29. ULTIMI GIORNI E ULTIME NOTTI DI STORYVILLE.
Ecco come andavano le cose quando a New Orleans si poteva gestire un casino sotto gli occhi di tutti. Bisognava stare bene all'erta lo stesso. Le tangenti bisognava continuare a pagarle, perché potevano farvi chiudere la casa per una sciocchezza qualsiasi, perché le condutture dell'acqua perdevano, o perché tenevate dei vecchi giornali in uno stanzino, e potevano costituire pericolo d'incendio. Qualsiasi sciocchezza poteva costituire un'infrazione ai regolamenti. Io avevo sempre ottime protezioni, poiché personaggi altolocati prendevano una quota degli incassi della casa. Con tutto ciò, era sempre un problema trovare le ragazze adatte, stare attenti che non si esaurissero per superlavoro, o che non si mettessero ad annusare polverina, tenerle al loro posto, non permettere che i loro ganzi venissero a infestare la casa, e stare attenti a non farsi rubare i liquori. Adesso che una casa non era più esposta ad accuse di oscenità, licenziosità e prostituzione, si poteva gestirla ponendo più attenzione ai particolari. Nei primi anni del secolo (e la nuova èra fu festeggiata da noi con una festa veramente di prim'ordine), vi fu una specie di crollo nei modi tradizionali di far le cose; sembrava che la morale stesse andando a rotoli. Ma fu soltanto nel 1914 che tutto fu travolto. I patiti della frusta si erano moltiplicati, e si frustavano sul culo l'un l'altro; i vitaioli in uniforme cominciarono a chiamarlo "le vice anglais". Gli spettacoli erotici dovevano essere più vivaci, e anche un po' pazzi. I vecchi tempi stavano tramontando, e me ne resi conto quando la coquetterie cedette il posto a certe danze pazze tipo il Castle Walk e il Bunny Hug, e i gianni, ballando, quasi facevano dei buchi sul tappeto del salotto. Bevevano ancora champagne, ma il cocktail diventava sempre più popolare, e Harry doveva imparare sempre nuove misture. Le puttane erano sempre più magre, con le tette piccole, e il culo alla Lillian Russell o alla Lillie Langtry era decisamente tramontato. Io avevo ancora un paio di ragazze ben fornite, vere donne dalle curve pronunciate, in modo da far felici i vecchi clienti. Ma le ragazze magre alla Gibson, all'Anna Held, e alla Kellerman, erano sempre più ricercate, e dovevo assumere delle ragazze che in passato non avrei nemmeno usato come esca per i topi, ai tempi in cui Lillian Russell furoreggiava con quelle chiappe così belle che sembrava una nave da guerra con tutte le bandiere al vento.
Quando venne l'epoca delle maschiette - mano gratuita sul sedile posteriore delle macchine - che cominciò subito dopo la Guerra Mondiale, io non ero più nel commercio, ma sentivo le tenutarie che venivano a villeggiare giù in Florida lagnarsi di quelle dannate ragazze che sembravano ragazzi, e di cui dovevano rifornirsi per le loro case. "E' come fottere un serpente". Un professore - non un suonatore di pianoforte, intendo un vero professore - che spesso veniva nella mia casa di Basin Street, e se ne stava in maniche di camicia nel salotto posteriore, e parlava della decadenza di questo e del crollo di quell'altro, riempiendomi la testa con della roba sociologica di cui non capivo un'acca, diceva che le abitudini stavano cambiando in tutto il mondo. Era un simpatico vecchio citrullo appartenente alla schiera di quelli che nel commercio vengono chiamati linguisti. Io stessa potei constatare il cambiamento, dopo il 1914, nel modo in cui la gente impazziva, e i prezzi salivano a più non posso; anch'io alzai il prezzo, e accorciai un poco i tempi, e adesso impiegavo francamente ragazze di colore, scure, gialle, o dorate, e non le chiamavo nemmeno più spagnole o cinesi. Alcuni dei vecchi princìpi erano crollati, ma