22
La gente aspettava la guerra come l'uomo aspetta la morte: sa che non le sfuggirà, gli sia concessa soltanto una proroga. «D'accordo, verrai, ma aspetta un po', aspetta che abbia costruito questa casa, piantato quest'albero, fatto sposare mio figlio, aspetta che non abbia più voglia di vivere». Alla guerra si chiedevano le stesse cose. Ancora qualche mese di tranquillità, ancora un anno, ancora una stagione dolce e spensierata... Le speranze che si nutrivano erano tutte qui. Anche domani, come oggi, la minestra servita in tavola, la famiglia riunita, i divertimenti, gli affari, l'amore, ancora per un po', ancora un momento. Poi... Come su certi quadri antichi si vede raffigurata la morte a fianco del bracciante che guida l'aratro, la morte che beve nel bicchiere del ricco, che dorme sul giaciglio del povero, che canta con i musici nei banchetti, che siede tronfia in chiesa, nell'umile casa di un contadino o in un palazzo signorile, così gli uomini del 1938 percepivano accanto a sé la presenza invisibile e continua della guerra. Li prendeva per mano e li guidava dove voleva lei, dava un retrogusto amaro a ciò che mangiavano, avvelenava i loro momenti di gioia, si chinava con loro sulle culle dei neonati.
Nel frattempo, si viveva come si era sempre fatto. Si davano grandi pranzi e qualche uccello del malaugurio vestito di nero, tagliando il fagiano e il foie gras tartufato, parlava delle guerre future come se ci si trovasse in mezzo: «Un'invasione improvvisa, un giorno, all'alba, piste di volo bombardate... civili mitragliati sulle strade...». Le donne scuotevano il capo e mormoravano: «Terribile, terribile...» e intanto pensavano: «Che rabbia, avrei dovuto mettermi il vestito rosa... Non sono abbastanza elegante». E mentre i camerieri mettevano in tavola i piattini di cristallo e i cucchiaini di vermeil per il gelato, qualcuno pronosticava la caduta del governo per lunedì e dichiarava di sapere da fonte sicura che in primavera Hitler avrebbe mandato le sue truppe in Ucraina. In Spagna si combatteva. Ma la gente continuava a sposarsi, morire, fare figli. Dagli Hardelot e dai Burgères c'era una gran fermento perché Guy voleva sposare Rose.
Un matrimonio insperato, pensavano gli Hardelot, e ciò nonostante erano scontenti: non gli andava che il loro ragazzo passasse per un cacciatore di dote. La signora Burgères aveva dichiarato che mai avrebbe dato il suo consenso a quell'unione. Rose aveva trascorso quasi tre mesi a Parigi e si era vista con Guy tutti i giorni. E quando era tornata a Saint-Elme aveva annunciato di essersi fidanzata. Un duro colpo per Simone. Ecco che si ritrovava quegli Hardelot fra i piedi! Ecco che il figlio di Agnès sarebbe stato, un giorno, il padrone della fabbrica! Fortuna che Rose aveva solo diciott'anni e la madre esercitava ancora su di lei la patria potestà. I tempi però erano cambiati, non si poteva più tenere una figlia rinchiusa, farla sposare secondo il proprio volere. Certo, il patrimonio era tutto nelle mani di Simone, ma ciò che quest'ultima più di ogni altra cosa paventava era uno scandalo. Teneva molto al suo buon nome in città e non voleva che la accusassero di privare la figlia del denaro che le spettava, né di essere una cattiva madre. E tutte le vecchie storie che aveva creduto dimenticate per sempre rispuntavano fuori. Si riparlava dell'antica rottura del fidanzamento, si diceva che lei non aveva mai perdonato a Pierre e a Agnès la loro intesa segreta, il loro amore, e che si era vendicata mandandoli in rovina; si diceva che detestava Rose. Si vociferava persino che fosse stata lei a convincere Burgères a sedurre l'amante di Guy perché quest'ultimo piombasse nella disperazione. Insomma, la gente di Saint-Elme inventava le trame più losche, e intanto cercava d'indovinare quel che accadeva in casa Burgères. L'eco delle scenate quotidiane arrivava fino ai quartieri operai, passando di bocca in bocca dalle giovani cugine Renaudin al vecchio Hardelot Demestre. L'anziana signora Florent viveva una seconda giovinezza: andava di casa in casa con il suo ombrello nero - era infatti un'estate piovosa - e la capiente borsa con dentro il fazzoletto listato a lutto - la signora Florent si vestiva di nero ogni volta che qualcuno della famiglia Hardelot passava a miglior vita, come fanno i negozianti in Inghilterra quando muore un membro della famiglia reale -, le due paia di occhiali e le chiavi. Insinuava che Simone Burgères teneva sequestrata la figlia e metteva in giro voci che lasciavano presagire uno scandalo. Poi, quando incontrava Rose per le strade di Saint-Elme, si fermava, le si avvicinava, la guardava con le lacrime agli occhi e mormorava: «Povera, povera figliola...». Quindi la baciava sulle guance e si allontanava fingendo di asciugarsi gli occhi. Sebbene Simone glielo avesse tassativamente proibito, Rose si recava spesso dall'anziana signora Florent, e questa le raccontava - a modo suo - il matrimonio di Pierre e di Agnès.
