DANIEL1,12
Nella prima parte della vita, ci si rende conto della propria felicità solo dopo averla perduta. Poi viene un'età, una seconda età, in cui si sa già, nel momento in cui si comincia a vivere una felicità, che si finirà col perderla. Quando incontrai Belle, capii che ero entrato nella seconda età. Capii pure che non avevo raggiunto la terza età, quella dell'autentica vecchiaia, in cui l'anticipazione della perdita della felicità impedisce persino di viverla.
Per parlare di Belle, dirò semplicemente, senza esagerazione né metafora, che mi ha restituito la vita. In sua compagnia, ho vissuto momenti di intensa felicità. Questa frase così semplice, era forse la prima volta che avevo l'occasione di pronunciarla.
Ho vissuto momenti di intensa felicità; era dentro di lei, o accanto; era quando ero dentro di lei, o un po' prima, o un po' dopo. Il tempo, in quell'epoca, rimaneva ancora presente; c'erano lunghi momenti in cui non si muoveva più nulla, e poi tutto ricadeva in un "e poi". Più tardi, alcune settimane dopo il nostro incontro, quei momenti felici si sono fusi, si sono congiunti; e la mia vita intera, in sua presenza, sotto il suo sguardo, è divenuta felicità.
Belle, in realtà, si chiamava Esther. Non l'ho mai chiamata Belle - mai in sua presenza.
Fu una strana storia. Straziante, così straziante, mia Belle. E la cosa più strana è probabilmente che non ne sia rimasto realmente sorpreso. Nei miei rapporti con le persone (sono stato lì lì per scrivere: "nei miei rapporti ufficiali con le persone"; ed è un po' così, in effetti), avevo avuto probabilmente la tendenza a sopravvalutare il mio stato di disperazione. Qualcosa in me sapeva dunque, aveva sempre saputo, che avrei finito con l'incontrare l'amore, parlo dell'amore condiviso, il solo che abbia valore, il solo che possa effettivamente condurci a un ordine di percezioni diverso, in cui l'individualità si spacca, in cui le condizioni del mondo appaiono modificate, e la sua continuazione legittima. Eppure non avevo niente dell'ingenuo; sapevo che la maggior parte delle persone nasce, invecchia e muore senza avere conosciuto l'amore. Poco dopo l'epidemia detta della "mucca pazza", nuove norme furono promulgate nel campo dell'origine controllata della carne bovina. Nei reparti macelleria dei supermercati, nei fast food, si videro apparire piccole etichette, di solito così formulate: "Nato e allevato in Francia. Macellato in Francia". Una vita semplice, in effetti.
Se ci si limita alle circostanze, l'inizio della nostra storia fu di una banalità estrema. Avevo quarantasette anni al momento del nostro incontro e lei ventidue. Io ero ricco, lei era bella.
Per di più era attrice, e i registi cinematografici vanno a letto con le loro attrici, è risaputo; certi film, addirittura, non sembrano avere altra motivazione essenziale. Ciò premesso, mi si poteva considerare un regista cinematografico? Come regista, non avevo al mio attivo che Due mosche dopo, e mi apprestavo a rinunciare a girare Gli scambisti dell'autostrada, in realtà ci avevo persino già rinunciato nel momento in cui tornai da Parigi; quando il taxi si fermò davanti alla mia casa di San José, sentii senza possibilità di errore che non avevo più la forza, e che non avrei realizzato quel progetto né alcun altro. Le cose intanto avevano seguito il loro corso, e trovai una decina di fax di produttori europei che desideravano saperne un po' di più.
La mia nota programmatica si riduceva a una frase: "Riunire i vantaggi commerciali della pornografia e dell' ultraviolenza".
Non era nemmeno una nota programmatica, tutt'al più uno slogan, ma andava bene, mi aveva detto il mio agente; molti giovani registi allora procedevano così, ero senza volerlo un professionista moderno. C'erano anche tre DVD spediti dai principali agenti artistici spagnoli; avevo cominciato a tastare il terreno, indicando che il film aveva un "eventuale contenuto sessuale".
Ecco, è così che è cominciata la più grande storia d'amore della mia vita: in maniera prevedibile, banale e persino volgare, se vogliamo. Mi preparai un piatto di Arroz Tres Delicias al microonde, introdussi un DVD a caso nel lettore. Mentre il piatto si riscaldava, ebbi il tempo di scartare le prime tre ragazze.
Dopo due minuti squillò una suoneria, ritirai il piatto dal forno, vi aggiunsi del purè di peperoncini Suzi Weng; nello stesso tempo, sullo schermo gigante in fondo al salone iniziava il trailer di Esther.
Sorvolai sulle prime due scene, estratte da una sitcom qualsiasi e da una serie poliziesca probabilmente ancora più medio ere; la mia attenzione, tuttavia, era stata attratta da qualcosa, avevo il dito sul telecomando, e al momento del secondo passaggio premetti subito per tornare alla velocità normale.
