Il capitano, il colonnello e l’infermiera

 

“Papà, posso venire in barca con te?” Anthony alzò il viso verso il padre, sedendoglisi accanto al tavolo della colazione.

“No, ometto. Per un bambino piccolo è pericoloso salire su un peschereccio.”

Tatiana li studiò entrambi, ascoltando, assorbendo ogni cosa.

“Non sono piccolo. Sono grande. E faccio il bravo, te lo prometto. Ti aiuto.”

“Sì, ometto.”

Tatiana si schiarì la voce. “Alexander, se vi accompagnassi... hmm... potrei badare io a Anthony.”

“Jimmy non ha mai fatto salire una donna sulla sua barca, Tania. Gli verrà un infarto.”

“No, hai ragione, naturalmente. Ant, vuoi ancora un po’ di farinata d’avena?”

La testa del bimbo restò abbassata mentre finiva la colazione.

 

Talvolta il vento era favorevole, talvolta no. Sopravvento, sottovento, quando non soffiava un filo d’aria, era difficile pescare a strascico, nonostante i coraggiosi sforzi di Jimmy per salpare. Poiché vi erano solo loro due a bordo, Alexander allascava la vela di strallo, e lui e Jimmy sedevano a fumare mentre lo sloop galleggiava sull’Atlantico.

“Santo cielo, amico! Perché porti sempre quella maglia con le maniche fino ai polsi? Devi morire di caldo. Rimboccale. Toglitela”, lo spronò Jimmy.

Alexander replicò: “Jimmy, amico, dimentica la mia maglia. Tu, piuttosto, perché non ti compri una barca nuova? Faresti molti più soldi. So che questa era del tuo vecchio, ma fai un piacere a te stesso: investi in un maledetto peschereccio”.

“Non ho denaro per una barca nuova.”

“Fattelo prestare da una banca. Si fanno in quattro per aiutare gli uomini a rimettersi in piedi dopo la guerra. Chiedi un’ipoteca di quindici anni: con i quattrini che guadagnerai, la ripagherai in due.”

Jimmy si entusiasmò. “Fai a metà con me”, propose all’improvviso.

“Cosa?”

“Sarà il nostro peschereccio. E divideremo i profitti.”

“Jimmy, io...”

L’altro saltò su, rovesciando la birra. “Assumeremo un altro marinaio, prenderemo un’altra rete da dodici trappole e compreremo una vasca da cinquemila litri. Hai ragione, faremo un sacco di soldi.”

“Jimmy, aspetta! Hai capito male: noi non intendiamo fermarci qui.” Alexander rimase seduto, la sigaretta che gli penzolava dalle dita.

Jimmy era visibilmente turbato. “Perché dovreste andarvene? A Tatiana piace questo posto, continui a ripeterlo. Tu lavori, il bambino sta bene. Perché andarvene?”

Alexander si mise la sigaretta tra le labbra.

“Avrai gli inverni liberi per fare quello che vuoi.”

Alexander scosse la testa.

Jimmy alzò la voce. “Allora perché hai cercato lavoro se avevi intenzione di levare l’ancora dopo un mese?”

“Ho cercato lavoro perché ne ho bisogno. Di cosa dovremmo vivere, dei tuoi favori?”

“Non lavoravo a tempo pieno da prima della guerra”, sibilò Jimmy. “Cosa farò quando partirai?”

“Ormai molti uomini stanno tornando”, rispose Alexander. “Troverai qualcun altro. Mi dispiace.”

Jimmy si voltò e cominciò a slegare la cima dalla vela di strallo. “Benissimo.” Non guardò il compagno. “Ma dimmi, chi altri lavorerà come te?”

Quella sera, mentre Alexander sedeva sulla seggiola mostrando ad Anthony come fare un nodo nella caviglia per impiombatura, e mentre aspettavano Tatiana per andare a fare una passeggiata, si udirono delle urla, e questa volta la cosa insolita fu sentire una voce maschile partecipare al litigio.

Tatiana uscì.

“Mamma, hai sentito? Nick sta rispondendo!”

“Ho sentito, figliolo.” Scambiò un’occhiata con Alexander. “Voi due siete pronti?”

La famigliola superò il cancello e si avviò piano lungo la strada: tutti e tre si sforzavano di captare le parole anziché solo le grida.

“Strano, vero?” si stupì Alexander. “Il colonnello che litiga.”

“Già”, rispose Tatiana con un tono che voleva dire Non è fantastico?

Lui la guardò con aria perplessa.

Tesero le orecchie. Un attimo dopo, una donna si precipitò fuori dal retro, spingendo la sedia a rotelle tra l’erba alta. Per poco non cadde insieme con il marito.

Fermò la carrozzina in mezzo al cortile e sbraitò: “Eccoti qui! Contento, adesso? Se vuoi startene seduto qui davanti tutto solo perché i passanti ti guardino come se fossi un animale in gabbia allo zoo, fai pure. Non me ne importa più niente. Non mi importa di nulla!”

“Questo è chiaro!” le urlò di rimando il colonnello mentre lei si allontanava spedita. Moore ansimava.

Tatiana e Alexander abbassarono la testa. “Ciao, Nick”, lo salutò Anthony.

“Anthony! Zitto.”

Il bambino aprì il cancello ed entrò. “Vuoi una sigaretta? Mamma, vieni.”

Tatiana guardò Alexander. “Me ne dai una?” bisbigliò.

Ma fu Alexander, il corpo e la faccia leggermente contratti, a raggiungere il colonnello, estrarre una sigaretta dal pacchetto, accenderla e accostargliela alla bocca.

L’uomo inspirò ed espirò, senza il piacere che aveva mostrato con Tatiana.

Lei gli posò una mano sulla spalla. Anthony gli portò un cervo volante, una vespa morta, una vecchia patata cruda. “Guarda”, disse, “guarda la vespa.”

Nick obbedì, ma non parlò. La sigaretta lo aiutò a calmarsi. Ne fumò un’altra.

“Le andrebbe qualcosa da bere, colonnello?” domandò a un tratto Alexander. “C’è un bar in fondo a Main Street.”

Nick accennò alla casa. “Non mi faranno venire.”

“Non glielo chiederemo”, replicò Alexander. “Immagini la loro sorpresa quando usciranno e scopriranno che è sparito. Penseranno si sia spinto giù per la collina.”

Nicholas Moore sorrise al pensiero. “Solo per questo varrà la pena di sorbirmi tutti i loro strilli. Benissimo, andiamo.”

Swezey’s era l’unico bar di Stonington. I bambini non potevano entrare.

“Io porto Anthony sull’altalena”, annunciò Tatiana. “Voi due divertitevi.”

Dentro, Alexander ordinò due whisky. Tenendo entrambi i bicchieri, li fece tintinnare l’uno contro l’altro e aiutò Nick a bere. Il liquore scomparve in un sorso. “Ce ne facciamo un altro?”

“Senta”, rispose Nicholas, “perché non prende una bottiglia intera? Non bevo whisky da quando mi hanno colpito un anno e mezzo fa. La ripagherò.”

“Non si preoccupi”, lo rassicurò Alexander, e acquistò una bottiglia di Jack Daniel’s. 1 due uomini sedettero in un angolo, fumando e bevendo.

“Allora, cos’ha sua moglie, Nick?” domandò Alexander, “Perché è sempre così arrabbiata?”

Erano chini l’uno verso l’altro, il colonnello sulla sedia a rotelle, il capitano al suo fianco.

Nick scosse la testa. “Mi guardi. Può biasimarla? Ma non c’è motivo di preoccuparsi: presto l’esercito mi manderà un’infermiera ventiquattr’ore su ventiquattro. Sarà lei a prendersi cura di me.”

Rimasero immobili.

“Mi racconti di sua moglie”, riprese Moore. “Non ha paura di me, a differenza di tutti gli altri qui intorno. Ha già visto cose simili?”

Alexander annuì. “Sì.”

Il volto di Nicholas si illuminò. “Vuole un lavoro? L’esercito le darà dieci dollari al giorno per assistermi. Cosa ne pensa? Qualche soldo in più per la sua famiglia.”

“No”, rifiutò Alexander. “Ha già fatto l’infermiera per troppo tempo. Basta invalidi. Non abbiamo bisogno di soldi”, aggiunse, “siamo a posto.”

“Coraggio, tutti hanno bisogno di denaro. Potrete comprarvi una casa anziché vivere con Janet la Pazza.”

“E come farà con il bambino?”

“Potrà portare anche lui.”

“No.”

