Capitolo diciotto
Daniel se n’era andato in tutta fretta e io non sapevo cosa fare. Avevo riacceso la televisione per mettere a tacere i miei pensieri vorticosi. Non potevo spiegare a Blake come le sue parole mi avessero trafitta come un coltello. Lui non voleva che mi importasse di Daniel. Nessuno lo voleva. Cos’altro poteva fare quell’uomo per guadagnarsi il mio disprezzo? Eppure, mi scivolava dalle dita, lasciandomi solo un senso di vuoto e tristezza, un frammento di ciò che poteva essere. Un dispiacere costante per quello che era diventato.
«Sembri stanca. Vuoi stenderti?». Blake era seduto al suo solito posto sul divano di fronte, il suo sguardo pesante per la solita preoccupazione.
«No, voglio alzarmi».
Mi guardò esitante. «Che ne dici di un bagno? Ti rilasserebbe».
Sospirai. Un viaggio verso il bagno era il massimo che poteva concedermi, però era una bella idea.
«Va bene, ma cammino fin lì da sola. Devi smetterla di trattarmi come una bambina, Blake».
Si alzò rapidamente e mi aiutò. «Puoi camminare fin lì, ma non smetterò di prendermi cura di te finché muoio. Quindi puoi arrenderti già adesso». Mi accarezzò la guancia e disse: «Ti ho quasi persa».
Chiusi gli occhi, appoggiandomi alla sua mano.
Anch’io ti ho quasi perso. Il pensiero era troppo terribile da comprendere.
Avevo trascorso gli ultimi giorni a compatirmi. Non avere più il mio lavoro sembrava molto meno tragico rispetto all’eventualità di morire. E l’alta probabilità che non potessimo avere dei figli, per quanto fosse devastante pensarci – e avevo fatto di tutto per non farlo – impallidiva all’idea che avrei potuto morire tra le braccia di Blake quel pomeriggio. L’uomo che aveva ucciso Mark per ordine diretto di Daniel non aveva esitato a tentare di mettere fine alla mia vita.
Per quanto non riuscissi a essere dispiaciuta per la morte di Mark, non ce la facevo a credere che qualcuno potesse avere così poco valore per la vita umana. Daniel si circondava di quel tipo di persone nella sua vita, o forse c’erano sempre state. Anche se Blake aveva molti segreti, la sua esistenza sembrava ancora più oscura, con ombre su cui non volevo far luce.
Blake stava riempiendo la vasca quando lo raggiunsi. «Lascia che ti aiuti», disse, togliendomi la maglietta con la massima attenzione.
«Vieni anche tu?».
Si morse il labbro per un istante, guardando la vasca piena con uno strato invitante di bolle. «Non credo sia una buona idea».
«Ti prego… mi manchi». Mi mancava la felicità nei suoi occhi, mi mancava persino la sua impazienza. Tutto ciò che era rimasto era la pietà.
Sospirò. «Va bene. Ma sai che non possiamo…».
«Lo so».
Lo interruppi, non volevo che me lo ricordasse. Niente sesso per settimane. Non capivo perché fosse così importante, ma il dottore lo aveva ordinato e Blake insisteva a fare tutto alla lettera. Negarci l’uno all’altra non ci avrebbe ridato ciò che avevamo perduto, ma di certo avrebbe riempito un altro lungo periodo di tempo di ulteriori attese e preoccupazioni. Di nuovo frustrata, gli tirai la maglietta, costringendolo a togliersela.
«Sei troppo serio ultimamente. Giochi a fare l’infermiera con me tutto il giorno e ti sta stremando. Voglio rilassarmi e starti vicino, okay?».
Gli passai le dita tra i capelli scuri, allontanando le ciocche disordinate dalla fronte. Sembrava stanco e, per qualche motivo, esausto fuori come lo ero io dentro. Avevamo dovuto affrontare molte cose.
«Okay», mormorò dolcemente.
Mi voltai verso lo specchio mentre lui si svestiva. Sciolsi lo chignon disordinato che mi teneva su i capelli. Trasalii quando sentii un leggero dolore all’addome sollevando le braccia. Avevo un aspetto terribile. Anche se avevo passato settimane sul divano, sembravo più magra. E pallida. Mi ero persa gli ultimi giorni caldi dell’estate. Volevo sembrare e sentirmi di nuovo me stessa, ed essere meno fragile della creatura che ero diventata per via di quegli eventi terribili.
Lasciai cadere l’elastico per capelli nel cassetto dei trucchi. Tra i cosmetici, vidi la scatolina aperta delle pillole che mi guardava. La presi. Ero a metà del ciclo quando era accaduto.
