Cara Gloria, come stai?

Prima di tutto Buon Natale e Buon Anno Nuovo.

Qualche giorno fa ho parlato con mia madre che mi ha detto che alla fine andrai all’università a Bologna. Glielo ha detto tua madre. Studierai qualcosa che c’entra con il cinema, vero? Quindi niente più economia e commercio. Hai fatto bene a insistere con tuo padre. Era quello che volevi fare. Uno deve fare le cose che vuole. Quest’università sul cinema sarà sicuramente molto interessante e Bologna è una bella città e piena di vita. Almeno così dicono. Quando uscirò dall’istituto voglio fare un giro in treno per tutta l’Europa e ti verrò a trovare così me la farai conoscere.

Manca poco, sai, tra due mesi e due settimane compio diciotto anni e me ne vado via. Ti rendi conto? Mi sembra impossibile, finalmente potrò uscire da questo posto e fare quello che voglio. Ancora non lo so bene quello che voglio. Ma mi hanno detto che esistono delle università serali e forse potrei frequentarne una. Mi hanno anche proposto un lavoro qui, aiutare quelli che entrano in istituto a integrarsi e cose del genere. Mi pagherebbero. Gli insegnanti dicono che ci so fare con i ragazzini piccoli. Non lo so, ci dovrò pensare, quello che voglio ora è fare il viaggio. Roma, Parigi, Londra, la Spagna. Quando tornerò deciderò del futuro, c’è tempo per questo.

Devo dirti che ero indeciso se scriverti, è da molto che non ci scriviamo. Nell’ultima lettera ti avevo detto che non volevo che mi venissi a trovare. Spero che tu non ci sia rimasta male ma non ce la faccio a vederti così, dopo tutto questo tempo e in questo posto, per un paio d’ore e basta. Non saremmo riusciti a dirci niente, avremmo parlato delle solite cose che si dicono in questi casi e poi tu te ne saresti andata e io ci sarei stato male, lo so. Avevo deciso che appena uscito ti avrei telefonato e ci saremmo potuti incontrare in un bel posto, lontano da qui.

Alla fine ti ho scritto perché avevo bisogno di parlarti di una cosa a cui ho pensato tante volte in tutti questi anni e forse c’entri pure tu, in qualche modo, ossia a perché quel giorno in piazza ho raccontato a Pierini della professoressa Palmieri. Se non gli avessi detto niente, forse nessuno l’avrebbe scoperto e non sarei finito in istituto. Per tanto tempo ho risposto agli psicologi che lo avevo detto perché volevo dimostrare a Pierini e agli altri che anch’io ero forte e non mi facevo mettere i piedi in testa e che dopo la bocciatura ero fuori di me. Però non era così, era una balla che raccontavo.

Poi qualche settimana fa è successa una cosa nuova. È arrivato un ragazzino calabrese che ha ucciso il padre. Ha quattordici anni. Quando parla e parla pochissimo non si capisce niente. Ogni sera il padre tornava a casa e riempiva di botte la moglie e la sorella. Una sera Antonio (ma qui tutti lo chiamano Calabria) ha preso il coltello del pane dalla tavola e glielo ha piantato nel petto. Io gli ho chiesto perché lo aveva fatto, perché non era andato dalla polizia a denunciarlo, perché non ne aveva parlato con qualcuno. Lui non mi rispondeva. Come se io non esistessi neanche. Se ne stava seduto davanti a una finestra e fumava. Allora gli ho raccontato che anch’io avevo ucciso una persona, più o meno alla sua età. E che so come ci si sente dopo. E lui a quel punto mi ha chiesto come ci si sente e io ho detto, di merda, malissimo, con una roba dentro che non se ne va più. E lui ha scosso la testa e mi ha guardato e ha detto che non è vero, che dopo ci si sente come un re e poi mi ha chiesto se lo volevo sapere veramente perché aveva ucciso il padre. Ho detto di sì. E lui ha detto: perché non volevo diventare come quell’infame bastardo, meglio morti che come lui. Ci ho ripensato molto a quello che mi ha detto Calabria. Lui lo ha capito prima di me. Ha capito subito perché lo aveva fatto. Per combattere una cosa maligna che ci abbiamo dentro e che cresce e ci trasforma in bestie. Si è tagliato in due la vita per liberarsene. È così. Io credo che ho detto a Pierini di aver ammazzato la Palmieri per liberarmi della mia famiglia e d’Ischiano. Non l’ho fatto pensandoci, nessuno lo farebbe se ci pensasse, è stata una cosa che allora non sapevo. Io non credo molto all’inconscio e alla psicologia, credo che ognuno è quello che fa. Ma in quel caso penso che c’era una parte di me nascosta, che ha preso quella decisione.

Per questo ti scrivo, per dirti che quella notte sulla spiaggia (quante volte ci ho ripensato a quella notte) ti avevo promesso che non l’avrei mai detto a nessuno e ci credevo sul serio, ma poi forse il fatto che partivi per l’Inghilterra (non ti devi assolutamente sentire in colpa per questo) e rivedere il cadavere della Palmieri ha rotto qualcosa dentro di me e ho dovuto dirlo, buttarlo fuori. E credo veramente di aver cambiato il mio destino. Ora lo posso dire visto che ho passato sei anni in questo posto che chiamano istituto ma che per tanti aspetti è uguale a una galera e sono cresciuto, ho fatto il liceo e forse andrò anch’io all’università.

Io non volevo finire come Mimmo che sta ancora là a combattere con mio padre (mi ha detto mia madre che ha cominciato a bere anche lui). Io non ci volevo più stare a Ischiano Scalo. No, io non volevo diventare come loro e tra poco avrò diciotto anni e sarò un uomo, pronto ad affrontare il mondo (si spera!) nel migliore dei modi.

Lo sai cosa mi disse la professoressa Palmieri nel bagno? Che le promesse sono fatte per non essere mantenute. Io credo che sia un po’ vero. Rimarrò sempre un assassino, anche se avevo dodici anni non importa, non c’è modo per pagare una cosa così terribile, nemmeno la pena di morte. Ma col tempo s’impara a vivere lo stesso.

Questo ti volevo dire. Ho rotto il nostro patto ma forse è stato meglio così. Ora basta però, non ti voglio rattristare. Mia madre mi ha detto anche che sei bellissima e io lo sapevo. Quando eravamo piccoli ero sicuro che saresti diventata Miss Italia.

 

Ti bacio,

Pietro

 

PS. Preparati, perché quando passo da Bologna ti prendo e ti porto via.

 

FINE

 

 

Ti prendo e ti porto via
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