Che cosa c'era all'esterno del mondo?

 

In quel periodo d'inizio giugno, il sole cominciava a spuntare alle quattro, malgrado la latitudine piuttosto bassa; lo spostamento dell'asse di rotazione terrestre aveva provocato, oltre al Grande Prosciugamento, parecchie conseguenze del genere.

Come tutti i cani, Fox non riposava a orari precisi: dormiva con me e con me si svegliava. Mi seguì con curiosità quando percorsi le stanze per preparare uno zaino leggero che mi misi sulle spalle, e agitò allegramente la coda nel momento in cui uscii di casa per camminare fino alla barriera di protezione; la nostra prima passeggiata giornaliera di solito la facevamo molto più tardi.

Quando azionai il dispositivo di apertura, mi lanciò uno sguardo sorpreso. Le ruote metalliche girarono lentamente sul loro asse, liberando un passaggio di alcuni metri; feci tre passi e mi ritrovai all'esterno. Fox mi lanciò di nuovo uno sguardo esitante, interrogativo; nulla nei ricordi della sua vita anteriore né nella sua memoria genetica lo aveva preparato a un avvenimento del genere; nulla aveva preparato neanche me, a dire il vero. Esitò ancora alcuni secondi, poi trotterellò adagio fino ai miei piedi.

Dovevo attraversare dapprima uno spazio piano, privo di vegetazione, per una decina di chilometri; poi cominciava un pendio boscoso, molto dolce, che si estendeva fino all'orizzonte.

Avevo come unico progetto quello di dirigermi verso ovest, di preferenza verso ovest- sudovest; una comunità neoumana, umana o indeterminata poteva essersi insediata dove si trovava prima Lanzarote, o in una zona limitrofa; sarei riuscito forse a trovarla; il mio piano si riduceva a questo. Il popolamento delle regioni che dovevo attraversare era assai mal conosciuto; la loro topografia, invece, era stata oggetto di rilievi recenti e precisi.

 

Camminai per circa due ore, su un terreno sassoso ma facile, prima di raggiungere il bosco; Fox mi trottava al fianco, visibilmente contento di quella passeggiata prolungata e di esercitare i muscoli delle zampette. In me restava intanto ferma la consapevolezza che quella partenza era un fallimento, e probabilmente un suicidio. Avevo riempito lo zaino di capsule di sali minerali, potevo resistere parecchi mesi, poiché durante tutto il viaggio non mi sarebbero mancate probabilmente né acqua potabile né luce solare; la riserva naturalmente avrebbe finito con l'esaurirsi, ma il vero problema per il momento era il cibo di Fox: potevo cacciare, avevo preso con me una pistola e parecchie scatole di proiettili, ma non avevo mai sparato e ignoravo completamente che tipo di animali avrei incontrato nelle regioni che dovevo attraversare.

Verso la fine del pomeriggio la foresta cominciò a diradarsi, poi raggiunsi un prato di erba rasa in cima al pendio che percorrevo dall'inizio del giorno. Verso ovest, il pendio ridiscendeva nettamente più ripido, poi si distingueva una successione di colline e di valli scoscese, sempre ricoperte da una fitta foresta, a perdita d'occhio. Dalla mia partenza non avevo scorto alcun segno di presenza umana né alcuna traccia di vita animale. Decisi di sostare per la notte accanto a uno stagno da cui nasceva un ruscello che scendeva verso sud. Fox bevve a lungo prima di sdraiarsi ai miei piedi. Presi le tre compresse quotidiane necessarie al mio metabolismo, poi dispiegai la coperta di sopravvivenza, abbastanza leggera, che avevo portato con me; sarebbe probabilmente bastata, sapevo che in linea di massima non avrei dovuto attraversare zone di alta quota.

A metà della notte, la temperatura si fece leggermente più fresca; Fox mi si rannicchiò contro, respirando con regolarità.

Il suo sonno era talvolta attraversato da sogni; agitava allora le zampe, come se superasse un ostacolo. Dormii malissimo; la mia impresa mi appariva sempre più irragionevole e votata a un fallimento certo. Non avevo però alcun rimpianto; del resto sarei potuto benissimo tornare indietro. Nessun controllo veniva esercitato dalla Città Centrale, le defezioni di solito venivano constatate solo per caso, in seguito a una consegna o a una riparazione necessaria, e talvolta dopo parecchi anni. Potevo ritornare, ma non ne avevo intenzione: la routine solitaria interrotta solo da scambi intellettuali che aveva costituito la mia vita e che avrebbe dovuto costituirla fino in fondo, mi appariva adesso insopportabile. La felicità sarebbe dovuta venire, la felicità dei bambini bravi, garantita dal rispetto delle piccole procedure, dalla sicurezza che ne derivava, dall'assenza di dolore e di rischio; ma la felicità non era venuta, e l'equanimità aveva condotto al torpore. Fra le modeste gioie dei neoumani, le più costanti erano legate all'organizzazione e alla classificazione, alla costituzione di piccoli insiemi ordinati, allo spostamento minuzioso e razionale di oggetti di piccole dimensioni; ma esse erano risultate insufficienti.

Pianificando l'estinzione del desiderio in termini buddhistici, la Sorella Suprema aveva fatto assegnamento sul mantenimento di un'energia indebolita, non tragica, di ordine puramente conservativo, che doveva continuare a permettere il funzionamento del pensiero - di un pensiero meno rapido ma più esatto perché più lucido, di un pensiero liberato. Questo fenomeno si era prodotto solo in proporzioni insignificanti, ed erano state invece la tristezza, la malinconia, l'apatia languida e in fin dei conti mortale a sopraffare le nostre generazioni disincarnate. Segno più evidente del fallimento, avevo finito con l'invidiare il destino di Daniel1, il suo percorso contraddittorio e violento, le passioni amorose che lo avevano agitato - quali che fossero state le sue sofferenze e la sua tragica fine.

Ogni mattino al risveglio, e da anni, secondo le raccomandazioni della Sorella Suprema, praticavo gli esercizi insegnati dal Buddha nel suo sermone sul raggiungimento della concentrazione. "Rimane così, osservando il corpo interiormente; rimane, osservando il corpo esteriormente; rimane, osservando il corpo inferiormente ed esteriormente. Rimane osservando l'apparizione del corpo; rimane osservando la sparizione del corpo; rimane, osservando l'apparizione e la sparizione del corpo. "Ecco il corpo: tale introspezione gli è presente solo per la conoscenza, solo per la riflessione, così rimane liberato e non si attacca a nulla nel mondo. " A ogni minuto della mia vita, e dal suo inizio, ero rimasto cosciente della mia respirazione, dell'equilibrio cinestetico del mio organismo, del suo stato centrale fluttuante. L'immensa gioia e la trasfigurazione del suo essere fisico che sopraffacevano Daniel1 al momento della realizzazione dei suoi desideri, in particolare la sensazione di essere trasportato in un altro universo da lui provata durante le penetrazioni carnali, io non le avevo mai conosciute, non ne avevo nemmeno alcuna nozione, e mi sembrava adesso di non poter più continuare a vivere in queste condizioni.

