Capitolo quattordici
Inspirai profondamente quando uscimmo dal club. L’aria della notte era fresca e piacevole sulla mia pelle umida. Fiona e io camminavamo a braccetto in cerca del nostro passaggio per tornare a casa.
«Da questa parte, signore. La carrozza vi aspetta». James ci condusse verso la limousine nera brillante parcheggiata lungo il marciapiede.
«Erica».
Mi fermai bruscamente, facendo quasi cadere Fiona. James la prese e la aiutò a entrare nella limousine. Simone e Alli si stavano facendo dei selfie qualche metro più avanti, dandosi dei giudizi ad alta voce.
Un braccio caldo mi cinse la vita, sollevandomi in punta di piedi. Blake mi aveva stretta al suo petto.
«Blake!», esclamai, dandogli un bacio viscido e leggermente inappropriato sulle labbra. Lo sentii sorridere.
Alli acclamò dietro di noi: «Oh, mio Dio, adoro voi due insieme. Non sono carini?». Diede una gomitata a Simone, che era concentrata sul telefono. «Blake, ti voglio bene. Te l’ho mai detto? Te ne voglio davvero».
Lui scoppiò a ridere. «Grazie, Alli. Ti voglio bene anch’io».
I suoi occhi si illuminarono. «Davvero? Oooh! Allora sposiamoci tutti e facciamo dei bambini. Voglio dei figli. Non ditelo a Heath, ma voglio i suoi figli».
«Magari potresti dirglielo tu».
Blake indicò la limousine da cui uscì Heath. Il sorriso imbarazzato sul suo viso mi fece capire che l’aveva sentita. Stava urlando da tre ore, quindi non ne sarei stata sorpresa.
«Heath!», esclamò Alli e lo intrappolò tra le sue braccia. L’uomo la sollevò e lei si avvinghiò con le gambe attorno alla sua vita. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò appassionatamente, come io avevo fatto con Blake.
«Wow, si divertiranno stasera».
Blake fece scivolare la mano sulla mia schiena e mi palpò il sedere. «Sono più interessato al nostro divertimento. Ti va ancora?».
Mi strusciai contro di lui e gemetti inconsciamente. Ero pronta a farmi possedere in mezzo alla strada. Gli accarezzai la nuca e lo baciai di nuovo.
Lui rise leggermente, allontanandosi. «Okay, lo prendo come un sì. Andiamo a casa», disse, poi mi accompagnò mano nella mano alla macchina.
Nonostante tutti i miei sforzi di saltargli addosso arrampicandomi sulla plancia dell’auto mentre tornavamo a casa, Blake restò calmo finché non arrivammo all’appartamento, ma mi sbatté contro la porta non appena l’ebbe chiusa. Io mugolai, ogni suo tocco mi eccitava. Mi inarcai verso di lui, sollevando la gamba per avvinghiarla alla sua coscia, facendo muovere il plug più all’interno. «Cazzo, ti voglio, adesso».
Lui mi sentì il battito pulsante sul collo con il pollice, poi mi baciò in quel punto. «Rallenta, piccola».
«Non posso rallentare, non stasera».
«Rallenta o dovrò legarti».
«Non m’importa, legami. Fa’ ciò che vuoi». Scopami e basta, per l’amor del cielo.
«Potrei. Ho altri programmi per te e il tuo culo». La sua mano scivolò sotto il mio vestito e sfiorò la punta luminosa del plug, ricordandomi di nuovo ciò che avevo provato tutta la sera: la frizione, la sensazione di essere piena.
«Sono pronta adesso». Volevo che mi togliesse quell’affare, volevo sollievo. Gli strappai la camicia di dosso e la lanciai per terra.
Lui scoppiò a ridere. «Fidati di me, lo so. Voglio prima giocare un pochino».
Distesi le mani sulle bellissime curve del suo petto, scendendo fino alla cintura dei suoi pantaloni a vita bassa. Volevo che se li togliesse. «A che stiamo giocando?», domandai, anche se non ero molto interessata.
«Lo scoprirai presto. Prima, voglio che ti spogli per me».
Gli feci un sorriso divertito e mi abbassai per sfilarmi i tacchi.
«No, no». Blake mi afferrò la mano, aiutandomi a riprendere l’equilibrio. «Quelli rimangono. Togli tutto il resto».