Era nuda, in piedi, in una stanza assai poco definibile - probabilmente lo studio dell'artista. Nella prima immagine, veniva schizzata da un getto di colore giallo, lanciato da qualcuno fuori campo. La si ritrovava poi sdraiata in mezzo a una pozza abbagliante di colore giallo. L'artista, di cui si vedevano solo le braccia, versava su di lei un secchio di colore blu, poi glielo stendeva sul ventre e sui seni; lei guardava nella sua direzione con un divertimento fiducioso. Lui la guidava prendendola per mano, lei si voltava sul ventre, lui le versava di nuovo del colore nell'incavo delle reni, glielo stendeva sulla schiena e sulle natiche che si muovevano accompagnando il movimento delle mani. Nel suo volto, in ogni suo gesto c'erano un'innocenza, una grazia sensuale sconvolgenti.
Conoscevo i lavori di Yves Klein, mi ero documentato dopo il mio incontro con Vincent, sapevo che quell'azione non aveva nulla d'originale né d'interessante sul piano artistico; ma chi pensa ancora all'arte quando la felicità appare possibile? Ho guardato l'estratto dieci volte di seguito; mi tirava, è sicuro, ma credo di aver capito anche molte cose fin da quei primi minuti.
Ho capito che avrei amato Esther, che l'avrei amata con violenza, senza precauzione né speranza di essere ricambiato. Ho capito che quella storia sarebbe stata così forte che avrebbe potuto uccidermi, che mi avrebbe probabilmente ucciso non appena Esther avesse cessato di amarmi perché ci sono pur sempre dei limiti; anche se ognuno ha una certa capacità di resistenza si finisce tutti col morire d'amore, o piuttosto per l'assenza di amore, è in fin dei conti ineluttabilmente mortale.
Sì, molte cose erano già determinate fin da quei primi minuti, il processo era già ampiamente avviato. Potevo ancora interromperlo, potevo evitare d'incontrare Esther, distruggere quel DVD, ma in pratica chiamai il suo agente già l'indomani.
Naturalmente fu contentissimo - "sì, è possibile, credo che non stia facendo niente in questo momento, la congiuntura, lei lo sa meglio di me, non è semplice, non abbiamo mai lavorato insieme, mi dica se sbaglio, sarà un piacere, un piacere" -, Due mosche dopo aveva proprio avuto una certa risonanza, ovunque tranne che in Francia; l'agente parlava un buon inglese, segno che la Spagna si modernizzava con una rapidità sorprendente.
Il nostro primo incontro ebbe luogo a Madrid, in un bar di Calle Obispo de Leon, un bar abbastanza grande, tipico, con rivestimenti di legno scuro e tapas - le ero piuttosto riconoscente di non aver scelto un Planet Hollywood. Arrivai con dieci minuti di ritardo, e a partire dal momento in cui sollevò gli occhi verso di me non ci fu più libero arbitrio, ero già schiavo d'amore. Mi sedetti di fronte a lei un po' con la stessa sensazione provata alcuni anni prima quando avevo subito un'anestesia generale: l'impressione di una partenza leggera, accettata, l'intuizione che in fin dei conti la morte sarebbe stata una cosa semplicissima. Lei indossava dei jeans stretti a vita bassa, e un top rosa aderente che le lasciava scoperte le spalle. Nel momento in cui si alzò per andare a ordinare, scorsi il suo tanga, anch'esso rosa, che le usciva dai jeans, e mi cominciò a tirare. Quando tornò dal banco, feci una gran fatica a staccarle gli occhi dall'ombelico. Lei se ne accorse, sorrise e mi si sedette accanto. Con i capelli di un biondo chiaro e la pelle bianchissima, non somigliava davvero a una tipica spagnola, piuttosto a una russa. Aveva dei begli occhi scuri, attenti, e non mi ricordo più molto bene di ciò che ho detto all'inizio, ma credo di aver rivelato quasi subito che avrei rinunciato al mio progetto di film. Lei ne parve sorpresa, più che realmente delusa. Mi chiese perché.
In fondo non lo sapevo affatto, e mi sembra di essermi lanciato allora in una spiegazione abbastanza lunga, che risaliva a quando avevo la sua età - il suo agente mi aveva già detto che aveva ventidue anni. Ne risultava che avevo condotto una vita piuttosto triste, solitaria, segnata da una fatica accanita, inframezzata da lunghi periodi di depressione. Le parole mi venivano facilmente, mi esprimevo in inglese, ogni tanto lei mi faceva ripetere una frase. Insomma, avrei rinunciato non solo a quel film ma a quasi tutto, dissi per concludere; non trovavo in me la minima ambizione, la minima smania di vincere o qualcosa del genere, questa volta mi sembrava di essere veramente stanco.
Mi guardò con perplessità, come se la parola le sembrasse scelta male. Eppure era così, forse non una stanchezza fisica, nel mio caso era piuttosto una spossatezza nervosa, del resto che differenza fa? "Non ho più la fede..." dissi infine.
"Maybe it's better..." disse lei. Poi mi posò una mano sul sesso. Affondando il capo nell'incavo della mia spalla, mi strinse piano il cazzo fra le dita.