io continuavo ancora a tener fuori il voodoo, i finocchi, le lesbiche, e i film porno. In certe case si proiettavano certi film fatti in Francia, ma io mi sono sempre vantata che da noi si poteva fare con i nostri mezzi quasi tutto quello che essi mostravano - se uno pagava il prezzo giusto. Tenevo alla larga i pistola che seviziavano le ragazze al punto di farle sanguinare o di riempirle di lividi. Un po' di frusta, beninteso, faceva parte del gioco, e avevo un paio di ragazze di chiappe dure, alle quali piaceva abbastanza, e così, per loro, più che una sevizia era un piacere avere il culo tutto striato di rosso al punto che dovevano mangiare in piedi. Quando parve chiaro che anche noi saremmo entrati in guerra, anche le ragazze sembrarono farsi più sfacciate. Adesso le reclutavo dove le trovavo, ed ebbi perfino un'autentica signora della buona società, alle quali ero sempre stata contraria. Abitava vicino al lago Charles, dove aveva un marito e dei figli, ma le piaceva molto farsi sbattere con violenza, era una fanatica del cazzo, quanto più grosso e prepotente, tanto meglio. Apparteneva a una famiglia socialmente importante, e ricchissima. Si faceva chiamare Alice, e le piaceva venir giù da noi, nei periodi di gran movimento e si tratteneva per una settimana; venivano costruttori navali con grossi portafogli, e spedizionieri arricchiti - ogni sorta di gentaglia dura e volgare, che si stava arricchendo con la guerra. Costoro non erano mai entrati prima di allora in un casino di lusso come il mio, e spaccavano letteralmente tutto, provavano tutto quello che avevano visto sulle cartoline francesi, e trattavano le puttane a calze di seta, boccette di profumo, e liquori. Distruggevano praticamente una stanza, fracassavano tutto ma poi pagavano. Ad Alice, costoro piacevano, anzi, ne andava pazza, e quanto più erano volgari e sporchi, tanto più le piacevano. Non era mai sazia di farsi infilare, sbattere, succhiare, leccare, frustare - era un manuale di sessuologia ambulante e alcuni di quei lumaconi, con le loro camicie nuove di seta, e perfino le ghette, gliene facevano passare d'ogni colore. Aveva avuto estasi e orgasmi come una mitragliatrice, mi raccontava il lunedì a mezzogiorno, al momento di ripartire per il lago Charles, tutta pesta, male in gambe, pallida come la pancia di un pesce, ma felice. Era questo tipo di atmosfera, erano queste donne fuori dell'ambiente che si davano alla vita allegra, a rovinare il commercio delle case, ma in quel momento noi non ce ne rendevamo conto. Non che fossi diventata una moralista, ma cominciavo ad averne abbastanza. Come ho già detto, le guerre fanno diventare il sesso una specie di malattia, un furore epidemico. Noi, a Storyville, potevamo constatarlo a mano a mano che la guerra si faceva sempre più grande. Una quantità di gianni cominciavano a trovare il modo di sfogarsi nei loro circoli sportivi, o con incontri casuali, non con battone, ma con donne che conoscevano ai tè danzanti o nei vestiboli degli alberghi, donne che uscivano per passare un pomeriggio allegro, o per avere un po' di spasso, e magari guadagnarsi una boccetta di profumo. Cominciammo anche ad accogliere ragazzi sempre più giovani, nella loro attillata tunica militare, con stivaloni, e cinturoni alla Sam Browne. Ufficiali in addestramento, e ufficiali della Riserva Navale. New Orleans era un grande porto militare e un centro di addestramento, e al principio, per i casini fu come tornare ai tempi della febbre dell'oro del '49. Fornicare era diventata un'epidemia. Ma c'era qualcosa che non andava, e, parlandone con le altre tenutarie, anche loro si dimostravano di questo parere. Io non leggevo gran che i giornali, e anche le ragazze li