25
Gli uomini erano partiti, senza clamore, senza canti, senza fiori. E così pure i bambini. Rimaste sole, le donne facevano il loro dovere: mettevano in ordine la casa, riponevano in soffitta i bauli con i vestiti estivi. Rose, Agnès e Colette sfaccendavano insieme: Agnès e Colette erano tornate da Wimereux poche ore prima della partenza di Guy. Non piangevano. La guerra aveva già cominciato a creare la sua leggenda. Si dava per scontato che le donne si sarebbero mostrate all'altezza dei soldati con la loro serenità, il loro coraggio, la loro cieca fiducia in un radioso destino. Per Agnès era più facile: per quattro anni aveva recitato quel ruolo: a testa bassa, aveva aspettato, ingoiato lacrime in silenzio, sorriso ai bambini e ai vecchi, sperato. Ma per le giovani, quant'era dura! Ribelli, inquiete, ardenti, avevano creduto fino a quel momento che fosse facile sfidare il destino. La fuga da casa, la resistenza all'autorità materna, il matrimonio concluso secondo il proprio volere, tutto aveva dato a Rose l'orgogliosa consapevolezza della propria forza e della propria giovinezza. Ma ecco che adesso era sconfitta e privata del suo bene. Provava una rabbia disperata, un rancore cieco che si estendeva all'universo intero. Quando si trovò da sola per un momento nella sua camera, mostrò il pugno all'azzurro del cielo. Com'era alto e luminoso, quel cielo d'estate! Dei piccioni tubavano sul balcone e piano piano scendeva la sera. Come pesci ciechi fluttuanti nell'acqua trasparente, i palloni antiaerei si levavano, col loro ventre argenteo, nello spazio verde oro. Agnès incollava sui vetri delle finestre strisce di carta gommata nella speranza che contrastassero la potenza devastante delle bombe. Rose era distesa sul letto sfatto e mordeva il cuscino per soffocare i singhiozzi.
Colette entrò nella camera della cognata.
«Vieni, cara, non restare qui. Vieni...».
Rose la guardò e scosse il capo.
«Come ti invidio. Come sei fortunata. Tu non hai nessuno laggiù!».
«Ma, Guy...».
«Oh, un fratello, che sarà mai... È triste, sì, so che gli vuoi bene. Ma, Colette, se tu sapessi, io...».
Rose batté i pugni sui seni nudi, e quel gesto brusco fece arrossire Colette, che lo giudicò quasi sconveniente.
«È come se mi strappassero il cuore» proseguì a voce più bassa.
Colette si gettò in ginocchio accanto al letto.
«Non è solo Guy» dichiarò afferrando la mano di Rose e portandosela alla guancia. «Un altro...».
Ma Rose non la sentiva. Un solo amore contava per lei: il suo. Poi, a poco a poco, tornò in sé. Non intendeva ferire Colette.
«Un altro?» le chiese con distacco.
Colette sussurrò un nome e con entusiasmo aggiunse:
«Non sai chi è. Lo avevo conosciuto quest'inverno e ci siamo ritrovati a Wimereux. E lì, in quel buco orrendo, stando sempre insieme, inevitabilmente, capisci... Ma sarebbe rimasta un'amicizia, un'affettuosa simpatia, se non ci fossero stati questi ultimi giorni... queste ultime ore... E allora, lui ha detto, ha detto...».
Colette abbassò lo sguardo, giocherellò nervosamente con un piccolo braccialetto d'oro che portava al polso e con voce tremante concluse:
«Ha detto... "È difficile vivere senza di lei"... E ci siamo fidanzati».
Aspettò il parere di Rose.
«Le mie congratulazioni, cara» disse questa senza alcuna emozione, e intanto pensava: «Come può parlare di fidanzamento, di amore? Può forse capire? Solo io e Guy sappiamo».
Ma poi, sfiorando la guancia di Colette con un bacio leggero, riprese:
«Sono molto felice per te».
«Ma è partito» disse Colette con voce soffocata. «Tornerà, di questo sono sicura, tornerà. Sai, a volte si hanno delle intuizioni così... che non ingannano, vero?» domandò con un'ingenua e ardente speranza. «Ci credi, tu, ai presentimenti? Quando l'ho visto, l'anno scorso, è stato come se qualcuno mi stringesse il cuore con forza e con dolcezza insieme, non posso spiegartelo, è come quando si prende in mano un uccellino in modo tale che non scappi e non gli si faccia male... sai? Oh, sono ridicola, ma ti giuro, l'ho sentito e ho capito che era lui, lui e nessun altro!».