«Perverso Blake», mormorai, mentre mi toglievo il vestito stretto in modo seducente. Sganciai il reggiseno e mi sfilai le mutandine. Rimasi in piedi davanti a lui, nuda e allegramente brilla.
«Dove mi vuoi, padrone?». Picchiettai la punta della scarpa sul pavimento, facendo filtrare un po’ di pudore nella mia audacia dovuta all’alcol.
Lui indicò il salotto. «Sullo schienale del divano. Il culo per aria».
Obbedii, sculettando verso l’altra stanza. Mi piegai sul tessuto color crema, tenendomi in equilibrio sulle punte dei tacchi alti. Aspettai che si avvicinasse, ma lo sentii andar via e tornare qualche minuto dopo. L’attesa non fece che aumentare la mia vulnerabilità. Chiusi gli occhi, ascoltando i suoi passi che si fermarono dietro di me.
«Ti sei comportata male stasera?». Il timbro della sua voce era basso, caldo e un po’ minaccioso. Un brivido mi corse lungo la schiena.
«Sì», sussurrai. La serata era già diventata una macchia confusa, ma se voleva che fossi cattiva, avrei recitato volentieri la mia parte.
«Davvero? Non va bene».
Mi strofinò uno strumento piatto e freddo sul fondoschiena, sulle curve del mio sedere e sulle cosce. Rimasi senza fiato, ma era molto piacevole. Volevo gemere e inarcare la schiena per toccarlo, qualunque cosa fosse.
«Hai bevuto troppo?»
«Mm-ah». Mi agitai nervosamente, muovendo il sedere con impazienza. Il calore si irradiò nel mio ventre e la mia figa si contrasse per l’attesa. Volevo sapere quanto sarebbe durata, eppure una parte di me preferiva di no. Era proprio il fatto di non sapere a eccitarmi ogni volta.
«Qualcuno ti ha toccata?»
«Forse», risposi in fretta, non ero abbastanza sobria da resistere alla tentazione di farlo ingelosire.
«Davvero?».
La sua mano lasciò il mio culo e fu subito sostituita dal colpo forte di ciò che sembrava una paletta.
«Merda!». Sì, e fa male. Blake aveva scherzato sull’idea di usare una paletta, ma non pensavo che lo avrebbe fatto davvero. Mi era molto piaciuto il palmo della sua mano. Per fortuna, l’alcol stava funzionando alla grande. Il bruciore dello schiaffo si placò rapidamente.
«Era affollato, non volevo», dissi, all’improvviso desideravo acquietare la sua gelosia.
Mi colpì di nuovo e il dolore passò un po’ più in fretta.
«Mi dispiace, Blake».
«Ne sono felice. Ma abbiamo ancora molto da fare».
Piagnucolai il mio dissenso, anche se una vocina nella mia testa lo pregava di continuare.
Si poggiò su di me, tenendo la paletta ferma sul mio culo dolente. Io mi irrigidii, a disagio, non sapendo cosa avesse in mente.
«Pensi di meritare questa punizione?».
Sì.
Scossi il capo per dire di no.
«No? Io ho una lunga lista di motivi: mi hai legato e hai cercato di sedurmi. Sei scappata in un sex club da sola. Ora dimmi, pensi di meritare questa punizione?»
«Sì», sbuffai debolmente, ma solo il divano riuscì a sentirlo.
«Non ho capito», disse lui bruscamente.
«Sì, me la merito».
Mi percosse di nuovo il sedere con la paletta, facendomi contrarre un’altra volta lo stomaco per l’attesa. La nebbia dell’alcol si dissipava lentamente.
«È quello che penso anch’io. Oggi familiarizzerai con la paletta, e qualsiasi cosa accada, Erica, voglio che tu non venga. Subirai tutto ciò che ti imporrò, e solo dopo avrai la tua ricompensa».
Mi piaceva essere sculacciata, ma la paletta era spietata. Contava poco che mi avesse minacciata di non venire contro la sua volontà, dato che avrei avuto senza dubbio la mia ricompensa, ma prima avrei dovuto provare il dolore del pentimento.
Mi morsi il labbro e mi preparai a ricevere la mia lezione.