 

Spuntò l'alba, umida, sul paesaggio boscoso, e con essa vennero sogni di dolcezza che non riuscivo a capire. Vennero anche le lacrime, il cui contatto salato mi parve molto strano.

Poi tornò il sole, e con esso gli insetti; cominciai allora a capire come fosse stata la vita degli uomini. Le palme delle mie mani, le piante dei miei piedi erano coperte da centinaia di vescichette; il prurito era atroce e mi grattai furiosamente per una decina di minuti, fino a ricoprirmi di sangue.

Più tardi, mentre entravamo in un prato dall'erba folta, Fox riuscì a catturare un piccolo coniglio; con una mossa netta, gli spezzò le vertebre cervicali, poi portò L'animaletto grondante dì sangue ai miei piedi. Voltai la testa dall'altra parte nel momento in cui cominciava a divorarne gli organi interni; così era fatto il mondo naturale.

 

Durante la settimana seguente attraversammo una zona scoscesa che secondo la mia carta doveva corrispondere alla sierra de Gàdor; il prurito diminuiva, o piuttosto finivo con l'abituarmi a quel dolore costante, più forte al calare del sole, così come mi abituavo allo strato di sporcizia che mi ricopriva la pelle, a un odore corporeo più accentuato.

Un mattino, poco prima dell'alba, mi svegliai senza sentire il calore del corpo di Fox. Mi alzai terrorizzato. Era a soli pochi metri e si sfregava contro un albero starnutendo di furore; a quanto pareva, il punto doloroso si trovava dietro le orecchie, alla base della nuca. Mi avvicinai e gli presi dolcemente la testa fra le mani. Lisciandogli il pelo, scoprii rapidamente una piccola superficie bombata, grigia, larga qualche millimetro: era una zecca, ne riconobbi l'aspetto per aver letto alcune opere di biologia animale. Sapevo che l'estrazione di quel parassita era delicata; tornai allo zaino, presi delle pinze e una compressa imbevuta di alcool. Fox gemette debolmente, ma rimase immobile mentre operavo: lentamente, riuscii a estrargli l'insetto dalla carne; era un cilindro grigio, gonfio, di aspetto ripugnante, che era cresciuto rimpinzandosi del suo sangue; così era fatto il mondo naturale.

 

Il primo giorno della seconda settimana, a metà mattina, mi ritrovai di fronte a una faglia immensa che mi sbarrava la strada verso ovest. Ne conoscevo l'esistenza grazie ai rilievi satellitari, ma avevo pensato di poterla attraversare per continuare il cammino. Le pareti di basalto azzurrognolo, di una verticalità totale, strapiombavano per parecchie centinaia di metri su una pianura confusa, leggermente accidentata, il cui suolo sembrava una giustapposizione di pietre nere e di laghi di fango.

Nell'aria limpida, si distinguevano i più piccoli particolari della parete opposta, anch'essa verticale, che poteva essere situata a una decina di chilometri.

Se le carte realizzate sulla base dei rilievi non consentivano affatto di prevedere il carattere invalicabile di quella frattura della crosta terrestre, davano invece un'idea precisa del suo tracciato: partendo da una zona che corrispondeva all'area dell'antica Madrid (la città era stata distrutta da una serie di esplosioni nucleari, durante una delle ultime fasi dei conflitti interumani), la faglia attraversava tutto il sud della Spagna e poi la zona paludosa corrispondente a quello che era stato il Mediterraneo, prima di addentrarsi, lontanissimo, nel cuore del continente africano. L'unica soluzione possibile era di aggirarla da nord; ciò rappresentava una deviazione di mille chilometri. Mi sedetti qualche minuto, scoraggiato, con i piedi penzoloni nel vuoto, mentre il sole saliva sulle vette; Fox mi si accucciò di fianco, lanciandomi sguardi interrogativi. Il problema del suo cibo, perlomeno, era risolto: i conigli, molto numerosi nella regione, si lasciavano avvicinare e sgozzare senza la minima diffidenza; probabilmente i loro predatori naturali erano spariti da numerose generazioni. Ero sorpreso dalla facilità con cui Fox ritrovava gli istinti dei suoi antenati selvaggi; sorpreso anche dalla gioia manifesta che provava a fiutare l'aria delle cime, a saltellare nei prati di montagna, lui che aveva conosciuto solo il tepore di un appartamento.

 

Le giornate erano miti, già quasi calde. Valicammo senza difficoltà le catene della sierra Nevada per il puerto de la Ragua, a duemila metri di altitudine; in lontananza si scorgeva la vetta innevata del Mulhacén - che era stato, e rimaneva, malgrado gli sconvolgimenti geologici intercorsi - il punto culminante della penisola iberica.

Più a nord si estendeva una zona di tavolati e di poggi calcarei, disseminati di numerosissime grotte. Esse erano servite da riparo agli uomini preistorici che avevano abitato la regione per la prima volta; in seguito, erano state usate come rifugio dagli ultimi musulmani cacciati dalla Reconquista spagnola, prima di essere trasformate nel XX secolo in zone ricreative e in alberghi. Presi l'abitudine di riposarmici durante la giornata e di proseguire il cammino sul far della notte. Fu al mattino del terzo giorno che scorsi, per la prima volta, indizi della presenza dei selvaggi: un fuoco e ossa di piccoli animali.

Avevano acceso il fuoco sul pavimento di una delle camere create nelle grotte, carbonizzando la moquette, quando le cucine dell'albergo erano fornite di piastre di vetroceramica di cui erano stati incapaci di capire il funzionamento. Per me era sempre una sorpresa constatare che gran parte delle attrezzature costruite dagli uomini funzionavano ancora, parecchi secoli dopo - le centrali elettriche stesse continuavano a produrre migliaia di chilowatt che non venivano più utilizzati da nessuno. Profondamente ostile a tutto ciò che poteva venire dall'umanità, desiderosa di stabilire una cesura radicale con la specie che ci aveva preceduti, la Sorella Suprema aveva deciso molto in fretta di sviluppare una tecnologia autonoma nelle enclavi destinate all'insediamento dei neoumani che aveva progressivamente acquistato dalle nazioni in rovina - incapaci di far quadrare il bilancio e poi di provvedere ai bisogni sanitari delle loro popolazioni. Gli impianti precedenti erano stati lasciati in completo abbandono; la continuità del loro funzionamento era quindi ancor più notevole: a parte tutti i difetti, l'uomo era stato proprio un mammifero ingegnoso.