toccavano raramente; le loro letture, per quelle che sapevano leggere, erano i romanzetti e gli oroscopi. Diventavano sempre più sciattone e dovevo ordinare a Harry di dargli una buona strigliata per svegliarle un po'. Ma se ne scappavano giù dalla scala secondaria, oppure semplicemente non ritornavano, dopo la loro giornata di libertà col loro dolce papalino, o con qualche amante ufficiale. Le guerre possono essere delle miniere d'oro, per il commercio, ma danno anche parecchi grattacapi. Per un certo tempo, io non fui molto sicura del perché dovessimo entrare anche noi in questa guerra. Avevo votato per Woodrow Wilson (io ho sempre votato con tutte le ragazze, e qualche volta, ognuna di noi, due volte, come ci diceva il galoppino elettorale il giorno delle elezioni). Wilson "ci aveva tenuti fuori della guerra" e diceva "che noi eravamo troppo orgogliosi per combattere". Ma non mi sentii molto dispiaciuta quando le trombe cominciarono a suonare "Laggiù", e le puttane, tutte vestite di bianco come crocerossine, andavano in giro, il pomeriggio, per collaborare alla sottoscrizione del Prestito della Libertà. E magari guadagnarsi un extra di cinque o dieci dollari facendo una manuccia alla svelta con qualche ufficiale. Era un bene, poiché spesso ritornavano con qualche gianni, o con qualche alto ufficiale o senatore, e gli pareva di raddoppiare la loro opera patriottica. Le ruberie da parte delle autorità erano andate aumentando sempre più, e i giornali parlavano malissimo di noi, il che era un guaio. Il Consiglio Comunale, consapevole della crescente richiesta di letti caldi per incontri sessuali e di ragazze a gambe aperte, aumentò le tangenti, e nel luglio 1917 riservò un'area della città alle prostitute negre, compresa tra la parte alta di Perdido Street e il lato inferiore di Locust Street. Ma era tutta polvere negli occhi. Non era più possibile separare le ragazze negre dalle bianche o le gialle o le rosee. Tutto ciò che si poteva usare a letto veniva messo al servizio della patria, per così dire, e la domanda continuava ad aumentare di pari passo con la guerra. Ognuno voleva farsi un'ultima serie di chiavate prima di andare al fronte. Ogni ragazzo di campagna voleva farsi una grandiosa fottuta in una vera casa, prima di partire e magari lasciarci la pelle. Come ho già osservato, l'idea della guerra e della morte rende l'uomo più arrapato che mai, e voglioso di darci dentro quanto più possibile. A volte non si tratta nemmeno di vero piacere, è una sorta di collasso nervoso che egli può curare soltanto con una ragazza tra lui e il materasso. Alcuni erano insaziabili e si rovinavano, altri erano come un gallo che corre dietro a qualunque gallina gli venga a tiro. Una notte sognai che l'intera città stava affondando in un mare di sperma. Il primo segno che la pacchia stava per finire lo si ebbe nell'agosto 1917, ma noi non pensammo si trattasse di una cosa seria. Washington cominciò a regolamentare la prostituzione entro cinque miglia dai campi militari e i centri navali. Alle regolamentazioni seguirono altre regolamentazioni. Storyville aveva i giorni contati. I ragazzi, fu deciso, potevano morire per la loro patria ma non andare a letto per essa. Nell'ottobre 1917 il Consiglio Comunale votò l'abolizione di Storyville. Ecco come suona l'ordinanza. Ne ho ancora una copia: "Considerando il riconoscimento legale della prostituzione come un male necessario, in una città portuale delle dimensioni di New Orleans, questo Consiglio Comunale aveva ritenuto che la situazione potesse essere controllata più facilmente, e in maniera più soddisfacente, confinandola entro un'area determinata. La nostra esperienza ci ha insegnato che le ragioni di questo sono inderogabili, ma