«A quell'epoca,» le diceva «le ragazze non erano libere come adesso. Nelle buone famiglie - e i Florent sono di ottima famiglia -, i matrimoni venivano combinati dai genitori, e ai giovani non restava che obbedire. Agnès era fidanzata con un uomo molto ricco, bello e distinto. Ma lei amava Pierre Hardelot. Per fortuna, mi adorava e non mi nascondeva niente: "Mamma cara," mi ha detto un giorno "tu che sei così intelligente, che capisci tutto, e che sei la mia migliore amica... Consigliami: che cosa devo fare? Devo far tacere il mio cuore e sposare l'uomo che mi hai destinato?". "No," le ho detto io "no, bambina mia, ho vissuto solo per la tua felicità e voglio che tu sia felice. Un'unione in cui si metta a tacere il cuore non è che una caricatura dell'amore coniugale. Il denaro, il lusso, la vita mondana sono ben poca cosa senza un profondo amore reciproco. Visto che ami Pierre Hardelot, devi sposarlo". Allora lei gli ha dato appuntamento nel bosco della Coudre e gli ha detto: "Ecco, io ho dalla mia parte mia madre e la mia coscienza. Ho rotto il fidanzamento, ti seguirò in capo al mondo". I due giovani avevano deciso di fuggire insieme, come nella Belle Aventure, una commedia deliziosa, mia piccola Rose; la conosce? Quando ho saputo quello che stava per succedere, non ci ho visto più: senza pensarci due volte, sono andata a trovare i genitori di Pierre Hardelot -sua madre era una brava persona, un cervello di gallina ma un gran cuore, un tipo tutto casa e famiglia. "Aggiusteremo la faccenda, vero?" ho detto loro. "Lasciamo pure protestare il nonno: verrà a più miti consigli quando nascerà il primo nipotino! Facciamo la felicità di questi due giovani". Il tono autorevole delle mie parole ha convinto quelle due brave persone e, be', due mesi dopo Pierre e Agnès erano sposati. Ma ci vuole volontà, ci vuole decisione, non ci si deve lasciar manovrare come dei bambini, diamine! Bisogna rischiare il tutto per tutto nella vita! La felicità bisogna guadagnarsela» diceva la signora Florent, e con aria trionfante conficcava l'ago nel ricamo che aveva tra le mani.
Era l'inizio di agosto. L'attenzione e la preoccupazione della gente si concentravano alternativamente sulla Spagna, sulla Cina, sulla Cecoslovacchia. Anche se quest'ultima sembrava la più sicura: Lord Runciman si trovava a Praga, e tutto lasciava supporre che avrebbe avuto modo, oltre che di lavorare e dirimere la questione dei Sudeti, anche di distrarsi. «Questo» si diceva «consentirebbe di arrivare all'autunno, di riporre le messi; una guerra non comincia mai in autunno, lo sanno tutti». «Anche nel '14» commentava il vecchio Hardelot Demestre «era stata dichiarata con un mese di ritardo». L'opinione unanime era che la stagione a rischio fosse la primavera. Ma via! Il 1938 sarebbe continuato e si sarebbe chiuso senza che la grande paura si materializzasse in qualcosa di più concreto.