 

Giunto all'altezza dell'embalse del Negratìn, feci una breve sosta. Le gigantesche turbine della diga giravano al rallentatore, non alimentando ormai altro che una fila di lampioni al sodio che si allineavano inutilmente lungo l'autostrada fra Granada e Alleante. La carreggiata, crepata, ricoperta di sabbia, era invasa dall'erba e da cespugli sparsi. Seduto all'esterno di un antico caffè- ristorante che dominava la superficie turchese dello specchio d'acqua, fra tavolini e sedie di metallo corrosi dalla ruggine, ebbi con mia sorpresa un attacco di nostalgia pensando alle feste, ai banchetti, alle riunioni di famiglia che dovevano essersi svolti lì molti secoli prima. Ero consapevole però, e più che mai, che l'umanità non meritava di vivere, che la scomparsa della specie poteva essere considerata, sotto tutti i punti di vista, solo come una buona notizia; le sue vestigia disperse, deteriorate avevano comunque qualcosa di desolante.

"Fino a quando si perpetueranno le condizioni dell'infelicità?" si chiede la Sorella Suprema nella sua Seconda confutazione dell'umanesimo. "Esse si perpetueranno," risponde subito, "finché le donne continueranno a partorire." Nessun problema umano, insegna la Sorella Suprema, avrebbe potuto trovare l'abbozzo di una soluzione senza una limitazione drastica della densità della popolazione terrestre. Un'opportunità storica eccezionale di spopolamento calcolato si era offerta all'inizio del XXI secolo, proseguiva, contemporaneamente in Europa (tramite la denatalità) e in Africa (grazie alle epidemie e all'AIDS). L'umanità aveva preferito sprecare questa occasione adottando una politica di immigrazione di massa, e aveva dunque l'intera responsabilità delle guerre etniche e religiose che ne erano seguite, e che dovevano costituire il preludio alla Prima Diminuzione.

Lunga e confusa, la storia della Prima Diminuzione è conosciuta oggi solo da rari specialisti, che attingono essenzialmente alla monumentale Storia delle civiltà boreali, in ventitré tomi, di Ravensburger e Dickinson. Fonte incomparabile di informazioni, quest'opera è stata talvolta considerata poco rigorosa; le si è rimproverato in particolare di concedere troppo spazio alla relazione di Horsa, che, secondo Penrose, deve più alla influenza letteraria delle canzoni di gesta e al gusto per una metrica regolare che alla stretta verità storica. Le sue critiche si sono per esempio concentrate sul passo seguente:

 

Le tre isole del nord sono bloccate dai ghiacci;

le più fini teorie rifiutano di quadrare;

dicono che da qualche parte un lago sia sprofondato

e i continenti morti risalgano alla superficie.

Astrologi oscuri percorrono le nostre province,

proclamando il ritorno del Dio degli Iperborei;

annunciano la gloria dell'Alpha Centauri

e giurano obbedienza al sangue dei nostri vecchi principi.

 

Questo passo, argomenta Penrose, è in evidente contraddizione con ciò che sappiamo della storia climatica del globo.

Ricerche più accurate hanno tuttavia mostrato che l'inizio del crollo delle civiltà umane fu segnato da variazioni termiche, improvvise quanto imprevedibili. La Prima Diminuzione stessa, cioè lo scioglimento dei ghiacci, che, prodotto dall'esplosione di due bombe termonucleari ai polì artico e antartico, doveva provocare l'immersione della totalità del continente asiatico a eccezione del Tibet e ridurre di venti volte la popolazione terrestre, avvenne solo dopo un secolo.

Altri studi hanno messo in evidenza la ricomparsa, all'inizio di questo periodo agitato, di credenze e di comportamenti venuti dal passato folcloristico più antico dell'umanità occidentale, quali l'astrologia, la magia divinatoria, la fedeltà a gerarchia di tipo dinastico. Ricostituzione di tribù rurali o urbane, riapparizione di culti e di costumi barbarici: il declino delle civiltà umane, perlomeno nella sua prima fase, somigliò abbastanza a ciò che era stato pronosticato, già alla fine del XX secolo, da diversi autori di fiction speculativa. Un futuro violento, selvaggio era ciò che attendeva gli uomini, molti ne ebbero coscienza persino prima dello scatenarsi dei tumulti iniziali; certe pubblicazioni come Métal Hurlant testimoniano al riguardo un'inquietante preveggenza. Tale coscienza anticipata del resto non permise affatto agli uomini di attuare e nemmeno di progettare una qualsiasi soluzione. L'umanità, insegna la Sorella Suprema, doveva portare a compimento il proprio destino di violenza fino alla distruzione finale; nulla avrebbe potuto salvarla, neanche supponendo che un salvataggio potesse essere considerato auspicabile. La piccola comunità neoumana, riunita in enclavi protette da un sistema di sicurezza infallibile, dotata di un sistema di riproduzione affidabile e di una rete di comunicazioni autonoma, doveva attraversare senza difficoltà questo periodo di prove. Essa doveva sopravvivere con la stessa facilità alla Seconda Diminuzione, conseguenza del Grande Prosciugamento. Mantenendo al riparo dalla distruzione e dal saccheggio l'integralità delle conoscenze umane, completandole all'occasione con misura, essa doveva rivestire pressappoco il ruolo che era stato quello dei monasteri durante tutto il medioevo - con l'unica differenza che essa non aveva affatto l'obiettivo di preparare una risurrezione futura dell'umanità, ma al contrario di favorire, nei limiti del possibile, la sua estinzione.

