Epilogo

A MO’ DI ELOGIO FUNEBRE

Lettera a papà1

Sabato 21 gennaio 2017

Note per il ricevimento dopo la cerimonia

Caro papà,

grazie per la saggezza di una vita intera che mi hai trasmesso, traendola da momenti, circostanze ed episodi della tua esistenza. Con il tuo permesso, ne condividerò alcuni che per me svettano sopra tutti gli altri.

Non ho mai dimenticato la storia del tuo professore di ginnastica del liceo, che aveva sottolineato come la tua corporatura non fosse adatta per un buon corridore della squadra di atletica leggera. La tua reazione? «Nessuno mi dirà che cosa non posso fare della mia vita.» Cominciasti immediatamente a correre. Corresti anche nello stadio di Hitler a Berlino alle «Olimpiadi militari» del 1946. Il mondo del dopoguerra non era ancora pronto per delle Olimpiadi tradizionali, così questo particolare evento mise in competizione soldati-atleti dei vari teatri di conflitto di tutto il mondo. E al college diventasti un atleta di livello mondiale sulla media distanza, facendo segnare una volta il quinto miglior tempo al mondo nella gara delle 600 iarde. Traendo ispirazione da quell’esempio, io ho avuto ragione delle forze sociali più negative che si opponevano alle mie ambizioni di vita.

Non ho mai dimenticato la storia del tuo miglior amico Johnny Johnson, un’altra stella della pista, che gareggiava in un meeting contro il New York Athletic Club. All’epoca, ovviamente, in squadra erano ammessi solo gli atleti bianchi anglosassoni protestanti, e quindi i neri o gli ebrei competevano invece come membri del Pioneer Club, fondato a quello scopo. Giunto all’ultima curva del quarto di miglio, Johnny era davanti al corridore del New York Athletic Club di diversi passi quando sentì l’allenatore dell’avversario gridare chiaramente: «Prendi quel negro!». La risposta di Johnny a se stesso fu semplice e diretta: «Questo è un negro che lui non prenderà!», e rimase in testa fino al traguardo. Quelle che oggi sarebbero considerate microaggressioni, allora venivano sfruttate come fonti di ispirazione per eccellere. Seguendo quell’esempio, ho utilizzato occasioni simili durante la mia vita per eccellere perfino al di là delle aspettative che nutrivo per me stesso.

Mi parlavi del lavoro da sarta della nonna immigrata. Del lavoro del nonno come guardiano notturno per la compagnia Horn & Hardart, che si occupava di ristorazione. Una buona cosa, perché a volte portava a casa degli avanzi, quando il denaro scarseggiava. I tuoi racconti sulle lotte non erano mai pervasi dall’odio. Mai aspri. Erano invece pieni di speranza e fonti di ispirazione: comunicati con l’incerta fiducia che l’arco della giustizia sociale continuerà a piegarsi verso l’equità. Io porto questa visione del futuro della società in ogni giorno della mia vita.

A scuola studiasti duramente, e facesti della tua aspirazione alla giustizia sociale un viatico che ti portò fino alla nomina a commissario del sindaco Lindsay per la gestione delle risorse umane di New York. I giornalisti non scrivono articoli sui fatti che non accadono. Ma i programmi che attivasti nei quartieri poveri della città, sostenendo i giovani nei tardi anni Sessanta quando quei quartieri erano polveriere, fecero sì che agitazioni e disordini fossero blandi. Di fatto, New York rimase tranquilla a paragone di quello che accadde a Watts, Newark, Detroit, Cincinnati, Milwaukee, e specialmente a Chicago, a Washington e a Baltimora, dove le truppe federali dovettero intervenire per reprimere le violenze. Lavorasti a tutto ciò dietro le quinte, ricevendo come unica ricompensa la silenziosa consapevolezza del fatto che la più grande città del paese non è bruciata durante gli anni più turbolenti del decennio più turbolento della storia americana dopo la guerra civile. Sforzarsi di fare ciò che è giusto, senza domandarsi se altri se ne accorgono, dovrebbe essere un esempio per tutti noi.

Le tue storie e i tuoi punti di vista su come muoversi nei rapporti con le persone, la politica, i flussi di finanziamento e i retaggi delle istituzioni hanno profondamente influenzato i miei sforzi (riusciti) di creare di sana pianta un dipartimento di astrofisica nuovo di zecca presso l’American Museum of Natural History. Tu mi hai insegnato che nella vita avere ragione non è sufficiente. Bisogna essere anche efficaci. Per questo oggi considero la formazione di quel dipartimento come uno dei massimi successi della mia carriera professionale.

Così, papà, questa lettera di ringraziamento in occasione della tua morte è semplicemente un pubblico riconoscimento di ciò per cui ti ho già ringraziato durante la tua vita: avermi trasmesso principi guida per vivere la mia esistenza nel modo più pieno, e intanto, quando possibile, alleviare la sofferenza degli altri.

So che mi mancherai, perché già mi manchi.

Cyril deGrasse Tyson

ottobre 1927 - dicembre 2016