il Dipartimento della Marina del Governo federale ha deciso altrimenti". Il documento concludeva che alla mezzanotte del 12 novembre 1917, sarebbe stato illegale gestire un bordello nella città di New Orleans. Io pensai che i bordelli avrebbero potuto ottenere protezione e rimanere aperti. Ma non fu così. Alcune compagnie di assicurazione contro gli incendi stornarono le polizze riguardanti Storyville. Il capo dei pompieri disse che si stava complottando di dar fuoco al quartiere. Ci preparammo alla chiusura. Andate a lottare contro il Municipio, o addirittura contro Washington, con una testa di cazzo come Woodrow Wilson a capo del paese. Non erano certo i guerrafondai americani a fornire ai soldati e ai marinai un facile accesso alle donne. Da noi, i giovanotti gonfi della linfa della gioventù avrebbero dovuto soddisfarsi con le riviste, le canzonette, le torte dell'Y.M.C.A., e un po' di manfrine da soli, nella loro branda. Spesso mi domando perché non siano i soldati a gestire la loro guerra. Forse perché i vecchi gli raccontano tante di quelle balle da annebbiargli il cervello. Non ho mai creduto nelle stragi di giovanotti. Io non son tipo da mettermi a urlare di rabbia, e da sbattere la testa contro i muri. Mi volto e me ne vado. La maggior parte delle case chiusero i battenti. Storyville era diventata un cimitero dove perfino i fantasmi sembravano affamati. Io decisi di rimanere fino alla fine. E così si arrivò alla mezzanotte del 12 novembre. Una certa signora Dix aveva cercato di ottenere una proroga. Niente da fare. Io avrei chiuso la casa con tutte le bandiere spiegate, e non avrei continuato. Era la mia serata d'addio, per così dire, e non piangevo, ma nemmeno gettavo baci. Per due settimane il quartiere era stato percorso in lungo e in largo da carri e carretti. Io avevo venduto l'intera azienda, mobilio e tutto, a un greco che aveva aperto un piccolo casino tranquillo vicino alla base militare, e che sarebbe venuto a prendere la roba il mattino dopo. Era un uomo d'iniziativa, e aveva dieci grasse parenti che avrebbe impiegato come puttane. Le ragazze indossavano i loro più begli abiti da sera, e i negligés più eleganti, e per la chiusura della mia casa avevo invitato i vecchi clienti, gli ufficiali che erano diventati assidui, e i gianni della migliore società di cui ero stata tanto orgogliosa. Avevo invitato cinquanta persone, se ne presentarono settantacinque, facendo finta di niente. Aprimmo alle nove; dovevamo chiudere a mezzanotte, e spegnere le vecchie lanterne al dodicesimo rintocco, come Cenerentola. Le ragazze erano tutte ben truccate, coi capelli pettinati all'insù, e talmente su di giri che allungavano la mano ai bottoni della patta degli uomini. Qualcuno aveva passato in giro una bottiglia - sembravano come in un incendio. Anni di disciplina andavano a farsi fottere. Lascia che si sfoghino, pensai. Erano tutte eccitate e arrabbiate, ma anche felici. Metà erano già ubriache, poiché, con mance, si erano fatte portare dalle domestiche negre delle bottiglie su in camera, prima di scendere. Io avevo venduto la maggior parte della mia cantina al club B..., per diecimila dollari. Per anni avevo continuato a immagazzinare roba di prim'ordine, e avevo tenuto da parte dello champagne, dell'acquavite, del bourbon e del rye ben invecchiati. A quell'epoca, erano pochi quelli che bevevano scotch. Avevo fatto aprire un barilotto di birra nel salotto grande e in quello riservato. Harry serviva al banco del bar. Anche lui era piuttosto cotto, e si teneva accanto, dietro il banco, il grosso cane Prince, ogni tanto piluccava qualcosa dal buffet, dove avevo fatto affettare l'ultimo dei grossi prosciutti affumicati, del tacchino, del pesce, un