Nella camera d'albergo, mi parlò un po' di più della sua vita. Certo la si poteva definire attrice, aveva recitato in alcune sitcom, in alcune serie poliziesche - in cui, di solito, si faceva violentare e strangolare da psicopatici più o meno numerosi, e anche in qualche spot pubblicitario. Era anche stata la protagonista di un lungometraggio spagnolo, ma il film non era ancora uscito, e a ogni modo era un brutto film; il cinema spagnolo, secondo lei, era condannato a breve scadenza.
Poteva andare all'estero, dissi; in Francia, per esempio, si facevano ancora dei film. Sì, ma lei non sapeva se fosse una brava attrice né del resto se avesse voglia di fare l'attrice. In Spagna riusciva a lavorare ogni tanto, grazie al suo fisico atipico; era consapevole di questa fortuna, e del suo carattere relativo.
In fondo considerava il mestiere di attrice come un lavoretto, pagato meglio che se avesse servito pizze o distribuito volantini per una serata in discoteca, ma più difficile da trovare.
Peraltro prendeva lezioni di piano e studiava filosofia. E voleva vivere, soprattutto.
Un po'lo stesso genere di studi di una perfetta fanciulla del XIX secolo, mi dissi meccanicamente sbottonandole i jeans.
Ho sempre fatto fatica con i grossi bottoni metallici dei jeans e dovette aiutarmi. Invece mi sono subito sentito bene in lei, credo che avessi dimenticato quanto fosse bello. O forse non era mai stato così bello, forse non avevo mai provato tanto piacere.
A quarantasette anni. La vita è strana.
Esther viveva con la sorella, che aveva quarantadue anni e le aveva fatto piuttosto da madre. La vera madre era mezza matta. Non conosceva il padre, nemmeno di nome, non aveva mai visto una sua foto, niente.
La sua pelle era morbidissima.
DANIEL25,1
Nel momento in cui la barriera di protezione si richiudeva, il sole filtrò fra due nubi e l'insieme della casa fu immerso in una luce accecante. La vernice dei muri esterni conteneva una piccola quantità di radio, dalla radioattività impoverita, che proteggeva efficacemente dalle tempeste magnetiche, ma aumentava l'indice di riflessione degli edifici; nei primi giorni era consigliato l'uso di occhiali di protezione.
Fox venne verso di me agitando debolmente la coda. I compagni canini sopravvivono di rado alla scomparsa dei neoumani con cui hanno trascorso la vita. Riconoscono naturalmente l'identità genetica del successore, il cui odore corporeo è identico, ma nella maggior parte dei casi non è sufficiente, smettono di giocare e di alimentarsi, e decedono rapidamente, nell'arco di qualche settimana. Sapevo così che l'inizio della mia esistenza effettiva sarebbe stato segnato dal lutto; sapevo anche che tale esistenza si sarebbe svolta in una regione caratterizzata da un'alta densità di selvaggi, in cui le consegne di protezione si sarebbero dovute applicare con rigore; ero inoltre preparato ai principali elementi di una vita classica.
Ciò che invece ignoravo e che scoprii entrando nello studio del mio predecessore, è che Daniel24 aveva preso alcune note manoscritte senza riportarle all'indirizzo IP del suo commento, il che era piuttosto insolito. La maggior parte testimoniava una curiosa amarezza disincantata - come questa, scarabocchiata su un foglio staccato di un quaderno a spirale:
Gli insetti si urtano fra i muri,
limitati al loro volo fastidioso
che non porta altra notizia
che la ripetizione del peggio.
Altre sembravano permeate di una stanchezza, di una sensazione di vacuità stranamente umane:
Da mesi, già, nemmeno la più piccola annotazione
e nessuna cosa al mondo che meriti di essere riportata.
In entrambi i casi, aveva proceduto nella modalità non codificante. Pur senza essere direttamente preparato a questa eventualità, non ne ero assolutamente sorpreso; sapevo che la stirpe dei Daniel era predisposta, fin dal suo fondatore, a una certa forma di dubbio e dì autosvalutazione. Ricevetti comunque uno shock scoprendo questa ultima nota, che aveva lasciato sul comodino e che, dallo stato della carta, doveva essere molto recente:
Leggendo la Bibbia vicino alla piscina
in un albergo piuttosto modesto
Daniel! Le tue profezie mi logorano,
il cielo ha il colore di un dramma.
