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Gli eventi non avevano costretto gli Hardelot a posticipare il viaggio a Saint-Elme, ma anzi ad affrettarlo. Tutto il territorio francese era in pericolo e l'istinto li spingeva a vivere quei momenti difficili a casa loro, in famiglia. Niente di veramente brutto poteva succedere in quelle strade tranquille, tra la fabbrica e la chiesa, pensava Rose. Oddio, è pur vero che nell'altra guerra Saint-Elme era stata praticamente rasa al suolo, ma tutto quel che capita prima della nostra nascita ci appare leggendario, senza alcun nesso con la realtà: agli occhi di Rose, Saint-Elme era indistruttibile. Tutti quei Renaudin, quegli Hardelot Demestre, quegli Hardelot Arques, tutta quella scialba e solida famiglia di provincia le sembrava sicura come la terra sotto i suoi piedi. Mai li aveva visti angosciati, irrequieti, preoccupati, sprovvisti di alcunché. Se Saint-Elme fosse stata bombardata, le loro cantine dai muri spessi avrebbero offerto - Rose ne era convinta - un buon rifugio e le grandi dispense cibo a sufficienza per resistere a un assedio. Se i dolori del parto l'avessero colta di notte, durante un allarme, avrebbe potuto contare sul medico che l'aveva messa al mondo e che abitava lì vicino. Se fosse morta, dieci braccia si sarebbero protese ad accogliere il suo bambino, perché il paese era pieno di parenti e amici. Rose si affidava a Saint-Elme come a sua madre: difficile viverci insieme, dura, collerica, ma pur sempre un rifugio, una roccia.

Pierre e Agnès, tuttavia, non la pensavano allo stesso modo. Non erano loro ad aver bisogno di Saint-Elme, ma l'esatto contrario. Pensavano alle case, alle persone, alla fabbrica; si ricordavano di questo o quel volto. Quella lontana cugina che aveva tre figli al fronte, quell'altra il cui marito stava probabilmente combattendo in Belgio. E quegli operai esasperati dalla guerra, che non avrebbero sopportato troppo a lungo dei sacrifici senza reagire con l'odio e la rivolta, quegli operai avevano bisogno di loro, degli Hardelot, pensava Pierre. Erano così pochi gli uomini rimasti a Saint-Elme! Certo, era tutto previsto: difesa passiva, evacuazione in caso di necessità, sebbene quest'ultima fosse un'eventualità alquanto remota. Ciò nonostante, Pierre diceva tra sé: «Nessuno conosce il paese come noi...». E il cuore gli batteva forte per l'ansia e la commozione.

Quando arrivarono, tutto era tranquillo. Bambini che giocavano per strada, operai che uscivano dalla fabbrica, e le orfanelle che si recavano in chiesa per i vespri. Il cielo era limpido, di un azzurro luminoso. Era la stagione dei lillà, e ce n'erano in ogni casa; nei quartieri popolari grandi mazzi ornavano le tavole apparecchiate per la cena, visibili attraverso le tende di merletto a trama larga. La negoziante di chincaglieria e la macellaia avevano ingentilito i banchi e le vetrine con fasci di lillà, e dalle porte aperte della chiesa veniva il loro profumo, fresco e dolce come un rivolo d'acqua che scorre all'ombra.

Rose non si aspettava di trovare sua madre tanto malata. La signora Burgères non era a letto: a Saint-Elme, mettersi a letto senza essere in punto di morte era considerato strano, ridicolo e vagamente disdicevole. Simone aspettava gli ospiti nel salottino al pianterreno; vestita di tutto punto, stretta nel busto, sedeva diritta sulla sedia e respirava con affanno. Quando scorse la figlia, le guance le si coprirono di chiazze rosse. Si portò un attimo la mano al petto nel gesto inquieto tipico dei malati di cuore, guardò subito il fisico e il volto di Rose e sorrise. Rose capì allora che alla madre piaceva il suo aspetto sano e robusto: una gravidanza portata avanti bene era motivo di orgoglio familiare, come i diplomi di un figlio o i capitali di un nonno.

«Hai una bella cera» disse Simone.

Si abbracciarono, poi restarono l'una di fronte all'altra, timide e incerte.

