9. IL COMMERCIO DELLA CARNE.
Raccontare nei particolari la mia vita durante gli anni che passai a far marchette nel casino dei Flegel a Saint Louis, sarebbe una storia noiosa, una continua ripetizione delle stesse cose. Per la maggior parte del tempo, la vita in un magazzino di chiavate è altrettanto noiosa di quella di un marinaio, o di un macchinista delle ferrovie. Una volta ogni tanto, all'improvviso, può succedere qualcosa di grosso, ma ciò avviene raramente. L'incessante trascorrere delle ore si trasforma in giorni e giorni; nelle mie notti di lavoro, le settimane diventavano mesi, e, accidenti, ecco che d'un tratto, ero invecchiata di un altro anno. Un paio di migliaia di notti in salotto, diverse migliaia di volte nel letto. La città si andava ingrandendo. V'erano fiere, raduni, elezioni, scandali. Casi di corruzione politica di cui certe volte venivamo a sapere i retroscena dagli stessi protagonisti. Il mondo esterno era immediatamente al di là delle tende del nostro salotto. Attraverso i pesanti drappeggi di casa Flegel a noi ne arrivava soltanto l'odore, soltanto gli echi. Ci appariva come se lo vedessimo di sbieco - ne sentivamo il sapore come se assaggiassimo le briciole di una torta che qualche altro stesse mangiando. A quell'epoca, ogni volta che uscivamo dalla casa, era come andare in un paese di indiani ostili, ma senza alcun pericolo. I clienti più anziani morivano. I loro figli venivano a farci visita per farsi pistellare le birille, per abbandonare la loro verginità. Arrivavano nuovi uomini a fare strani discorsi nel salone del municipio, a parlare di soldi; forse le due parole, "potere" e "denaro", sono la stessa cosa. Noi conoscevamo i gianni fuori della loro famiglia, e vedevamo le loro piccole cattive abitudini, i loro gesti, i loro atteggiamenti di dubbio, di scoraggiamento. Accidenti, come può essere depresso un milionario, un industriale di mobili, uno spedizioniere, un ricco commerciante di granaglie, con una puttana da venti dollari alle due del mattino, con la pioggia che batte sul tetto come piselli secchi, e lui deve alzarsi e andarsene a casa. La moda cambiava, le sottogonne diminuivano di numero, diventavano più eleganti, i cappelli si portavano più calzati, la falda si allargava, ed era tutta piena di aigrettes e di penne dorate. Oppure la falda era più stretta, ornata di velluti e di nastri. Ogni ragazza aveva una collezione di ganci e di bottoni d'argento e d'oro, boccette di profumo, ritratti di qualche attore, o pugilatore, o capo politico, un qualche eroe, attaccati allo specchio, o sopra la toeletta. Era una vita regolare come il sorgere del sole; la gioia, le finzioni, le speranze, la mancanza di speranze, e le idee di suicidio, tutto regolare. E c'era anche uno scrollarsi di dosso il presente, e un'idea nebulosa dell'avvenire. Tra noi ci raccontavamo un sacco di storie a proposito del nostro futuro alle altre e a noi stesse. Un giorno o l'altro sarebbe arrivato un qualche riccone di alta classe e ci avrebbe tirate fuori dal casino. Avremmo avuto un grande palazzo, una villa coperta di rampicanti, come quelle che erano disegnate sui fogli di musica sul pianoforte del salotto - dappertutto grandi e meravigliosi rosai, e in cielo la luna piena. Ma il sogno non aveva particolari, e nel mio intimo pensavo che l'idea di una casetta con le rose era deprimente come una giornata di nebbia. Era troppo somigliante alla cascina da cui ero venuta. Io ero una puttana meravigliosa. Non vedo nessuna ragione di non ammetterlo adesso che i miei giorni e le mie notti di ragazza sono ormai lontani anni e anni. Napoleone o U. S. Grant certo non hanno mai detto di non essere dei meravigliosi generali. Non ho mai conosciuto un attore che non dicesse che era meraviglioso. Quanto poi ai magistrati, ai senatori, ai pezzi grossi della politica, tutti quanti, sia a letto, sia in salotto, mi hanno sempre dato l'impressione di sapere benissimo il loro valore, la loro posizione. Ho sempre pensato che una puttana è in certo senso una specie di super-moglie. Almeno nella sfera della vita intima. E' superiore