E ripeté piano:
«Lui, lui».
Poi tacque e si coprì gli occhi con le mani.
«Se malgrado tutto mi sbagliassi, se non tornasse, se morisse senza che io sia stata sua... Ah, avrei voluto, almeno una volta, una volta... Mi sentirei meno povera, adesso».
«No, zitta! Non sai quel che dici. Non puoi parlare di certe cose, tu, se nemmeno sai che cosa hai perso!».
Colette si alzò, andò alla finestra e guardò la strada deserta.
«Ne hai parlato con i tuoi genitori?» domandò Rose.
«No» disse Colette senza voltarsi.
«Perché?».
«Più avanti. Adesso non oso. Oh, non che sarebbero scontenti. Ma... Già me la vedo la mamma che capisce tutto e sembra voler dire: "Chissà che ci trova?". No, preferisco non dirle ancora niente. Con te, è diverso. Tu capisci».
«Sì» replicò Rose con voce stanca.
Si alzò, si vestì, poi disse:
«Vieni, usciamo. C'è odore di naftalina, qui. È buio, lugubre. Vieni».
E uscirono entrambe, senza meta. Faceva caldo. In mano avevano le maschere antigas e si sentivano ridicole. D'istinto, Rose guardava in faccia tutte le donne che incrociava e pensava:
«Questa qui ha qualcuno laggiù. Quest'altra, no».
Lo si leggeva negli occhi, sui tratti del volto, lo si intuiva da una cert'aria assente, come se quella donna fosse lì solo fisicamente, ma con lo spirito seguisse un vagone pieno di uomini, un camion su una strada. Due ragazze passarono di corsa, ridendo, seguite da una coppia anziana. La madre le richiamò:
«Suzanne! Charlotte! Su, un po' di contegno, siete senza cuore!».
E una, girando appena la testa, rispose:
«Lasciaci ridere, non abbiamo nessuno al fronte, noi!».
Rose impallidì e si fermò.
«Torniamo a casa,» disse con voce flebile «fa troppo caldo. Non mi sento bene».
Tra i parigini correva voce che quella notte la città sarebbe stata bombardata. E la gente aspettava, senza una paura concreta, con una curiosità affascinata, come l'uccello aspetta il serpente. Non si può fuggire, ma il pericolo sembra troppo irreale. Inconcepibile, inimmaginabile. «Sarà quel che sarà» diceva la gente.
Quella notte, quando per la prima volta si udirono le sirene d'allarme, quel soffio che sembra salire dall'orizzonte, correrti incontro, tuonare come un temporale e poi diventare lamento, invocazione, gemito - «Non posso far niente per te, solo avvertirti. Mettiti in salvo! Arriva la morte, e tu sei disarmato. Scappa!» -, quella notte quasi tutti scesero nei rifugi. Era la prima volta. La gente rideva e mostrava sprezzo del pericolo, intimamente fiera di poter essere come i soldati al fronte. Ah, nessuno avrebbe più detto, come nel 1914, che il paese era diviso in due, chi moriva e chi invece, grazie a quei morti, viveva: tutti erano uguali, tutti combattevano, tutti rischiavano la pelle.
Pierre si rifiutò di mettersi al riparo: temeva che l'umidità della cantina risvegliasse i dolori della vecchia ferita. Agnès rimase con lui. Anche Colette e Rose volevano restare, ma Agnès le costrinse a scendere. Nel cortile interno si vedevano brillare le piccole luci delle pile. A Parigi non si erano mai viste tante stelle. Senza più la luce elettrica a smorzarne la lucentezza, tremolavano dolcemente, e il cielo aveva un aspetto sereno e amichevole.
Pierre e Agnès fingevano di dormire; lui le aveva messo un braccio intorno alle spalle e si sforzava di dare un ritmo regolare al proprio respiro. Ma Agnès non si lasciava trarre in inganno, sapeva che il marito non riusciva a prender sonno.
«A che cosa pensi?» gli sussurrò all'orecchio. «Non dormi...».