Nick tacque, ma non prima di aver emesso un verso disperato. “Siamo in lista d’attesa per un’infermiera, e non riusciamo a trovarne una”, spiegò. “Non ce ne sono abbastanza. Si sono licenziate tutte quante. Gli uomini stanno tornando a casa e vogliono avere dei figli, non vogliono che le loro mogli lavorino.”

“Già”, fece Alexander. “Neppure io voglio che mia moglie lavori, soprattutto come infermiera.”

“Se non ne troverò una, Bessie mi spedirà all’ospedale militare di Bangor. Sostiene che lì starò meglio.”

Alexander gli versò in gola dell’altro whisky.

“Mia moglie e mia figlia saranno senz’altro più felici se ci andrò”, continuò Nick.

“Dove l’hanno colpita?”

“In Belgio, nella battaglia della Bulge. E io che pensavo che i colonnelli non venissero colpiti! Il grado ha i suoi privilegi e tutto il resto. Ma è esplosa una granata, il mio capitano e il mio tenente sono morti entrambi, e io sono rimasto ustionato. Me la sarei cavata... purtroppo sono rimasto a terra per quattordici ore prima che un altro plotone mi raccogliesse. Gli arti si sono infettati, non sono riusciti a salvarmeli.”

Altro whisky, un’altra sigaretta.

“Avrebbero dovuto lasciarmi nei boschi. Per me sarebbe finita cinquecentocinquanta giorni fa, cinquecentocinquanta notti fa”, sospirò Nick. Si tranquillizzò a poco a poco, aiutato dall’alcool e dalla nicotina. “È così gentile, sua moglie”, borbottò alla fine.

“Già”, disse Alexander.

“Così fresca e giovane, bella da guardare.”

“Già”, ripetè Alexander, chiudendo gli occhi.

“E non le grida dietro.”

“No. Anche se suppongo che qualche volta ne abbia voglia.”

“Oh, magari la mia Bessie avesse tanto autocontrollo! Una volta era una donna attraente, e mia figlia era una bambina così affettuosa.”

Ancora whisky, ancora una sigaretta.

“Da quando è tornato, ha notato che le donne non capiscono alcune cose? Che non vogliono capirle?” brontolò Nick. “Non comprendono com’era. Mia moglie e mia figlia mi vedono in questo stato e pensano che sia la cosa peggiore. Non capiscono. È questo l’abisso. Vivi qualcosa che ti cambia radicalmente. Vedi cose che non puoi non vedere. Poi cammini come un sonnambulo attraverso la tua vera vita, traumatizzato. Sa che quando penso a me stesso ho le gambe? Nei miei sogni, marcio senza sosta. E quando mi sveglio sono sul pavimento, sono caduto dal letto. Ora dormo per terra perché continuavo a rotolarmi e a ruzzolare mentre dormivo. Quando sogno me stesso, ho le mie armi e sto nella retroguardia di un battaglione. Nei sogni sono in un carro armato, grido, urlo... Da questa parte! Da quella parte! Sparate! Cessate il fuoco! Avanti marsc’! Sparate, sparate, sparate!”

Alexander chinò il capo, le braccia sul tavolo.

“Mi sveglio e non so dove sono. E Bessie mi chiede: ‘Cosa ti prende? Non mi consideri. Non hai detto niente del mio nuovo vestito’. Finisci per vivere con una persona che ti prepara da mangiare e che apriva le gambe per te, ma non la conosci affatto. Non la capisci, e lei non capisce te. Siete due estranei. Nei miei sogni, con le gambe, dopo aver marciato me ne vado sempre, mi allontano, sparisco per molto tempo. Non so dove sono, ma non sono mai qui, mai con loro. Capita anche a lei?”

Alexander fumava in silenzio, e ingollava un bicchiere di whisky dietro l’altro. “No”, rispose alla fine. “Io e mia moglie abbiamo il problema opposto. Tatiana girava armata e sparava agli uomini intenzionati a ucciderla. È stata negli ospedali, sui campi di battaglia, in prima linea; nei campi profughi e in quelli di concentramento. Ha sofferto la fame in una città gelida e sotto assedio. Ha perso tutti coloro che amava.” Tracannò ancora mezzo bicchiere e non potè fare a meno di gemere. “Sa, vede e comprende tutto. Ora meno, forse, ed è colpa mia. Non sono stato granché come...” Si interruppe. “Come niente. Il nostro problema non è che non ci capiamo. Il nostro problema è che ci capiamo. Non riusciamo a guardarci, non riusciamo a pronunciare una parola innocente, non riusciamo a sfiorarci senza toccare la croce che ci portiamo addosso. Semplicemente non c’è mai pace.” Altro liquore giù per la gola.

Tatiana si materializzò all’improvviso nell’angolo buio. “Alexander”, sussurrò, “sono le undici. Devi alzarti alle quattro.”

Lui la guardò con aria cupa.

Lei lanciò un’occhiata a Nick, che la fissava con un’espressione furba e soddisfatta. “Di cosa state parlando?”

“Stavamo solo chiacchierando del passato”, rispose il colonnello. “Dei bei giorni andati che ci hanno condotti fin qui.” Biascicando appena, Alexander annunciò che sarebbe tornato subito e si alzò, ribaltando la sedia e allontanandosi con andatura ondeggiante. Tatiana rimase sola con Moore.

“Suo marito mi ha detto che fa l’infermiera”, disse Nicholas.

“Facevo l’infermiera.”

Lui tacque.

“Le serve qualcosa?” Gli posò una mano sulla spalla.

Gli occhi lucidi di Nick erano supplichevoli. “Ha della morfina?”

Tatiana raddrizzò la schiena. “Cosa le fa male?”

“Ogni singola maledetta cosa che è rimasta di me”, rispose Moore. “Ha abbastanza morfina per questo?”

“Nick...”

“Per favore! Per favore! Abbastanza morfina affinché non senta più niente.”

“Nick, per l’amor di Dio...”

“Quando suo marito non ce la farà più, potrà semplicemente farsi saltare il cervello. Che ne sarà di me?”

Non poteva afferrarla, ma lanciò il suo corpo in avanti verso di lei. “Chi farà saltare il cervello a me, Tania?” mormorò.

“Nick, per favore!” Tatiana a malapena riusciva a sorreggerlo.

Alexander tornò, instabile sulle gambe. Il colonnello si zittì.

Tatiana dovette spingere la carrozzella su per la ripida collina, perché suo marito continuava a mollare le impugnature. Le occorse parecchio tempo per ricondurlo a casa. Sua moglie e sua figlia erano fuori di sé per la collera. Gli strilli sarebbero stati più dolci per Tatiana se Nick non le avesse parlato, ma poiché l’aveva fatto, poiché Alexander era troppo ubriaco per reagire alla sfuriata delle due donne, e poiché anche Moore era intontito, l’aspetto ironico della situazione (un amputato quadruplo su una sedia a rotelle che scompariva dal cortile) sfuggì a tutti gli interessati, a eccezione di Anthony l’indomani.

 

Dopo alcuni giorni di angoscia, Tatiana fece un’interurbana a Vikki prima di colazione.

Al telefono l’amica urlò di gioia. “Stento a credere di sentire finalmente la tua voce! Dov’eri sparita? Come stai? Come sta Anthony, il mio splendido bambino? Dove sei finita? Sei un’amica terribile. Avevi promesso di chiamarmi ogni settimana. Non ti sento da oltre un mese!”

“Non è passato proprio un mese, vero?”

“Tania! Cosa combini, in nome del cielo? No, no, non rispondere.” Vikki ridacchiò. “Come vanno le cose?” domandò con voce bassa e insinuante.

“Oh, bene, bene, e tu come stai? Come te la cavi?”

“Lascia perdere, perché non mi hai telefonato?”

“Siamo stati...” Tatiana tossicchiò.

“So cos’hai fatto, birichina. Come sta il mio bambino adorato? Mi mancano davvero i momenti in cui lo accudivo, al punto che sto pensando di avere un bebé tutto mio.”

“A differenza del mio, Gelsomina”, replicò Tatiana, “il tuo dovrai tenerlo per sempre. Non potrai darlo via come un cagnolino. E non sarà simpatico come Ant.”

“Chi mai potrebbe esserlo?”

Parlarono del lavoro da infermiera di Vikki, di Deer Isle, delle barche, dell’altalena, di Edward Ludlow, di un nuovo uomo nella vita di Vikki (“Un ufficiale! Non sei l’unica a farsela con un ufficiale”), di New York (“Non puoi percorrere nemmeno una strada senza sporcarti le scarpe di cemento”), dei suoi nonni (“Stanno bene, cercano di farmi ingrassare, dicono che sono troppo alta e magra. Come se potessi accorciarmi solo perché mi rimpinzano”), dei nuovi tagli corti e cotonati, dei nuovi tacchi a spillo, dei nuovi vestiti spagnoleggianti e, a un tratto: “Tania? Tania, cosa c’è?”