«Mi hai perdonato, mamma?».

«Sì, sì,» disse Simone voltandosi dall'altra parte «sono molto giù, figlia mia... È ora che qualcuno prenda il mio posto» concluse.

Si sentì suonare alla porta d'ingresso. Si era sparsa la voce dell'arrivo degli Hardelot e la gente voleva sapere da loro le ultime notizie: «Che si dice a Parigi?» mormorava ansiosa. Nel salotto, una dopo l'altra, entravano signore dal viso sciupato, vestite a lutto, le mani giunte coperte di guanti neri, e profondendosi in scuse e saluti cerimoniosi ponevano tutte la stessa domanda:

«Che si dice a Parigi?».

«Va tutto bene, benissimo» rispondeva Rose, porgendo meccanicamente la guancia agli scialbi baci di Saint-Elme.

Pierre e Agnès abitavano dall'anziana signora Florent e nel cuore della notte si svegliarono entrambi nello stesso momento. Si sentiva il cinguettio degli usignoli nel bosco della Coudre, e a tratti, in lontananza, un rumore sordo e cupo.

«Il cannone».

Dov'era Guy? Lo avevano mandato in Belgio? Da qualche giorno non arrivavano sue lettere. Pierre riandava con la memoria a quelle pianure dove aveva combattuto, e dove adesso, probabilmente, stava marciando suo figlio. Le ultime notizie erano state ambigue, poco rassicuranti...

«All'inizio si prenderanno una bella batosta» pensava Pierre. «Con noi è sempre così, all'inizio. Ci si affida alla propria buona stella, non si prepara niente, si mandano gli uomini a morire stupidamente, poi, all'ultimo, scatta una specie di molla, e tutto è salvo. Nel '14 è andata così».

Sì, nell'altra guerra era andata così ed era impossibile, inimmaginabile, che stavolta le cose andassero diversamente. Pierre tentava di rassicurarsi, ma non riusciva a trovar pace. Si alzò piano, tornò nel salotto buio, accese la radio cercando febbrilmente una stazione francese o straniera che trasmettesse il notiziario e che, dando qualche buona nuova, placasse l'immensa inquietudine che gli montava dentro. Non sentì niente. La ricezione era molto disturbata; a tratti si coglievano dei ballabili. Finalmente gli giunse una voce lontana:

«Le nostre truppe hanno ingaggiato aspri combattimenti per l'intera giornata, opponendo ovunque al nemico una resistenza accanita...».

Pierre spense bruscamente la radio e si avvicinò alla finestra fissando, senza vederlo, un cespuglio di rose sbocciate nel giardino illuminato dalla luna. Che notte, che splendida notte... Si sentì stringere il cuore di ribellione e di angoscia.

«C'è qualcosa di nuovo?» lo chiamò Agnès.

«No, niente».

Pierre tornò a letto. Ma né lui né Agnès riuscirono a riprendere sonno. Distesi fianco a fianco, con gli occhi aperti e fissi nel buio, tendevano l'orecchio al rombo del cannone. Improvvisamente, Agnès si drizzò.

«Sulla strada, là, sulla strada...».

«Cosa? Che cosa c'è? Non sento niente».

Ma già si sentivano passare sulla carreggiata le prime automobili degli sfollati. Le si riconosceva da un che d'indefinibile, dal loro modo di filare a tutta velocità sulla strada ancora libera, dai colpi di clacson, impazienti, precipitosi, dal fragore che producevano e che non cessava, perché subito dopo una macchina ne veniva un'altra, e un'altra ancora. E a quel rumore insolito la gente di Saint-Elme apriva le porte, le finestre, scendeva in strada, guardava, interrogava.

«Arrivano dal Belgio» disse Pierre.

Marito e moglie si erano alzati, avevano attraversato l'anticamera ed erano entrati in salotto. La strada passava a pochi metri da casa loro. Sì, avevano indovinato: si trattava dei primi sfollati. C'erano materassi legati ai tettucci delle automobili e bagagli straripanti che sfioravano i predellini, i paraurti.