intero assortimento di gamberi, di aragoste, e di granchi dal guscio molle. Nessuno doveva spendere un centesimo, per tutto questo - le ragazze, il mangiare, e il bere, era tutto a carico della casa. Se qualche puttana chiedeva un regaluccio d'addio, per le ultime chiavate a Storyville, questo riguardava soltanto il gianni. Io non c'entravo più. Verso le dieci, una banda di teppisti cercò di entrare, ma il sindaco aveva riempito Storyville di poliziotti, quella sera, poiché era corsa voce che le puttane e i loro amici avrebbero dato fuoco al quartiere, al momento d'abbandonarlo. I poliziotti non lasciavano entrare nessuno nella casa, a meno che io gli dicessi che erano miei amici o invitati. Non volevo far entrare nessuno che potesse rovinare la festa, nessuno di quegli schifosi pescicani, con le loro camicie di seta da venti dollari e i loro modi volgari. Un vecchio signore, un giudice, si mise a piangere, seduto sulle scale, con due puttane nude sulle ginocchia, che cercavano di farglielo venir duro, e il professore, quello vero, fece un lungo discorso sulla caduta di Roma, che, secondo me, c'entrava come i cavoli a merenda. Dopo un po' mi stufai di tutto quanto e me ne andai nella mia stanza da letto con qualche vecchio cliente; avevano tutti un'aria molto vecchia, e anch'io mi sentivo vecchia. Non mi ubriacai come mi ero aspettata. La roba che bevevo non mi faceva effetto, quella sera. Centellinando, parlavamo delle ragazze che erano morte, o che erano impazzite, delle feste di Capodanno e del Quattro Luglio; di quella volta che eravamo andati tutti alla messa per assistere al matrimonio di una puttana di Richmond col figlio di un impresario di costruzioni stradali, e poi parlammo del tipo di donne che si mettevano a fare le puttane al giorno d'oggi. Fica gratis non è buona fica. Ci vuole pratica, esperienza, gentilezza, e compenso. Alice, la signora distinta del lago Charles, stava facendo un baccano d'inferno in una vasta ammucchiata nella sua stanza con alcuni ufficiali texani, veri bastardi schifosi come lo sono certi texani. Dissi a Harry di fargliela smettere; di farla vestire, e di cacciarla in un taxi che la portasse alla stazione, e, sperabilmente, al lago Charles. Lei continuava a strapparsi i vestiti appena glieli mettevano addosso, e urlava: "Oh, Dio, il lago Charles, e Sam, e ogni giorno la stessa storia! E la chiamano vita!". Faceva dei discorsi pazzi agli ufficiali e agli altri clienti, sulla sua bravura a letto, la sua resistenza, la sua capacità d'invenzione, ma infine Harry riuscì a ficcarla in un taxi con una ragazza Caiana che tornava a Lafayette, dove la sua famiglia faceva la pesca dei gamberi. Fu l'ultima vera chiassata della casa. A mezzanotte stavo sotto il grande candelabro dell'ingresso, che aveva perso alcuni dei suoi cristalli, e bevemmo tutti insieme l'ultima coppa di champagne, le puttane piangevano, sia le nude che le vestite, e i gianni nudi, vestiti, o semivestiti, scendevano dal piano di sopra. Fu una cosa commovente. Guardando le rovine del bar e del buffet, i cuscini sbudellati, tutto ciò che riuscii a pensare fu quanto sarebbe stato l'incasso di quella notte se non avessi preso tutto a mio carico. Le abitudini, in me, difficilmente vengono meno. Ma ne avevo fino agli occhi, di gestire un casino. Avevo da parte un bel gruzzolo, in azioni che mi erano state consigliate da un cliente. Avevo un appartamento in Florida, dove sarei andata a stare, e alcune aree fabbricabili a Saint Louis. Lasciavo la città, e al mattino dopo avrei consegnato tutto al greco, col mazzo delle chiavi. Era dal 1880, che facevo la tenutaria. Dicevo di avere quarantanove anni, ma ne avevo sessantatré, e li sentivo. Mi sentivo le giunture