per trarre profitto da questo effetto, le farfalle notturne si costruiscono una foresta in miniatura. Il loro corpo è ricoperto da una sorta di pelliccia, e attraverso questi «peli» le onde sonore non sono riflesse adeguatamente, ma deviate in varie direzioni, in modo tale che i pipistrelli non riescano a formarsi un’immagine chiara e netta. Ma poiché questo effetto non sempre è efficace, gli insetti devono utilizzare anche altre tecniche per aumentare le loro possibilità di sfuggire ai predatori.
Tra le falene e i pipistrelli è in corso una vera e propria «corsa agli armamenti», nella quale alcune farfalle godono di un vantaggio: sono in grado di udire suoni estremamente acuti, cioè gli ultrasuoni. La frequenza più alta utilizzata da un pipistrello che caccia raggiunge i 212 kilohertz. L’udito umano, giusto per fare un confronto, non coglie le frequenze superiori ai 20 kilohertz.
Anche se quasi tutte le falene possono percepire suoni molto più alti di noi umani, molte non raggiungono le frequenze dei pipistrelli. Risultato: le farfalle non si accorgono dell’imminente pericolo costituito dal piccolo mammifero dalle ali silenziose e il suo attacco le coglie di sorpresa.
Ma ciò, a quanto pare, non vale per tutte le specie, come riferisce un’équipe di ricercatori dell’Università di Leeds riunita sotto la direzione di Hannah Moir. La tarma maggiore della cera può distinguere suoni fino a 300 kilohertz, il record nel regno animale. La struttura del suo organo uditivo è molto semplice: si compone di una membrana a cui sono applicate solo quattro cellule uditive (a termine di paragone: nel nostro orecchio, tra altri dispositivi, sono all’opera 20.000 cellule dette «ciliate» per trasformare il suono in stimoli nervosi).
Come scrivono Hannah Moir e i suoi colleghi, la tarma maggiore della cera ha mirato un po’ troppo in alto. Infatti, se il pipistrello raggiunge a malapena i 200 kilohertz, a che cosa serve un margine tanto superiore? Oltretutto il cacciatore notturno non potenzierà certo i suoi strumenti, perché utilizzare frequenze maggiori lo svantaggia: l’aria le attenuerebbe troppo e ci sarebbe uno scarso ritorno dell’eco.
Come mai, dunque, questa tarma ha sviluppato una facoltà così eccezionale? I ricercatori ipotizzano che l’obiettivo della farfallina sia un altro: comunica ad alta frequenza per trovare un partner. La sua serenata amorosa è localizzata dai pipistrelli, ma la struttura semplificata del suo udito, particolarmente sensibile, le permette di distinguere meglio e più velocemente i segnali ravvicinati – sei volte più rapidamente delle altre specie di farfalle. In questo modo le tarme maggiori della cera possono flirtare indisturbate. E allo stesso tempo percepiscono chiaramente le ricerche sonore dei loro nemici più temibili e, se possibile, si mettono al riparo.33
La tarma maggiore della cera non è l’unica specie a essersi attrezzata contro il pipistrello. Molte falene scombussolano il suo sistema di localizzazione emettendo segnali di disturbo. Si tratta di suoni simili a dei clic, nell’ambito degli ultrasuoni, che mandano in confusione il cacciatore in avvicinamento. Le farfalline, per così dire, scompaiono con un frullio di ali dal suo schermo radar. È proprio in questo modo, per esempio, che la caja (Arctia caja), lepidottero appartenente alla sottofamiglia delle Arctiinae, fa un baccano talmente infernale, che finisce per far cambiare rotta al pipistrello snervato.
In che modo le farfalle notturne cercano riparo quando hanno rilevato l’arrivo del nemico? La velocità del volo dei pipistrelli è nettamente superiore a quella degli insetti e il piccolo cacciatore notturno è anche molto più agile. Quindi esiste solo una possibilità di difesa, quando il pericolo incombe: le farfalle notturne che possono percepire i richiami a ultrasuoni, non appena li avvertono, si gettano a terra terrorizzate. È quasi impossibile che i pipistrelli trovino tra l’erba le loro ambite prede. In ogni caso, nel corso della notte avranno altro di che saziarsi – ci sono sempre falene imprudenti, ma anche zanzare, e i piccoli mammiferi alati riescono così a ingurgitare un equivalente di insetti pari alla metà del loro peso corporeo (espresso in zanzare: fino a 4000 esemplari).