La leggerezza umoristica, l'autoironia, come del resto l'allusione diretta a elementi di vita umani, erano qui così marcate che una nota simile avrebbe potuto essere attribuita senza difficoltà a Daniel1, il nostro lontano antenato, piuttosto che a uno dei suoi successori neoumani. La conclusione s'imponeva: a forza di immergersi nella biografia, nel contempo ridicola e tragica, di Daniel1, il mio predecessore si era lasciato permeare a poco a poco da certi aspetti della sua personalità; il che era, in un certo senso, esattamente lo scopo perseguito dai Fondatori; ma, contrariamente agli insegnamenti della Sorella Suprema, non aveva saputo conservare un sufficiente distacco critico. Il pericolo esisteva, era stato repertoriato, mi sentivo preparato a farvi fronte; sapevo soprattutto che non c'era altra via d'uscita. Se volevamo preparare l'avvento dei Futuri, dovevamo innanzitutto seguire l'umanità nelle sue debolezze, nei suoi dubbi, nelle sue nevrosi; dovevamo farli interamente nostri, per superarli. La duplicazione rigorosa del codice genetico, la meditazione sul racconto di vita del predecessore, la redazione del commento: questi erano i tre pilastri della nostra fede, immutati dall'epoca dei Fondatori. Congiunsi le mani per una breve orazione alla Sorella Suprema prima di prepararmi un pasto leggero, e mi sentii di nuovo lucido, equilibrato, attivo. Prima di addormentarmi, diedi una scorsa al commento di Marie22; sapevo che presto sarei tornato in contatto con Marie23. Fox si sdraiò al mio fianco e sospirò piano.
Sarebbe morto accanto a me, e lo sapeva; era già un vecchio cane, ormai; si addormentò quasi subito.
DANIEL1, 13
Era un altro mondo, separato dal mondo comune da alcuni centimetri di tessuto - indispensabile protezione sociale, poiché il 90% degli uomini che avessero incontrato Esther sarebbero stati presi dall'immediato desiderio di penetrarla.
Dopo averle tolto i jeans, giocai un po' con il suo tanga rosa, constatando che il sesso le diventava rapidamente umido; erano le cinque del pomeriggio. Sì, era un altro mondo, e vi rimasi fino all'indomani mattina alle undici, ora oltre la quale non veniva più servita la colazione, e io cominciavo ad avere seriamente bisogno di alimentar mi. Avevo probabilmente dormito, per brevi periodi. Per il resto, quelle poche ore giustificavano la mia vita. Non esageravo e avevo la consapevolezza di non esagerare: eravamo adesso nell'assoluta semplicità delle cose. La sessualità, o più esattamente il desiderio, era naturalmente un tema che avevo affrontato a più riprese nei miei sketch; mi rendevo conto come chiunque altro -- e probabilmente assai più di tanti altri - che molte cose in questo mondo girano attorno alla sessualità, o più esattamente al desiderio. In queste condizioni, da comico senescente, talvolta mi ero potuto lasciar sopraffare da una sorta di scetticismo estenuato: la sessualità era forse, come tante cose e quasi tutto in questo mondo, sopravvalutata; non si trattava forse che di una banale astuzia, destinata ad aumentare la competizione fra gli uomini e la rapidità di funzionamento dell'insieme.
Nella sessualità non c'era forse niente di più che in un pranzo da Taillevent o in una Bentley Continental GT; nulla che giustificasse una tale agitazione.
Quella notte doveva dimostrarmi che avevo torto, e ricondurmi a una visione più elementare delle cose. Il giorno dopo il rientro a San José, scesi fino alla Playa de Mónsul.
Osservando il mare e il sole che calava sulla distesa d'acqua, scrissi una poesia. Il fatto era già di per sé curioso: non solo non avevo mai scritto una poesia prima, ma non ne avevo nemmeno praticamente mai lette, a eccezione di quelle di Baudelaire. La poesia del resto, per quanto ne sapevo, era morta. Comperavo con una certa regolarità una rivista letteraria trimestrale, di tendenza piuttosto esoterica - senza appartenere veramente alla letteratura, mi sentivo talvolta vicino a essa; malgrado tutto, scrivevo i miei sketch, e anche se non miravo ad altro che a una parodia approssimativa di "stile orale", ero consapevole della difficoltà che c'era ad allineare delle parole, a organizzarle in frasi senza che l'insieme finisse nell'incoerenza o si impelagasse nella noia. In questa rivista, due anni prima, avevo letto un lungo articolo dedicato alla scomparsa della poesia - scomparsa che l'autore riteneva ineluttabile.
Secondo lui, la poesia, come linguaggio non contestuale, anteriore alla distinzione oggetti- proprietà, aveva definitivamente abbandonato il mondo degli uomini. Essa si collocava in un al di qua primitivo cui non avremmo mai più avuto accesso, poiché era anteriore alla vera costituzione dell'oggetto e della lingua. Inadatta a trasportare informazioni più precise di semplici vibrazioni corporee ed emozionali, intrinsecamente legata all'età magica dello spirito umano, essa era stata resa irrimediabilmente desueta dalla comparsa di procedure affidabili di attestazione oggettiva. Tutto ciò mi aveva convinto all'epoca, ma quel mattino non mi ero lavato, ero ancora pieno dell'odore di Esther e dei suoi sapori - fra noi non si era mai parlato di preservativi, l'argomento non era stato semplicemente affrontato, e credo che lei non ci avesse nemmeno pensato; non ci avevo pensato nemmeno io, ed era più sorprendente poiché le mie prime scopate si erano svolte al tempo dell'AIDS, e di un AIDS che all'epoca era ineluttabilmente mortale, era comunque qualcosa che avrebbe dovuto segnarmi. In fondo l'AIDS apparteneva senza dubbio al campo del contestuale, era quanto si poteva pensare, a ogni modo scrissi la mia prima poesia quel mattino mentre odoravo ancora di Esther. Eccola, la poesia:
In fondo ho sempre saputo
che avrei trovato l'amore
e che sarebbe successo
un po' prima di morire.