 

Durante i tre giorni che seguirono, attraversammo un tavolato arido e bianco, dalla vegetazione stenta; l'acqua e la selvaggina si facevano più rare, e decisi di piegare verso est, scostandomi dal percorso della faglia. Seguendo il corso del Rio Guardai, raggiungemmo l'embalse de San Clemente, e poi ritrovammo con piacere l'ombra fresca e ricca di selvaggina della sierra de Segura. La mia costituzione biochimica, come prendevo coscienza a mano a mano che proseguiva il nostro cammino, mi conferiva una resistenza eccezionale e una facilità di adattamento ai differenti ambienti che non trovava eguale nel mondo animale. Fino a quel momento non avevo visto traccia di grandi predatori, ed era piuttosto in omaggio a un'antica tradizione umana che ogni sera, dopo esserci accampati, accendevo un fuoco. Fox ritrovava con una rapidità sorprendente gli atavismi che erano quelli del cane da quando aveva deciso di accompagnare l'uomo, ormai molti millenni fa, prima di riprendere il suo posto presso i neoumani. Un freddo leggero scendeva dalle vette, eravamo a circa duemila metri di altitudine, e Fox contemplava le fiamme prima di stendersi ai miei piedi quando rosseggiavano le braci. Sapevo che avrebbe dormito con un occhio solo, pronto a saltar su al primo allarme, a uccidere e a morire, se necessario, per proteggere il suo padrone e il suo focolare. Malgrado la mia lettura attenta della narrazione di Daniel1, non avevo ancora capito del tutto che cosa intendessero gli uomini con amore, non avevo colto l'insieme dei significati molteplici, contraddittori che davano al termine; avevo colto la brutalità della lotta sessuale, l'insostenibile dolore dell'isolamento affettivo, ma continuavo a non capire ciò che aveva alimentato la loro speranza di poter stabilire una forma di sintesi fra quelle aspirazioni contraddittorie.

Al termine però di quelle poche settimane di viaggio nelle sierras dell'interno della Spagna, non mi ero mai sentito così vicino ad amare, nel senso più elevato che essi davano alla parola; non ero mai stato così vicino a provare personalmente "ciò che la vita ha di migliore", per riprendere le parole usate da Daniel1 nella sua poesia finale. Capivo come la nostalgia di quel sentimento avesse potuto precipitare Marie23 sulle strade, così lontano da lì, sull'altra riva dell'Atlantico. A dire il vero, anch'io ero trascinato su un cammino altrettanto ipotetico, ma mi era ormai indifferente raggiungere la mia destinazione: in fondo, ciò che volevo era continuare a camminare con Fox per prati e montagne, conoscere ancora i risvegli, i bagni in un fiume gelato, i minuti trascorsi ad asciugarsi al sole, le sere insieme attorno al fuoco alla luce delle stelle. Ero giunto all'innocenza, a uno stato non conflittuale e non relativo, non avevo più obiettivo né meta, e la mia individualità si dissolveva nella serie indefinita dei giorni. Ero felice.

 

Dopo la sierra de Segura, affrontammo la sierra de Alcaraz, meno elevata; avevo rinunciato a tenere il conto esatto dei nostri giorni di cammino, ma fu più o meno all'inizio di agosto, penso, che arrivammo in vista di Albacete. Il caldo era opprimente. Avevo deviato parecchio dal percorso della faglia; se volevo raggiungerla, dovevo adesso dirigermi esattamente a ovest e attraversare per più di duecento chilometri i tavolati della Mancha, dove non avrei trovato né vegetazione né riparo.

Potevo anche, piegando verso nord, raggiungere le zone più boscose che si estendono attorno a Cuenca, poi, attraversando la Catalogna, raggiungere la catena dei Pirenei.

Nel corso della mia esistenza neoumana non avevo mai dovuto prendere decisioni o iniziative, era un processo a me completamente estraneo. L'iniziativa individuale, insegna la Sorella Suprema nelle sue Istruzioni per una vita tranquilla, è la matrice della volontà, dell'attaccamento e del desiderio; quindi i Sette Fondatori, seguendo il suo insegnamento, si sforzarono di mettere a punto una mappa esauriente delle situazioni di vita auspicabili. Il loro obiettivo primario era naturalmente di farla finita con il denaro e con il sesso, due fattori di cui avevano potuto riconoscere il ruolo deleterio attraverso l'insieme dei racconti di vita umani; si trattava anche di trascurare ogni idea di scelta politica, fonte - come scrivono - di passioni "fattizie ma violente". Queste precondizioni di ordine negativo, per quanto fossero indispensabili, non erano però sufficienti ai loro occhi per permettere alla neoumanità di raggiungere "l'evidente neutralità del reale", secondo la loro espressione citata di frequente. Conveniva pure fornire un catalogo concreto di prescrizioni positive. Il comportamento individuale, osservano nei loro Prolegomeni alla edificazione della Città Centrale (la prima opera neoumana che, significativamente, non porta alcun nome di autore) doveva diventare "prevedibile quanto il funzionamento di un frigorifero". Nella redazione delle loro consegne, riconoscono del resto di avere come principale fonte di ispirazione stilistica, più di ogni altra produzione letteraria umana, "le istruzioni per l'uso degli elettrodomestici di dimensioni e complessità medie, in particolare quelle del videoregistratore JVC HR- DV3S/ MS". I neoumani, avvertono subito, possono essere considerati, proprio come gli umani, mammiferi razionali di dimensioni e complessità medie; in tal modo, in seno a una vita stabilizzata, è possibile fissare un repertorio completo delle condotte.

Abbandonando la rotta di una vita del genere, mi ero allo stesso tempo scostato da ogni schema applicabile. Così, nello spazio di qualche minuto, accovacciato sui talloni in cima a un poggio calcareo, contemplando la pianura sterminata e bianca che si estendeva ai miei piedi, scoprii i tormenti della scelta personale. Capii ugualmente, e definitivamente questa volta, che il mio desiderio non era, non era più e probabilmente non era mai stato, quello di raggiungere una comunità qualsiasi di primati. Fu senza una reale esitazione, un po' come sotto l'effetto di una sorta di pesantezza interna, un po' come si finisce col pendere dalla parte più pesante, che decisi di piegare verso nord. Poco dopo La Roda, scorgendo le foreste e i primi luccichii dell'embalse de Alarcón, mentre Fox mi trottava allegramente al fianco, mi resi conto che non avrei mai incontrato Marie23 né alcun'altra neoumana, e che non ne provavo alcun autentico dispiacere.

 

Raggiunsi il paese di Alarcón poco dopo l'imbrunire; la luna si rifletteva sulle acque del lago, animate da un fremito leggero. Mentre arrivavo all'altezza delle prime case, Fox si bloccò mettendosi a ringhiare piano. Mi immobilizzai; non sentivo alcun rumore ma mi fidavo del suo udito, più acuto del mio. Alcune nuvole passarono davanti alla luna, e udii un leggero grattare sulla destra; quando la luce ridivenne più intensa, vidi infilarsi fra due case una forma umana, che mi parve curva e deforme. Trattenni Fox, che si apprestava a lanciarsi al suo inseguimento, e continuai a inerpicarmi su per la strada principale. Era forse imprudente da parte mia; ma, secondo tutte le testimonianze di coloro che erano entrati in contatto con loro, i selvaggi provavano un autentico terrore nei confronti dei neoumani, la loro prima reazione era sempre di darsi alla fuga.