irrigidite, e il mondo dei gaudenti non aveva più nessuna classe. La guerra aveva cambiato tutto, prevedevo che tutto sarebbe cambiato molto di più, e non volevo averci niente a che fare. Ero veramente stanca, e non avevo nessuna storia con nessun uomo. Il sesso era una cosa di cui potevo fare a meno. Ho sempre pensato che una tenutaria se la passava molto meglio se era un po' frigida. Alcune delle mie colleghe, dopo la chiusura di Storyville, cercarono di gestire qualche casino clandestino, ma le autorità di polizia erano troppo impaurite per permetterglielo. Il Dipartimento di Giustizia aveva messo sulla scena i suoi uomini, e nessuno riusciva a immaginare il loro prezzo. Non già che fossero onesti, ma, anche se corrotti, non c'era da fidarsi di loro: s'intascavano i soldi e non davano nessuna protezione. I funzionari federali sono di solito dei porci, dei bastardi schifosi e rapaci; di solito galoppini elettorali che vengono ricompensati con questi posti di tutto riposo. Arrivò mezzanotte, e i clienti, i gianni, uscirono completamente dalla mia vita. Le puttane fecero su la loro roba, e col cappello sulle ventitré, la maggior parte se ne andarono col loro ganzo. Le domestiche negre e l'uomo di fatica se ne andarono, rastrellando gli avanzi della cena e un po' di bottiglie. La mia cuoca Lacey Belle aveva fatto i suoi bagagli, l'enorme ombrello turchino arrotolato e infilato sotto le cinghie della sua valigia di cuoio. Stava vuotando il secchio della spazzatura quando entrai in cucina per versarle il suo avere. Disse che partiva per la Georgia, dove sarebbe rimasta una settimana, ospite di parenti, e poi sarebbe andata su a Detroit. Non voleva che i suoi figli - aveva due ragazzi all'Università di Howard - crescessero in un posto dove li avrebbero chiamati teste di cazzo, e il Klan li avrebbe magari accoppati. Anche lei era vecchia, e non stava troppo bene di salute. Spero che si sia trovata bene a Detroit, e che i suoi ragazzi non siano stati arrostiti su qualche barbecue del Klan. Harry era ben sistemato. Aveva comprato delle quote di alcuni pescherecci di gamberi, e si ritirava a Key West, portandosi dietro il nostro cane da guardia. Io avevo sessantatré anni. Che cosa sentivo e pensavo, in quel momento? Prima di tutto, non sono affatto d'accordo con quella poesia sulla vecchiaia che un cliente rincretinito aveva recitato, una sera, e che diceva che: "il meglio deve ancora venire". Una fava. A sessantatré anni, dovevo guardare indietro alla mia vita, non avanti, e lo sapevo. Mi ritiravo dagli affari con un discreto gruzzolo, e una certa quantità di azioni e di titoli da poter affrontare una vecchiaia sopportabile ammesso che la vecchiaia possa mai essere sopportabile. Ma chi avrebbe immaginato che il crollo del mercato immobiliare in Florida, alla metà degli anni venti, si sarebbe ingoiato la maggior parte del mio liquido, o che la Grande Crisi di Hoover avrebbe ridotto quasi al nulla tutti i miei investimenti azionari? E oltre a ciò... ma non andiamo troppo lontano. Mi limiterò a dire che la notte in cui chiusi la mia casa, pensavo di avere buoni dollari e azioni sufficienti per poter stare tranquilla, anche se più tardi sembrarono stampati su gocce di pioggia. Era stata, pensavo quella notte, una vita dura in molti sensi, ma anche interessante. A volte, una vita pazza - non era il caso di illudersi - ma, tutto sommato, più felice e più attiva di quella della maggior parte della gente. L'avevo vissuta più che altro sola - quando non lavoravo, voglio dire. Era stata una vita solitaria e dura. Avevo preso le mie decisioni da sola, su dove andare, e su che cosa fare una volta che ci fossi andata. Ma mi resi conto anche che, in definitiva, non ero