a una moglie in quanto si situa in una dimensione drammatica, non costituisce una noiosa abitudine domestica. Sa come soddisfare sessualmente un uomo fino a farlo diventare un tremolante ammasso di gelatina. Lo adula, non lo critica mai, non lo diminuisce mai. Una puttana soddisfa l'amor proprio di un uomo, innalza l'idea che egli ha di se stesso, come persona importante, vitale, e piena di virilità. Un gaudente straordinario, uno stallone di prima forza, un gran bevitore, generoso nei regali, affascinante parlatore, un tipo spiritoso, e un uomo di mondo - un vero cronometro svizzero con sedici rubini. Non ce ne frega niente se ha delle abitudini di sciattone, né chiediamo il suo consiglio sul come comportarci con una serva sgarbata, né ci lamentiamo con lui per il lavandino che perde. Una puttana non si fa mai vedere se non perfettamente lavata e profumata. Quando sta con un uomo, è sempre arricciata e truccata a dovere, si fa sempre vedere a lume di candela, in una luce romantica ben studiata. Non rifiuta mai il suo corpo, non dice che ha mal di testa né accusa l'uomo di avere brutte abitudini. Mai che gli usi le sue attenzioni di malavoglia, o lo accusi ("Avanti, per l'amor di Dio, vedi di spicciarti, bestione che non sei altro!") di non pensare che a quello. Noi ragazze ascoltavamo in tutti i particolari le storie di letto delle famiglie bene di Saint Louis - tra le braccia dei mariti che venivano da noi sia per scaricare i tubi sia per sfogare la loro afflizione e la loro noia. Io ero molto attenta con gli uomini, e m'interessavano le loro abitudini. Avevo un cervello che funzionava piuttosto bene, intonato al mio corpo. Anche qui, non ho nessuna intenzione di darmi arie. Il cervello di ciascuno dipende da che tipo di nonni uno ha avuto, e bisogna risalire indietro un paio di centinaia d'anni. O almeno, così una volta mi disse un dottore di Berkeley, nudo, nella mia casa di San Francisco, spiegandomi perché lui non riusciva ad avere un'erezione troppo spesso. Nessuno della sua famiglia c'era mai riuscito gran che, dopo i trentacinque anni. Ero ignorante, sapevo a malapena leggere e scrivere, ma facevo esercizi di calligrafia col pennino Spencer e una boccetta d'inchiostro turchino. Cercavo di copiare cose dai giornali e dalle riviste. Mi comprai un libro di calligrafia, e facevo esercizio di anellate, o disegnando a penna uccelli, nuvole e frutta, o tracciando delle k e delle h maiuscole. A suo tempo riuscii a scrivere una lettera con discreta calligrafia. Cercavo di parlare facendo sentire la desinenza in g, nelle parole che avevano la desinenza in g. Non sono mai riuscita a imparare la grammatica alla perfezione, ma ascoltando la gente più fine che frequentava i casini di lusso, col tempo riuscii a evitare molti degli errori più comuni. Preferirei essere arrestata, piuttosto che dire una smarronata - quasi. Ma non sono mai riuscita ad afferrare tutti i segreti della grammatica. Quanto alle parole difficili, io scrivo come parlo - voglio essere sicura del significato di ciò che dico. In tutti quegli anni, non rimasi mai incinta. Emma Flegel c'insegnava alcuni trucchi, certi impacchi, certe irrigazioni, che ce lo evitavano. Nei rari casi in cui una di noi rimaneva incinta, si poteva comprare in qualunque farmacia una certa pillola nera che, presa per tre giorni, con dei bagni caldi, di solito metteva tutto a posto. Quando una ragazza aveva un ritardo nelle mestruazioni, dicevamo che era "caduta dal tetto". Nella nostra qualità di puttane, imparammo il modo di esaminare un gianni, senza farcene accorgere, per vedere se non era ammalato di Grosso Casino o di Piccolo Casino. Si diventava delle attrici eccellenti nel fingere il piacere sessuale, e lo stesso orgasmo, agitandoci, gridando parole d'amore, ruotando la testa. Per la maggior parte del tempo senza sentire nulla, e pensando magari che il baccalà a colazione era troppo salato, e chissà se gli stivaletti alti abbottonati erano adatti per la passeggiata nel parco, domenica? Il più grosso peccato, a letto, era quello di mandar vento, a meno che lui non scorreggiasse per primo.