Cacciatori e prede vivono in un sistema retto da un delicato equilibrio, in cui ognuno ha la sua opportunità, ma che può essere sensibilmente perturbato dall’illuminazione artificiale. La natura, di notte, offre un’unica fonte di luce di un certo rilievo: la Luna. Quando brilla nel cielo, serve agli animali come punto di riferimento; di fatto ha la stessa funzione di una bussola. Mentre volano di notte, le farfalle seguono una linea retta, in modo da mantenere sempre un certo angolo fra l’astro e la loro traiettoria. Funziona a meraviglia, finché… un lampione non incrocia il loro cammino.
Poiché niente di simile esiste in natura, l’insetto crede che si tratti della Luna. Tenta disperatamente di volare in modo che la presunta «luna» rimanga sempre, per esempio, alla sua sinistra. Con l’astro vero non è un problema, perché la sua distanza è pressoché infinita. Ma con una lampada così vicina, succede che l’insetto sorpassi la fonte luminosa, che alla fine si trova dietro di lui. Corregge quindi continuamente la sua rotta, finché le sue manovre lo portano a determinare un’orbita sempre più stretta, così che finisce per sbattere contro la lampada. A quel punto riprende instancabilmente i tentativi per allontanarsi, ma i suoi sforzi sono destinati a fallire.
Alcune farfalle muoiono di sfinimento, altre sono destinate a una fine più rapida. Infatti i pipistrelli si sono specializzati a pattugliare le file di lampioni stradali. In questo modo si saziano in un batter d’occhio: è sufficiente che controllino i lampioni uno dopo l’altro per vedere se una falena si è lasciata disorientare dalla luna artificiale. Anche le case con i vetri delle finestre non oscurati dopo il tramonto possono essere teatro di questi piccoli drammi, a cui mia moglie e io assistiamo spesso. Di sera le falene si radunano davanti alle finestre del nostro soggiorno, mentre siamo tranquillamente seduti sul divano a guardare un film. E ogni tanto, come vaghe ombre scure, compaiono brevemente i pipistrelli… e scompaiono le farfalline.
Molti altri insetti sono confusi dalla luce artificiale. Come le falene, vengono attirati dal fascino magico delle lampade dei giardini, che diffondono la loro luce apparentemente senza danni per l’ambiente. In cima di solito hanno una fotocellula – ottimo, il consumo di energia è ecologicamente corretto. La luce brilla quindi tranquillamente tutta la notte, con grande gioia dei ragni, che vi tessono proficuamente le loro tele. Con il trascorrere del tempo, il minuscolo ecosistema intorno alle lampade si modifica perché alcune specie scompaiono (soprattutto nella pancia dei ragni). Quando c’è un solo lampione, le conseguenze sono minime, ma le migliaia di luci delle nostre città sono tutt’altra storia…
Le fonti di luce supplementari esistevano comunque ben prima dell’uomo. Nelle calde notti estive, al limitare dei boschi e tra i cespugli si accendono migliaia di lucine verdi. Sono le lucciole, che al buio rivelano le loro meraviglie. Anche se la luce che emettono è mille volte più debole di quella di una candela accesa, l’efficacia della trasformazione di energia in luce non è per questo meno straordinaria. Mentre la più perfezionata delle tecniche umane trasforma l’85% di energia in luce, le lucciole giungono al 95%. E questo senso del risparmio è loro molto utile, perché gli insetti adulti non mangiano nulla – almeno in generale (ci sono anomalie crudeli, su cui mi soffermerò in seguito).
A dire il vero, la luce dovrebbe essere rossa, perché questo spettacolo notturno luminoso serve a fini amorosi. Nella specie più frequente in Germania, Lamprohiza splendidula, le femmine accendono il loro lumicino a terra. Il loro nome popolare tedesco (Glühwürmchen) significa «vermi luminosi», ma sono i coleotteri adulti, e non le larve, a rendersi visibili di notte con il loro lanternino. Va detto però che le femmine hanno solo un moncone di ali atrofizzate e non sono in grado di volare; tale struttura, unita all’addome giallo pallido, le fa assomigliare a vermi con il corpo costellato di minuscoli dispositivi luminosi.
Le lucciole femmine accendono il loro lumicino solo quando scorgono un maschio sopra di loro, il quale, da parte sua, volando con destrezza perlustra i dintorni alla ricerca di una partner. I due segmenti posteriori del suo addome sono sorretti da un esoscheletro in chitina, che permette di irradiare la luce verso il suolo. Così, senza farsi vedere dai nemici che svolazzano sopra di lui, può inviare il segnale verso il basso: «Guarda come sono bello!». Quando l’amata ha capito, accende a sua volta il lumicino e invita a posarsi il bel Casanova, che accetta senza indugio. Avviene allora l’accoppiamento e poi segue la deposizione delle uova. Le larve che ne derivano sono estremamente voraci. Adorano le lumache e osano avvicinarsi a esemplari 15 volte superiori al loro peso.34 La lumaca viene uccisa con un morso ed è poi assaporata lentamente. A questo punto le larve, piene da scoppiare, si fanno un bel pisolino. La pausa digestiva è proporzionale all’entità del pasto e può durare parecchi giorni.