La paletta mi colpì con un forte schiaffo sulla pelle. Io gemetti, cercando di non allontanarmi. Lui continuava a percuotermi, distanziando i colpi su ogni parte del sedere e sulle cosce, come leccate pungenti vicinissime al mio sesso. La paura si mescolò al desiderio, mentre pregavo che non si sbagliasse e mi colpisse lì facendomi male, fantasticando allo stesso tempo di percepire il contatto proprio in quel punto. Le sue dita, la sua bocca, il suo cazzo, qualsiasi cosa. L’intensità dei colpi mi dava alla testa. Terribilmente eccitata, mi bagnai e non riuscii a nasconderlo con il culo in bella vista, le gambe divaricate come mi aveva chiesto lui.
Blake mi diede un altro colpo, più forte degli altri, e io urlai, il suono riecheggiò nella stanza.
Il mio corpo intero si tese, l’istinto di difendermi era più intenso soprattutto nel punto in cui c’era il plug. La pressione era troppo concentrata. Il desiderio opprimente che la sua presenza aveva ispirato tutta la serata si era trasformato in un ricordo potente di ciò che Blake voleva da me quella notte.
Strofinai il petto sul tessuto ruvido della copertura del divano. Ogni cellula era in tensione. Volevo di più, volevo tutto.
Blake fece una pausa per girare il plug. La pressione e la frizione erano insopportabili. Riuscivo a sentirlo nella mia figa, così forte da farmi quasi… venire.
Serrai le mani in un pugno. No, non dovevo.
Quando pensai che non avrei potuto più tollerare un altro secondo delle sue punizioni, Blake si fermò. Trasalii appena mi accarezzò la pelle calda e sensibile con le mani per placare il dolore. Espirai senza rendermi conto che avevo trattenuto il fiato fino ad allora. Il suo tocco era come il paradiso, un regalo splendido e dolce. L’acqua nel deserto. Il sangue tuonava nelle vene, pulsando dentro di me. Il desiderio aumentava e io correvo verso l’orgasmo. Tremai nel tentativo di non venire.
«Blake!», lo pregai. Se avessi dovuto sopportare un’altra sensazione, avrei perso il controllo.
Lui mi mise a tacere, massaggiandomi la schiena e la pelle dolente del sedere. Chinandosi sul mio didietro, mi baciò la spalla. «Sei stata brava. Ora ti scoperò, piccola. Sei pronta?».
Lentamente, tirò fuori il plug e io mi sentii sollevata.
Non riuscivo a respirare. La pressione del mio corpo all’improvviso era insopportabile contro il mio petto. Annuii, cercando di non pensare a come avrei fatto a sopportare altro dolore. Ero già debole e non riuscivo quasi a stare in piedi.
Blake mi tirò su. «Sediamoci, poi voglio che ti metta a cavalcioni su di me».
Rimasi immobile, eseguendo ciò che mi aveva chiesto, ma non sapendo cosa avremmo dovuto fare. Si abbassò i pantaloni e li buttò per terra. Il suo cazzo grosso era pronto, eretto senza vergogna. Aveva ancora intenzione di…?
«Pensavo che…».
L’angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso malizioso. «Stasera mi prenderò il tuo culo. Ma voglio che tu stia comoda il più possibile, stavolta».
Girammo attorno al divano. Attenta a non perdere l’equilibrio, mi sistemai comodamente sulle sue gambe divaricate. La fame nei suoi occhi mi toglieva il fiato. Sapevo cosa voleva, ma il mio corpo lo desiderava altrove, dove sapevo che mi avrebbe provocato un piacere indescrivibile.
Mi aveva promesso il piacere, ma non ero convinta che fosse possibile in quel modo. «Farà male», dissi, la mia espressione era quasi imbronciata.
Blake prese una bottiglietta di lubrificante dal tavolo che non avevo notato prima. Applicò una dose generosa sul palmo e la stese sulla sua lunghezza. Ce l’aveva grosso. Anche più grosso quando stava per venire dentro di me. La sua dote generosa mi dava sempre piacere durante il sesso, farla entrare nel mio culo però era un’altra storia.
Spalancai leggermente la bocca, il battito del cuore accelerava mentre Blake si metteva dell’altro lubrificante sulla punta del pene.
Sollevò un sopracciglio, notando la mia reazione. «Ti piace ciò che vedi?».