La processione di veicoli continuò per tutta la notte e il giorno successivo. Non si avevano notizie della battaglia, ma si subodorava la sconfitta. Una cert'aria carica di angoscia penetrava fin nelle case più isolate, nelle campagne più tranquille, in ogni famiglia, fin nel cuore della Francia. Non si dormiva più. I cibi non avevano alcun sapore. Ci si consolava ripetendo le stesse frasi insulse: «Finché resistono... È questo che conta... In fondo, non c'è niente di nuovo... Dopo tutto, nel '14, loro sono pur arrivati fino a Compiègne...».

Di Guy non si sapeva niente. Nessuno sapeva niente di quelli che erano laggiù. Scomparsi di colpo, come i passeggeri di una nave in fiamme si inabissano nel fumo e nel fuoco sotto gli occhi degli scampati. Adesso, a fuggire erano gli abitanti della Francia del Nord. Li si interrogava con ansia: da dove venivano? Loro nominavano paesi ogni giorno più vicini; le città limitrofe erano state bombardate. Non c'erano ordini: non si sapeva se fosse meglio scappare o restare. Ogni località era abbandonata a se stessa, al coraggio o alla viltà di un pugno di uomini, e spesso, in mancanza di uomini, era una donna nevrastenica o una zitella isterica a mettere in fuga l'intero villaggio, e un fiume di sfollati si riversava sulle strade seminando il panico. E il panico si propagava di paese in paese, dilagava in tutta la Francia, come il mare invade la spiaggia nelle burrasche dell'equinozio.

Finché un giorno le bombe caddero anche su Saint-Elme. Nel cielo apparvero gli aerei: volavano a bassa quota, quasi sfiorando i tetti delle case. Poco dopo, la piccola stazione ferroviaria sembrò sollevarsi, come aspirata dal soffio di un gigantesco sfiatatoio, e ricadde in fiamme tra il fumo dei calcinacci.

Rose e sua madre avevano lasciato Saint-Elme qualche giorno prima. L'esperienza aveva insegnato che la provincia non rappresentava un rifugio così sicuro come si era creduto. E non erano solo i muri e i tetti delle case a vacillare e a sgretolarsi sotto i bombardamenti, ma l'ordinamento stesso in base al quale si era vissuti fino allora. Non c'era più nessuno su cui poter contare; coloro che fino a quel momento erano stati considerati i pilastri della società si mostravano incapaci e vili. Il sindaco e il viceprefetto erano scappati. D'altro canto, nella terribile confusione che ormai regnava, gli ordini erano tutti sospetti e nessuno poteva dire con certezza se venivano dai comandanti francesi o dal nemico. I gendarmi sparirono: più tardi si venne a sapere che erano stati tratti in inganno da una telefonata male interpretata. Responsabile di Saint-Elme era ormai un piccolo gruppo di uomini e di donne, e alla testa di quel gruppo si ritrovarono, senza volerlo, Pierre e Agnès. Loro due erano i soli a rimanere calmi, a parlare con voce pacata, gradevole, incoraggiante. A pensare ancora agli altri in quei giorni di sangue e di fuoco in cui erano in tanti a preoccuparsi solo di se stessi, della propria salvezza. Adesso, gli sfollati che scappavano dal Nord o dal Belgio passavano giorno e notte sotto le finestre di Agnès. Non avevano la macchina, questi. Si erano caricati sulle spalle i loro effetti personali e tenevano i bambini in braccio. C'erano delle vecchie che correvano nella polvere inseguendo le loro vacche spaurite. Nel fossato si trovò un piccino abbandonato, con addosso solo una camiciola e avvolto in una tovaglia. Agnès non dormiva più, non mangiava più. Del resto, non restava quasi più niente da mangiare: quello che non era stato distribuito lo avevano saccheggiato le bande di ladri che seguivano gli sfollati e s'infiltravano tra loro. Così, mentre Agnès imboccava i vecchi, cambiava le fasce ai bambini, medicava i feriti, quegli uomini s'intrufolavano in cucina, scassinavano la dispensa e arraffavano tutto quello che potevano.