Tatiana piangeva al telefono.

“Cosa c’è? Che succede?”

“Niente. Sto bene. Solo che...” Anthony era ai suoi piedi. Si soffiò il naso e si sforzò di calmarsi. Non riusciva a parlare ad alta voce del marito davanti al figlio.

“Sai chi ha chiamato per chiedere di te? Il tuo vecchio amico Sam.”

“Cosa?” Tatiana smise di singhiozzare e prestò attenzione. Sam Gulotta era stato il suo contatto al Dipartimento di Stato negli anni in cui aveva tentato di rintracciare Alexander. Sapeva bene che l’avevano trovato; perché mai aveva telefonato? Le si serrò lo stomaco.

“Sì, ha chiesto di te. Cercava Alexander.”

“Oh!” Tatiana tentò di assumere un tono incurante. “Ti ha detto il perché?”

“Ha detto che il Dipartimento di Stato ha bisogno di parlare con lui. Ha insistito perché lo contattassi. Ha insistito tutte le volte che ha chiamato.”

“Quante volte... hmm... ha chiamato?”

“Oh, non saprei, diciamo... tutti i giorni?”

“Tutti i giorni?” Tatiana era allibita, spaventata.

“Esatto. Tutti i giorni. E con insistenza eccessiva per i miei gusti, Tania. Ho continuato a ripetergli che gli avrei telefonato appena ti avessi sentita, ma non mi ha creduto. Vuoi il suo numero?”

“Ce l’ho già”, rispose Tatiana. “Nel corso degli anni l’ho chiamato così spesso da impararlo a memoria.”

Quando Alexander era tornato a casa, erano andati a Washington per ringraziare Sam del suo aiuto. Gulotta aveva accennato a un interrogatorio post-operativo obbligatorio da parte del Dipartimento di Stato, ma ne aveva parlato con tranquillità e senza fretta, aggiungendo che era estate e che le persone fondamentali erano via. Quando l’avevano lasciato al Mail, vicino al Lincoln Memorial, non aveva più menzionato l’argomento. Allora perché tanta urgenza adesso? Aveva qualcosa a che vedere con il capovolgimento delle relazioni amichevoli tra due recenti alleati bellici, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica?

“Chiama Sam, per favore, così smetterà di tampinare me. Anche se...” La voce di Vikki si abbassò di un grado, divenendo civettuola. “Forse dovremmo lasciare che continui a telefonarmi? È uno schianto.”

“È un vedovo di trentasette anni con tanto di figli, Vikki”, ribatté Tatiana. “Non puoi averlo senza diventare anche madre.”

“Be’, ho sempre desiderato un bambino.”

“Sam ne ha due.”

“Oh, piantala. Mi prometti di telefonargli?”

“Sì.”

“Darai al nostro stupendo frugoletto un bacio grande quanto il Montana da parte mia?”

“Sì.” Quando Tatiana era andata in Germania a cercare Alexander, era stata Vikki a occuparsi di Anthony, e gli si era affezionata molto. “Non posso chiamare subito Sam”, precisò Tatiana. “Prima devo parlarne con Alexander quando rincasa, stasera, perciò fammi un favore... se ritelefona, digli che non mi hai ancora sentita e che non sai dove sono. D’accordo?”

“Perché?”

“Devo solo... Devo discuterne con Alexander, e poi talvolta il telefono non funziona. Non voglio che Sam si faccia prendere dal panico, dunque acqua in bocca, okay? Per piacere, non dire niente.”

“Tania, sei molto diffidente, è questo il tuo problema. È sempre stato il tuo problema. Sei sempre sospettosa nei confronti delle persone.”

“Non è vero. Sono soltanto... sospettosa nei confronti delle loro intenzioni.”

“Be’, Sam non farebbe nulla per...”

“Non è Sam a dirigere il Dipartimento di Stato, vero?” la interruppe.

“E allora?”

“Non può fare da garante per tutti. Non leggi i giornali?”

“No!” esclamò Vikki con orgoglio.

“Il Dipartimento di Stato teme lo spionaggio su tutti i fronti. Devo parlarne con Alexander, vedere cosa ne pensa.”

“Si tratta di Sam! Non può averti aiutata a riportare a casa tuo marito per poi accusarlo di spionaggio.”

“Ripeto: è Sam a dirigere il Dipartimento di Stato?” Tatiana provò un’apprensione che non riuscì a spiegare a Vikki. Negli anni Venti la madre e il padre di Alexander erano stati membri del partito comunista statunitense, e Harold Barrington si era cacciato in un bel pasticcio negli USA. A un tratto suo figlio tornava in America proprio quando la tensione tra le due nazioni stava arrivando ai massimi gradi. E se il figlio avesse dovuto pagare per i peccati del padre? Come se non avesse pagato abbastanza! “Devo scappare”, concluse Tatiana, lanciando un’occhiata a Anthony e stringendo le mani intorno al ricevitore. “Parlo con Alexander stasera. Mi prometti di non raccontare niente a Sam?”

“Solo se tu mi prometti che verrete a trovarmi appena lasciate il Maine.”

“Ci proveremo, Gelsomina”, replicò Tatiana, e riagganciò. Un giorno cercherò di mantenere questa promessa.

Tremando, subito dopo telefonò a Esther Barrington, zia di Alexander e sorella di Harold, che viveva nel Massachusetts. Finse di averla chiamata per salutarla; in realtà, voleva sapere se qualcuno l’avesse contattata chiedendo di suo marito. No, nessuno. Un piccolo sollievo.

Quella sera, davanti alle aragoste, Anthony annunciò: “Papà, oggi la mamma ha telefonato a Vikki”.

“Davvero?” Alexander alzò lo sguardo dal piatto, gli occhi che la scrutavano in volto. “Be’, è fantastico. Come sta Vikki?”

“Sta bene. La mamma ha pianto. Due volte.”

“Anthony!” Tatiana abbassò la testa.

“Cosa? Hai pianto davvero?”

“Anthony, per favore, vai dalla signora Brewster a chiederle se vuole mangiare qualcosa subito o se devo tenerle la cena in forno.”

Il bambino si dileguò. Avvertendo con acutezza il silenzio di Alexander, Tatiana si alzò per dirigersi verso il lavello, ma prima che potesse pronunciare una parola in difesa delle sue lacrime, Anthony ricomparve.

“La signora Brewster sanguina”, dichiarò.

Tatiana e Alexander corsero di sopra. La padrona di casa riferì loro che suo figlio, appena uscito dal carcere, l’aveva picchiata per rubarle i soldi dell’affitto versati da Alexander. Tatiana tentò di ripulirla con qualche straccio.

“Non vive con me. Vive con alcuni amici in fondo alla strada.” Alexander avrebbe potuto aiutarla? Essendo stato anche lui in prigione, avrebbe dovuto capire come stavano le cose. “Non la vedo mai malmenare sua moglie.” Avrebbe potuto chiedere a suo figlio di non picchiarla più? L’anziana donna voleva tenersi i soldi dell’affitto. “Li spenderà per quei liquori schifosi, come sempre, poi si metterà nei guai. Non so perché abbiano arrestato lei, Alexander, ma lui è stato dentro per aggressione a mano armata sotto l’effetto dell’alcool.”

Alexander uscì per andare da Nick. Più tardi informò Tatiana che intendeva affrontare il figlio della signora Brewster.

“Non farlo.”

“Tania, la Brewster non è simpatica nemmeno a me, ma che razza di fallito squilibrato picchia sua madre? Voglio parlargli.”

“No.”

“No?”

“No. Sei già stato ferito gravemente.”

“Senti”, replicò Alexander, rivolgendosi alla sua schiena, “voglio solo parlargli, ecco tutto, da uomo a uomo. Gli dirò che malmenare una vecchia non è accettabile.” I due bisbigliavano al buio, i letti accostati, Anthony che russava appena accanto a Tatiana.

“E lui ti risponde: ‘Vaffanculo, amico. Fatti gli affari tuoi’. E poi cosa succede?”

“Bella domanda. Forse sarà ragionevole.”

“Lo credi davvero? Picchia la madre per rubarle i soldi!” Sospirando, Tatiana si agitò tra i suoi due uomini.

“Be’, non possiamo non fare niente.”