Deglutii.
La sua espressione si addolcì. «Ti ho mai fatto male? Così tanto da non avermi pregato di ricominciare alla fine?».
Voltai lo sguardo verso la sua erezione lucida. Il suono delle sue carezze mi distraeva.
«No», ammisi. Stasera ne era la prova. Ero stata sculacciata come una bambina precoce e avrei sopportato ancora quella punizione se lo avesse voluto. Non mi aveva mai ingannata, eppure avevo qualche dubbio.
«Non sarà un’eccezione. Sarà intenso, ma ti piacerà. Andremo piano e io ti dirò cosa fare».
Non potevo ribattere. Ero pronta, pronta a sentire sollievo, e la sua promessa di parlarmi in modo sconcio era la ciliegina sulla torta, se fossi riuscita a resistere. Le mie mani erano calde sulle cosce. Le massaggiai nervosamente, all’improvviso non sapevo cosa farci.
«Vieni più vicino». Blake si sistemò più indietro sul divano, mentre io mi accostai, cosicché il suo cazzo fosse posizionato a una migliore angolazione. «Così avrai più controllo».
Feci una risatina. «Non è da te».
«Cerca di non ricordarmelo», disse con occhi foschi.
Mi morsi il labbro, non volendo alimentare il suo senso di vendetta dato che avevo bisogno che fosse delicato e paziente con me.
«Ci andremo piano, possiamo anche fermarci. Ma alla fine della serata, ti entrerò nel culo. Quindi fattene una ragione. Faresti meglio a rilassarti».
Annuii e mi consolai del fatto che avessi ufficialmente una parola d’ordine da utilizzare, anche se non l’avevo mai fatto.
Lui mise a tacere le mie preoccupazioni con un bacio dolce. «Quando avremo finito, mi chiederai perché non lo abbiamo fatto prima, te lo prometto».
Sospirai. «Tu sai come mettere paura a una donna».
Iniziò a esplorarmi con le dita, allineandoci.
«Non preoccuparti. Tra qualche minuto non avrai più paura di nulla». Massaggiando il bocciolo teso tra le mie natiche, premette cercando l’entrata. «Apriti per me», mi ordinò gentilmente.
Nonostante l’istinto, rilassai i muscoli, permettendogli di accedere. Prima una, poi due dita scivolose mi divaricarono, provocandomi lo stesso piacevole dolore di prima. Chiusi gli occhi, ricordandomi quanto fossi venuta intensamente quando mi aveva penetrata. Sarebbe stata la stessa cosa? Prima che potessi chiedermelo, spinse la testa del suo pene dentro di me di qualche millimetro.
«Ora scendi sul mio cazzo, lentamente».
Le cosce tremavano. Cercai di stare ferma mentre lo prendevo dentro di me. Mi sembrava di muovermi un millimetro alla volta. Ero pietrificata, ma non c’era fretta nello sguardo di Blake, niente nel linguaggio del suo corpo mi forzava ad accelerare i miei movimenti. Dopo qualche minuto, a un certo punto mi sentii pronta per lui. In fin dei conti, il plug aveva segnato il suo posto dentro di me nelle ultime ore.
I miei pensieri liquefatti me lo fecero ricordare, rendendomi più audace. Scesi ancora di più, ma spalancai gli occhi alla prima fitta di dolore e mi bloccai. Piagnucolai per il fastidio e tornai indietro.
«Respira, Erica. Dai al tuo corpo la possibilità di accettarmi».
Blake mi tenne ferma, con le mani sui fianchi. Eravamo ancora uniti. Il dolore si era placato e lui mi riportò indietro, facendomi riacquistare terreno. Io inspirai, sorpresa che il dolore non fosse più intenso come prima. Il sollievo fu presto sostituito dalla sensazione vivida di essere piena, dilatata. Il dolore venne e se ne andò e rallentammo finché non scomparve del tutto, finché non riuscii a riprendere fiato e ritrovare il coraggio per continuare.
Blake chiuse gli occhi un istante, i muscoli sul suo viso erano tesi nel tentativo di controllarsi. Li riaprì e mi guardò con sguardo pesante. «Non vedo l’ora di essere completamente dentro di te, Erica. Non vedo l’ora di farti venire così».