Blake si fermò. «Cos’è?»
«Le mie pillole», risposi, stringendomi nelle spalle, cercando di sembrare disinvolta, ma non c’era più niente di spontaneo quando si trattava della mia fertilità. L’argomento era diventato un enorme elefante nella stanza. Feci cadere la confezione sul bancone. Iniziai a pensare e scoppiai a ridere tra me e me.
«Che c’è di divertente?», chiese Blake, scrutandomi nello specchio.
Abbassai lo sguardo, non volendo rivivere il dolore che avevo visto sul suo viso quando il dottore gli aveva dato la notizia. Ero viva, ma danneggiata. Che altro c’era di nuovo?
«Non lo so. Ho trascorso anni a cercare di non restare incinta, a preoccuparmi che potessi esserlo, e adesso non ci riuscirei neanche se lo volessi. Ma poiché c’è una possibilità, probabilmente ne avrò ancora bisogno».
Blake prese le pillole e le buttò nel cassetto. «Non ci pensare. Vieni, prima che l’acqua diventi fredda».
Pronta a dimenticare, allontanai quel pensiero dalla testa. Blake mi aiutò a entrare nella vasca e io mi abbassai sull’acqua calda. Mi rilassai, contenta per quel senso di sollievo. Quando si unì a me, le sue gambe scivolarono all’esterno delle mie. I peli erano ruvidi sulla mia pelle. Feci un respiro profondo al solo contatto, ricordandomi che non ci toccavamo molto da quando era avvenuto tutto. Nelle settimane in cui ero stata trafitta e punzecchiata dagli aghi e viziata come una vittima indifesa, avevo dimenticato il semplice piacere di avere la pelle di Blake sulla mia. Il suo tocco poteva calmarmi, guarirmi.
Posai la testa sul bordo della vasca. «Mi sento un po’ dissoluta».
«Sì? Come mai?»
«È martedì pomeriggio e ci stiamo rilassando nella vasca da bagno».
Lui scoppiò a ridere. «Forse ce lo meritiamo». Sotto l’acqua, mi prese il piede e mi massaggiò i muscoli. La sensazione era quasi irresistibile. Dio, quanto mi mancava il suo tocco. Anche i gesti semplici, la mia mano nella sua, un bacio delicato, mi facevano desiderare di più.
«Ci meritiamo molte cose».
Blake si fermò un momento. Io mi pentii subito delle parole che avevo detto e mi affrettai a cambiare argomento.
«Hai sentito Fiona ultimamente? Dev’essere irritata. Ha fatto tanto per organizzare il matrimonio e abbiamo dovuto rimandare. Mi sento meglio ora, forse potremmo riprendere i preparativi».
«Ti hanno sparato tre volte, Erica. Non credo che rimandare il matrimonio a quando starai meglio sia un problema. Siamo tutti felici che tu sia viva. Le nozze possono aspettare».
Passai le dita tra le bolle. Una domanda che avevo paura di porre era ferma sulle mie labbra. Non avevamo parlato di ciò che aveva detto il dottore dopo aver lasciato l’ospedale. Non avevamo detto neanche una parola.
«Non hai cambiato idea?».
I secondi passavano in attesa di una risposta. Evitando il suo sguardo, immaginai tutto ciò che poteva dire. Nonostante mi avesse assicurato molte volte che ero l’unica donna che desiderava, il dubbio riusciva a infiltrarsi nella mia mente.
«Perché mai dovrei cambiare idea?», rispose con tono serio e carico di emozione.
Cercai di trovare le parole giuste da dire, sforzandomi di guardarlo. «Le cose sono diverse, ora».
Serrò la mascella. «Le cose sono diverse ogni giorno, ma ciò che non è cambiato e non cambierà mai è il mio amore per te. Ti ho chiesto di essere mia moglie e lo desidero ora più che mai».
Feci un respiro, all’improvviso ero nervosa. «Ma non vuoi una famiglia, Blake? Non ne abbiamo mai parlato, ma… E se non potessi dartela?». Il mio cuore batteva selvaggiamente oltre la fitta di dolore che provavo. Forse non lo avrebbe mai ammesso, ma se questo avesse cambiato le cose per lui, per noi, avrei voluto saperlo.
Lo sguardo che mi rivolse era fermo e privo di ogni dubbio. «Io voglio te».
Respirai profondamente. «È importante. Dovremmo parlare di cosa vorrà dire per il nostro futuro. Non è una cosa che potevamo prevedere. Non voglio che tu ce l’abbia con me se non posso…».