Di Rose nessuna notizia. Molto probabilmente era arrivata sana e salva nel Languedoc, dove sarebbe stata ospite di certi parenti. Da Guy ancora niente; in tutta Saint-Elme non c'era una famiglia che, come gli Hardelot, non aspettasse invano, giorno dopo giorno, un messaggio che non arrivava. E ciò nonostante, si continuava a sperare. Per una forma di patetico pudore, ciascuno teneva per sé le sue paure e i suoi pensieri reconditi. Le operaie che facevano la posta ad Agnès sulla strada si limitavano a dirle: «Non va granché bene, vero?». Ma i loro volti tesi esprimevano una speranza incrollabile.

«Le cose miglioreranno, vero?...».

Solo una sera, quando la radio, dalle finestre aperte, portò fino al giardino, fino alla massa degli sfollati l'annuncio della sconfitta di Sedan, una voce maschile se ne uscì in un grido:

«Non è possibile! Ci hanno venduti!».

Ci fu un attimo di sgomento e, nel silenzio, si udì singhiozzare l'uomo che aveva parlato, un operaio rimasto ferito nell'altra guerra. Il cannone continuava a rombare. Qualcuno chiamò dalla strada:

«Aiuto! Non ce la faccio più a camminare... Datemi da bere... Aiutatemi!».

Agnès, stringendo i denti, andava dall'uno all'altro, dalla casa al cancello, portando latte, uova, qualche tozzo di pane. E tuttavia la notte era splendida e serena. Migliaia di stelle brillavano in cielo. Il giardino era un tripudio di rose bianche.

Fu a quel punto che ad Agnès recapitarono una lettera, un foglietto con poche righe buttate giù in fretta, tutto spiegazzato, consegnato da una donna di Arras che era tornata a prendere i suoi bambini. Il messaggio diceva:

«La mamma sta molto male. Siamo ferme vicino a Gien, e non possiamo andare avanti. Siamo senza benzina e la strada è talmente intasata che proseguire è impossibile. Ho paura. Venite, vi supplico. Rose».

La latrice del biglietto ripartiva subito su un camioncino, dove c'era un posto per Agnès. Da Arras in avanti, i treni viaggiavano... forse.

«Ma non possiamo separarci!» gridò Agnès.

Profondamente scoraggiata, si gettò fra le braccia del marito. Morire insieme, soffrire insieme, era niente. Ma l'idea di essere strappata a Pierre le riusciva insopportabile.

«Fosse almeno per mio figlio! Ma quella donna...».

«È sua moglie, Agnès».

«Vieni con me,» disse lei «che cosa farai qui? Partiamo tutti e due. Come vuoi che ci arrivi laggiù da sola? Perché ti ostini a restare qui? Vedi bene che tutto è perduto».

«Ci arriverai, invece. Devi arrivarci».

«Ma tu, Pierre, tu?».

«Io, naturalmente, resto qui» rispose lui con dolcezza.

Rimasero stretti l'uno all'altro a lungo, dicendosi addio in silenzio. Poi, quando Agnès partì, Pierre ebbe un attimo di smarrimento. In fondo, perché si sacrificava? Perché rinunciava al solo conforto possibile in quei giorni tragici, ossia morire accanto alla sua vecchia compagna? Non era più un soldato, lui. Da dove gli veniva l'obbligo di vegliare sugli operai, sui contadini di Saint-Elme? E cosa poteva fare per loro?

Ma non c'era più tempo per autocommiserarsi: sulla strada, mescolati agli sfollati, spuntavano i primi soldati in rotta, gli scampati del Belgio, e dietro di loro i tedeschi che, travolto ogni ostacolo, si riversavano all'interno del paese. Un reggimento si stava ricompattando sul canale ed era assai probabile che nel giro di un'ora a Saint-Elme ci sarebbero stati degli scontri. I soldati dicevano che a nord si era combattuto così, con i civili che si erano ritrovati intrappolati in mezzo ai carri armati.

«Non lo si può immaginare se non lo si è visto. Non si può...» mormoravano sommessamente voci estenuate.

«Ma allora, per noi, per i bambini, cosa bisogna fare?» domandavano le donne.

I soldati alzavano le spalle: non lo sapevano, e neanche gli importava. Si sentivano votati alla morte; perché gli altri dovevano essere risparmiati?

La folla si raggruppò intorno a Pierre.

«Dobbiamo andarcene, scappare finché siamo ancora in tempo!» urlavano le donne.