Ho sempre avuto fiducia,
non ho rinunciato
assai prima della tua presenza,
tu mi eri annunciata.
Ecco, sarai tu,
la mia presenza effettiva,
sarò nella gioia
della tua pelle non fittizia
così morbida alla carezza,
così leggera e così fine
entità non divina,
animale di tenerezza.
Alla fine di quella notte, il sole era tornato su Madrid.
Chiamai un taxi e attesi qualche minuto nella hall dell'albergo, in compagnia di Esther, mentre lei rispondeva agli svariati messaggi che si erano accumulati nel suo cellulare. Aveva già telefonato a più riprese nel corso della notte, sembrava avere una vita sociale molto ricca; la maggior parte delle sue conversazioni si concludeva con la formula: "un besito", o talvolta: "un beso". Non parlavo veramente spagnolo, la sfumatura, se ce n'era una, mi sfuggiva, ma nel momento in cui il taxi si fermava davanti all'albergo presi coscienza che baciava abbastanza poco. Era piuttosto strano perché, altrimenti, apprezzava la penetrazione sotto tutte le sue forme, presentava il culo con molta grazia (aveva piccole natiche dall'attaccatura alta, piuttosto un culo da ragazzo), spompinava senza esitazione e persino con entusiasmo; ma ogni volta che le mie labbra si erano avvicinate alle sue, lei si era voltata dall'altra parte, un po' a disagio.
Posai la mia borsa da viaggio nel bagagliaio; lei mi porse una guancia, ci furono due baci rapidi, poi salii in auto.
Scendendo il viale, alcuni metri più avanti, mi voltai per salutarla con la mano, ma lei era già al telefono e non notò il mio cenno.
Fin dal mio arrivo all'aeroporto di Almería capii che cosa sarebbe stata la mia vita durante le settimane seguenti. Già da anni, ormai, lasciavo il mio cellulare quasi sistematicamente spento; era una questione di status, ero una star europea; se volevano rintracciarmi telefonicamente, dovevano lasciare un messaggio e aspettare che richiamassi. In alcune circostanze era stata dura, ma mi ero attenuto a questa regola, e nel corso degli anni l'avevo avuta vinta: i produttori lasciavano dei messaggi; gli attori famosi, i direttori di giornali lasciavano dei messaggi; ero al vertice della piramide e contavo proprio di restarci, almeno per qualche anno, fino a ufficializzare la mia uscita di scena. Questa volta il mio primo gesto, fin dalla discesa dall'aereo, fu di accendere il telefonino; fui sorpreso, e addirittura spaventato, dalla violenza della delusione che mi colse quando mi accorsi di non avere ricevuto alcun messaggio da lei.
La sola possibilità di sopravvivenza, quando si è sinceramente innamorati, consiste nel dissimularlo alla donna che si ama, nel fingere in ogni circostanza un leggero distacco. Che tristezza, in questa semplice constatazione! Che accusa contro l'uomo!... Non mi era tuttavia mai venuto in mente di contestare tale legge né di sottrarmi a essa: l'amore rende deboli, e il più debole dei due è oppresso, torturato e infine ucciso dall'altro, che dal canto suo opprime, tortura e uccide senza cattive intenzioni, senza nemmeno provarne piacere, con una perfetta indifferenza; ecco ciò che gli uomini di solito chiamano amore. I primi due giorni passai attraverso lunghi momenti di esitazione a proposito di quel telefono. Misuravo le stanze a grandi passi, accendendo una sigaretta dopo l'altra; ogni tanto camminavo fino al mare, tornavo indietro e mi rendevo conto che non avevo visto il mare, che sarei stato incapace di confermarne la presenza in quel minuto - durante quelle passeggiate mi obbligavo a separarmi dal cellulare, a lasciarlo sul comodino, e più generalmente mi obbligavo a rispettare un intervallo di due ore prima di riaccenderlo e di constatare ancora una volta che lei non mi aveva lasciato messaggi. Il mattino del terzo giorno ebbi l'idea di lasciare acceso il telefono di continuo, e di cercare di dimenticare l'attesa della suoneria; nel cuore della notte, mandando giù la mia quinta compressa di Mépronizine, mi resi conto che non serviva a nulla, e cominciai a rassegnarmi al fatto che Esther era la più forte, e che non avevo più alcun potere sulla mia vita.
La sera del quinto giorno la chiamai. Non parve affatto sorpresa di sentirmi, le era sembrato che il tempo fosse passato molto in fretta. Accettò facilmente di venirmi a trovare a San José; conosceva la provincia di Almerìa per avervi trascorso spesso le vacanze quando era bambina; da alcuni anni andava invece a Ibiza o a Fermenterà. Poteva fermarsi per un week end, non il successivo, ma quello di lì a due settimane; respirai profondamente per non mostrare la mia delusione. "Un bestia..." disse lei prima di chiudere. Ecco, ero stato preso ancor di più nell'ingranaggio.