A seconda delle diverse specie, la prole impiega fino a tre anni a raggiungere la maturità sessuale. In tal senso, il nome popolare di «vermi luminosi» risulta appropriato, perché i coleotteri adulti che emettono un segnale luminoso vivono solo qualche giorno: il maschio muore poco dopo l’accoppiamento, la femmina dopo la deposizione delle uova. Il loro lumicino è letteralmente l’ultimo barlume di vita, che termina con il climax dell’estasi amorosa. Almeno quando tutto va per il verso giusto: perché [anche in natura], esistono dei guastafeste.
Vi sono anche delle specie che abusano, per i propri scopi, di questa innocente luminosità originariamente adoperata a fini nuziali. In Nuova Zelanda e in Australia le larve dei ditteri della specie Arachnocampa si illuminano come le lucciole. Le si trova nelle grotte, dove si annidano sotto la volta. Cercano infatti un ambiente buio e riparato dal vento: condizioni perfette, offerte soltanto dalle cavità rocciose. Qui le larve tessono lunghi fili vischiosi inframmezzati da goccioline e alla fine cominciano a illuminarsi.35 Lo spettacolo è straordinario e queste grotte sono diventate un luogo di attrazione turistica. Tuttavia non accorrono soltanto i turisti facoltosi, ma anche molti insetti, che forse confondono le goccioline scintillanti con la volta stellata. Credendo di volare all’aria aperta, s’impigliano tra i fili appiccicosi e finiscono nel ventre delle fameliche larve di Arachnocampa luminosa. I ricercatori hanno scoperto che la loro luminosità è tanto più intensa quanto più gli esserini sono affamati.
Ancora più perfida ed elaborata è la tattica adottata da un coleottero dell’America del Nord, il Photuris. Le lucciole hanno sviluppato tecniche diverse per attirare su di sé l’attenzione grazie alla luce. Poiché ne esistono numerose specie, se ciascuna si accontentasse di illuminarsi, al momento della ricerca del partner si creerebbe rapidamente una grande confusione. Per questo motivo si servono di una sorta di codice Morse, sotto forma di segnali luminosi, il cui ritmo e la cui frequenza attraggono solo gli esemplari di una determinata specie. Ma un alfabeto Morse simile a quello degli uomini per i coleotteri sarebbe troppo rudimentale: il sistema acceso/spento, intervallo lungo/intervallo breve per loro è insufficiente. Un massimo di 40 impulsi luminosi al secondo, con una diversa intensità, crea una varietà di segnali assai superiore.36 Così, grazie a queste allegre lucine lampeggianti, l’insetto bioluminescente trova l’amore della sua breve vita! A meno che non sia un esemplare dei Photuris.
Le loro femmine, infatti, imitano i segnali lampeggianti di altre specie e ne attirano i maschi, che si avvicinano rapidamente. Ma quando si posano non li attende una piacevole avventura amorosa, bensì gli avidi organi masticatori della femmina di Photuris. Costei ha bisogno dei maschi non solo come apporto calorico, ma anche per il veleno che hanno in corpo. Il veleno infatti la preserva dall’attacco dei ragni, che intercettano a loro volta il luccichio intermittente e accetterebbero volentieri questo invito scintillante a un lauto pranzo.37
La tecnica dell’adescamento con la luce, del resto, non è una prerogativa riservata agli insetti. Ne fanno uso anche i pesci dell’ordine dei ceratidi, tra i quali la rana pescatrice, che, come suggerisce il nome di quest’ultima, sono dotati di una sorta di amo. È infilato sulla fronte e lascia penzolare un organo luminoso all’altezza delle fauci, armate di una fila di denti sottilissimi e molto affilati. Questa fonte di luce attira gli altri pesci come per magia: immaginate come va a finire…
Un effetto analogo ha la pesca praticata con le lampare, impiegata su larga scala per esempio in Giappone. La luce esercita un fascino immenso sia in terra sia in mare. Questo ci obbliga di nuovo a riflettere sul grave problema dell’illuminazione artificiale utilizzata dall’uomo. Osservando attentamente una carta notturna della Terra, è demoralizzante vedere la quantità di territorio illuminato artificialmente. Stando sulla porta di casa, potete voi stessi valutare fino a che punto il fenomeno interessa la vostra regione. In una notte limpida la Via Lattea è ancora visibile? Se non riuscite a individuarne la forma, significa che dalle vostre parti le fonti di luce artificiale sono sicuramente eccessive. Infatti, in condizioni favorevoli, non è possibile non riuscire a scorgere il meraviglioso nastro color bianco latte.
