DOMANDA
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Come e perché è
diventato giudice?
L’idea di fare il magistrato nacque molto presto nella mia vita, quando alla scuola media davano ancora da svolgere i temi: cosa farai da grande? Avevo visto una foto–storia sul mitico giornale “L’Ora di Palermo”, che ritraeva un cadavere per strada in una pozza di sangue, una donna vestita di nero, china su quel corpo, e un uomo che osservava la scena. Chiesi a mio padre spiegazioni e mi disse che si trattava di Serafina Battaglia, piangente sul cadavere del figlio Salvatore Lupo Leale che, secondo il quotidiano, probabilmente aveva tentato di vendicare l’omicidio del padre Stefano. La donna sarebbe diventata la prima testimone a chiedere giustizia allo Stato, dichiarando: “Mi hanno tolto mio figlio. Finché mi avevano tolto mio marito, non avevo detto niente, ma mio figlio è sangue mio, e io devo reagire”. L’uomo nella foto era il magistrato chiamato per iniziare le indagini e cercare verità e giustizia. Pensai subito: ecco cosa voglio fare, ecco il modo più efficace per difendere i deboli, per fare qualcosa di utile per la società.
A Palermo in quegli anni, dalla strage di Ciaculli – in cui persero la vita sette tra carabinieri, poliziotti e artificieri dell’esercito – sino alla strage di viale Lazio, si viveva in un clima di inaudita violenza: tante vite spezzate, e troppi tragici eventi. Basti pensare a quando un commando di sei killer con i mitra sotto i camici da medici irruppero in una stanza dell’ospedale Civico di Palermo per giustiziare un albergatore, Candido Ciuni, miracolosamente sopravvissuto all’attentato di una settimana prima, quando era stato accoltellato da due killer davanti al suo albergo. All’epoca non capivo – ero ancora un ragazzo – perché avvenissero fatti come questo nella mia città. Poi piano piano, crescendo, è maturata la convinzione che dovessi fare qualcosa, che non potessi restare indifferente di fronte a quella che sembrava una generale impotenza, di fronte a chi negava l’esistenza stessa della mafia. Già allora mi ero posto l’obiettivo di indagare per cercare i responsabili di quei delitti e per comprenderne le motivazioni, ed ero convinto che attraverso il mio lavoro avrei potuto perseguire un ideale di giustizia che consentisse ai siciliani di sentirsi più liberi da quella cappa oppressiva di brutalità e di sangue. Naturalmente non era detto che ci riuscissi, mio padre mi disse che non poteva aiutarmi se non mantenendomi agli studi e che per il resto avrei dovuto impegnarmi con tutta la mia volontà. A diciassette anni conseguii il diploma di maturità classica presso il liceo Meli (lo stesso di Borsellino), a ventuno mi laureai in giurisprudenza e a ventidue partecipai al concorso per entrare in magistratura. A ventiquattro anni avevo raggiunto il mio obiettivo: ero magistrato. Dall’ottobre 1969 fino al gennaio 2013, quando sono andato in pensione, ho vissuto la mia professione con entusiasmo e con il massimo impegno per cercare di contrastare, sull’esempio di tanti martiri, tra cui amici e colleghi, la mafia in tutte le sue forme ed espressioni, al Sud come al Nord, in Italia come all’estero, e per continuare strenuamente a ricercare verità e giustizia.