Non già che non capitasse che con un qualche gianni preferito non ci lasciassimo andare anche noi. A quell'epoca, io ero una ragazza appassionata e piena di salute, e mi piaceva un uomo ben piantato, un bell'uomo, uno con i baffi arricciati o i favoriti, una bella testa di capelli, e un torace potente. Non troppo giovane, ma pienamente sviluppato, e ancora in età verde. Avevo diversi clienti che chiedevano sempre di Goldie, e corrispondevano al tipo che ho appena descritto. C'era un giocatore di professione che viaggiava sui treni dell'Ovest, in cerca di polli da spennare. Batteva anche le linee del Colorado e di San Francisco. C'era anche un industriale del legname che sfoltiva il Michigan dei suoi grandi alberi, e un allevatore di cavalli velocisti e trottatori. Tutti costoro avevano la mia piena attenzione. Non ne ero innamorata, ma mi piaceva andare a letto con loro, e sentire la loro vitalità, e facendo cose giuste per una donna, sentirmi io stessa così viva, così donna, appunto. Facevamo ogni sorta di giochi pazzi. Lanciavamo delle bottiglie di vino contro le pareti, cercavamo di assumere delle posizioni copiando quelle di certe cartoline, facevamo dei folli progetti, come quello di fuggire in Turchia, o a Parigi, o nel Sud America. Al mattino, il posto puzzava come alla prima messa dei campagnoli - di acquavite versata, di orinali strapieni, di catini pieni d'acqua sporca; c'erano bottiglie vuote dentro secchielli di ghiaccio sciolto, fumo di sigaro, e odore di carne stanca. Questo era il più forte - odore di corpi nudi, esausti e stremati. Non c'era nient'altro da fare che andarsene al terzo piano, nelle stanze pulite, buttarsi così come una era in un letto, e dormire. Ecco qual era la routine di una puttana - anni e anni senza alcun pensiero, senza alcuna riflessione, anni privi di senso e di significato. Del fatto che stavo passando gli anni della mia gioventù m'accorgevo appena, senza parlare del cambiamento. Ma le notti di pazza baldoria come queste erano soltanto per un ristretto numero di clienti del tutto particolari. Per il resto del tempo era semplicemente una commedia. Una buona puttana non odia gli uomini, nonostante quello che si dice. In realtà, una puttana sente di avere effettivamente qualcosa da offrire a un uomo, e il saperlo far bene finisce per diventare un motivo d'orgoglio. Se non è così, una ragazza non è degna di una casa di prima classe. Non sto parlando delle passeggiatrici, o di quelle che lavorano nelle case di infimo rango, poveri animali che in una notte si prendono dai trenta ai cinquanta puzzolenti fiumaroli. In simili condizioni, non durano a lungo. In quegli anni dai Flegel, appresi che il sesso occupa circa l'ottanta per cento dei pensieri e dell'occhio del maschio. Se viene privato delle donne a causa di un lungo viaggio per mare, o dalle pareti di una prigione, oppure da una troppo lunga fedeltà a una moglie inaridita, si costruisce mentalmente immagini che sbalordirebbero un giovane sultano. Il sesso, per la maggior parte degli uomini, è fantasia. Leggete i cosiddetti 'libri sporchi', sia i classici, sia quella roba che viene venduta sottobanco. Tutti scritti da uomini. Pure fantasie, impossibili da realizzare, e ridicole, nei loro giochi e nelle loro pazze pretese. Quando un uomo va con una puttana, è tutto speranzoso di realizzare qualcuna di queste fantasie. Ma non succede mai. Non può succedere. Potrà essere eccitato, provocato, succhiato, manipolato, ma la maggior parte delle cose che ha in testa non si realizza mai. E' compito di una brava ragazza di casino fargli godere una bella serie di giochi, una forte eccitazione delle terminazioni nervose, e infine una bella eiaculazione del suo sperma. Se tutto questo suona poco romantico, la verità è che il sesso non ha niente di romantico. E' una cosa reale, fatta di corpi reali; è un imperioso bisogno di rilassamento, come la molla caricata di un orologio. E' un piacere animale, una grande delizia. Quando si parla di sesso romantico, lo si confonde con l'amore. E a tempo e luogo cercherò di mostrare