Il castello- fortezza di Alarcón era stato costruito nel XII secolo e poi trasformato in parador nel XX secolo, mi informò un cartello turistico dai caratteri consumati. La sua mole rimaneva imponente, dominava il borgo e doveva permettere di vedere a chilometri di distanza. Decisi di sistemarmici per la notte, incurante dei rumori e delle sagome che sfrecciavano nell'oscurità. Fox ringhiava continuamente e finii col prenderlo in braccio per calmarlo; ero sempre più persuaso che i selvaggi avrebbero evitato ogni confronto se facevo abbastanza rumore da avvertirli della mia vicinanza.

All'interno il castello recava tutte le tracce di un'occupazione recente; del fuoco ardeva ancora nel grande camino e c'era una scorta di legna; almeno non avevano perso quel segreto, quello di una delle più antiche scoperte umane. Dopo una rapida ispezione delle camere, mi resi conto che era pressappoco tutto ciò che erano stati capaci di mantenere: l'occupazione dell'edificio da parte dei selvaggi si manifestava soprattutto con disordine, fetore, mucchi di escrementi secchi sul pavimento. Non vi era alcun indizio di attività mentale, intellettuale o artistica; ciò corrispondeva alla conclusione dei rari ricercatori che avevano preso in esame l'inizio della storia dei selvaggi: in assenza di ogni trasmissione culturale, il crollo era avvenuto con una rapidità fulminea.

Le spesse mura conservavano bene il calore, e decisi di accamparmi nella grande sala, limitandomi a tirare un materasso accanto al fuoco; in un locale di servizio, scoprii una pila di lenzuola pulite. Trovai anche due carabine a ripetizione, una riserva impressionante di cartucce, e una cassetta con tutto il necessario per pulire e lubrificare le armi. La regione, fitta di valli e di boschi, doveva essere stata molto ricca di selvaggina al tempo degli umani; ignoravo quale fosse la situazione attuale, ma le mie prime settimane di cammino mi avevano rivelato che perlomeno alcune specie erano sopravvissute alla serie di maremoti e di prosciugamenti estremi, alle nuvole di radiazioni atomiche, all'avvelenamento dei corsi d'acqua, a tutti i cataclismi insomma che avevano devastato il pianeta nel corso degli ultimi due millenni. Gli ultimi secoli della civiltà umana, è un fatto poco noto ma significativo, avevano visto l'apparizione nell'Europa occidentale di movimenti ispirati da un'ideologia di un masochismo strano, detta "ecologista" - benché essa non avesse che pochi rapporti con la scienza omonima. Tali movimenti insistevano sulla necessità di proteggere la "natura" dall'intervento umano, e difendevano l'idea che ogni specie, qualunque fosse il suo grado di sviluppo, aveva pari "diritto" all'occupazione del pianeta; a dire il vero, alcuni umani appartenenti a tali movimenti sembravano persino schierarsi sistematicamente a favore degli animali contro l'uomo, e provare più dispiacere all'annuncio della scomparsa di una specie di invertebrati che a quello di una carestia che decimava la popolazione di un continente.

Oggi facciamo un po' fatica a capire questi concetti di "natura" e di "diritto" che essi manipolavano con tanta leggerezza, e vediamo semplicemente in queste ideologie terminali uno degli indizi del desiderio dell'umanità di rivoltarsi contro se stessa, di porre fine a un'esistenza che sentiva inadeguata. Gli "ecologisti", comunque sia, avevano largamente sottovalutato la capacità oli adattamento del mondo vivente, la sua rapidità nel ricostituire nuovi equilibri sulle rovine di un mondo distrutto, e i miei primi predecessori neoumani, come Daniel3 e Daniel4, sottolineano la sensazione di ironia leggera che provano vedendo fitte foreste, popolate di lupi e di orsi, guadagnare rapidamente terreno sugli antichi complessi industriali.

E in un'epoca in cui gli umani sono praticamente scomparsi, in cui il loro dominio passato si manifesta ormai solo con nostalgiche vestigia, è buffo constatare la notevole resistenza degli acari e degli insetti.

 

Trascorsi una notte tranquilla e mi svegliai poco prima dell'alba. Con Fox alle calcagna, feci il giro del camminamento di ronda guardando il sole che spuntava sulle acque del lago - i selvaggi, abbandonato il borgo, avevano probabilmente ripiegato sulle sue rive. Cominciai poi un'esplorazione completa del castello in cui scoprii numerosi oggetti di fabbricazione umana, alcuni in buono stato di conservazione. Tutti quelli che racchiudevano componenti elettronici e pile al litio, destinate a conservare i dati durante le interruzioni di corrente elettrica, erano stati irrimediabilmente deteriorati dal passare dei secoli. Lasciai così da parte i cellulari, i computer, le agende elettroniche. Gli apparecchi costituiti soltanto da pezzi meccanici e ottici avevano invece resistito benissimo. Giocai per un po' con una macchina fotografica, una Rolleiflex doppio obiettivo dalla scocca di metallo di un nero opaco: la manovella che permetteva il trascinamento della pellicola girava senza intoppi; le lamelle dell'otturatore si aprivano e si richiudevano con un piccolo rumore serico a una velocità che variava secondo la cifra selezionata per la messa a fuoco. Se fossero ancora esistite delle pellicole fotografiche, se ci fossero stati dei laboratori di sviluppo, ero sicuro che avrei potuto realizzare foto eccellenti. Mentre il sole cominciava a scaldare e a illuminare di riflessi dorati la superficie del lago, meditai un po' sulla grazia e sull'oblio; su ciò che l'umanità aveva avuto di meglio: la sua ingegnosità tecnologica. Non rimaneva ormai nulla delle produzioni letterarie e artistiche di cui l'umanità era stata così fiera; i temi che le avevano originate avevano perduto ogni pertinenza, il loro potere di emozione era svanito. Non rimaneva nemmeno nulla dei sistemi filosofici o teologici per i quali gli uomini si erano battuti, erano talvolta morti, avevano ancora più spesso ucciso; tutto ciò non destava ormai la minima eco in un neoumano, non ci vedevamo altro che le divagazioni arbitrarie di spiriti limitati, confusi, incapaci di produrre il minimo concetto preciso o semplicemente utilizzabile. Le produzioni tecnologiche dell'uomo, invece, potevano ancora ispirare il rispetto: era stato in questo campo che l'uomo aveva dato il meglio di sé, che aveva espresso la sua natura profonda, che aveva raggiunto subito un'eccellenza operativa alla quale i neoumani non avevano potuto aggiungere nulla di significativo.