stata più libera di quanto lo sia la maggior parte della gente. Ero stata condizionata dai tempi e dalle cose che succedevano, dall'umore della gente, dalle abitudini, e dalle necessità; tutto questo mi aveva sbattuta qua e là, come fa il vento con una barca a vela. Certo, il caso mi aveva giocato dei tiri mancini, ma anche la fortuna, che è molto conveniente avere dalla nostra parte, era intervenuta più volte, dandomi una spinta o una raddrizzata. Avevo imparato molte cose sulla vita, assai di più di quanto credo si possa imparare nei libri, e mi ero tirata fuori usando il mio giudizio e la mia immaginazione, e sentendo che la gente, fessi e furbi, erano tutti quanti parte di me e del mondo. Loro, noi, non sono così cattivi come alcuni credono, e così scemi come pensano altri. Non ho mai pensato di essere molto diversa da loro. Se la fortuna mi avesse toccata in altro modo, avrei potuto essere una signora, avere un'istruzione, avere dei bambini e dei nipoti. In mancanza di fortuna avrei potuto avere un'altra sorte assai peggiore. Sarei potuta finire un rottame, un povero mucchietto d'immondizia galleggiante sul rigagnolo. Non avrei mai avuto un mio modo di vivere - qualunque cosa ciò possa significare. Sono stata abbastanza intelligente da sapere che c'era un mucchio di cose che non avrei mai saputo. Non sono mai stata abbastanza intelligente da immaginare che ci fosse "qualcosa" in qualche posto che dirigesse la mia vita. Non che fossi del tutto sicura ch'ero sola ad affrontare le difficoltà e a decidere quale via imboccare. Forse era un po' l'uno e un po' l'altro. Non ho la pretesa di saperlo. Non credo che fare la puttana, la tenutaria, a contatto con la miglior gente, con la parte maschile per lo meno, facesse molta differenza nel vederla come la vedevo io, dal fondo o dalla cima della società. Era come una torta rivoltata, quale parte fosse il dritto e quale il rovescio dipendeva da quante volte la rivoltavate. Quando si arrivava alle cose importanti, la crema della società era altrettanto sola, altrettanto vulnerabile, altrettanto smarrita e disonesta quanto la parte più bassa. Quelli che stavano su, mentivano a proposito dei loro diritti, della loro importanza. Sapevano benissimo che il loro sistema politico era in gran parte una turlupinatura e un inganno, un vendere e comprare. In realtà, si rifiutavano di credere che i neri, gli ebrei, i poveri, tutta la gente che sudava e puzzava, non avessero accesso ai diritti che aveva la gente di qualità. La società chiudeva gli occhi su ciò che sapeva era sbagliato e sporco, e parlavano tanto di Dio e di fede, ma li gettavano via non appena uscivano dalla chiesa nella loro parata domenicale. Quanto alla malavita - per tutti gli anni che ci fui dentro - e al mondo delle puttane e delle tenutarie, noi non avevamo quella che la maggior parte della gente chiama morale. Noi eravamo storti e toccati nella testa, in molti sensi. Pure, alcune delle migliori persone che ho conosciuto provenivano da questo tipo di vita (anche alcune delle peggiori). Noi si viveva interamente, fino all'ultimo centimetro della candela. I migliori di noi, al momento del bisogno vi danno una mano. Ma non v'è niente di nobile in una puttana, o in una tenutaria, o in un ruffiano, come pure nella gente con la quale noi avevamo a che fare - i padroni di casa, la polizia, i pubblici funzionari. Noi facciamo parte di una società che è marcia subito al di sotto della superficie. Dimostriamo di essere degli esseri umani cercando di fare qualcosa, di servire a qualcuno. Io ho sempre cercato di vedere il quadro nel suo insieme. Tutti quanti, etichettati e non. Parole come "buono" e "cattivo" non hanno mai avuto molto significato, per me, come