la differenza, e anche come il sesso e l'amore possano andare in coppia come una pariglia attaccata alla stessa carrozza. Tutta quella pappa che scrivono i poeti non è che un modo elegante di masturbarsi e nient'altro. I più vecchi e più assidui frequentatori dei Flegel sapevano bene che le fantasie sul sesso non sono altro che fantasie. Venivano al casino come in un club. Il vino e il whisky erano della migliore qualità, la musica buona, la gente elegante, e il servizio inappuntabile. Ogni loro desiderio veniva soddisfatto. Con qualche bicchiere, qualche pasticcino, un po' di buon prosciutto affumicato, del pane cotto alla perfezione, vino ben ghiacciato, e un'ultima tirata a un buon avana, che cosa c'era di meglio, per finire una serata, che andare in camera con una ragazza premurosa e sorridente, col didietro e le tette così morbidi e caldi al confronto di ciò che si aveva in casa, seppure si aveva qualcosa? Zig diceva sempre: "Quando scompariranno i buoni casini, la bella vita americana perderà il suo meglio". E adesso, mentre scrivo, i buoni casini sono quasi del tutto scomparsi. Il sesso, per quei clienti che la sapevano lunga, era come un bagno riposante, una canzone, una mezz'ora di allegria e di chiavate con una ragazza che sapeva di buono. E a quell'epoca, le ascelle non rasate suggerivano i piaceri di altre parti. Non c'era nessun bisogno di fantasie, dai Flegel. Col passar del tempo, le mode cambiavano, nella società, e spesso era proprio nei migliori casini che s'iniziava una nuova moda. Ho già detto come le cortigiane fossero state le prime a portare mutande, grossi indumenti gonfi con uno spacco dietro e uno davanti per i bisogni naturali di una femmina. Furono sempre loro che resero popolari le calze a strisce, e le ciprie per la faccia e per il corpo. L'abitudine di radersi le ascelle fu anche questa un'innovazione di casino. A me non è mai piaciuta. E neanche alla maggior parte degli uomini. V'è qualcosa di sensuale nella peluria fine e piccante di un'ascella. Ma a quanto pare la moda è più forte della tradizione, e l'abitudine di radersi diventò normale. Perfino la peluria del pube veniva spuntata con le forbici e aggiustata col rasoio. Zig personalmente radeva le gambe alle ragazze che ne avessero bisogno. Non voleva saperne delle ragazze un po' picchiate o depresse, perché il suicidio è sempre un'ombra che incombe in tutti i casini. Lui teneva i suoi rasoi sotto chiave. Le stagioni di vacanze, le previsioni di guerra, gli eventi politici, erano sempre tempi buoni per i casini. Quando i giovani tornavano dal "college", o verso la fine dell'estate, v'era sempre un aumento di afflusso nei nostri salotti, e nelle stanze di sopra. A Natale erano tempi grassi. La notte di Capodanno, i gianni scapoli e i loro ospiti facevano il giro del quartiere, fermandosi nelle loro case favorite, portando bottiglie, piccoli regali, con le carrozze private o da nolo che aspettavano fuori, i cavalli fumanti che battevano lo zoccolo sul selciato. Gli ospiti arrivavano impellicciati e col cilindro in testa, il fiato freddo e il naso rosso. Si facevano sempre diverse nottate, in quei periodi di vacanza, e per la nottata i gianni pagavano un supplemento. Al terzo piano, di solito, si organizzava una catena margherita, un gruppo formato in egual numero di ragazze e di uomini, quattro, o sei, o otto, che festeggiavano il nuovo anno. Mi ricordo di sei coppie che passarono quella notte in varie combinazioni sessuali, come una fila di vagoni merci, accoppiati e non. Zig non era molto entusiasta di queste catene margherita, che di solito finivano con grossi danni ai letti e alla mobilia. I partecipanti perdevano facilmente il controllo. Ricordo una catena margherita, un Capodanno, sul tetto, con gli uomini e le donne tutti nudi che roteavano bottiglie e cantavano a squarciagola. Due ragazze caddero attraverso il lucernario, e per poco non ci lasciarono la pelle. La casa dei Flegel non era situata in uno di quei quartieri che vengono chiamati 'delle luci rosse', ma nella zona dei casini più eleganti. E pertanto Zig fu semplicemente