Tuttavia, i miei bisogni tecnologici erano molto limitati; mi accontentai di un binocolo a forte ingrandimento e di un coltello a lama larga che infilai alla cintura. Dopotutto era possibile che incontrassi degli animali pericolosi durante il resto del viaggio, sempre che lo proseguissi. Nel pomeriggio delle nuvole si accumularono sopra la pianura, e un po' più tardi cominciò a cadere la pioggia in lunghe cortine lente e pesanti. Le gocce si schiantavano nel cortile del castello con un rumore sordo. Uscii poco prima del tramonto: i sentieri erano inzuppati, impraticabili. Capii allora che l'estate stava già cedendo il posto all'autunno, e seppi anche che sarei rimasto lì qualche settimana, qualche mese forse; avrei atteso che con l'inizio dell'inverno le giornate ridiventassero fresche e asciutte. Avrei potuto andare a caccia, uccidere dei cervi o delle cerve da arrostire nel camino, avrei potuto condurre la vita semplice che conoscevo dai differenti racconti di vita umani. Sapevo che Fox sarebbe stato contento, ne aveva il ricordo impresso nei geni. Personalmente avrei avuto bisogno di capsule di sali minerali, ma ne avevo ancora una riserva sufficiente per sei mesi; poi avrei dovuto trovare dell'acqua di mare, se il mare esisteva ancora, se fossi riuscito a raggiungerlo; oppure sarei dovuto morire. Il mio attaccamento alla vita non era molto forte rispetto ai criteri umani; tutto, nell'insegnamento della Sorella Suprema, era rivolto all'idea di distacco; ritrovando il mondo originario, avevo la sensazione di costituire una presenza incongrua, facoltativa, in mezzo a un universo dove tutto era orientato verso la sopravvivenza e la perpetuazione della specie.

A tarda notte mi svegliai e scorsi un fuoco sulle rive del lago. Puntando il binocolo in quella direzione, provai uno shock alla vista dei selvaggi: non ne avevo mai visti così da vicino, ed erano diversi da quelli della regione di Almerfa; erano più robusti e più chiari di carnagione; l'esemplare deforme che avevo scorto al mio arrivo in paese costituiva probabilmente un'eccezione. Erano una trentina, riuniti attorno al fuoco, con lacere vesti di cuoio che erano probabilmente di fabbricazione umana. Non riuscii a sostenere la loro vista molto a lungo e tornai a sdraiarmi nel buio tremando leggermente; Fox mi si rannicchiò contro, spingendomi il muso contro la spalla, finché mi calmai.

 

L'indomani mattina, alla porta del castello, trovai una valigia di plastica rigida, anch'essa di fabbricazione umana; incapaci di produrre da soli un qualsiasi oggetto, non avendo sviluppato alcuna tecnologia, i selvaggi utilizzavano i resti dell'industria umana, e dovevano accontentarsi degli oggetti che trovavano qua e là fra le rovine delle antiche abitazioni, quelli perlomeno di cui capivano la funzione. Aprii la valigia: conteneva dei tuberi di cui non riuscii a determinare la natura e un pezzo di carne arrostita. Ciò confermava la totale ignoranza che i selvaggi avevano dei neoumani; a quanto pareva, non sapevano neppure che il mio metabolismo differiva dal loro e che quegli alimenti erano inutilizzabili per me. Fox, invece, divorò il pezzo di carne con appetito. Ciò confermava egualmente che essi provavano un grande timore nei miei confronti e desideravano assicurarsi la mia benevolenza, o perlomeno la mia neutralità. Venuta la sera, posai la valigia vuota all'entrata per mostrare che accettavo l'offerta.

La stessa scena si ripeté l'indomani e poi i giorni seguenti.

Durante la giornata osservavo con il binocolo il comportamento dei selvaggi; mi ero quasi abituato al loro aspetto, ai loro tratti marcati, grossolani, ai loro organi sessuali vistosi.

Quando non cacciavano, sembrava che perlopiù dormissero o si accoppiassero - quelli perlomeno cui era offerta la possibilità. La tribù era organizzata secondo un rigido sistema gerarchico, come ebbi modo di osservare fin dai primi giorni. Il capo era un maschio di una quarantina d'anni, dal pelo brizzolato; era assistito da due giovani maschi dal petto robusto (gli individui di gran lunga più grandi e più aitanti del gruppo); visibilmente, la copulazione con le femmine era una loro prerogativa: quando esse incontravano uno dei tre maschi dominanti si mettevano carponi e presentavano la vulva; respingevano invece con violenza gli approcci degli altri maschi. Il capo aveva in ogni caso la precedenza sui suoi due subordinati. Non sembrava invece esserci una gerarchia chiara fra i due: in assenza del capo, beneficiavano uno dopo l'altro, e talvolta simultaneamente, dei favori delle varie femmine. La tribù non comprendeva alcun soggetto senescente; l'età di cinquant'anni sembrava essere il massimo che potessero raggiungere.

Insomma, era un tipo di organizzazione che richiamava abbastanza da vicino le società umane, in particolare quelle degli ultimi periodi, posteriori alla scomparsa dei grandi sistemi federativi. Ero certo che Daniel1 non si sarebbe sentito spaesato in quell'universo, che vi avrebbe trovato facilmente i suoi punti di riferimento.

Una settimana dopo il mio arrivo, mentre aprivo come al solito la porta del castello, scoprii accanto alla valigia una giovane selvaggia irsuta, dalla pelle bianchissima e dai capelli neri.

Era nuda a parte un gonnellino di cuoio, la pelle decorata rozzamente con strisce di colore blu e giallo. Vedendomi arrivare, si girò, sollevò la gonna e inarcò le reni per presentarmi il culo.

Quando Fox si avvicinò per annusarla, la creatura si mise a tremare tutta, ma non cambiò posizione. Dato che continuavo a non muovermi, finì col voltare la testa nella mia direzione; le feci segno di seguirmi all'interno del castello.