Un bagliore di irritazione proruppe nel suo sguardo risoluto. «Cristo, Erica, vieni qui».
Mi prese la mano e chinandosi in avanti mi sollevò per portarmi dall’altra parte della vasca e mettermi a cavalcioni su di lui. Eravamo petto contro petto. Mi prese il viso tra le mani, erano calde e scivolavano lentamente sulla mia pelle.
«Capiremo come fare, okay?».
Il mio cuore non aveva rallentato. Non gli credevo ancora. «Ma se non possiamo?».
Lui trasalì. «Smettila di parlare come se non potrà mai accadere».
«C’è ancora una possibilità, lo so». Improbabile, ma c’era.
«Esatto».
Annuii lentamente. Forse aveva ragione.
«È mai capitato che non abbia ottenuto ciò che desideravo?»
«No», ammisi.
«Bene. Se vogliamo un bambino, ne avremo uno. In un modo o nell’altro. Prima pensiamo alle cose importanti. Devi riprenderti, poi potrai buttare quelle pillole».
Io lo guardai sconvolta.
«Non possiamo pianificare nulla in ogni caso. Se ci proviamo, ti preoccuperai e basta. Viviamo la nostra vita. Facciamo l’amore ogni sera e, se deve succedere, succederà».
Aprii la bocca per parlare, ma lui mi fermò, premendo le labbra alle mie.
«Niente se. So essere piuttosto deciso quando lo voglio. Sono sicuro che se vorrai un bambino, te ne darò uno».
Le sue parole mi tolsero il fiato dai polmoni e si precipitarono sulle pugnalate di dolore che provavo, erano pure e mi calmavano. Gli credetti.
Mi appoggiai a lui, sugli ampi muscoli tonici del suo petto. Il suo cuore batteva a un ritmo costante sotto le mie dita. A volte dovevo ricordarmi che era un umano come me, perché per me era sempre di più. Più importante, più forte di chiunque conoscessi, con una determinazione simile alla mia. Nel mio cuore, credevo che avremmo potuto fare qualsiasi cosa insieme.
Mi perdetti nei suoi occhi, un tornado color nocciola di passione, la nostra. «Ti amo», sussurrai, baciandolo con dolcezza. All’inizio lentamente, godetti del semplice piacere delle sue labbra carnose sulle mie. Poi, le carezze della mia lingua, un invito alla sua. Il suo sapore. Lo baciai più profondamente.
Mi toccò la guancia e si allontanò un po’.
Io mi spostai su di lui, consapevole del mio desiderio crescente. «Tutto questo discorso sui bambini, Blake, per la prima volta nella vita, mi sta facendo venir voglia di farne uno. Non me lo aspettavo».
Un accenno di sorriso apparve sulle sue labbra. «Non possiamo. Non oggi…».
Lo cercai sotto l’acqua e gli presi il cazzo tra le mani. Lui trattenne il fiato, chiudendo gli occhi lentamente.
«Erica, non possiamo».
«Lo so», dissi, mettendolo a tacere con un bacio. «Il dottore non ha detto che non posso darti piacere, però. No?»
«Non devi…».
Lo misi a tacere di nuovo, baciandolo con più passione. Serrai la presa attorno a lui e accelerai i movimenti, su e giù, sulla sua lunghezza. Le sue mani si muovevano senza sosta sulle mie spalle, afferrandomi i capelli mentre ci divoravamo con la bocca. I suoi muscoli fremevano sotto di me e il mio centro si contraeva per reazione. Qualcosa si era svegliato. Quella passione tra noi che non poteva mai essere contenuta si riaccese dentro di me. Volevo venire, ma in quel momento mi premeva di più che fosse lui a farlo. Volevo mostrargli quanto lo amavo, ringraziarlo per essere venuto con me all’inferno e per avere fiducia nel nostro futuro. Non riuscivo a immaginare la mia vita senza quest’uomo e pregavo che non ce l’avesse con me se non gli avessi potuto dare la famiglia che desiderava.
Blake mi afferrò i fianchi e poi li lasciò bruscamente. «Erica, lo vorrei tantissimo, ma non posso farlo. Mi stai facendo impazzire. Vorrei toccarti, ma ho il terrore di farti male».
Rallentai le mie carezze e mi allontanai leggermente dal suo corpo. Aveva il viso tirato, i muscoli tesi e pronti a venire. Volevo aiutarlo a farlo, ma avevo bisogno di mandare via la paura dai suoi occhi.
«Metti le mani sul bordo della vasca».
Lui sussultò leggermente, forse per il tono. Sapevo che non mi avrebbe fatto male, ma se gliel’avessi ordinato, forse sarebbe stato più tranquillo. Tirò fuori le mani dall’acqua e le poggiò sul bordo della vasca come gli avevo chiesto.