“Sì che possiamo. Non abbiamo bisogno dei problemi degli altri.” Ne abbiamo già abbastanza. Non sapeva come tirare fuori l’argomento Sam Gulotta, un terrore gelido che le impediva di pronunciare quel nome. Si sforzò di continuare a pensare alle preoccupazioni di qualcun altro. Non voleva che Alexander si avvicinasse al figlio della signora Brewster. Ma cosa doveva fare?

“Hai ragione”, sospirò alla fine, schiarendosi la voce. “Non possiamo non fare niente. Sai una cosa? Credo che andrò io ad affrontarlo. Sono una donna, sono minuta. Gli parlerò con garbo, come faccio con tutti. Non si infurierà con me.”

Sentì Alexander che si irrigidiva. “Vuoi scherzare?” mormorò. “Quel tizio picchia sua madre! Non pensare nemmeno di avvicinarti a lui.”

“Ssst. Andrà tutto bene. Davvero.”

Lui la costrinse a girarsi per guardarla in faccia. “Dico sul serio”, riprese, gli occhi fissi, intensi. “Non muovere un solo passo nella sua direzione. Nemmeno uno. Perché se pronuncia una sola sillaba contro di te, non parlerà più con nessuno, e io finirò in un carcere americano. È questo che vuoi?”

“No, tesoro”, rispose Tatiana con dolcezza. Stava reagendo! Era coinvolto! Aveva alzato la voce! Lo baciò sul viso, lo baciò e lo baciò ancora, finché lui ricambiò i baci, le mani che le scivolavano sulla camicia da notte.

“Ti ho mai detto quanto odio che indossi dei vestiti nel mio letto?”

“Lo so, ma c’è un bambino con noi”, mormorò lei. “Non posso restare nuda.”

“Non prendermi in giro”, la rimbeccò, malinconico.

“Tesoro, è per il bambino”, ribadì Tatiana, evitando il suo sguardo. “Inoltre, la camicia da notte è di seta, non di iuta. Hai notato che sono nuda, sotto?”

Alexander infilò le mani sotto il tessuto. “Perché piangevi con Vikki?” Qualcosa di freddo e sgradevole gli si insinuò nella voce. “Cosa c’è, ti manca New York?”

Tatiana gli lanciò un’occhiata colpevole, triste. “Perché vai dai vicini tutte le sere?” domandò, gemendo piano.

Alexander staccò le mani. “Hai visto la famiglia di Nick... Sono l’unico con cui possa sfogarsi. Non ha nessun altro a parte me.”

E a parte me, pensò Tatiana, l’offesa rovente che le bruciava negli occhi.

Non poteva dirgli nulla di Sam Gulotta e del Dipartimento di Stato. Non vi era più spazio sul suo gelido piatto di angoscia.

 

La sera dopo Anthony rientrò da solo dopo aver trascorso mezz’ora fuori con suo padre e il colonnello. Il sole era tramontato e le zanzare erano comparse in massa. Tatiana gli fece il bagno, e mentre gli applicava la lozione di calamina sui morsi, gli chiese: “Tesoro, di cosa discutono papà e Nick?”

“Non lo so”, rispose il piccino, vago. “Della guerra. Dei combattimenti.”

“E questa sera? Perché sei tornato così presto?”

“Nick continua a chiedere una cosa a papà.”

“Cosa?”

“Di ucciderlo.”

Tatiana, accovacciata, vacillò, cadendo quasi sul pavimento.

“Cosa?”

“Non avercela con papà. Per favore.” Lo accarezzò. “Anthony... sei un bravo bambino.” Notando l’espressione abbattuta sul volto della madre, il bimbo cominciò a piagnucolare.

Tatiana lo prese tra le braccia. “Ssst. Andrà tutto bene, figliolo.”

“Papà dice che non vuole ucciderlo.” Lei si affrettò a rivestirlo. “Mi prometti di aspettarmi qui? Non uscire, mettiti a letto e guarda il tuo libro sulle barche e sui pesci.”

“Dove vai?”

“A prendere papà.”

“Torni... in fretta?” domandò Anthony, titubante. “Certo, Anthony, certo. Torno subito.”

“Lo vuoi sgridare?”

“No, tesoro.”

“Mamma, per favore, non arrabbiarti se ha ucciso il colonnello.”

“Ssst. Guarda il tuo libro. Torno subito.”

Tatiana prese la sua borsa da infermiera dall’armadio. Impiegò qualche minuto per ricomporsi, poi imboccò la strada con decisione.

“Oh-oh”, fece Nick quando la vide. “Temo ci saranno un po’ di urla.”

“Si sbaglia”, replicò lei con freddezza, aprendo il cancello.

“Non è colpa sua”, affermò Moore. “È mia. Sono stato io a trattenerlo.”

“Mio marito è adulto”, ribatté Tatiana. “Sa che il troppo stroppia.” Guardò Alexander con aria accusatoria. “Ma dimentica che suo figlio parla inglese e ascolta ogni parola dei grandi.”

Alexander si alzò. “Detto questo, buona notte, Nick.”

“Lascia qui la sedia”, ordinò Tatiana. “Vai. Ant è da solo.”

“Non vieni?”

“Voglio parlare con Nick un minuto.” Scrutò il marito con fermezza. “Arrivo subito.”

Lui non si mosse. “Cosa intendi fare?” chiese in un sussurro.

Tatiana capì che non se ne sarebbe andato, e non aveva voglia di litigare davanti a un estraneo, anche se un litigio sarebbe stato bello. “Niente. Voglio parlare con Nick.”

“No, Tania. Vieni.”

“Non sai nemmeno cosa...”

“Non mi interessa. Vieni.”

Ignorando la sua mano tesa, Tatiana sedette e si rivolse al colonnello. “So di cosa parla con mio marito”, esordì. “La smetta.”

Nick scosse la testa. “Lei è stata in guerra, non riesce a capire?”

“Capisco benissimo”, replicò. “Non può chiedergli una cosa simile. Non è giusto.”

“Giusto?” urlò Moore. “Vuole discutere di ciò che è giusto?”

“Sì”, rispose Tatiana. “Anch’io sto cercando di sistemare alcune cose. Lei è andato al fronte ed è stato ferito: è il prezzo che ha pagato per impedire che sua moglie e sua figlia fossero costrette a parlare tedesco. Quando la finiranno di affliggersi per lei, staranno meglio. So che adesso è dura, ma le cose miglioreranno.”

“Non miglioreranno mai. Pensa che non sappia per cosa ho combattuto? Lo so! Non me ne lamento. Non di quello. Questa però non è vita, non per me, non per mia moglie. Queste sono soltanto stronzate... perdoni il linguaggio.” Non potendo fare nient’altro, Nick si lasciò scivolare dalla carrozzina sull’erba. Tatiana rimase a bocca aperta. Alexander lo raccolse e lo rimise sulla sedia. “Voglio solo morire”, aggiunse il colonnello, ansimando. “Non lo capisce?”

“Lo capisco”, rispose Tatiana a voce bassa. “Ma lasci in pace mio marito.”

“Nessun altro mi aiuterà!” Nick cercò di ributtarsi a terra; Tatiana lo bloccò con un braccio.

“Non la aiuterà nemmeno lui”, affermò. “Non in questo caso.”

“Perché no? Gli ha domandato a quanti dei suoi uomini abbia dovuto sparare per risparmiare loro l’agonia?” gridò Moore. “Come, non gliel’ha detto? Glielo dica, capitano. Ha sparato a quei soldati senza pensarci due volte. Perché non vuole farlo per me adesso? Mi guardi!”

Tatiana fissò prima Alexander, torvo e arcigno, poi Nick. “So cos’ha fatto mio marito durante la guerra”, replicò, la voce che le tremava. “Ma lo lasci in pace. Anche lui ha bisogno di tranquillità.”

“Per favore, Tatiana”, mormorò Nick, piegando la testa nella sua mano. “Mi guardi. Abbia pietà di me. Mi dia soltanto la morfina. Non proverò alcun dolore. Mi addormenterò e basta. È dolce, è giusto.”

Tatiana guardò Alexander con aria interrogativa.

“La supplico”, insistette Moore, vedendola tentennare.

Alexander sollevò sua moglie dalla sedia. “Piantatela, tutti e due”, ordinò con un tono che non ammetteva repliche, nemmeno da parte del colonnello. “Avete perso la ragione. Buona notte.”

Più tardi, a letto, tacquero a lungo. Tatiana era rannicchiata contro Alexander.

“Tania... dimmi, volevi ucciderlo perché non trascorressi più del tempo con lui?”

“Non essere ridi...” si interruppe. “Quell’uomo sta morendo. Quell’uomo vuole essere morto. Non capisci?”