Ero abbastanza seccato; se accettavo quel nuovo tipo di offerta, la cosa si sarebbe probabilmente ripetuta i giorni seguenti; d'altra parte, respingere la femmina sarebbe equivalso a esporla alle rappresaglie degli altri membri della tribù. Era visibilmente terrorizzata, spiava le mie reazioni con uno sguardo in cui si leggeva il panico. Conoscevo le procedure della sessualità umana, anche se si trattava di un sapere puramente teorico. Le indicai il materasso; lei si mise carponi e attese. Le feci segno di girarsi; lei obbedì, allargando per bene le cosce, e cominciò a passarsi una mano sul buco, che era straordinariamente peloso. I meccanismi del desiderio erano rimasti pressappoco gli stessi nei neoumani, benché si fossero considerevolmente indeboliti, e sapevo che alcuni avevano l'abitudine di concedersi delle eccitazioni manuali. Personalmente, avevo provato una volta, parecchi anni prima, senza realmente riuscire a evocare un'immagine mentale, cercando di concentrarmi sulle sensazioni tattili che erano rimaste moderate - il che mi aveva dissuaso dal ripetere l'esperienza. Mi tolsi tuttavia i pantaloni, per manipolarmi l'organo in modo da dargli la rigidità necessaria. La giovane selvaggia emise un grugnito di soddisfazione e si sfregò il buco con energia raddoppiata. Avvicinandomi, fui assalito dal tanfo pestilenziale che emanava dal suo inguine. Dalla partenza avevo perso le mie abitudini neoumane di igiene, il mio odore corporale era leggermente più accentuato, ma non aveva nulla a che vedere con il fetore che proveniva dal sesso della selvaggia, misto di merda e di pesce marcio. Indietreggiai involontariamente; lei si raddrizzò subito, di nuovo inquieta, e strisciò verso di me; giunta all'altezza del mio organo, avvicinò la bocca. Il lezzo era meno insopportabile, ma comunque molto forte; aveva denti piccoli, cariati, neri. La respinsi dolcemente, mi rivestii e la riaccompagnai alla porta del castello invitandola a gesti a non tornare. L'indomani trascurai di prendere la valigia che era stata lasciata per me; tutto sommato, mi pareva preferibile evitare di sviluppare un'eccessiva familiarità con i selvaggi. Potevo cacciare per provvedere ai bisogni di Fox, la selvaggina era abbondante e poco agguerrita: i selvaggi, poco numerosi, utilizzavano come armi solo l'arco e le frecce, le mie due carabine a ripetizione sarebbero state una carta decisiva. Già l'indomani feci una prima uscita e, con grande gioia di Fox, abbattei due cerve che pascolavano nei fossati. Con una piccola scure, tagliai due cosciotti, lasciando marcire la carcassa sul posto. Quelle bestie non erano che macchine imperfette, approssimative, dalla durata di vita modesta; non avevano né la robustezza né l'eleganza o la perfezione di funzionamento di una Rolleiflex a doppio obiettivo, pensavo osservando i loro occhi sporgenti, ormai privi di vita. Pioveva ancora ma più piano, i sentieri ridiventavano praticabili; quando il gelo fosse ricomparso, sarebbe stata ora di ripartire verso ovest.

 

Nei giorni seguenti, mi avventurai più lontano nella foresta che circondava il lago; sotto gli alti alberi cresceva un'erba rasa, illuminata qua e là dal sole che filtrava attraverso i rami.

Ogni tanto udivo un fruscio dove la boscaglia era più folta, o venivo messo in allarme da un ringhio di Fox. Sapevo che i selvaggi erano là, che stavo attraversando il loro territorio, ma che non avrebbero osato farsi vedere; le detonazioni dovevano terrorizzarli.

A buon diritto, del resto: adesso padroneggiavo perfettamente il funzionamento delle mie carabine, riuscivo a ricaricarle molto in fretta e avrei potuto farne strage. I dubbi che mi avevano assalito occasionalmente nel corso della mia vita astratta e solitaria erano ormai spariti: sapevo di aver a che fare con creature nefaste, sciagurate e crudeli; in mezzo a loro non avrei certo trovato l'amore o la sua possibilità né alcuno degli ideali che avevano potuto alimentare le fantasticherie dei nostri predecessori umani; essi non erano che il residuo caricaturale delle peggiori tendenze dell'umanità comune, quella che conosceva già Daniel1, quella di cui aveva auspicato, programmato e in larga misura realizzato la rovina. Ne ebbi una nuova conferma nel corso di una sorta di festa organizzata alcuni giorni dopo dai selvaggi. Era una notte di luna piena e fui svegliato dagli ululati di Fox; il ritmo dei tamburi era di una violenza ossessiva, che mi assillava dolorosamente. Salii in cima alla torre centrale, con in mano il binocolo. Tutta la tribù era riunita nella radura, avevano acceso un grande fuoco e sembravano sovreccitati. Il capo presiedeva la riunione, in quello che mi parve essere un sedile d'auto sfondato. Portava una T- shirt "Ibiza Beach" e un paio di stivaletti; le gambe e gli organi sessuali erano scoperti. A un suo cenno, la musica rallentò il ritmo e i membri della tribù formarono un cerchio, delimitando una sorta di arena al cui centro i due assistenti del capo trascinarono brutalmente due selvaggi anziani: erano i più vecchi della tribù, potevano aver raggiunto la sessantina.

Erano completamente nudi e armati di pugnali a lama larga e corta - identici a quelli che avevo trovato in uno stanzino del castello. Il combattimento si svolse dapprima nel massimo silenzio; ma al primo sangue versato, i selvaggi si misero a lanciare grida, a fischiare, a incoraggiare gli avversari. Capii subito che si sarebbe trattato di un duello all'ultimo sangue, destinato a eliminare l'individuo meno adatto alla sopravvivenza; i due cercavano di colpirsi al volto o nei punti sensibili. Dopo i primi tre minuti ci fu una pausa, i contendenti si accovacciarono ai lati dell'arena, asciugandosi e bevendo lunghi sorsi d'acqua. Il più corpulento sembrava in difficoltà, aveva perso molto sangue. A un segnale del capo, il combattimento riprese.

Il grosso si rialzò barcollando; senza perdere un secondo, il suo avversario si avventò su di lui e gli affondò il pugnale in un occhio. Il grosso cadde a terra con il volto inondato di sangue, e lo scempio cominciò. Con i pugnali alzati, i maschi e le femmine della tribù si precipitarono urlando sul ferito che cercava di strisciare via; contemporaneamente i tamburi ripresero a suonare. All'inizio, i selvaggi tagliavano dei pezzi di carne che facevano arrostire sulle braci, ma, con il crescere della frenesia, cominciarono a divorare direttamente il corpo della vittima, a lapparne il sangue il cui odore sembrava inebriarli. Alcuni minuti dopo, il grosso selvaggio era ridotto a pochi resti sanguinolenti sparsi sull'erba. La testa giaceva in disparte, intatta a parte l'occhio squarciato. Uno degli assistenti la raccolse e la porse al capo, che si alzò e l'agitò sotto le stelle, mentre la musica cessava di nuovo e i membri della tribù intonavano una melopea inarticolata battendo lentamente le mani. Supposi si trattasse di un rito di unione, un modo per rinsaldare i legami del gruppo e sbarazzarsi nel contempo dei soggetti deboli o malati. Tutto ciò mi sembrava abbastanza conforme a quanto potevo conoscere dell'umanità.