ammonito dalla polizia a essere prudente. Fu quella la prima volta che udii la vecchia battuta: "Signore, la vostra insegna si è spenta". La denominazione di 'quartiere delle luci rosse', nel gergo popolare indica le luci rosse che sono accese fuori di un casino. In realtà, non ricordo di aver visto molte luci rosse fuori di un casino, nemmeno a Storyville di New Orleans, dove un casino era legalmente riconosciuto e poteva far pubblicità. Il vero inizio della storia delle luci rosse risale ai primi tempi delle ferrovie, a Kansas City, dove i treni merci restavano fermi negli scali ferroviari per tutta la notte. I frenatori, che portavano una lanterna rossa, spesso andavano a visitare i casini vicino agli scali Kaycee, e appendevano le loro lanterne accese fuori della porta. Era compito del capostazione mandare i ragazzi a chiamare i frenatori nei posti in cui vi fosse una luce rossa, per avvertirli che il loro treno stava per partire. L'idea di una luce rossa come segno di riconoscimento di un casino cominciò di lì. D'estate, a Saint Louis, faceva un caldo soffocante. Il fiume rendeva l'atmosfera molto umida, e quasi ci si poteva strizzare come una spugna. A luglio e agosto, Zig e Emma di solito facevano un viaggio attraverso il paese, visitando altre case, oppure andavano a comprare dei mobili nell'Est, o a cercare qualche ragazza da ingaggiare. Frenchy, d'estate, di solito andava a trovare i suoi parenti a Pittsburgh, portando dei regali. Le ragazze tedesche andavano nella fattoria dei Flegel, a prendere uova, verdura, o semplicemente per starsene tranquillamente sdraiate in un'amaca, a guardar le nuvole con aria tonta. Belle e io per un paio d'anni andammo ai laghi, a Winnibigoshish, nel Minnesota, un posto allora molto di moda, e alloggiavamo in qualche buon albergo, dove nessuno faceva caso se un paio di zoccole si davano arie di vere signore. I migliori alberghi non ci accettavano. Ma altri, anche buoni e allegri, non facevano tante storie. Noi ci comportavamo in modo molto fine, mangiavamo educatamente, e ci scolavamo qualche bottiglia. Dovevo sorvegliare Belle, poiché alzare il gomito le piaceva troppo. Quanto a me, ero anch'io una discreta bevitrice, ma non ero certo schiava della bottiglia. Più tardi, finii per non bere quasi più affatto. Dicevamo di essere modiste; di solito, a quell'epoca, le modiste erano considerate delle puttane dilettanti, o almeno delle ragazze piuttosto facili. Se ci pungeva la voglia, ci caricavamo qualche gianni, qualche immigrato del Kansas, o qualche impiegato delle ferrovie, gli facevamo l'occhio di triglia, e salivamo sulla loro carrozza per una passeggiata, oppure andavamo con loro in qualche casa da gioco. Se erano tipi decenti, finivamo a letto con loro. Ci fu un giovane vice presidente della Banca di Duluth e un suo amico, un fabbricante di carne in conserva di Chicago, con i quali passammo la notte in un elegante albergo del lungolago. Ci portarono la prima colazione in camera, e tutto sembrava andare per il meglio. Poi il fabbricante di carne in conserva, un vero tanghero calzato e vestito, mise due monete da venti dollari sopra la caminiera di marmo. Belle, che aveva il mal di testa per la nottata, alzò gli occhi, andò alla caminiera, prese le due monete, e se le fece ballare in mano. "Per chi diavolo ci avete preso, puzzapiedi che non siete altro, per delle puttane? Vi abbiamo forse chiesto qualcosa? Vi abbiamo chiesto la marchetta come due zoccole di lago?". Fumava come una locomotiva, e gli lanciò addosso le monete, e quei due si misero a scappare, e Belle a inseguirli attraverso il vestibolo, in mezzo ai clienti esterrefatti, raccogliendo le monete e lanciandogliele di nuovo addosso, mentre continuava a urlare "luridi figli di puttana, per chi ci avete preso, per un paio di zoccole fottute?". Il direttore, con gli occhi fuori e i favoriti tremolanti, ci disse di far su la nostra roba e sparire entro dieci minuti. Per la maggior parte delle estati dei primi anni dai Flegel trascorsi due mesi tranquilli nella loro fattoria a dieci miglia dalla città. Era una