La replica di Alexander arrivò con difficoltà. “Lo capisco.” Oh, Dio!

“Aiutalo, Alexander”, lo implorò Tatiana. “Portalo a Bangor, all’ospedale militare. So che non ci vuole andare, ma deve andarci. Le infermiere sono addestrate per prendersi cura di persone come lui: gli metteranno le sigarette in bocca, gli leggeranno qualcosa. Si occuperanno di lui. Vivrà.” Quell’uomo non può starti intorno. Tu non puoi stargli intorno.

 

L’indomani Alexander accompagnò il colonnello all’ospedale militare di Bangor, a quattro ore di distanza. Partirono al mattino presto. Tatiana preparò dei thermos e dei sandwich, lavò e stirò l’uniforme cachi e il maglione con le maniche lunghe di Alexander.

“Vuoi che ti porti qualcosa?” domandò lui prima di uscire, accovacciandosi accanto al piccolo Anthony.

“Sì, un soldatino”, rispose il bimbo.

“D’accordo.” Alexander gli arruffò i capelli e si raddrizzò. “E tu?” chiese a Tatiana, avvicinandosi.

“Oh, io sono a posto”, disse lei, assumendo di proposito un tono noncurante. “Non mi serve niente.” Si sforzò di guardare oltre i suoi occhi color bronzo, in una dimensione più profonda, una dimensione che le rivelasse i suoi pensieri.

Nick era già sul camper: la moglie e la figlia gironzolavano nei paraggi. Troppa gente intorno. Le dita di Alexander le sfiorarono la guancia. “Fai la brava bambina”, le raccomandò, baciandole la mano. Lei gli premette la fronte contro il petto per un istante prima che si allontanasse.

 

Quella sera Alexander non tornò.

Tatiana non chiuse occhio.

Lui non tornò il mattino dopo.

Né il pomeriggio dopo.

Né la sera dopo.

Lei rovistò tra la sua roba e notò che le armi erano scomparse. Era rimasta solo la pistola, la P-38 tedesca che le aveva dato a Leningrado, avvolta in un asciugamano accanto a un fascio di banconote, i soldi extra che aveva ricevuto da Jimmy e aveva lasciato lì per lei.

Impaurita, si rannicchiò nel lettino accanto al figlio.

L’indomani mattina scese al molo. Lo sloop era lì, e Jimmy faceva del suo meglio per riparare un danno alla fiancata. “Ehi, ometto”, disse ad Anthony. “Il tuo papà non è ancora tornato? Devo andare a pescare qualche aragosta, altrimenti resto al verde.”

“Non è ancora tornato”, rispose il piccolo. “Ma mi porta un soldatino.”

Tatiana, titubante, domandò: “Jim, non ti ha detto quanti giorni di ferie voleva prendersi?”

L’altro scosse il capo. “Ha detto che, se volevo, potevo assumere uno di quelli che vengono qui a cercare lavoro. Se non rientra presto, lo prendo in parola. Devo uscire in mare.”

La mattinata era abbagliante.

Trascinandosi dietro Anthony, Tatiana corse da Bessie, la moglie del colonnello, e bussò finché la donna le aprì; aveva un aspetto terribile. Tatiana, senza scusarsi per l’orario, le domandò se avesse avuto notizie da Nick o dall’ospedale.

“No”, rispose l’altra, aspra. Tatiana si rifiutò di andarsene finché Bessie ebbe chiamato l’ospedale, solo per scoprire che il colonnello era stato ricoverato senza alcun problema due giorni prima. L’uomo che l’aveva accompagnato si era fermato per un giorno, poi era ripartito. Nessuno sapeva altro di Alexander.

 

Trascorse un’altra giornata.

Tatiana sedeva sulla panchina accanto alla baia, accanto all’acqua rischiarata dai primi raggi del sole, e osservava suo figlio che si spingeva su uno pneumatico a mo’ di altalena.

Mi ha lasciata? Mi ha baciato la mano e se n’è andato?

No. Non era possibile. Era successo qualcosa. Non può farcela, non può riuscirci, non può trovare una via d’uscita né d’entrata. Lo so. Lo sento. Pensavamo che il peggio fosse passato, invece ci sbagliavamo. Il peggio è vivere.

Doveva recarsi subito a Bangor. Come? Non aveva un’auto. Lei e il piccolo avrebbero preso l’autobus? Avrebbero lasciato Stonington e le loro cose per sempre? Per andare dove? Eppure doveva fare qualcosa, non poteva continuare a stare seduta lì.

Tatiana era un fascio di nervi.

Doveva essere forte per suo figlio.

Doveva essere determinata per lui.

Sarebbe andato tutto bene.

Se lo ripeteva come un mantra. Ancora e ancora.

Questo è il mio sogno perverso, urlò tutto il suo corpo. Mi sembrava un sogno che lui fosse di nuovo al mio fianco, e avevo ragione; ora ho aperto gli occhi, ed è svanito come prima.

“Mamma, mi stai guardando? Voglio girare, girare, girare finché mi vengono le vertigini e cado per terra. Evviva ! Mi stai guardando? Guardami, mamma!”

Tatiana aveva gli occhi appannati. “Ti sto guardando, tesoro. Ti sto guardando.”

L’aria aveva il profumo d’estate, il sole splendeva radioso, i pini, gli olmi, le pigne, il mare, il bambino di tre anni che vorticava, la giovane madre che non ne aveva ancora compiuti ventitré.

 

 

 

L’ultima neve, 1946

 

“Mamma, mamma!”

Rabbrividendo, lei accorse e si voltò. Anthony correva, indicando il pendio della collina, lungo il quale camminava Alexander. Indossava gli stessi abiti con cui era partito.

Tatiana si alzò. Voleva corrergli incontro, ma le gambe le cedettero. Non riusciva neppure a reggersi in piedi. Anthony, un bimbo coraggioso, saltò dritto tra le braccia del padre.

Alexander si avviò verso la moglie sulla spiaggia sassosa e posò il figlio a terra.

“Ehi, amore”, la salutò.

“Ehi”, replicò lei, faticando a mantenere un’espressione composta.

Sporco e non rasato, Alexander rimase immobile e la fissò; aveva gli occhi cerchiati e cercava anche lui di mantenere un’espressione composta. Tatiana dimenticò se stessa e gli si accostò. Lui si chinò verso di lei, il viso premuto contro il suo collo, contro le sue trecce. Tatiana lo strinse a sé. Tanta era la disperazione che pervadeva Alexander, che lei cominciò a tremare violentemente.

Stringendola più forte, lui sussurrò: “Ssst, ssst, dai, il bambino. ..” Quando la lasciò, Tatiana non alzò lo sguardo: non voleva che leggesse la paura nei suoi occhi. Non provò alcun sollievo. Comunque Alexander era con lei.

Tirandolo per la manica, Anthony gli chiese: “Papà, perché ci hai messo così tanto a tornare? La mamma era così preoccupata”.

“Davvero? Mi dispiace”, disse, senza guardarla. “Sai, Ant, i soldatini non sono facili da trovare.” Ne estrasse tre dalla borsa. Il piccino lanciò un urlo di gioia.

“Hai portato qualcosa per la mamma?”

“Non volevo niente”, intervenne Tatiana.

“Queste le vuoi?” Alexander tirò fuori quattro teste d’aglio.

Lei si sforzò di sorridere.

“E queste?” Le mostrò due tavolette di ottimo cioccolato.

Tatiana si sforzò di nuovo di sorridere.

Mentre risalivano l’altura, Alexander, con Anthony sulle spalle, la prese a braccetto. Tatiana si premette contro di lui per un attimo prima di proseguire.

 

Alexander si era lavato, rasato e saziato. Ora, nel loro lettuccio angusto, Tatiana era stesa sopra di lui, impegnata a baciargli il pene, a toccarlo, a stringerlo tra le mani, a stuzzicarlo, a piangere. Alexander giaceva immobile, taciturno, gli occhi chiusi. Più le carezze diventavano convulse e disperate, più lui assomigliava a un sasso, finché la respinse via. “Adesso basta”, le intimò. “Smettila. Svegli il bambino.”

“Tesoro, tesoro...” mormorò lei, allungando le braccia.

“Smettila, ho detto!” Alexander si sciolse dall’abbraccio.

“Togliti la canottiera, tesoro”, sussurrò Tatiana, piangendo. “Mi toglierò la camicia da notte, rimarrò nuda, come piace a te.

La fermò. “No, sono esausto. Svegli il bambino e poi il letto cigola troppo. Fai troppo rumore. Piantala di piangere, ho detto. E di stuzzicarmi.”