 

Al mio risveglio, un sottile strato di brina ricopriva i prati.

Dedicai il resto dalla mattinata ai preparativi per quella che speravo fosse l'ultima tappa del mio periplo. Fox mi seguì da una stanza all'altra saltellando. Proseguendo verso ovest, sapevo che avrei trovato regioni più pianeggianti e più calde; la coperta di sopravvivenza era diventata inutile. Non so esattamente perché fossi ritornato al mio progetto iniziale di provare a raggiungere Lanzarote; la possibilità di incontrare una comunità neoumana continuava a ispirarmi uno scarso entusiasmo - del resto non avevo raccolto alcun indizio supplementare dell'esistenza di una simile comunità. Probabilmente l'idea di vivere il resto della mia esistenza in zone infestate dai selvaggi, per quanto in compagnia di Fox e pur sapendo che erano terrorizzati da me assai più di quanto io lo fossi da loro, che avrebbero fatto tutto il possibile per mantenersi a debita distanza, mi era divenuta insopportabile al termine di quella notte. Mi resi allora conto che a poco a poco tagliavo i ponti con tutto; in quel mondo non c'era forse un posto adatto a me.

Esitai a lungo davanti alle carabine a ripetizione. Erano ingombranti e avrebbero rallentato la mia marcia; non temevo affatto per la mia sicurezza personale. D'altra parte, non era certo che Fox sarebbe riuscito a trovare così facilmente da nutrirsi nelle zone che avremmo attraversato. Con la testa appoggiata sulle zampe anteriori, mi seguiva con lo sguardo come se capisse le mie esitazioni. Quando mi tirai su reggendo la carabina più corta, dopo aver ficcato una piccola riserva di cartucce nello zaino, si rialzò agitando allegramente la coda.

Aveva visibilmente preso gusto alla caccia, e in una certa misura anch'io. Provavo ormai una certa gioia a uccidere degli animali, a liberarli dal fenomeno; intellettualmente, sapevo di avere torto, poiché la liberazione può essere ottenuta solo con l'ascesi, su questo punto gli insegnamenti della Sorella Suprema mi parevano più che mai indiscutibili; ma mi ero forse umanizzato nel senso peggiore del termine. Ogni distruzione di una forma di vita organica, comunque sia, era un passo avanti verso la realizzazione della legge morale; pur continuando a sperare nell'avvento dei Futuri, dovevo nel contempo cercare di raggiungere i miei simili, o esseri analoghi.

Chiudendo lo zaino, ripensai a Marie23, che era partita in cerca dell'amore, e non lo aveva probabilmente trovato. Fox mi saltellava attorno, pazzo di gioia all'idea di riprendere il cammino. Lanciai uno sguardo all'intorno sulle foreste, sulla pianura, e recitai mentalmente la preghiera per la liberazione delle creature.

 

La mattinata terminava e fuori la temperatura era mite, era quasi caldo; il gelo si era sciolto, eravamo solo all'inizio dell'inverno, e stavo per lasciare definitivamente le regioni fredde.

Perché vivevo? Non avevo appartenenza. Prima di partire decisi di fare un'ultima passeggiata attorno al lago, con la carabina in mano, non per cacciare veramente, poiché non avrei potuto portare con me la selvaggina, ma per offrire a Fox un'ultima volta la soddisfazione di attraversare la boscaglia, di fiutare gli odori del sottobosco, prima di affrontare la traversata delle pianure.

Il mondo era là, con le sue foreste, i suoi prati, e i suoi animali nella loro innocenza - tubi digerenti su zampe, che finivano con denti, la cui vita si riduceva a cercare altri tubi digerenti per divorarli e ricostituire le proprie riserve energetiche.

Di buon mattino avevo osservato l'accampamento dei selvaggi; i più dormivano, sazi di emozioni forti dopo l'orgia sanguinosa della sera prima. Erano al vertice della catena alimentare, i loro predatori naturali erano poco numerosi; perciò dovevano procedere personalmente all'eliminazione dei soggetti senescenti o malati, per preservare la buona salute della tribù.

Non potendo contare sulla concorrenza naturale, dovevano pure organizzare un sistema sociale di controllo di accesso alla vulva delle femmine, per mantenere il capitale genetico della specie. Tutto ciò era nell'ordine delle cose, e il pomeriggio era di un tepore strano. Mi sedetti in riva al lago mentre Fox curiosava nei forteti. Talvolta un pesce saltava fuori dall'acqua, provocando in superficie increspature leggere che venivano a morire ai miei piedi. Facevo sempre più fatica a capire perché avessi abbandonato la comunità astratta, virtuale dei neoumani.

La nostra esistenza priva di passioni era da sempre quella dei vecchi; guardavamo il mondo con uno sguardo permeato di una lucidità senza benevolenza. Il mondo animale era noto, le società umane erano note; tutto ciò non racchiudeva alcun mistero, e c'era da aspettarsi solo la ripetizione della carneficina.

"Ciò essendo, è così," mi ripetei meccanicamente, a più riprese, fino a raggiungere uno stato leggermente ipnotico.

Dopo poco più di due ore mi alzai, tranquillizzato forse, deciso a ogni modo a proseguire la mia ricerca - avendo nel contempo accettato il suo probabile fallimento e il trapasso che ne sarebbe seguito. Mi accorsi allora che Fox era sparito forse aveva fiutato una pista e si era avventurato più lontano nel sottobosco.

 

Battei i cespugli che circondavano il lago per quasi tre ore, chiamando ogni tanto, a intervalli regolari, in un silenzio angoscioso, mentre la luce cominciava a calare. Ritrovai il suo corpo sul far della notte, trafitto da una freccia. Era ancora tiepido.

La sua morte doveva essere stata terribile, i suoi occhi già vitrei riflettevano un'espressione di panico. In un estremo gesto di crudeltà, i selvaggi gli avevano mozzato le orecchie; avevano dovuto procedere in fretta nel timore che li sorprendessi, il taglio era grossolano, del sangue gli aveva schizzato il muso e il petto.

Mi si piegarono le gambe e caddi in ginocchio davanti al cadavere ancora tiepido del mio piccolo compagno; forse sarebbe bastato che arrivassi cinque o dieci minuti prima per tenere a distanza i selvaggi. Avrei dovuto scavargli una fossa, ma ancora non me la sentivo. Scendeva la notte, masse di bruma fredda cominciavano a formarsi attorno al lago.

Contemplai a lungo, molto a lungo, il corpo mutilato di Fox, poi arrivarono le mosche, in piccolo numero.