«Ora tienile ferme lì. Non muoverle finché non te lo dico, okay?».
Il suo labbro inferiore sparì dalla vista quando lo succhiò nella bocca, i denti bianchi mordevano la carne piena.
Io inarcai un sopracciglio. «Stai bene?».
Annuì, e io presi il suo pene tra le mani, mettendone una sull’altra, scivolando sulla sua lunghezza, così da toccarlo su tutta la superficie. Lui fremeva sotto il mio tocco quando gli sfiorai la testa sensibile.
«Dio, mi manchi, Erica», sospirò, portando la testa all’indietro sulla vasca.
Mi appoggiai a lui, i capezzoli sfioravano il suo petto sull’acqua. «Ti amo, Blake». Gli succhiai la pelle, leccandone il sapore salato. «E adoro guardarti venire».
Con le nocche bianche, si resse forte al bordo della vasca. Sollevò la testa e mi guardò con occhi intensi. C’era quasi. Lo baciai profondamente, finché non dovette prendere aria.
«Vieni», dissi, mimando l’ordine che mi aveva imposto lui così tante volte.
I suoi fianchi si mossero rapidamente verso l’alto e venne con un fremito violento e un gemito strozzato.
Dopo numerosi tentativi, Blake era riuscito finalmente a tirarmi fuori dall’appartamento per andare al lavoro con lui. Avevo cercato di essere positiva, ma i ricordi di cosa avevo passato mi buttarono inevitabilmente giù. Non volevo uscire di casa, non volevo affrontare il mondo che mi aveva mutilata. Inoltre, non potevo sopportare niente che fosse simile a un ufficio sapendo che, a qualche isolato di distanza, la nuova attività di Sophia e Isaac andava avanti senza di me, giorno dopo giorno.
A volte mi domandavo se fossero venuti a conoscenza della sparatoria. Di certo ne avevano sentito parlare. La domanda era: gli importava? Importava a qualcuno che fossi quasi morta?
«Sono solo affari», mormorai tra me e me imitando la voce di Alex. Dovevo andare avanti e ritrovare la speranza in nuove cose. Tutto era cambiato, che mi piacesse o no. Dovevo accettarlo.
Continuavo a ripensare al progetto di Geoff. Anche se mi dispiaceva aver venduto Clozpin, mi ritrovavo a riflettere sulla logistica della sua impresa. Avevo troppo tempo libero per non farlo. Tuttavia avevo ignorato le sue ultime email prima dell’incidente e lui non mi aveva più contattata da allora. Non ero sicura che volesse ancora il mio aiuto. Se invece fosse stato così, cosa avrei potuto offrirgli? Soldi, ma non una guida. Gli investimenti da soli non sarebbero stati di grande aiuto. Io non volevo soltanto mettergli a disposizione dei fondi, volevo far parte del progetto, ma non sapevo se ne fossi ancora in grado dopo tutto ciò che era accaduto.
Riuscivo appena ad arrivare al supermercato in quei giorni.
Invece di avventurarmi e tentare di ricominciare, concentrai le mie attenzioni sull’appartamento. Cucinavo ogni sera. Ordinavo delle decorazioni online, determinata a portare una parte di me in uno spazio che era stato dominato dal mondo semplice e minimalista di Blake. Lui non aveva nulla da ridire. Sembrava contento che mi alzassi e mi tenessi occupata, anche se mi rifiutavo di uscire di casa se non per brevi tragitti. Anche con Clay al mio seguito, mi sentivo a disagio.
Cercai di cominciare a tinteggiare le stanze, ma Blake non me lo permise, per il timore che l’affaticamento fisico potesse far regredire la mia guarigione. Nonostante le sue preoccupazioni, mi sentivo meglio, anche se avvertivo ancora del dolore. Le vistose ferite rosse erano leggermente sbiadite. Erano ancora visibili, ma il dottore mi aveva promesso che con il tempo sarebbero sparite. Il colore della mia pelle mi avrebbe aiutata. Dovevo trovare conforto nelle piccole cose.
Mi irrigidii mentre camminavamo verso l’ufficio di Blake. Lui aveva la mano sulla base della schiena, come a volermi ricordare il suo supporto costante. Io rallentai davanti alla porta, ma lui si fermò.
«Voglio prima farti vedere una cosa. Saliamo», disse, muovendosi vero l’ascensore.
«Cosa c’è lassù?»
«Lo vedrai», rispose, sorridendo.