Tatiana non sapeva cosa fare. Lo accarezzò finché il pene di lui le si gonfiò tra le mani, e gli chiese se volesse qualcosa. Alexander non disse niente.

Tremando, Tatiana lo prese in bocca, ma non riuscì a continuare; era talmente triste da sentirsi soffocare. Alexander sospirò e scese dal letto; la costrinse a stendersi sul pavimento di tavole, la mise a quattro zampe, le raccomandò di stare zitta e la prese da dietro, tenendola per le reni con una mano e per il fianco con l’altra affinché rimanesse ferma. Quando ebbe finito, si alzò, tornò sotto le lenzuola e non fiatò.

Dopo quella notte, Tatiana perse la capacità di parlargli. Il fatto che non le confidasse cosa gli stava accadendo era una cosa. Il fatto che lei non trovasse il coraggio di domandarglielo era un’altra. Il silenzio tra loro crebbe fino a spalancare degli abissi neri.

Per tre sere consecutive Alexander non smise di pulire le sue armi.

Per tre sere consecutive Alexander non la sfiorò. Tatiana, che non sapeva, non capiva, ma voleva disperatamente renderlo felice, gli stette alla larga, sperando che alla fine le desse una spiegazione o si trasformasse di nuovo nell’uomo che era stato. Ci volle del tempo. Durante la quarta notte lui si spogliò completamente e, al buio, rimase nudo davanti a lei, mentre Tatiana sedeva sul letto, pronta a coricarsi. Alzò gli occhi su di lui. Alexander li abbassò su di lei. Vuoi che ti tocchi? gli chiese, esitante, le mani che si levavano nella sua direzione. Si, rispose, voglio che mi tocchi, Tatiana.

Alexander ritornò un poco a essere quello di prima, ma non le spiegò mai nulla nell’oscurità della loro stanzetta, con Anthony che dormiva.

 

Le giornate si fecero più fresche e le zanzare sparirono. Le foglie cominciarono a cambiare colore. Tatiana non pensava che il suo corpo avesse ancora la forza per sedere sulla panchina a contemplare le colline d’oro e carminio che si riflettevano sull’acqua immobile.

“Anthony”, mormorò. “È bellissimo, o cosa?”

“È bellissimo o cosa, mamma.” Il bimbo indossava il berretto da ufficiale del padre, quello che il dottor Matthew Sayers le aveva dato anni prima, dopo averlo tolto dalla testa di un presunto Alexander morto. È annegato, Tatiana, è morto tra il ghiaccio, ma ho il suo berretto. Lo vuoi?

Il copricapo beige con una stella rossa, troppo grande per Anthony, la indusse a pensare a se stessa e alla sua vita coniugate al passato anziché al presente. Rimpiangendo con amarezza di averlo regalato al bambino, cercava di levarglielo, ma ogni mattina Anthony domandava: “Mamma, dov’è il mio berretto?”

“Non è tuo.”

“Sì, invece. Papà mi ha detto che ormai è mio.”

“Perché gli hai detto che poteva averlo?” borbottò Tatiana una sera mentre passeggiavano.

Prima che il marito avesse l’opportunità di rispondere, un ragazzo di meno di vent’anni corse loro accanto, sfiorandole la spalla e dicendo con un largo sorriso felice: “Ciao, bambina!” Salutò il capitano e proseguì lungo la china.

Alexander girò lentamente la testa verso la moglie, che lo teneva a braccetto. Le diede un buffetto alla mano. “Lo conosco?”

“Sì e no. Bevi ogni giorno il latte che ci consegna.”

“È il lattaio?”

“Sì.”

Continuarono a camminare.

“Ho sentito dire”, riprese Alexander, “che si è fatto tutte le donne del villaggio tranne una.”

“Oh”, fece Tatiana senza perdere un colpo, “scommetto che è quella presuntuosa di Mira al numero 30.”

E Alexander rise.

Rise.

Ride!

E poi si chinò su di lei per baciarle il viso. “Questa sì che è spiritosa, Tania”, commentò.

Tatiana era contenta che fosse contento. “Mi vuoi spiegare perché non ti dispiace che il bambino indossi il tuo berretto?” chiese, stringendogli il braccio.

“Oh, è innocuo.”

“Non ritengo sia così innocuo. Talvolta vedere quel berretto mi impedisce di vedere Stonington. Questo non è innocuo, ti piace?”

E cosa rispose il suo inimitabile Alexander, scendendo con moglie e figlio giù per una splendida collina autunnale del New England, affacciata sulle acque cristalline dell’oceano?

“Cos’è Stonington?”

E un giorno dopo, Tatiana comprese finalmente perché quel luogo era tanto vicino al suo cuore. Con l’erba alta e l’acqua scintillante, i pini e i fiori di campo, i profumi mescolati all’aria leggera, le rammentava la Russia. Quando se ne accorse (i minuti e le ore di aceri porpora e bordeaux, i frassini di montagna dorati e le betulle ondeggianti che le trapassavano il cuore) smise di sorridere.

Quella sera, quando Alexander tornò dalla pesca e si avvicinò a sua moglie, seduta come al solito sulla panchina, e notò quella che doveva essere un’espressione apatica, disse con un cenno del capo: “Ah, finalmente ci siamo! Allora, cosa ne pensi? Bello ricordare la Russia, Tatiana Metanova?”

Lei non rispose, avviandosi con lui verso il molo. “Perché non prendi le aragoste e vai avanti?” propose Alexander. “Il bambino può rimanere qui con me finché finisco.”

Lei afferrò i crostacei e li gettò nella spazzatura.

Alexander, divertito, si mordicchiò un labbro. “Niente aragoste, oggi?”

Tatiana lo superò, dirigendosi verso la barca. “Jim”, disse, “invece delle aragoste ho cucinato il sugo con le polpette. Ti va di cenare da noi?”

Jimmy sfoderò un sorriso raggiante.

“Bene.” Tatiana si voltò per andarsene, poi, quasi come un ripensamento, aggiunse: “Oh, a proposito! Ho invitato anche la mia amica Nellie di Eastern Road, è un po’ giù di corda. Ha appena scoperto di aver perso suo marito durante la guerra. Spero non ti dispiaccia”.

A Jimmy non dispiacque. E neppure a una Nellie un po’ meno giù di corda.

 

La signora Brewster era stata picchiata ancora una volta per i soldi dell’affitto. Tatiana le stava disinfettando il taglio sulla mano mentre gli occhi di Anthony, seri come quelli di suo padre, la fissavano dallo sgabello ai suoi piedi.

“La mamma faceva l’infermiera”, dichiarò con reverenza.

La signora Brewster guardò Tatiana. Aveva qualcosa in mente. “Non mi ha mai detto da dove viene. L’accento sembra...”

“Russo”, interloquì il bimbo, il cui padre non era lì a zittirlo.

“Ah! Anche suo marito è russo?”

“No, è americano.”

“Papà è americano”, ribadì Anthony con orgoglio, “ma era capitano nel...”

“Anthony!” Tatiana gli strattonò un braccio. “È ora di tornare da papà.”

L’indomani la signora Brewster affermò che i sovietici erano schifosi comunisti. Quella era l’opinione di suo figlio. Pretese altri sette dollari per l’acqua e l’elettricità. “Non fate altro che cucinare sulla mia stufa.”

Tatiana restò sconcertata di fronte a quel ricatto. “Però le preparo la cena.”

“È, nello spirito del comunismo, mio figlio dice che devi pagare trenta dollari la settimana per la camera, non otto. Oppure trovati un’altra fattoria collettiva, compagna”, ribatté la vecchia, dandosi dei colpetti alla benda che Tatiana le aveva avvolto intorno alla mano.

Trenta dollari la settimana! “D’accordo”, replicò Tania tra i denti. “Pagherò altri ventidue dollari la settimana, ma questo resta tra me e lei. Non ne faccia parola a mio marito.” Uscendo, avvertì lo sguardo penetrante di una madre che era stata malmenata dal figlio per i soldi dell’affitto, eppure continuava a fidarsi di lui.

Appena incontrarono Alexander al molo, Anthony spifferò: “Papà, la signora Brooster ci ha chiamati schifosi comunisti”.

Lui lanciò un’occhiata a Tatiana. “È così?”

“Sì, e la mamma si è arrabbiata.”

“È così?” Alexander le si accostò.

“Papà?”

“Sì?”

“Cosa sono i comunisti?”

Quella sera, prima della cena a base di aragoste (“Oh, no! Ancora!”) e patate, Anthony domandò: “Papà, ventidue dollari sono tanti o pochi?”

