XXVI

L’IMPERATRICE

Forza creativa, fuoco sacro

Manuela tornò all’ora di pranzo.

Mi trovò nella cuccia di Magò, come pattuito. In qualche modo riuscimmo a sgattaiolare via dal giardino e chiuderci in camera sua.

«Puzzi di cane» mi disse sorridendo.

Ero felice di aver ritrovato la mia amica, di essere di nuovo con lei nella sua stanza che ancora si ricordava dei nostri segreti e delle nostre risate. Quel posto era l’eco della mia vita passata.

Le raccontai tutto quello che mi era successo: di Arturo, delle streghe, di Manolo, di Marrone Chiaro. Qualsiasi cosa. Lei mi interruppe spesso per farmi domande, ma molte risposte non le avevo neanche io. Sapevo solo che non avrei voluto fare altro nella vita che quello: guardare il futuro, capire il presente. Ero nata per questo.

«Ma che significa, che vuoi fare la cartomante? Ma quelle sono tutte delle cialtrone!»

«Molte sì, è vero. Ma ti assicuro che è tutto reale, quando scendo le carte è come se mi parlassero. Sento una cosa potente dentro al petto, non so come spiegarti…»

Lei mi guardò con aria preoccupata.

«E questo fantasma? Davvero te ne eri innamorata?»

Annuii. Le raccontai dei sentimenti che mi erano vorticati dentro, della paura, dello stupore, della sensazione di essere al sicuro e compresa da un ragazzo che era la cosa più lontana da me, se non altro perché io ero viva e lui no.

Manuela mi poggiò una mano sulla fronte.

«Greta, sei sicura di non avere la febbre?»

Avevo previsto che non mi credesse, per questo le proposi di accompagnarmi da Amanda. Forse l’incontro con lei l’avrebbe fatta ricredere.

«Ti accompagno fino alla porta» disse lei. «Ti confesso che non ho molta voglia di entrare. Queste cose mi mettono paura e, se posso dirtelo, mi sembra che tu ti stia addentrando in un mondo molto pericoloso, Greta.»

Non pensavo fosse così poco curiosa e coraggiosa. D’altra parte, io avevo sempre creduto di essere una fifona, chiusa in me stessa e con nessuna voglia di scoprire le novità, eppure gli accadimenti della mia vita mi avevano messo di fronte all’esatto contrario.

Apprezzai la sua onestà e non cercai di convincerla. Uscimmo di soppiatto di casa mentre i suoi erano seduti a tavola, impegnati in una discussione sulla politica interna. Nessuno fece caso all’assenza di Manuela né al rumore della porta d’ingresso.

Salii con lei sul motorino. Nonostante fossero passate alcune ore dalla mia fuga, cercai di nascondere il viso il più possibile; non era escluso infatti che Anna fosse rimasta a cercarmi in città, anzi era più che probabile che alla ricerca si fossero aggiunti gli assistenti sociali e forse addirittura le forze dell’ordine. Ero una minore e, sì, ero consapevole di farle passare dei guai, ma che alternativa avevo?

Eravamo quasi arrivate quando vidi un’ombra che ci seguiva, affiancandosi al motorino.

«Marrone Chiaro!» esclamai.

Il cane mi rispose abbaiando soddisfatto.

Per poco Manuela non finì sotto una macchina.

«Ma sei pazza??» gridò in preda allo spavento. «Chi è questo cane?»

«Te l’ho detto, è Marrone Chiaro. L’incantesimo è riuscito!» Ero euforica. Il cane ci seguì con il fiatone mentre raggiungevamo più lentamente casa di Amanda.

La via era quella, come il civico, ma al posto di quello che avrebbe dovuto essere un portone c’era la saracinesca di un garage. Io e Manuela ci guardammo perplesse. Marrone Chiaro era senza fiato, gli accarezzai la testa.

«Sei sicura che sia qui?» mi chiese la mia amica.

Annuii. Non solo la zia non poteva essersi sbagliata, ma anche io sentivo che quello era il posto.

Bussai timidamente al metallo freddo. Non venne nessuno.