grande fattoria, tenuta in perfetto ordine tedesco. C'erano vitelli, cavalli, maiali, l'intera maledetta arca di Noè che si trova in una fattoria. Ma era un posto ben diverso dalla pidocchiosa cascina di mio padre. C'erano magazzini pieni di zangole di panna per fare il burro, e grosse forme di formaggio. V'era un affumicatoio, pieno di prosciutti messi ad affumicare a un fuoco di hickory, oche tenute in gabbia, e nutrite con pinte di grano che gli facevano ingozzare a forza per mezzo di un tubo infilato nel becco, per farle ingrassare e gonfiargli il fegato per fare il patè. L'odore del letame e del grano mietuto mi dava malinconia. Per quanto si possa andare lontano, non si riesce mai a sfuggire ai ricordi degli anni dell'infanzia. I due bambini dei Flegel erano spesso lì attorno. Grossi bambini bianchi e paffuti. Un maschietto e una bambina, pallidi come un panino malcotto. Troppo vestiti, troppo curati, vivevano nel grande edificio bianco della fattoria. Noi puttane stavamo nella casetta di mattoni dei contadini, una coppia danese che non sapeva neanche una parola di inglese; erano entrambi sopra i settanta, stavano tutto il giorno a sfaccendare, anche se la moglie era piegata in due dai reumatismi. V'erano delle amache appese ai castagni. Io mi stendevo su un'amaca, a guardare le riviste di moda, a sbadigliare, a grattarmi, a sorseggiare limonate, e ad ascoltare le puttane tedesche. Ve n'erano sempre due o tre, qui, e non facevano che ciarlare della loro vecchia patria, e dei loro vecchi genitori, mentre lavoravano all'uncinetto, o ricamavano boccioli di rosa sulla seta. Io non sferruzzavo, né ricamavo. Non facevo altro che riposarmi, come un gatto. Oppure guardavo i due grossi bambini Flegel che passavano lì davanti col loro calessino di vimini tirato da un grasso pony che sventolava la coda e lasciava cadere grosse polpette sul viale selciato. Guardavo quei due ragazzini supernutriti - ai quali non era permesso di rivolgerci la parola - passare lì davanti tutti agghindati, e pensavo a quando io avevo la loro età, e mi maledicevo, piantala di commiserarti Goldie Brown, mi dicevo, piantala di affliggerti, Goldie Brown. Progettavo di andare a vedere le lapidi che avevo fatto mettere sulla tomba di zia Letty e di mia madre. Ma non ci andai mai. Pensavo ai viaggio fino al capoluogo della contea, e poi la discesa fino al crocevia, pensavo alle carreggiate sulla strada del cimitero, e mi ritrovavo tutta in sudore, aprivo la bocca e mi mettevo ad ansimare. Mi sentivo tutta sottosopra, dentro, al pensiero di tornare a casa. Alla fine mi dicevo: l'anno prossimo, l'anno prossimo, e mi accendevo una sigaretta turca, mi dondolavo nell'amaca, e scacciavo le mosche. Non riuscii mai a raccogliere abbastanza coraggio per ritornare a casa. Mi sentivo meglio quando Zig mandava una carrozza a prendermi per ritornare in città a intrattenere qualche cliente. Un'estate, vennero a Saint Louis due senatori degli Stati Uniti con alcuni capoccioni delle ferrovie californiane. A Flegel era stato chiesto di collaborare per divertirli, loro e i loro amici. Si stavano raccogliendo i fondi per un'elezione presidenziale. In certo senso, fui io a dare la prima spinta alla ruota andando a letto col presidente. Melanconica com'ero al pensiero della vecchia cascina, era bello essere di nuovo sul lavoro. Mi sentivo arzilla come un gatto strofinato con la trementina. In me sì stava verificando un cambiamento. Stavo mostrando i primi segni di una buona puttana che comincia a rovinarsi; mi domandavo che diavolo di avvenire avessi davanti a me. Potevo forse andare avanti così per sempre? Questo tipo di pensieri ha rovinato più puttane di quante non ne abbiano rovinate il whisky, le droghe, i papponi, o la sifilide. Una si sveglia la mattina, e non ti piace il tempo che fa, non ti piace il sole, la roba che mangi ti sa di cattivo, ti trovi una pustola sulla guancia. Trovi che tutto il mondo sta camminando col piede sbagliato, e tu prendi una cosa e la rompi. Non può essere il cambiamento fisico: sei troppo giovane. E allora? Avevo dei soldi. Zig mi teneva