Alexander gli lanciò un’occhiata. “Be’, dipende. Sono pochi per un’auto, ma sono tanti per le caramelle. Perché?”

“La signora Brooster vuole che paghiamo ventidue dollari in più.”

“Anthony!” Tatiana era accanto alla stufa; non si voltò. “Insomma, questo bambino è impossibile. Vai a lavarti le mani con il sapone, per bene. E sciacquale.”

“Sono pulite.”

“Anthony, hai sentito tua madre. Subito.” Era stato Alexander a parlare. Il piccolo obbedì.

Lui la raggiunse vicino al lavello. “Allora, cosa sta succedendo?”

“Niente.”

“È ora di andarcene, non credi? Siamo qui da due mesi. E presto farà molto più freddo.” Fece una pausa. “Non voglio nemmeno parlare dei comunisti o dei ventidue dollari.”

“Non mi dispiacerebbe se non ce ne andassimo mai da qui”, confessò Tatiana. “Qui, ai confini del mondo. Qui non c’è nulla che interferisca. Nonostante...” agitò la mano verso la signora Brewster al piano di sopra. “Mi sento al sicuro. Ho l’impressione che nessuno ci troverà mai.”

Alexander era tranquillo. “Qualcuno ci sta ... cercando?”

“No, no. Certo che no”, si affrettò a rassicurarlo lei.

Lui le mise due dita sotto il mento e le alzò il volto nella sua direzione. “Tania?”

Lei non riuscì a ricambiare il suo sguardo serio. “È solo che non voglio ancora andarmene, okay?” Cercò di staccarsi, ma Alexander non la lasciò. “Non c’è altro. Mi piace stare qui.”

Levò le mani per aggrapparsi alle sue braccia. “Trasferiamoci da Nellie! Avremo due stanze... C’è una cucina più grande, e potrai andare a bere con il tuo amico Jimmy. A quanto ne so, passa spesso da quelle parti.” Sorrise per convincerlo.

Alexander la lasciò andare e posò il piatto nel lavello, sbattendolo forte contro le pareti di alluminio. “Sì, traslochiamo”, disse. “Noi, Nellie e Jimmy. Che bella idea, la vita comune! Dovremmo farlo più spesso.” Si strinse nelle spalle. “Oh, be’! Immagino si possa tirare fuori la ragazza dall’Unione Sovietica, ma non l’Unione Sovietica dalla ragazza.”

Se non altro, aveva manifestato un po’ di interessamento. Anche se, come continuava a ripetersi Tatiana, non molto.

Si trasferirono da Nellie. L’aria diventò leggermente fredda, poi freddissima, quindi gelida, soprattutto durante la notte, e Nellie, scoprirono, gestiva il riscaldamento con avarizia dickensiana.

Pagavano due locali, ma ad Anthony, che non voleva restare solo, non importava nulla. Alexander fu costretto a trascinare il suo lettino nella loro stanza e a unire i due materassi... di nuovo. Pagavano due camere e ne occupavano una. E se ne stavano tutti e tre raggomitolati sotto spesse coperte.

A un tratto, verso la metà di ottobre, nevicò. La neve scendeva copiosa dal cielo, e in una notte coprì di lana candida la baia e gli alberi spogli. Non c’era più lavoro per Alexander, e inoltre adesso c’era la neve.

Quel giorno andarono in slitta, tutti e tre. Noleggiarono due Flexible Flyer al negozio di generi vari e trascorsero il pomeriggio con gli altri abitanti del villaggio, lanciandosi giù per la scoscesa collina di Stonington che arrivava fino alla baia. Anthony risalì la china due volte. Certo, era un’altura considerevole, e lui fu bravo e coraggioso a compiere l’impresa, ma le altre venti volte lo portò suo padre.

Alla fine, Tatiana disse: “Voi due andate senza di me. Non riesco più a camminare”.

“No, no, vieni con noi”, la supplicò Anthony. “Papà, io salgo da solo. Riesci a portare la mamma?”

“Credo di sì”, rispose Alexander.

Anthony procedette arrancando, mentre Alexander trasportava Tatiana sulla schiena. Lei pianse, le lacrime che le si congelavano sul volto. Ma poi madre e figlio sfrecciarono giù su una slitta sola, cercando di batterlo; seppure più pesante, era veloce e abile nelle manovre e, a differenza di Tatiana, non era frenato dalla paura che potesse capitare qualcosa al bambino. Lei volò giù in ogni caso, con Anthony che strillava di gioia e terrore. Per poco non superò il marito. Arrivata in fondo, gli finì addosso.

“Sai che se non ci fosse stato Ant, non avresti mai vinto”, mormorò, stesa su di lui.

“Oh, sì che avrei vinto”, replicò Alexander, spingendola tra la neve. “Il bambino verrà con me, e vedremo.”

Fu una bella giornata.

 

Trascorsero altri tre lunghi giorni tra i frassini imbiancati sulla baia imbiancata. Tatiana preparò varie torte nella grande cucina di Nellie. Alexander lesse tutti i giornali e le riviste da cima a fondo e discusse della politica post-bellica con Tatiana e Jimmy, e persino con una Nellie indifferente. Costruì anche dei pupazzi di neve per Anthony, nei campi di patate. Dopo aver infornato le torte, Tatiana uscì di casa e ne vide sei disposti in fila come soldati, dal più piccolo al più grande. Schioccò la lingua tra i denti, alzò gli occhi al cielo e trascinò il figlio a costruire angeli tra la neve. Ne fecero trenta, tutti in fila, disposti come soldati.

Durante la terza notte d’inverno Anthony dormiva tranquillo nel letto matrimoniale, mentre mamma e papà erano completamente svegli. Alexander massaggiava le natiche nude di Tatiana sotto la camicia. L’unica finestra della stanza era oscurata dalla tormenta. Lei fantasticò che là dietro splendesse la luna blu. Le mani del marito diventarono molto insistenti. Alexander stese una coperta sul pavimento, in silenzio; la tirò giù, in silenzio; la adagiò prona, in silenzio, e fece l’amore con lei furtivamente - come se fossero soldati di fanteria, intenti a strisciare verso la prima linea, la sua pancia sulla schiena di Tatiana -, coprendo del tutto la sua minuscola corporatura, bloccandole i polsi sopra la testa con una mano. Mentre la immobilizzava, le baciò le spalle, la nuca e il contorno inferiore del viso, e quando lei voltò la faccia nella sua direzione, le baciò le labbra, la mano libera che le vagava sulle gambe e sulle cosce mentre si muoveva con intensità e lentezza, una cosa stupefacente già di per sé, ma ancor più stupefacente perché la girò verso di sé per finire, imprigionandole ancora le braccia sopra il capo, e durante il finale febbrile emise persino un breve verso, non il consueto sospiro crudo... Poi giacquero immobili, sotto le coperte, e Tatiana iniziò a piangere sotto di lui, e Alexander mormorò Ssst, ssst, coraggio, ma non si staccò subito come al solito.

“Ho così tanta paura”, bisbigliò lei.

“Di cosa?”

“Di tutto. Di te.”

Lui tacque.

“Allora te ne vuoi andare da qui?” gli domandò.

“Oh, Dio! Pensavo che non me l’avresti più chiesto.”

 

“Dove credete di andare?” fece Jimmy quando li vide fare i bagagli l’indomani mattina.

“Partiamo”, rispose Alexander.

“Be’, sapete come si dice”, replicò l’amico. “L’uomo propone e Dio dispone. Il ponte di Deer Isle è ghiacciato. Lo spazzaneve non passa da settimane e non passerà. Non si va da nessuna parte finché la neve non si scioglie.”

“E quando credi che succederà?”

“In aprile”, dichiarò Jimmy, ridendo con Nellie. Lui la cinse con il braccio buono, e lei, sbirciandolo con aria allegra, non parve dare peso al fatto che ne avesse soltanto uno.

Tatiana e Alexander si scambiarono un’occhiata. Aprile. “Sai una cosa? Correremo il rischio”, brontolò lui.

Tatiana fece per parlare, fece per obiettare: “Forse hanno ragione...” Ma Alexander la fissò con uno sguardo tale che si zittì subito, vergognandosi di aver messo in dubbio il suo giudizio di fronte ad altre persone e affrettandosi a chiudere le valigie. Salutarono Jimmy e Nellie, salutarono Stonington e condussero il Nomad Deluxe attraverso Deer Isle in direzione della terraferma.

 

Si fermarono da zia Esther per quella che, promise Alexander, sarebbe stata una visita di tre giorni.

Restarono per sei settimane, fin dopo il Ringraziamento.