La visibilità è ridotta ulteriormente dall’inquinamento atmosferico che disperde le particelle luminose, al punto che il numero di stelle visibili a occhio nudo si riduce da circa 3000 a meno di 50. E i fievoli e delicati lumicini delle lucciole non assomigliano forse a pallide stelle? Più è presente l’illuminazione artificiale, più cresce il disturbo arrecato al regno animale e meno efficaci diventano le specie che autoproducono la luce.
Le fonti di disturbo possono essere fatali. Le tartarughe marine appena nate, per esempio, si orientano grazie alle scintillanti onde del mare illuminato dalla Luna. Appena uscite dal loro nascondiglio nella sabbia, si precipitano in quella direzione per sfuggire alla voracità dei predatori. Purtroppo capita che la spiaggia costeggi una passeggiata piena di lampioni o la terrazza di un hotel. Le tartarughine allora sbagliano strada e si allontanano sempre più dalle acque sicure. Non sorprende, allora, che il giorno dopo cadano vittime dei gabbiani o muoiano di sfinimento.
Anche i fenomeni atmosferici si trasformano a causa dell’illuminazione artificiale. In passato, le notti in caso di cielo sereno erano particolarmente chiare, perché, logicamente, la Luna e le stelle inondavano liberamente il terreno con la loro luce incantevole. In una simile condizione, se si ha la pazienza di attendere un paio di minuti per abituarsi all’oscurità, è possibile passeggiare tranquillamente all’aperto. Oggi tutto ciò può accadere anche se il tempo è nuvoloso, una situazione atmosferica che in passato corrispondeva al buio più totale. Le nubi, infatti, riflettono l’illuminazione urbana delle aree circostanti, creando così un involontario chiarore che non giova né agli uomini né agli animali. Del resto, chi dorme bene con la luce accesa?
È proprio così: l’illuminazione artificiale ha effetti negativi anche sugli uomini. In noi il tempo è scandito da un particolare orologio biologico che si attiva con la luce. La gamma del blu ha un ruolo essenziale, perché influenza il nostro stato, ci avverte se siamo svegli e vigili oppure stanchi e assonnati. I nostri occhi contengono la melanopsina, un particolare fotopigmento che, quando è colpito da un raggio di luce blu, invia un segnale al cervello per comunicare l’arrivo del giorno. Di solito funziona a meraviglia, perché la sera, quando cala il tramonto, lo spettro luminoso tende sensibilmente al rosso e la stanchezza ci coglie spontaneamente.
Peccato che la sera, invece di andare a letto, spesso guardiamo la televisione; e le sue immagini scintillanti contengono luce blu in quantità generose. Non c’è quindi da stupirsi se molti di noi soffrono di disturbi del sonno: davanti alla TV le nostre cellule si sintonizzano su un’attività intensa e non sono pronte ad affrontare la notte. Le ditte di smartphone cercano di risolvere il problema adattando lo spettro cromatico dello schermo a partire da un’ora precisa, in modo che gli utenti siano progressivamente colpiti da stanchezza mentre navigano e chattano.
E gli animali? Come aiutare queste creature che vengono involontariamente illuminate? Potete arrecare loro un certo sollievo abbassando le tapparelle, perché in questo modo viene schermata una notevole fonte di luce. Inoltre vi ricordo che non è necessario lasciare accese tutta la notte le luci del giardino; nella nostra casa nel bosco abbiamo lampade a rilevazione di movimento, che si accendono per breve tempo solo quando serve.
Ma il grosso dell’illuminazione artificiale proviene dai lampioni che costellano le vie cittadine. In genere emettono una luce rosso-arancio, che le nubi riflettono splendidamente, aggravando il problema. Io stesso mi sono rallegrato che i bianchi tubi al neon fossero sostituiti dalle moderne lampade ai vapori di sodio, con basso consumo energetico. All’epoca mi sembrava che la massa di nubi avesse una luminosità ancora più rossastra e, grazie all’irradiamento, a volte riuscivo a distinguere la città di Bonn, che si trova a 40 chilometri di distanza. Allora attribuii il chiarore crescente all’espansione della città, e non tanto al cambiamento del tipo di illuminazione. E ora? È in corso una nuova modifica, con lampioni a led, che consumano ancora meno energia. Se queste lampade fossero dirette meglio, in modo da illuminare solo verso il basso (là dove la luce è più utile) e venissero sistematicamente spente dopo mezzanotte, sarebbe già un bel passo avanti.
Anche se per la notte c’è quindi ancora molta strada da fare, con la luce del sole si notano già incoraggianti progressi per la protezione dell’ambiente, soprattutto nei cieli. Qui, in autunno, si avvistano impressionanti formazioni, che presto influenzeranno la produzione del prosciutto spagnolo.