i libretti della banca sui quali era scritto che avevo un bel gruzzolo in diversi posti. Avevo un guardaroba che mi costava più di quanto valesse, ma ad ogni modo, pensavo, certi anelli e orologi e braccialetti valevano un barile di dollari d'argento. Ero più richiesta che mai. Mi ero arrotondata ben bene dappertutto, e avevo appena superato i vent'anni. Una donna, a quei tempi, aveva una figura molto ampia. Avevo denti perfetti, a parte un paio di capsule d'oro che mi aveva messe un piccolo dentista vicino al municipio, che aveva un trapano a pedale, e che mentre lavorava mi tastava le tette; avevo una salute ottima, una digestione perfetta, non ero nemmeno afflitta dal disturbo professionale di cui soffrono quasi tutte le puttane, la stitichezza. La maggior parte delle puttane, quando fanno un pompino, ingoiano giù tutto come prevenzione contro la tisi galoppante. Io non ci ho mai creduto. Pensavo che v'erano tre modi, per una puttana in gamba, di riuscire. Poteva sposarsi. Io avevo avuto diverse offerte da parte di signori che non ne avevano nessuna intenzione. Alcune offerte sincere una da un commerciante di legname, e due da giocatori di professione, che erano anche, ne ero più che sicura, due pappa. Un'offerta di matrimonio me la fece un giornalista del giornale tedesco di Mister Pulitzer a Saint Louis. Disse che io ero una ragazza del Reno e mi citò Heine, ma aveva letteralmente il culo fuori dei suoi calzoni di tweed, e le sue scarpe rotte avevano bisogno di una risuolatura. Era pieno di aria fritta e di poesia, e perciò continuavo a rispondergli: "Sciò, gallinella, sciò!". No, non mi sarei sposata. Non ero innamorata. E non sapevo nemmeno se lo sarei mai stata. Pur giovane com'ero, ero una ragazza dura, piena di autentico orgoglio, furba, e mi ero fatta una sorta di corazza protettiva come re Artù, sul tipo di quelle che si vedono nei musei, fatte di una camicia di ferro e di calzoni di ferro. La mia era fatta di amor proprio, e nell'evitare di scoprire il mio vero io. Naturalmente non sapevo affatto che cosa fosse, il mio vero io, ma lo proteggevo lo stesso. Diverse puttane di mia conoscenza si erano sposate bene. Qualche altra, invece, no. Avevano lasciato il marito, si erano messe a bere, battevano il marciapiede, o si davano alla droga, finivano in qualche corsia d'ospedale, piene di malattie, e il loro corpo veniva poi sezionato nelle scuole di medicina. Una ragazza di Chicago che conoscevo si sposò con un fabbricante di carrozze e si diceva che il loro figlio fosse diventato uno scrittore piuttosto conosciuto. Paul Dressler, un autore di canzoni assai popolare verso la fine del secolo, una volta mi chiese di sposarlo. Era un gran puttaniere. Fu lui, credo, che compose "La mia ragazza Sal", e "Sulle rive del Wabas". Era un tipo grosso come un orso, sempre allegro, che mangiava e beveva e portava le ragazze in camera. Non credo parlasse molto seriamente, e magari aveva una moglie o due nascoste in qualche posto. Aveva anche un fratello che diventò scrittore, sotto un altro nome. A New Orleans, nel 1912, un cliente mi diede un libro di questo fratello, "Sister Carry"{3}, che era una cannonata. La protagonista era molto vera, almeno per uno scrittore maschio. Gli uomini scrivono sempre una quantità di scemenze sulle donne. Di uomini come quel direttore di locale notturno del romanzo, che era scappato con la cassaforte, ne avevo conosciuti personalmente. E la ragazza avrei potuto benissimo essere io stessa, se non fossi stata una puttana. Una delle due tonte ragazze tedesche di Flegel sposò un commerciante di carne suina, che mise su un'industria di carne affumicata e inscatolata, che spediva con vagoni frigoriferi ed ebbero un branco di grassi ragazzetti senza collo; sembravano tutti quanti dei piccoli commercianti di maiali, quando li vidi, un'estate, in un posto di acque termali. Adesso sono una famiglia piuttosto importante del Middle West. Ma in generale, le puttane si sposano male, e quando si sposano male, dopo un po' cominciano a domandarsi perché diavolo devono darsi gratis a un tincone che non