pure le parole "rispettabile" e "non rispettabile". Vedevo la gente semplicemente come tale, nascere, crescere, chiavare, mangiare, amare, desiderare, perdere, esser triste, invecchiare, odiare, morire. Certe volte era troppo, e non potevate farci nulla, vi sareste spezzati il cuore. A volte non si vedeva che senso vi fosse ad andare avanti. Sarebbe stata sempre la stessa cosa, sempre la stessa cosa. Ma io andavo avanti ugualmente. Rimasi sulla breccia tutto il tempo. Era amore per la vita, sinceramente, il piacere di vedere che cosa c'era sotto il prossimo piatto, voltato il prossimo angolo. Imparai presto a vivere giorno per giorno. Per poterlo fare, bisogna dimenticare la speranza, e dimenticare la fede. Sì, avete capito esattamente. Se si lascia da parte queste due grandi cose, si può continuare a vivere. Quello che ci butta giù è sempre la nostra speranza nel domani, la speranza nel futuro, la speranza nella gente. E la fede? Fede in che cosa? Nella ricompensa in cielo? Ecco un tale che viene fuori a dirci che questa è l'unica fede, e quello che gli sta accanto dice: No, la vera fede è la mia. Ciascuno ha una propria idea della fede, ma nessuno è d'accordo con un altro. Per me, è stato meglio vivere senza nessuna delle fedi organizzate. E' come un toast bruciato, bisogna raschiare via un sacco di roba prima di trovare ciò che c'è rimasto del pane bianco originale. Io sono una giocatrice. Direi che c'è forse una sola probabilità che ci sia un Dio che s'interessi personalmente a me, e novantanove probabilità che non ci sia. E' l'atteggiamento del buon giocatore. Non so quale sia il mistero, non so che cosa ci crei e poi ci distrugga. Ma fin da quando ero piccola che arrivavo appena alla manovella della pompa, non ho mai creduto che qualcuno sappia veramente le risposte a queste domande. Non m'interessava, un Dio che aveva fatto morire Monte e Sonny, e che faceva morire soffocati i bambini piccoli in quelle sporche stanze di città. O che lasciava arrostire all'inferno i bambini non battezzati. Io sono una donna religiosa, ma fuori delle vecchie regole. La mia religione è vivere, essere me stessa, non far del male al prossimo, non essere troppo severa nel giudicare, non dire che con questo merlo posso parlare e con quest'altro no. Se ho un credo, è di mantenere la mia parola, pago per tutto ciò che ricevo, non sono amabile, non sono gentile con gli scemi. Per ciò che pago voglio il peso giusto. Qualunque cosa io sia, voglio ugualmente essere me stessa. Chiunque, qualunque cosa mi ucciderà, voglio essere in grado di fargli un palmo di naso e dirgli: "Grazie per il passaggio". Ecco pressappoco come la pensavo quell'ultima notte, quando chiusi la mia casa. E continuo a pensarla così, solo che gli angoli si sono un po' smussati. Sono ancora la stessa, solo un po' più rigida nelle giunture, con un po' più di rughe. E molto meno sicura del mio tetto, del mio vitto e del mio alloggio, senza più il bel gruzzolo con cui mi ero ritirata. Si finisce immancabilmente per scoprire due cose. Che non è il Signore che ci dà e ci prende. E' la gente, e le condizioni generali. La seconda è che se continuiamo a svegliarci ogni mattina, possiamo anche continuare a vivere. E così, addio, Storyville, mia ultima casa. Quella notte dormii bene e profondamente per la prima volta dopo settimane e, alle dieci del mattino dopo, feci i miei addii a Harry e al cane, lasciai le chiavi per il greco, e andai alla stazione a prendere il treno per la Florida. Le strade erano piene di cartacce e di bottiglie rotte, e qualcuno aveva dato fuoco a un vecchio furgone di lavandaio, a Storyville... ammesso che potesse ancora chiamarsi Storyville. Gli ero affezionata, a quel dannato posto.