Ma lui sapeva che era impossibile. Immaginava quale caos quella fuga avrebbe prodotto lungo la strada e, soprattutto, pensava che se i civili continuavano a fuggire, l'esercito era perduto.

Nel bosco della Coudre, vicino a Saint-Elme, c'erano dei fossati - i resti di una cava abbandonata - che potevano servire da rifugi naturali e sarebbero bastati a mettere al sicuro una buona parte della popolazione. Dopo un attimo di riflessione, Pierre disse:

«Amici, tornate subito a casa, prendete delle provviste, se potete, delle coperte per i bambini, e andate nel bosco. Lì intorno non ci sono obiettivi militari, e potrete mimetizzarvi fra i rami degli alberi che in questa stagione sono già carichi di foglie. Così, se Dio vuole, eviterete di trovarvi in mezzo alla battaglia, perché i soldati penseranno più che altro a difendere il canale e la strada ferrata».

Non appena Pierre aveva aperto bocca si era fatto silenzio: finalmente c'era qualcuno che dava ordini, qualcuno che conoscevano, che era di Saint-Elme, e la cui voce chiara, stanca e asciutta era familiare a tutti. Le stelle illuminavano quei volti ansiosi rivolti verso Pierre, il quale a un certo punto sentì contro la gamba qualcosa di caldo; la sua mano si imbatté nella testolina liscia di un bambino che gli si era stretto contro, cogliendo in lui la calma e la forza che non trovava più negli altri. Pierre lo accarezzò.

«Bisogna far presto,» proseguì «qualcuno degli uomini, però, è meglio che resti con me: i tedeschi, se entrano qui, non devono trovare il paese deserto. Ma non entreranno» aggiunse, sebbene già sapesse che tutto era perduto.

Gli obbedirono in silenzio. Pierre vide le operaie correre verso casa e uscirne cariche di fagotti e coperte, trascinando i bambini per mano. Passando davanti al cancello, una di loro gridò: «Ah, è dura, però!...».

Evidentemente, era abituata a prendersela col padrone per qualunque cosa, anche per la crudeltà del destino. La donna teneva in braccio due bambini; le loro teste ciondolavano fuori da un piumino con il quale li aveva coperti.

«Sono troppo pesanti per lei. Li porterò io per un tratto di strada» disse Pierre togliendoglieli di mano.

Poi arrotolò i bambini dentro il piumino e tenendoseli stretti al petto corse avanti. La donna allungò il passo e lo seguì. Dietro a loro venivano altre donne, in una fuga disperata. Quando lo raggiungevano, Pierre le salutava una a una chiamandole per nome: «Salve, signora Grout, buongiorno, signora François, signora Vandeeke...», e la sua voce pacata, gioviale e amichevole aveva un effetto calmante su quella torma in preda al panico.

«Non sarà troppo dura, vero? Lei cosa ne dice?» azzardava qualcuna.

«Ma no,» rispondeva lui «ma no, solo una nottataccia. Non c'è che da aspettare che passi. Voi non dovete aver paura, ci sono qui io». Pierre sorrideva tra sé dell'ingenuità delle sue frasi, ma sapeva quale potere avessero le parole semplici e soprattutto il suono di una voce calma.

A metà strada restituì i bambini alla madre e tornò verso Saint-Elme. Adesso la notte vibrava del rombo degli aerei. Volavano ancora molto in alto, molto lontano. A un tratto sentì un gran botto e capì che stavano bombardando la strada. Agnès doveva trovarsi laggiù. Pierre immaginò la tragica accozzaglia di cavalli, esseri umani, veicoli.

«Non devo pensarci,» mormorò «non devo. Siamo stati felici. Se questa è la fine... be', meglio morire così che vecchi e malati. E comunque ce la caveremo».

Quando arrivò a Saint-Elme, le bombe cadevano intorno alla stazione. Adesso il fragore della battaglia si avvertiva distintamente. Pierre continuava a essere convinto che lo scontro si sarebbe svolto sul canale, come nel 1914. Era una chiave strategica, quel canale: Saint-Elme si sarebbe probabilmente trovata tra i due fuochi delle artiglierie.

«Non resterà pietra su pietra» rifletté. «Bah! Si comincia a farci l'abitudine, da queste parti...».