Manuela allora prese l’iniziativa battendo forte con il palmo aperto; il suono rimbombò per tutta la via. Nemmeno il suo gesto sembrò sortire alcun effetto, ma proprio mentre stavamo abbandonando il proposito sentimmo dei passi. Qualche istante dopo un paio di mani con le unghie lunghissime laccate di viola tirarono su la saracinesca, due occhi profondi ci guardarono oltre l’eyeliner. «E voi chi siete? Questo non è posto per carusidde come a voi!» tuonò la voce di Amanda.

Mi feci avanti. Quando la donna mi riconobbe mi rivolse un largo sorriso.

«Greta! Sei qui finalmente! E lei chi è, una tua amica? E lui?»

Manuela si affrettò a dire che mi aveva solo accompagnato e che doveva tornare a casa, i suoi la stavano aspettando. Probabilmente non si erano ancora accorti della sua assenza, ma i patti erano che sarebbe andata via e io non l’avrei trattenuta.

«Mi raccomando…» disse a mezza voce per non farsi sentire da Amanda. La tranquillizzai, le dissi che mi sarei fatta viva il prima possibile.

Quando andò via la mia amica, Amanda lanciò un’occhiata al cane.

«Be’, lui è il mio famiglio. Sta con me» risposi.

Amanda annuì e mi portò dentro.

Senza parlare attraversammo un’anticamera in cui erano disposte delle sedie contro la parete e un grosso tappeto persiano al centro. Poi mi fece cenno di seguirla dietro una porta: entrammo nello stesso salottino che avevo visto in sogno e non me ne stupii neanche per un momento.

Mi fece un altro cenno perché mi sedessi sul divanetto, lei sedette sulla poltrona. Sul tavolino basso c’era un vassoio d’argento con due tazze fumanti.

«Come sapevi che sarei venuta?» le chiesi.

«Le streghe sanno sempre tutto, no?» Mi strizzò l’occhio.

Sulle mensole alle pareti erano allineati decine di libri di magia, al muro erano attaccati quadri con simboli astrologici ed esoterici e dentro una vetrinetta alle spalle di una grossa scrivania c’erano tantissimi mazzi di tarocchi.

«È qui che lavori?»

«Sì ma non credere che tutte noi sorelle facciamo le cartomanti. Molte hanno dei lavori normali e la magia rimane un loro segreto. Pensa a tua nonna. Ma io, sai, mi sono dovuta dare una mossa molto presto nella vita e ho fatto quel che ho potuto. Adesso questo è il mio lavoro.»

«Sarà così anche per me?»

Amanda mi sorrise.

«No, mia cara, le tue stelle brillano mille volte più forti delle mie.»

«Anna mi starà cercando…»

«Certo e non solo per i problemi legali di averti persa… sa benissimo che sei molto pericolosa se lasciata libera, sospetta che potresti venire qui o da un’altra sorella. Certo il cane avrebbe fatto meglio a rimanere dov’era per informarti. Perché ti ha seguita?»

Alzai le spalle.

«Non lo so. In effetti sarebbe stato più utile come spia.»

«Che rito hai fatto per averlo come famiglio?» chiese Amanda.

Le ripetei le parole che mi aveva insegnato zia Rosetta.

«Rosetta, Rosetta…» Scosse la testa. «Che pasticciona che è sempre stata! Si è dimenticata il verso in cui chiedi all’animale di agire per conto proprio, anche lontano da te. Ma vabbè, ormai che possiamo fare?»

Restammo per un attimo in silenzio. Infine le chiesi se potevo bere un po’ della tisana che c’era sul tavolo; non mettevo niente nello stomaco da ore. Anche un biscotto non ci sarebbe stato male.

«Non è una tisana come le altre, te ne avrei parlato… ma se proprio la vuoi adesso, ecco, ti racconto quello che succederà.»

Non dissi una parola per tutto il tempo, non fiatai, il cuore bussava forte dentro il petto.

Quando ebbe finito di spiegarmi cosa sarebbe accaduto una volta bevuta quella tisana, non ci pensai nemmeno un momento: sollevai la tazza e bevvi tutto d’un fiato.