«A Guy».
Pierre aveva risposto subito, con voce flebile e tremante. «Com'è invecchiato...» pensò lei.
Gli si avvicinò e lo strinse a sé cullandolo come un bambino. Per lei, Pierre era sempre giovane. Nella sua mente, l'immagine del figlio appena partito e quella del soldato dell'altra guerra si sovrapponevano, e lei quasi le confondeva. Ma, tenendo il marito stretto a sé nel buio e sfiorandone la cicatrice sul fianco, si ricordò che lui aveva cinquantaquattro anni ed era anziano e fragile. E allora una tristezza indefinibile, un misto di pietà, paura e amore, si insinuò in lei sommandosi a tutti i dispiaceri delle ultime settimane.
«Povero caro, povero amico mio...» sussurrò Agnès posando la bocca sull'orecchio di Pierre.
«Sì, a Guy» ripeté lui, e come se il contatto con la moglie gli riuscisse insopportabile, la respinse piano e sospirò:
«Al nostro ragazzo...».
«Lui sa a che cosa va incontro nostro figlio,» pensò Agnès «io tremo, sogno, immagino, ma lui... Guerra, vittoria, battaglia, sono parole che non suonano allo stesso modo per lui e per me. Lui sa cosa c'è sotto. Se lo ricorda. Sa dove mandano suo figlio».
«Non si dovrebbe vedere una cosa simile due volte» disse lei.
Ma Pierre non l'ascoltava. Parlava con voce concitata e febbrile. In lontananza si udiva il rombo del cannone: la contraerea stava sparando agli aerei nemici, o forse erano semplici esercitazioni in vista degli allarmi notturni e perché i parigini si abituassero alla prudenza e alla rassegnazione.
«Hai visto come sono partiti?».
«Sì».
«E che ne pensi?».
«Che non era la partenza del '14. Niente fiori, niente fanfare, ma...».
«Sì, d'accordo,» la interruppe lui «sono straordinari. Sono figli nostri, il che è tutto dire. Se avranno buoni comandanti, se tutto andrà come deve andare, se la caveranno come ce la siamo cavata noi. Ma... io ho paura. Gli hanno parlato troppo dell'altra guerra. Quelli che l'hanno fatta se la ricordano troppo bene. La memoria di un popolo è una cosa terribile. Si dice che la gente è smemorata; proprio così, è come gli animali: si ricorda di aver sofferto, ma non perché ha sofferto... Una memoria terribile, viscerale, fatta di rancore cieco, di ingiustizia, di odio e di stupidità. Nel '14 eravamo innocenti come neonati. In guerra ci andavamo decisi, convinti. Ma loro... loro che hanno capito che tutti i sacrifici sono stati inutili, che non c'è stato nessun vincitore, loro che sanno bene che cosa è successo allora e che cosa è successo poi - perché l'hanno letto o visto o sentito raccontare -, come vuoi che affrontino una simile prova? I nostri giovani noi li abbiamo tirati su con queste storie. Non abbiamo fatto altro che ripetergli quanto tutto ciò sia stato stupido, quanto sia stato inutile. E allora? Che cosa succederà? Quelli che sono in gamba, veramente in gamba, non avranno neppure le illusioni necessarie per morire più o meno decentemente. Gli altri... la maggioranza... Basterà che la guerra vada per le lunghe, che non ci siano subito vittorie clamorose, e si sentiranno vittime di un imbroglio, come ci siamo sentiti noi. Ma questo a noi è capitato alla fine. Abbiamo tenuto botta, resistito. Andavamo avanti per inerzia. Ma loro... E dire che abbiamo creduto di riscattarli, come se si potesse riscattare un'intera generazione, un intero popolo, pur non essendo Dio... Sono molto triste, Agnès, molto preoccupato, tu sei più forte di me, moglie mia».
«Ma no, sei solo stanco...» lo rassicurò lei cullandolo. «E non stai bene. Hai le mani calde. Si soffoca qui dentro. Appena finirà l'allarme, apriremo le finestre. Resta qui. Non muoverti. Dormi».
La notte passò. Con i primi raggi di un'alba rosea, splendida e gioiosa, mentre i piccioni tubavano sul tetto, le sirene annunciarono il cessato allarme.