Rivolse un cenno di saluto a un vecchio operaio che stava fumando sulla soglia della sua casetta come in una qualunque domenica di sole, comodamente seduto sulla sua panchina di legno con le gambe allungate.

«Ci danno dentro, eh, signor Pierre?» commentò il vecchio operaio accennando a levarsi il berretto.

«Eh sì. Un momentaccio».

«E la sua signora? È anche lei nel bosco?».

«No. È partita per Arras. La moglie di Guy sta per partorire».

«Non le sarà facile arrivare. Pare che combattano sulle strade».

«Sì... Lo so».

«Alla fine, bisogna far buon viso a cattivo gioco, signor Pierre».

«Già. E lei resta qui, vecchio mio?».

«Non voglio lasciare la mia casa».

«Farò il giro del paese per accertarmi che se ne siano andati tutti».

Pierre controllò con pazienza ogni casa del quartiere operaio. Dava una spallata alla porta, entrava, guardava la camera vuota, le lenzuola ammucchiate per terra, l'armadio spalancato - dovevano aver preso in fretta e furia i risparmi nascosti sui ripiani, sotto le pile di biancheria, abbandonando tutto il resto. In certe case, il fuoco era acceso, i letti fatti, e sulla tavola era rimasto un giornale. Camminando nel buio, Pierre rischiò di cadere: era inciampato nel girello di un bambino dimenticato in mezzo a un viale. Poco più avanti, nell'oscurità, trovò delle persone: in casa François, la moglie era scappata lasciando i tre bambini che piangevano sul letto, e nel retrobottega della merciaia era rimasta la nonna paralitica.

«Che devo farne di loro?» si chiese Pierre.

Restavano sì dei camion, ma neanche una goccia di benzina. I profughi prima e i soldati poi si erano portati via tutto. Pierre afferrò una carriola da giardiniere e vi sistemò la vecchia paralitica che si lamentava e borbottava:

«Gesù, Maria Vergine, salvateci voi...».

Poi prese su in qualche modo i bambini insieme a cuscini e coperte, li posò accanto alla donna e s'incamminò verso il bosco della Coudre. Avanzava a fatica: la carriola, pesantissima, slittava sui sassi.

«Meno male che non piove» pensò.

Le bombe lo sfiorarono due volte. La prima Pierre, istintivamente, si gettò sulla carriola, facendo scudo con il proprio corpo alla vecchia e ai bambini, che intanto non la smettevano di ciarlare. Quindi si rimise in marcia, e alla seconda esplosione fu costretto a rovesciare il carico nel fossato.

Adesso un bagliore di fiamme si levava da Saint-Elme.

«Sta bruciando la chiesa» disse.

Povera chiesa, già distrutta nel 1914. Gli abitanti di Saint-Elme ne andavano così fieri, perché era stata ricostruita tutta in pietre policrome e la direzione dei lavori affidata a un architetto d'avanguardia. La chiesa dove Colette era stata battezzata. Pierre pensò a Guy, a Colette e ad Agnès con struggente tenerezza. Raddrizzò la carriola e vi risistemò la vecchia prendendola in braccio.

«Visto? È ancora sana e salva. Forza bambini, salite, svelti!».

Ecco il bosco della Coudre, finalmente.

«C'è ancora posto da queste parti?» domandò Pierre. Si sentì qualcuno muoversi nel sottobosco e tra i cespugli spuntarono dei volti ansiosi.

«Il paese brucia?».

«Sì, intorno alla stazione e alla chiesa».

«Là c'è casa mia» esclamò una donna scoppiando in lacrime.

«Si occupi dei bambini e sposti la carriola più in là» le ordinò Pierre. «I miei complimenti alla comare François, che è scappata abbandonando i figli. Un comportamento ignobile».

«Diamine! Era ubriaca fradicia».

Pierre si congedò. Non era preoccupato della sorte dei superstiti: l'indignazione per il comportamento della signora François avrebbe fatto dimenticare a quella donna le proprie disgrazie e le avrebbe infuso nuove energie. Poi si avviò di nuovo verso Saint-Elme. Come gli sembrava lunga quella strada che una volta percorreva in pochi secondi al volante della sua macchina. Quella strada che, quand'era giovane, lo portava da Agnès, ai loro appuntamenti. Se doveva morire, tanto valeva che fosse lì, su quella strada di cui conosceva e amava ogni pietra.