DANIEL25,2
Due settimane dopo il mio arrivo, Fox morì, poco dopo il tramonto del sole. Ero disteso sul letto quando si avvicinò, cercando faticosamente di salire. Agitava la coda con nervosismo.
Dall'inizio non aveva toccato una sola volta la sua scodella; era molto dimagrito. Lo aiutai a montarmi sopra; per qualche secondo mi guardò, con un curioso misto dì sfinimento e di scusa; poi, acquietatosi, mi posò il capo contro il petto. La sua respirazione rallentò, chiuse gli occhi. Due minuti dopo, rendeva l'ultimo respiro. Lo seppellii all'estremità occidentale del terreno cinto dalla barriera di protezione, accanto ai suoi predecessori.
Nella notte, un corriere venuto dalla Città Centrale mi consegnò un cane identico; conoscevano i codici e il funzionamento della barriera, non mi scomodai per accoglierli. Un bastardino bianco e rossiccio venne verso di me dimenando la coda; gli feci segno. Saltò sul letto e si distese al mio fianco.
L'amore è semplice da definire, ma si trova di rado tra gli esseri. Attraverso i cani rendiamo omaggio all'amore e alla sua possibilità. Che cos'è un cane, se non una macchina per amare? Gli si presenta un essere umano, affidandogli la missione di amarlo, e per quanto costui sia sgraziato, perverso, deforme o stupido, il cane lo ama. Tale caratteristica era così sorprendente, così singolare per gli esseri umani dell'antica razza che i più (tutte le testimonianze concordano) arrivavano a contraccambiare l'amore del loro cane. Il cane era dunque una macchina per amare con effetto di allenamento - la cui efficacia, però, restava limitata ai cani e non si estendeva mai agli altri uomini.
Nessun soggetto è trattato più dell'amore, nei racconti di vita umani come nel corpus letterario che ci hanno lasciato.
Vengono affrontati l'amore omosessuale come quello eterosessuale, senza che si sia potuta rilevare finora una differenza significativa; nessun soggetto è stato pure così discusso, così dibattuto, soprattutto durante il periodo finale della storia umana, in cui le oscillazioni ciclotimiche riguardanti la credenza nell'amore divennero costanti e vertiginose. Nessun soggetto sembra insomma aver ossessionato tanto gli uomini; persino il denaro nei racconti di vita umani, persino le soddisfazioni della lotta e della gloria, in confronto, perdono di potenza drammatica. Per gli esseri umani del periodo estremo l'amore sembra essere stato l'acme e l'impossibile, il rimpianto e la grazia, il punto focale in cui potevano concentrarsi ogni sofferenza e ogni gioia.
Il racconto di vita di Daniel1, aspro, doloroso, spesso sentimentale senza ritegno quanto decisamente cinico, contraddittorio sotto ogni punto di vista, è a questo proposito caratteristico.
DANIEL1, 14
Fui sul punto di noleggiare un'altra auto per andare a prendere Esther all'aeroporto di Almerìa; avevo paura che rimanesse sfavorevolmente impressionata dal coupé Mercedes 600 SL, ma anche dalla piscina, dalle jacuzzi, più generalmente dallo sfoggio di lusso che caratterizzava il mio modo di vivere. Mi sbagliavo: Esther era una realista; sapeva che avevo avuto successo, e si aspettava dunque, logicamente, che avessi un alto tenore di vita; conosceva gente di ogni genere, alcuni molto ricchi e altri molto poveri, e non vi trovava niente da ridire; accettava quella ineguaglianza, come tutte le altre, con una perfetta semplicità. La mia generazione era stata anche segnata da diversi dibattiti attorno alla questione del governo economico auspicabile, dibattiti che si concludevano sempre con un accordo sulla superiorità dell'economia di mercato - con la solida argomentazione che le popolazioni cui si era tentato di imporre un altro modo di organizzazione lo avevano respinto con sollecitudine e persino con una certa foga non appena era risultato possibile.
Nella generazione di Esther, tali dibattiti erano spariti; per lei il capitalismo era un ambiente naturale, in cui si muoveva con la disinvoltura e la naturalezza che la caratterizzavano in tutti gli atti della sua vita; una manifestazione contro un piano di licenziamenti le sarebbe parsa assurda quanto una manifestazione contro l'abbassamento della temperatura o l'invasione delle cavallette migratorie nel Nordafrica. Ogni idea di rivendicazione collettiva le era più generalmente estranea, le pareva evidente da sempre che sul piano finanziario come per tutte le questioni essenziali della vita ciascuno dovesse difendersi da solo e barcamenarsi senza l'aiuto di nessuno. Per temprarsi, probabilmente, si costringeva a una grande indipendenza finanziaria e, benché la sorella fosse piuttosto ricca, dall'età di quindici anni ci teneva a guadagnarsi personalmente qualche soldo, a comperarsi personalmente i dischi e i vestiti, anche a costo di impegnarsi in lavori seccanti come la distribuzione di volantini pubblicitari o la consegna a domicilio di pizze. Non arrivò comunque a propormi di pagare la sua parte al ristorante né qualunque cosa del genere; ma percepii fin dall'inizio che un regalo troppo sontuoso l'avrebbe irritata, come una leggera minaccia alla sua indipendenza.