Un mese e mezzo dopo, mentre si aspettava di ora in ora di conoscere i risultati dei primi colloqui tra Chamberlain e Hitler, la signora Florent, sporgendosi dalla finestra, teneva d'occhio la cancellata che circondava il parco dei Burgères. Aveva fatto recapitare a Rose un breve messaggio: «Devo parlarle, mia cara. Si faccia coraggio e abbia fede». Il pericolo - quando sono altri a percepirlo -, lungi dall'angosciare una persona anziana, la mette al contrario in uno stato di grande eccitazione, la rinvigorisce. Probabilmente perché sente di non essere la sola ad avere la morte alle calcagna: tra lei e il resto del mondo si è ristabilita una specie di uguaglianza. La signora Florent, cogliendo in lontananza l'eco dei cannoni diretti verso le frontiere, era tutta pervasa di spirito battagliero. Per di più, quegli eventi offrivano al matrimonio di Guy e Rose opportunità insperate. Rose era caparbia, di temperamento energico e bellicoso, ma ancora così giovane... Avrebbe osato tener testa alla madre, alla società? Eppure, com'era alta la posta in gioco! «La felicità di tutta una vita» pensava l'anziana donna - la fabbrica riscattata e lei, la signora Florent, che, alle soglie della vecchiaia, riconquistava la stima, l'invidia e l'ammirazione di Saint-Elme. L'anziana signora si ricordava con nostalgia dei bei tempi andati (quelli che erano seguiti alla riconciliazione tra il vecchio Hardelot e il nipote). Allora non c'era matrimonio, da Calais ad Arras, a cui lei non fosse invitata! E che visite a Capodanno, il fior fiore della provincia, davvero! La signora Florent sospirò. Finalmente vide Rose venirle incontro sulla strada. Le fece dei cenni dalla finestra e l'accolse a braccia aperte sulla porta del salotto.
«Dunque, mia cara, siamo in guerra?».
Rose restava in piedi accanto a lei, con le labbra serrate e gli occhi lucidi.
«Ho ricevuto una lettera da...» disse infine sottovoce.
Non ebbe la forza di pronunciare il nome di Guy; scoppiò in lacrime e si lasciò cadere su una sedia, mordendo la fodera grigia che ne ricopriva lo schienale per soffocare il pianto.
L'anziana signora Florent alzò gli occhi al cielo in quel modo tutto suo che la faceva somigliare vagamente a un bulldog. E riprese:
«Povera figliola... Deve rassegnarsi! È terribile, però! Essere separati così, nel fiore degli anni, e chissà per quanto tempo... Ahimè, la guerra sarà lunga, sarà dura. Ma, in un certo senso, forse è meglio così, è meglio che accada quando siete solo fidanzati. Pensi al dolore di una giovane sposa...».
«Oh, non dica così, signora!» la interruppe Rose. «Vivere insieme, non foss'altro che per un giorno, per un'ora! E poi... i ricordi, pensi, i ricordi per tutta una vita. E invece, perderlo ancor prima di aver conosciuto la felicità di essere sua! Lo amo tanto, signora, lo amo davvero. Mi ha detto che partirà fra i primi, mi ha detto addio. Oh, voglio rivederlo, la supplico, che cosa devo fare? Se lui viene a Saint-Elme, la mamma è capace di tenermi chiusa in casa. Senta, signora...».
Si asciugò gli occhi. Parlava con voce rotta e tremante.
«Voglio partire. Voglio scappare. Sì, andrò a Parigi. Davanti al fatto compiuto, mia madre sarà costretta a dare il suo consenso. È quello che lei stessa mi avrebbe consigliato, vero, signora? C'è un treno che parte alle tre e cinquantacinque. Andrò direttamente da qui alla stazione. Solo, ecco, c'è un particolare: non ho un centesimo. Mia madre mi ha tagliato i viveri, non posso neanche comprare un francobollo senza che lei lo sappia. Ma lei mi presterà i soldi per il biglietto, vero? Oh, signora, mi rivolgo a lei come un tempo la sua Agnès... implorandola: lei che è così intelligente, che capisce tutto!».
La signora Florent non ebbe esitazioni. «Ero nata per essere un grande capo» pensò con orgoglio.
«Secondo me, bisogna rischiare il tutto per tutto» disse. «Parta, mia cara».
Le diede la somma necessaria, l'accompagnò fino alla porta del giardino e la guardò correre verso la stazione. Poi si mise il cappello e uscì per andare a spifferare in giro gli ultimi sviluppi della vicenda.