Esther viveva in una grande e vecchia casa nella candida e pittoresca Barrington con Rosa, la sua governante da quarant’anni, che conosceva Alexander da quando era nato. Le due donne li vezzeggiarono con tanta premura che fu impossibile andarsene: comprarono un paio di sci per Anthony e poi una slitta, degli stivali nuovi, giubbotti pesanti. Il bimbo rimaneva tutto il giorno fuori, tra la neve. Gli comprarono mattoncini, costruzioni e libri. Il bimbo rimase tutto il giorno in casa.

“Cos’altro ti piacerebbe, caro Anthony?

“Un’arma come quella del mio papà”, rispose il piccino.

Tatiana scosse la testa con vigore.

“Guarda Anthony! È un bambino speciale, parla così bene per avere solo tre anni e mezzo, e non è forse il ritratto di suo padre? Ecco qui una foto di Alexander da piccolo, Tatiana.”

“Sì”, confermò Tatiana, era bellissimo.

Una sera tardi, mentre Alexander, stremato per aver giocato tra la neve con il figlio, dormiva in salotto, e Tatiana lavava le tazze del tè prima di coricarsi, zia Esther entrò in cucina all’improvviso per darle una mano e disse: “Non far cadere le stoviglie... Un certo Sam Gulotta del Dipartimento di Stato ha telefonato qui in ottobre. Non agitarti, siediti. Non preoccuparti. Ha telefonato in ottobre e ha ritelefonato oggi pomeriggio, quando voi tre eravate fuori. Per favore. Cosa ti ho detto? Non tremare, non essere turbata. Avresti dovuto dirmi qualcosa quando mi hai chiamata in settembre, avresti dovuto avvisarmi di cosa stava capitando... mi sarebbe stato utile! Avresti dovuto fidarti di me, perché potessi aiutarti. No, non ti scusare. Gli ho detto che non sapevo dove foste, né come rintracciarvi, che non sapevo niente. E a te dico che non voglio saperlo, non dirmelo. Secondo Sam, è indispensabile che Alexander si metta in contatto con lui. Gli ho promesso che se vi avessi sentiti, glielo avrei riferito. Cara, perché non mi hai informata? Non sai che sono dalla vostra parte, dalla parte di Alexander? Lui sa che Sam lo sta cercando? Oh. Bene. No, no, hai ragione, naturalmente. Ha già abbastanza preoccupazioni. Inoltre, si tratta del governo; impiegano anni solo per spedire l’assegno a un veterano. È improbabile che vi trovino. Presto il fascicolo finirà sulla pila delle pratiche irrisolte e verrà dimenticato. Vedrai. Non dire niente ad Alexander, è meglio così. E non piangere. Ssst, ora. Ssst”.

“Zia Esther”, fece Alexander, entrando in cucina, “cosa diavolo hai detto a Tania per farla piangere?”

“Oh, sai com’è in questo periodo”, rispose la donna, dandole dei colpetti sulla spalla.

Il giorno del Ringraziamento Rosa ed Esther parlarono di far battezzare Anthony. “Alexander, cerca di far ragionare tua moglie. Non vorrai che tuo figlio sia pagano come lei.”

Accadde dopo una magnifica cena durante la quale Tatiana aveva ringraziato zia Esther, e gli adulti erano rimasti alzati fino a tardi, con il sidro di mele aromatizzato davanti a un fuoco scoppiettante. Anthony era stato lavato, coccolato, adorato e messo a letto da tempo. Tatiana si sentiva sonnolenta e soddisfatta, premuta contro il braccio del marito. Quel momento le rammentò con vividezza un’altra fase della sua vita, quando gli si era seduta accanto nel medesimo modo, davanti a una piccola stufa tremolante, una burzuika, rassicurata dalla sua presenza nonostante gli eventi apocalittici che avevano luogo a pochi passi dalla sua stanza, dal suo appartamento, nella sua città, nel suo Paese. Eppure, gli si era seduta accanto nel medesimo modo e, per un fugace attimo, si era sentita confortata.

“Tania non è pagana”, protestò Alexander. “Subito dopo essere nata, è stata immersa nel fiume Luga da alcune donne russe così vecchie che pareva fossero vissute ai tempi di Cristo. L’hanno strappata a sua madre e le hanno borbottato sopra per tre ore, invocando su di lei l’amore di Cristo e dello Spirito Santo. Sua madre non ha più rivolto loro la parola.”

“E nemmeno a me”, aggiunse Tatiana.

“Tania, è la verità?”

“Alexander la sta prendendo in giro, Esther. Non lo ascolti.”

“Non è quello che ti ha chiesto, Tatia. Ti ha chiesto se è vero.” Gli occhi di Alexander scintillavano.

La stava canzonando. Gli baciò il braccio, tornando ad appoggiargli il viso sul maglione. “Esther, non deve crucciarsi per Anthony: è stato battezzato.”

“Davvero?” domandò la zia.

“Davvero?” domandò Alexander, sorpreso.

“Sì”, rispose Tatiana, tranquilla. “Battezzavano tutti i bambini di Ellis Island, perché tanti si ammalavano e morivano. Avevano una cappella e hanno trovato persino un prete cattolico.”

“Un prete cattolico!” La cattolica Rosa e la protestante Esther levarono le mani al cielo con una sonora esclamazione, una felice, una un po’ meno. “Perché cattolico? Perché non russo ortodosso, come te?”

“Volevo che Anthony fosse come suo padre”, spiegò Tatiana, distogliendo lo sguardo da Alexander.

Quella notte, quando furono a letto tutti e tre insieme, Alexander non riusciva ad addormentarsi. Tatiana lo sentiva ancora sveglio dietro di sé. “Cosa c’è, tesoro?” sussurrò. “Cosa ti serve? C’è Ant.”

“Come se non lo sapessi”, replicò. “Ma no, no. Dimmi...” la sua voce esitò.

“Era... molto piccolo quando è nato?”

“Non so...” rispose Tatiana con voce strozzata. “L’ho partorito con un mese di anticipo. Era minuscolo, con i capelli neri. Non ricordo bene. Avevo la febbre, avevo la tubercolosi, la polmonite. Mi hanno dato l’estrema unzione, ero così malata.” Si strinse i pugni al petto, ma gemette comunque. E così sola.

Alexander le confessò di non tollerare più la gelida Barrington, di non sopportare più la neve, il freddo, l’inverno. “Non più... nemmeno per un altro giorno.” Voleva andare a nuotare per Natale.

Qualunque cosa il padre di Anthony desiderasse, il padre di Anthony la otteneva. Il sole sorge e tramonta ancora su di te, marito mio, gli bisbigliò.

Il più delle volte tramonta, bisbigliò lui di rimando.

Salutarono Esther e Rosa con gratitudine e superarono New York.

“Non ci fermiamo da Vikki?”

“No”, rispose Tatiana. “Per Natale Vikki va sempre a trovare la madre in un manicomio della California: è la sua penitenza. Inoltre, fa troppo freddo. Hai detto che volevi andare a nuotare. Le faremo visita in estate.”

Attraversarono il New Jersey e il Maryland.

Stavano oltrepassando Washington DC, quando Alexander propose: “Vuoi fermarti a salutare il tuo amico Sam?”

“No! Come ti salta in mente?” sbottò Tatiana, costernata.

Quella reazione parve costernare anche lui. “Perché sei sulla difensiva? Ti ho chiesto se volevi fermarti a salutarlo. Perché mi parli come se ti avessi ordinato di lavargli l’auto?”

Tatiana cercò di rilassarsi.

Grazie a Dio, Alexander lasciò perdere. In passato, non lasciava mai perdere finché non otteneva la sua risposta.

Virginia, ancora sotto zero, troppo freddo.

Carolina del Nord, circa cinque gradi, freddo.

Carolina del Sud, dieci gradi. Meglio.

Alloggiarono in motel economici e si fecero docce bollenti.

Georgia, quindici gradi. Non abbastanza caldo.

St. Augustine, in Florida, sull’oceano, superava i venti gradi.

St. Augustine, la più antica città degli Stati Uniti, aveva tetti di rosse tegole spagnole e si vendevano gelati come se fosse estate.

Alexander, Tatiana e Anthony festeggiarono lì il Natale. Il 25 dicembre si recarono su una spiaggia bianca e deserta. “Ebbene, questo è quello che chiamo il cuore dell’inverno”, osservò Alexander, immergendosi in acqua in calzoncini e T-shirt. Tutt’intorno non c’era nessuno, a parte sua moglie e suo figlio.

Dopo alcune settimane a St. Augustine, si diressero verso sud lungo la costa.