gli dà altro che guai e nessun divertimento. Di solito cominciano a metter su un piccolo commercetto per conto loro, al pomeriggio e poi si legge sul giornale che un marito ha sparato a una coppia sorpresa in camera sua. Il secondo modo di risolvere il problema, per una puttana, è di diventare la mantenuta di un tipo abbastanza ricco, che la vuole tutta per sé, e la sistema in un appartamento, o in un villino in un quartiere non male, con carrozza e cavalli, o, più tardi, con un'automobile. C'è sempre una cameriera o una cuoca, e un cocchiere o giardiniere. Ne ho visti, appartamenti di questo genere. Cristalleria di Tiffany, bel mobilio con dorature, un pianoforte a coda, e magari un cane chow-chow con la lingua viola - molto di classe. A ogni onomastico e Natale, un filo di perle, un braccialetto d'oro, orecchini con brillanti, e un po' di azioni nella cassaforte di una banca. Mantenere una donna, a Saint Louis, non era una cosa facile, per un uomo importante. Là, non c'era quella disinvoltura che c'era a New York e a Chicago, dove un uomo importante poteva mantenere tranquillamente una ragazza o un'attrice del varietà. Con tutto ciò, v'erano almeno un paio di dozzine di mantenute, a Saint Louis, di fabbricanti di birra, di editori, di armatori, di industriali di calzature, di ricchi industriali di carne in scatola e gente del genere. Un grosso svantaggio era l'isolamento. L'unica compagnia di una mantenuta erano le altre mantenute e qualche attrice. I ristoranti alla moda le conoscevano, ma le mettevano negli angoli bui o in un salottino riservato. Sulla testa del vostro amico era sempre sospeso il pericolo del ricatto. In qualsiasi momento qualcuno poteva mandare una lettera anonima, far scoppiare uno scandalo, e il "ménage" andava all'aria, e l'amico pagatore partiva con sua moglie e i bambini per Bar Harbor, o per l'Europa, per farsi perdonare, perdonare, perdonare. Spesso le mogli scoprivano tutto; se erano intelligenti, non facevano troppo chiasso, anzi, se non potevano sopportare il sesso, erano magari sollevate. Le sceme, a volte, facevano il diavolo a quattro, e alla fine, chi ci andava per le peste era la ragazza. Nelle migliori famiglie, il divorzio era pressoché ignorato. Anche se noi sapevamo che il mozzo di stalla faceva sessantanove con la padrona, e che quella tale signora era frigida o lesbica, i matrimoni erano fatti in cemento armato, e facevano fronte a tutte le situazioni. Quel paio di uomini che sposarono le loro mantenute dovettero lasciare la città; uno uccise la ragazza, e l'altro si suicidò nel Texas. La terza soluzione era quella a cui miravo dentro di me. Diventare la tenutaria di una buona casa, e dirigerla in modo da mantenerla sempre sul tono più alto. Forse oggi, dopo la Grande Guerra, questa può sembrare un'attività bassa e ignobile. Ma non era stato così dal 1849 fino al 1917, quando v'erano case di alta classe in ogni cittadina, e almeno una buona dozzina in una grande città. Erano protette, e frequentate dalla crema, dall'aristocrazia, come un'istituzione tradizionale, sì che andare al casino, da New York a Chicago, da New Orleans a una cinquantina di altre città, faceva parte della vita normale di un uomo di mondo. Anche se, naturalmente, non ne parlavano in compagnia mista, la maggior parte degli uomini non hanno mai negato l'esistenza dei casini. In compagnia maschile, parlavano allegramente della Liberty Hall o di Mahogany Hall, o della House of All Nations. Le avevano frequentate in gioventù, e magari le frequentavano ancora. Zig diceva sempre, seriamente e con fierezza, che ci voleva altrettanto cervello per dirigere una buona casa, mantenere o procurarsi le protezioni, tenere i contatti, provvedere all'arredamento, alle ragazze, al personale, al vitto, ai vini, e alla musica, soddisfare i clienti nel modo migliore, tenere le ragazze al loro meglio, quanto ce ne vuole per dirigere una compagnia ferroviaria, un impero commerciale, e magari, sissignore, una compagnia di navigazione. Non esagerava gran che. Sarei mai riuscita, io, a dirigere un'organizzazione così complessa?