L’aria mi riempì i polmoni e il mio corpo si rilassò per quella promessa. Lentamente, ma con decisione, mi aveva fatta contrarre attorno a lui, proprio com’era successo con il plug quando mi aveva sculacciata. Tranne che adesso era più intenso e molto più intimo.
Blake mi sollevò il mento, costringendomi a guardarlo. «Guardami, sentimi», disse, con il viso sconvolto dal desiderio e dalla tensione. Mi osservò attentamente. «Piano piano, mi stai dando una parte di te. Sono dentro di te, come tu sei dentro di me».
Mi fece scendere su di lui fino a dove non pensavo fosse possibile che mi riempisse ulteriormente. Mi leccai le labbra secche, incapace di placare il tremore. Il calore si diffuse dal cuore, rivestendomi la pelle di un bisogno incontenibile. Le mie mani tremavano sul suo petto, che si alzava e abbassava per i respiri affannati.
Il mio cuore era gonfio e mi lasciai andare completamente quando mi rilassai su di lui. Pensai che lo avessi già preso completamente, ma con una spinta arrivò fino in fondo. Oh, cazzo.
«Ecco», espirò Blake, tremando. Chinandosi in avanti mi baciò: un bacio lento, intenso e penetrante. «Sei sempre dentro di me, Erica».
Un’altra scarica di calore mi travolse, bagnandomi di sudore nel punto in cui i nostri corpi si incontravano, ovvero quasi dappertutto. Volevo muovermi, volevo che mi desse il piacere che mi aveva promesso e che mi stava crescendo dentro.
Agitava le mani senza sosta, tirandomi a sé. Con i denti mi graffiò il collo dandomi baci caldi e intensi. Tremai su di lui.
«Cazzo», ringhiò. Il suo respiro era più veloce, ma non si stava muovendo.
«Va tutto bene?», chiesi sottovoce. «Cosa vuoi che faccia?»
«Non devi fare niente. Sto cercando di non venire. È meraviglioso».
Mi strinse per un momento. Cercai di rilassarmi, ma ero troppo tesa, nervosa. Volevo disperatamente che mi facesse sua. Chiusi gli occhi, consapevole del nuovo modo in cui mi stava possedendo.
Blake rimase immobile e inspirò profondamente.
«Inizierò a muovermi, ma non durerò molto così. Ora che sono dentro di te, sarò veloce e un po’ duro».
Annuii, ero ebbra solo per la passione, l’amore entusiasmante e la fiducia che provavo per lui. Poteva possedermi dovunque, farmi quello che voleva. Non sapevo più cosa fosse un limite, perché tutto diventava un ulteriore passo verso di lui.
Muovendo le dita tra le pieghe, portò un po’ di liquido fuoriuscito tra le mie gambe sul clitoride. Iniziò con delle carezze lente sul nodo turgido. Il suo tocco era delicato, ma le sensazioni fortissime. Il mio corpo si contraeva su di lui, intensificando ogni movimento. Mi aggrappai al divano, perché avevo bisogno di affondare le unghie in qualcosa.
Blake imprecò e poi si tirò fuori leggermente per spingere. Sprofondò dentro di me con colpi attenti che crescevano di forza e velocità ogni secondo che passava. La sensazione era completamente nuova e sconvolgente nel modo in cui lo era l’intimità con Blake.
Mi morsi il labbro, cercando di concentrarmi sul piacere invece che sul dolore.
«Stai bene, piccola?». Le sue guance erano arrossate, la voce affannata.
«Sì», sussurrai.
Mi guardò negli occhi, sembrava avesse percepito l’esitazione nella mia voce. Rallentò e mi sollevò per far scivolare le sue dita dal clitoride che pulsava all’entrata della mia figa, finché non fu dentro i miei tessuti.
Io trattenni il fiato. All’improvviso mi sentii piacevolmente riempita ed emisi un urlo. I fianchi si lanciarono in avanti, cercando di più. Fuoco liquido bruciava dentro di me, scorreva nelle vene, cresceva e richiedeva ossigeno.
Mi sentivo… posseduta.
«Meglio?», chiese con voce roca che mi vibrò dentro.
Io ansimai, tremando, terribilmente bagnata e stretta attorno a lui. Aveva ragione. Nessuno dei due sarebbe durato a lungo così.