Lo seguii e aspettai che l’ascensore iniziasse a salire. Quando le porte si chiusero, Blake mi coprì gli occhi con le mani. «Che stai facendo?», scoppiai a ridere, cercando di nascondere il mio nervosismo.
«È una sorpresa. Arriveremo tra qualche secondo. Vieni con me».
Seguii attentamente i suoi movimenti finché non ci fermammo. Udii delle voci che sembravano familiari. Blake spostò le mani e io trasalii per il bagliore improvviso. Sul vetro smerigliato, si leggeva E. LANDON, INC.
Il mio cuore iniziò a battere forte nel petto. «Blake…».
Oltre la scritta sul vetro trasparente, vidi dei volti che conoscevo. Alli mi salutò dall’interno, mentre apriva la porta, sorridendomi. «Sorpresa!».
Scoppiai a ridere, non capendo ancora del tutto in cosa consistesse la sorpresa. «Che sta succedendo?».
Delle postazioni di lavoro riempivano la stanza. Sid e Cady erano in piedi, prima intenti a parlare, ma ora concentrati su di me. Geoff si alzò da una delle scrivanie, i suoi occhi blu erano luminosi per l’emozione che tutti gli altri sembravano condividere.
Mi sentivo come Dorothy, finalmente insieme ai suoi migliori amici dopo un’avventura stranissima. Ma che diavolo succedeva? Mi voltai verso Blake.
«Vuoi che ti dica di cosa si tratta?».
Alli lo precedette: «Mentre eri convalescente, io e Sid abbiamo parlato. Grazie alla liquidazione ottenuta dalla vendita, non avevamo bisogno di buttarci subito in qualcos’altro. Poi Blake ci ha presentato Geoff. Ci ha detto che eri molto interessata al suo progetto, così abbiamo deciso di unirci e vedere se potevamo realizzarlo».
Portai le mani tremanti alla bocca. Non riuscivo a crederci. «È fantastico. Non immaginate quanto sia felice di vedervi tutti qui».
Sid mi rivolse un sorriso timido. «Anche per noi è lo stesso. Ci sei mancata».
Deglutii le emozioni bloccate nella gola. «Credevo che avessimo perso tutto. Sinceramente, dopo quello che è accaduto ultimamente, mi sono resa conto che questo era ciò che mi mancava di più: lavorare di nuovo con tutti voi. Non pensavo che avrei mai avuto un’altra possibilità per farlo».
Le labbra di Alli tremavano, minacciando di farmi scoppiare a piangere. Mi tirò in un abbraccio pieno di significato e comprensione. Non ce l’avrei fatta senza di lei. Quando si allontanò, si asciugò una lacrima con la mano: «Bene, vai a dare un’occhiata al tuo ufficio. È meraviglioso».
Blake mi prese per mano, i suoi occhi brillavano per l’emozione.
Sorrisi. «Certo».
Mi condusse all’estremità della stanza in un grandissimo ufficio privato. La porta si chiuse dietro di noi.
Non aveva badato a spese per ammobiliare quello spazio. Una grande scrivania occupava la stanza, insieme a dei piccoli divani e un’enorme lavagna bianca. I piccoli oggetti che avevo messo da parte in una scatola a casa decoravano la postazione proprio come nel mio vecchio ufficio.
«Grazie per questo. Grazie per tutto. È davvero meraviglioso».
«E intimo», mormorò Blake, mettendomi un braccio attorno alla vita.
Chiusi gli occhi, devastata dal suo tocco. Erano passate delle settimane ed ero pronta a lasciarmi andare. Mi voltai e gli misi le braccia attorno al collo. Lo baciai con passione fervente. Lui ricambiò con la stessa voglia, facendomi distendere sulla scrivania.
Grata per quello spazio, il mondo aveva smesso di esistere e c’eravamo soltanto noi in quel momento. «Ti voglio, Blake. Dio, muoio dalla voglia di averti».
«Lo so». Lui mi baciò, carezze dolci e tenere delle sue labbra sulle mie. «Ma aspettiamo».
Io rimasi a bocca aperta. «Cosa?»
«Ci sposiamo tra qualche giorno. Neanche un esercito potrebbe impedirmi di fare l’amore con te la notte del nostro matrimonio. Abbiamo aspettato così tanto. Cosa sono pochi altri giorni?».
Sospirai quasi dolorosamente, cercando di far placare il desiderio. Ancora pochi giorni. Un’eternità, quando era passato troppo tempo senza intimità. Chiusi gli occhi, cedendo. «Okay».
Lui sorrise e mi sollevò il mento. «Farò buon uso di questa scrivania in futuro, stanne certa».