Arrivò vestita con una minigonna plissettata turchese e una T- shirt "Betty Boop". Al parcheggio dell'aeroporto cercai di prenderla fra le braccia; lei si liberò rapidamente, imbarazzata.
Nel momento in cui metteva la valigia nel bagagliaio, un colpo di vento le sollevò la gonna, ebbi l'impressione che non portasse mutandine. Una volta alla guida, glielo chiesi. Lei scosse il capo sorridendo, sollevò la gonna fino alla vita e allargò leggermente le cosce: i peli della fica le formavano un piccolo rettangolo biondo, ben tagliato.
Nel momento in cui avviavo il motore, si abbassò di nuovo la gonna: sapevo adesso che non portava mutandine, l'effetto era ottenuto, bastava. Arrivati a casa, mentre estraevo la sua valigia dal bagagliaio, lei mi precedette sui pochi gradini che conducevano all'entrata; scorgendo appena il suo culetto, ebbi uno stordimento e fui sul punto di eiaculare nei pantaloni. La raggiunsi e l'abbracciai incollandomi a lei. "Open the door..." disse strofinando distrattamente le natiche contro il mio cazzo.
Obbedii, ma, appena nell'ingresso, mi incollai di nuovo a lei che si inginocchiò su un piccolo tappeto, posando le mani sul pavimento. Mi aprii la patta e la penetrai, ma purtroppo il tragitto in auto mi aveva talmente eccitato che venni quasi subito; lei ne parve un po' delusa, ma non troppo. Volle cambiarsi e fare il bagno.
La celebre formula di Stendhal, tanto apprezzata da Nietzsche, secondo la quale la bellezza è una promessa di felicità, è di solito completamente falsa, ma si applicherebbe perfettamente all'erotismo. Esther era incantevole, ma Isabelle da giovane era stata probabilmente ancor più bella; Esther, invece, era più erotica, era incredibilmente, deliziosamente erotica, ne presi coscienza ancora una volta quando tornò dal bagno: dopo aver infilato un pullover largo, se lo abbassò leggermente sulle spalle per scoprire le bretelle del reggiseno, poi si sistemò il tanga per farlo sporgere dai jeans; compiva tutti quei piccoli gesti automaticamente, senza nemmeno pensarci, con una naturalezza e un candore irresistibili.
L'indomani, al risveglio, fui percorso da un fremito di gioia all'idea che saremmo andati in spiaggia insieme. Sulla Playa de Mónsul, come su tutte le spiagge selvagge, di difficile accesso, e in genere quasi deserte del parco naturale del Cabo de Gata, il naturismo è tacitamente ammesso. Naturalmente la nudità non è erotica, insomma è ciò che dicono, per conto mio l'ho sempre trovata piuttosto erotica - quando il corpo è bello, ovviamente -, diciamo che non è quanto ci sia di più erotico; avevo avuto discussioni penose al riguardo con dei giornalisti, al tempo in cui introducevo dei naturisti neonazisti nei miei sketch. Sapevo bene, a ogni modo, che lei avrebbe escogitato qualcosa; non dovetti attendere che pochi minuti, poi la vidi apparire con un paio di minishort bianchi, di cui aveva lasciato aperti i primi due bottoni, scoprendo l'inizio dei peli pubici; sui seni si era annodata uno scialle dorato, premurandosi di sollevarlo un po' perché se ne potesse intravedere la base. Il mare era calmissimo. Posate le sue cose sulla sabbia, Esther si spogliò completamente e allargò le cosce, offrendo il sesso al sole. Le versai dell'olio sul ventre e cominciai ad accarezzarla.
Sono sempre stato abbastanza dotato in questo, insomma so come fare con l'interno delle cosce, con il perineo, è una delle mie piccole specialità. Ero in piena azione, e mi accorgevo con soddisfazione che Esther cominciava a provare il desiderio di essere penetrata, quando udii un "Buongiorno!" pronunciato da una voce forte e allegra, alcuni metri dietro di me. Mi voltai: Fadiah avanzava nella nostra direzione. Anche lei era nuda e portava a tracolla una borsa da spiaggia di tela bianca, ornata con la stella multicolore dalle punte ricurve che era il segno di riconoscimento degli elohimiti; aveva proprio un corpo superbo. Mi alzai, feci le presentazioni, e si avviò un'animata conversazione in inglese. Il culetto bianco di Esther era molto attraente, ma le natiche tonde e arcuate di Fadiah erano ugualmente allettanti, a ogni modo mi tirava sempre di più, ma per il momento le due facevano finta di non accorgersene; nei film porno c'è sempre almeno una scena fra due donne, ero persuaso che Esther non avesse nulla in contrario, e qualcosa mi diceva che anche Fadiah sarebbe stata disposta. Abbassandosi per riallacciarsi i sandali, Esther mi sfiorò il cazzo come inavvertitamente, ma ero sicuro che lo avesse fatto apposta, feci un passo nella sua direzione, il mio sesso eretto era adesso all'altezza del suo viso. L'arrivo di Patrick mi calmò un po'; anche lui era nudo, era ben piantato ma corpulento, mi accorsi che cominciava a metter su pancia, le colazioni d'affari probabilmente, insomma era un bel mammifero di taglia media; in linea di massima non avevo niente contro una cosa a quattro, ma sul momento le mie velleità sessuali si raffreddarono alquanto.