Il nostro ritmo lento divenne più rude mentre mi scopava più veloce e più forte. Buttai la testa all’indietro con un lamento. La frizione era intensa, il bruciore della sua entrata iniziale era rimasto, provocandomi un piacere inaspettato. Stavo per perdere la testa. Il mio cervello era confuso, ogni pensiero scompariva in un mare di urla e preghiere e di “oh cazzo” mentre lui affondava il suo pene dentro di me. Spinse le dita ancora di più verso l’interno, la mano mi stimolava il clitoride finché non vidi le stelle.
Non fu una piacevole scalata verso la vetta. L’orgasmo venne da un punto che non sapevo identificare e si diffuse dentro di me. Posseduta, riempita e stimolata in più modi di quanti la mia mente stanca potesse comprendere, gridai. Venni intensamente, scariche di piacere mi attraversavano gli arti, fino ai piedi e alle punte delle dita, che si fletterono sul tessuto dietro la testa di Blake.
«Oh, Dio, piccola. Così», ringhiò lui.
Esitai, le gambe deboli e i sensi stravolti. Le sue dita mi abbandonarono e prese il controllo dei miei fianchi, facendomi abbassare sul suo cazzo scivoloso come desiderava. Usò entrambe le mani e la forza del suo bacino per impalarmi. La tensione gli rigava il viso.
«Non ho mai provato niente di più stretto. Strettissimo, cazzo». La sua voce era ruvida, incontrollata.
I muscoli induriti degli addominali si unirono, rivelando la loro impressionante definizione. Era bellissimo. Era mio. Io ero sua, irrimediabilmente sua, in ogni senso.
Trascinandomi contro di sé, liberò una serie di spinte potenti ed esplose con un urlo rauco.
Restammo così, uniti, tremanti per la scarica potente. Sarebbero potute passare anche delle ore prima che il mio cervello avesse ripreso a funzionare correttamente.
«Oh, mio Dio», sibilai. Aprii gli occhi al mondo come se mi fossi appena svegliata dal coma. Un coma indotto dal sesso e che cancellava ogni pensiero.
Lui scoppiò a ridere, il suo fiato era freddo sulla mia pelle umida.
«Bello?»
«Mmm», mormorai, guardandolo con occhi assonnati. «Avremmo dovuto farlo prima».
Lui mi baciò, con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Te l’avevo detto».
Restai a letto il mattino dopo mentre Blake recuperava un po’ con il lavoro in salotto per lasciarmi riposare. Ero pronta a rimettermi a dormire quando squillò il telefono. Era Daniel. Non parlavamo da settimane, ma aspettavo che mi contattasse.
«Pronto?», risposi.
«Erica».
«Come vanno le cose?», cercai di sembrare allegra, ma la mia voce era ancora roca dopo una lunga nottata di festeggiamenti e orgasmi.
Lui rimase in silenzio e lo stomaco si contrasse per l’ansia. «Devo sapere chi sta diffondendo le informazioni. La stampa mi sta alle costole. Iniziano a farmi domande su Patricia». Nelle sue parole sentivo la frustrazione e la determinazione, e la cosa mi preoccupò ancora di più.
Deglutii, avevo la gola secca. «Stanno importunando anche me, ma te l’ho già detto, non lo so».
«Cosa dice Blake?».
Mi irrigidii, non mi piaceva che il nome del mio fidanzato venisse menzionato in una conversazione con Daniel. «Neanche lui lo sa».
Rimase di nuovo in silenzio.
«Ormai è venuto a galla, Daniel. Non hai già abbastanza, senza vendicarti? Che senso ha andare alla ricerca di qualcuno?»
«Perché vorrei sapere chi sta minacciando questa campagna elettorale. Vorrei avere l’opportunità di guardarlo negli occhi».
Voleva avere l’opportunità di sparargli un proiettile in mezzo alla fronte, più che altro. Iniziavo a essere stufa di sapere cosa volesse fare.
«Dimmelo».
«Te l’ho detto, non lo so», ribattei, facendo di tutto per mantenere calma la voce. Avevo disperatamente bisogno che mi credesse.
«Allora devo pensare che sia Blake». L’irrevocabilità della sua voce mi fece riflettere. Mi raddrizzai dal letto con il cuore che batteva per la paura.