Una cortina di fiamme sembrava ondeggiare davanti a Saint-Elme. Pierre la attraversò di corsa - nemmeno lui avrebbe saputo dire come - con le mani davanti alla faccia. E intanto chiamava:

«C'è qualcuno qui? C'è ancora qualcuno? Rispondetemi!».

Ma non udì alcuna risposta, solo il cupo crepitare del fuoco. Ovunque intorno a lui c'erano assi in legno che cadevano dall'alto e si spezzavano. La fabbrica stava bruciando. Alcuni uomini lo urtarono passando: portavano dei secchi d'acqua e tentavano invano di spegnere le fiamme. Ma Saint-Elme era spacciata. L'unica cosa che restava da fare era controllare che non ci fosse qualcuno ancora vivo tra le macerie. Pierre vagava di strada in strada, accecato, soffocato dal fumo; i cani abbandonati, legati alla catena, riempivano l'aria dei loro latrati tragici, del chiasso dei loro balzi folli. Uno finì per spezzare la catena e, avvolto dalle fiamme, passò di corsa a poca distanza da Pierre. C'era un fagotto nel ruscello. Un bambino. Com'era finito lì? Era ancora vivo. Pierre lo raccolse e se lo nascose sotto la giacca. Passò davanti alla casa dove, solo un'ora prima, aveva scambiato qualche parola con il vecchio operaio. La casa andava a fuoco e l'operaio era fuggito. Anche Pierre fuggiva, adesso, tenendosi stretto il bambino. Di tanto in tanto delle colonne di fumo e fiamme gli si paravano davanti. Lui allora ci girava attorno, o ci passava in mezzo, senza sapere neanche lui come. Sembrava dotato di una forza, di un'agilità straordinarie. Finalmente si ritrovò sulla strada. Si mise a correre, strisciò per terra, cadde, si rialzò, lo sguardo sempre fisso sul bosco. Si sentiva responsabile di ogni essere umano che aveva nascosto lì, di ogni respiro che usciva da quei poveri petti. Ma il bosco era intatto. Pierre rotolò sull'erba, ai piedi di un gruppo di donne che stavano scrutando l'orizzonte e che cacciarono un urlo:

«Signor Pierre!».

In effetti, così conciato, col vestito a brandelli, i capelli e le sopracciglia bruciati, faceva paura. Dalla giacca gli cadde il bambino avvolto nelle fasce.

«È il mio!» gridò una donna con un riso isterico misto a singhiozzi. «Il mio Jeannot! Lo credevo con la nonna! Oh, signore, grazie...».

Gli portarono dell'acqua, gli lavarono le mani e il viso. Poi, seduti sull'erba, contemplarono l'incendio. A tratti, le fiamme erano così forti da lasciar vedere distintamente quello che stavano divorando, e allora un sospiro, un grido si levava nel buio.

«Va a fuoco il mio quartiere, la mia casa... Non si poteva proprio far niente, signor Pierre?».

«No, niente. Ma siamo vivi. Per il resto, si ricostruirà. Saint-Elme è stata distrutta e ricostruita tante di quelle volte... una volta in più che vuole che sia. Non pianga, signora Vandeeke, e mi dia da bere, per favore» disse, e le donne notarono che la sua voce nitida, bassa e asciutta non era cambiata.

Rimasero a guardare Saint-Elme che bruciava per tutta la notte e il giorno seguente. Videro anche passare i soldati in ritirata, quelli sopravvissuti e rimasti liberi dopo la battaglia - battaglia che ancora una volta si era svolta sul canale, e che ancora una volta, ahimè, era stata persa. E tra le rovine videro avanzare i primi tedeschi.

Organizzare una difesa qualsiasi era impensabile: non c'erano né gli uomini né le armi.

«Adesso dobbiamo andarcene,» dissero le donne «prendere strade secondarie e cercare di arrivare ad Arras».

«No,» disse Pierre «è inutile. È così dappertutto. Quello che dobbiamo fare è tornare a casa. Ricostruire il ricostruibile e aspettare tempi migliori».

Tutti si avviarono lentamente verso Saint-Elme.