Circa alla stessa ora, Alima era seduta in una grande stanza dell’aeroporto di Fiumicino insieme a un altro centinaio di nigeriani. Se ne stava su una panca a braccia incrociate e tentava di prendere sonno.
Non aveva la più pallida idea di quando sarebbe partita. Nessuno si prende la briga di informare i clandestini sull’orario del loro rimpatrio. Comunque era certo che alla fine l’avrebbero imbarcata su un aereo.
Aveva voglia di un latte caldo. Ma c’era una fila lunga un chilometro davanti al distributore automatico.
Sarebbe tornata al villaggio e avrebbe rivisto i suoi tre figli, questa era la magra consolazione.
E poi?
E poi non lo voleva sapere.