«No!», esclamai, quasi urlando. «Blake non c’entra niente con questa faccenda». Dio, tutto ma non Blake nelle sue grinfie.
«E allora chi?», gridò lui. Io trasalii, stringendo forte il telefono tra le mani.
«Non lo so», insistetti. Non potevo dirglielo. Come avrei potuto? Non potevo essere sicura che Daniel non avrebbe commesso niente di violento. Non sopportavo ciò che Richard aveva fatto a Marie e me, ma se gli fosse costato la vita?
«Sto perdendo la pazienza, Erica. Io so come ottenere le informazioni. L’opzione più semplice è che sia tu a dirmelo».
Piombò il silenzio tra di noi e non riuscii a ignorare la sensazione inquietante che lui non avrebbe lasciato perdere, probabilmente mai. Mi massaggiai la fronte, cercando di mandar via il mal di testa che era improvvisamente ritornato.
«Ho paura», ammisi. «Ho paura che farai qualcosa di terribile di nuovo e che io verrò messa in mezzo. Non voglio più mentire per proteggerti». La verità, finalmente. Le parole che volevo dire da molto tempo.
«La polizia ti ha parlato di nuovo?». La sua voce era più pacata adesso e macchiata di un diverso tipo di preoccupazione.
«No, ma è solo questione di tempo».
Fece un’altra pausa. «E se ti assicurassi che nessuno rischierà la vita?».
Non ti crederei.
«Non lo so». Sembravano le uniche parole che conoscevo. Se avessi continuato a ripeterle, non avrei dovuto dargli una vera risposta.
«Non ti sbarazzerai di me finché non mi avrai dato quel cazzo di nome. È Blake o qualcun altro. Decidi».
No, no, no. Le lacrime mi bagnarono gli occhi. Perché doveva farmi questo? Perché voleva vendicarsi?
«Erica!».
Soffocai un piagnucolio. «Richard Craven».
«Chi?»
«Si chiama Richard Craven. È un giornalista del “Globe”».
Lui sbuffò udibilmente. «Lo hai detto a un cazzo di giornalista?»
«No», risposi, irritata che avesse pensato questo di me.
«E allora come cazzo ha fatto a scoprirlo?»
«Smettila di urlare!», gridai, incapace di accettare quella serie aggressiva di domande.
Lo sentii respirare dall’altra parte del telefono. «Spiegami, per favore, com’è possibile che il giornalista Richard Craven sappia che sono il tuo padre biologico», disse con più calma, ma era evidentemente teso.
Mi asciugai nervosamente una lacrima e feci un respiro profondo. Non avevo idea di come spiegarglielo senza mettere Marie in pericolo. Non lo avrei mai fatto. Volevo credere che non avrebbe fatto male a nessuno che mi fosse caro, ma non potevo mai essere sicura con lui. Aveva dimostrato di avere una moralità diversa dalla mia. Eppure, sapevo che non avrebbe lasciato perdere senza avere delle risposte, e non volevo che pensasse che fossi stata io a rivelare quelle informazioni. Non mi fidavo di Daniel e sapevo che neanche lui si fidava di me.
«Frequenta una vecchia amica di mia madre. Lei…». Chiusi gli occhi, pregando che quella che stavo per fare fosse la cosa giusta. «È come una madre per me da quando mamma è morta. Sa chi sei. Non voleva fare del male a nessuno di noi. Lui l’ha manipolata per ottenere informazioni su di me, per colpire te».
«Chi è lei?»
«Ti ho dato ciò che chiedevi, ora mi aspetto che tu mantenga la promessa. Non sono d’accordo con ciò che ha fatto Richard quanto te, ma non voglio altro sangue sulla mia coscienza. Daniel, promettimelo. Promettimi che nessuno si farà male».
Un secondo dopo, cadde la linea. Fissai il telefono, sconvolta da ciò che era appena accaduto. Ripensai alla conversazione, riflettendo su quanto avevo detto. Alla fine, non mi aveva dato nessuna rassicurazione.
Da qualche parte tra le mie emozioni confuse, mi sentii sollevata per aver salvato Blake dall’ira di Daniel. Il sollievo presto sparì quando mi resi conto che forse avevo messo la vita di un altro uomo in grave pericolo.