Continuammo a conversare, nudi, tutt'e quattro, ad alcuni metri dalla riva del mare. Né lui né lei sembravano sorpresi dalla presenza di Esther e dalla sparizione di Isabelle. Gli elohimiti formano di rado coppie stabili, possono vivere insieme due o tre anni, talvolta di più, ma il profeta incoraggia vivamente ciascuno a serbare la propria autonomia e la propria indipendenza, in particolare finanziaria; nessuno deve acconsentire a una privazione durevole e forzata della propria libertà individuale, sia con un matrimonio sia con un semplice PACS, l'amore deve restare libero e poter essere rimesso in gioco di continuo, questi sono i principi decretati dal profeta. Anche se approfittava degli alti redditi di Patrick, e del modo di vivere che essi consentivano, Fadiah probabilmente non aveva in comune con lui alcun bene, e possedevano senza dubbio conti separati. Chiesi a Patrick come stessero i suoi genitori, mi comunicò allora una triste notizia: sua madre era morta. Era stata una fine del tutto inattesa, molto brutale: un'infezione nosocomiale contratta in un ospedale di Liegi in cui si era fatta ricoverare per una banale operazione all'anca; era morta dopo pochi giorni. Lui era in trasferta in Corea e non aveva potuto vederla sul suo letto di morte; al suo ritorno era già congelata - aveva donato il proprio corpo alla scienza. Robert, suo padre, sopportava malissimo il colpo, in realtà aveva deciso di lasciare la Spagna per sistemarsi in una casa di riposo in Belgio; gli lasciava la proprietà.
La sera cenammo insieme in un ristorante di San José rinomato per il pesce. Robert il Belga dondolava la testa, partecipando poco alla conversazione; era in realtà quasi completamente abbrutito dai calmanti. Patrick mi ricordò che il seminario invernale avrebbe avuto luogo di lì a qualche mese a Lanzarote e che speravano vivamente nella mia presenza, il profeta gliene aveva parlato ancora una settimana prima, gli avevo fatto un'ottima impressione, e questa volta sarebbe stato un seminario davvero grandioso, con adepti provenienti dal mondo intero. Esther, naturalmente, era la benvenuta. Lei non aveva mai sentito parlare della setta, perciò ascoltò con curiosità l'esposizione della dottrina. Patrick, probabilmente eccitato dal vino (un Tesoro de Bullas, della Murcia, un vino che dava parecchio alla testa) insistette particolarmente sugli aspetti sessuali. L'amore che il profeta insegnava, e che raccomandava di praticare, era l'amore vero, non possessivo: se si amava veramente una donna, non si doveva essere contenti che se la spassasse con altri uomini? E anche lei non doveva essere contenta, senza un secondo fine, di vedervi provare piacere con altre donne? Conoscevo già quel genere di chiacchiere, avevo avuto discussioni penose al riguardo con dei giornalisti, al tempo in cui introducevo delle promiscue anoressiche nei miei sketch. Robert il Belga scuoteva il capo con un'approvazione un po' disperata, lui che probabilmente non aveva mai conosciuto altra donna che la propria moglie, ormai deceduta, e che senza dubbio sarebbe morto abbastanza presto nella sua casa di riposo del Brabant, marcendo anonimamente nella propria urina, ancora fortunato se poteva evitare di essere maltrattato dalle infermiere. Anche Fadiah sembrava completamente d'accordo, immergeva i suoi gamberetti nella maionese e si leccava le labbra con golosità. Ignoravo completamente che cosa potesse pensarne Esther, immagino che dovesse trovare le discussioni teoriche a quel proposito abbastanza fuori moda, e a dire il vero ero un po' nello stesso stato d'animo benché per ragioni differenti, piuttosto legate a una repulsione generale per le discussioni teoriche; mi riusciva sempre più difficile parteciparvi o anche fingere un qualsiasi interesse. In fondo, avrei certo avuto delle obiezioni da sollevare, per esempio che l'amore non possessivo sembrava concepibile soltanto se si viveva in un'atmosfera satura di delizie, da cui era assente ogni timore, in particolare quello dell'abbandono e della morte; che esso implicava al minimo, e fra l'altro, l'eternità, insomma che le sue condizioni non erano realizzate; alcuni anni prima, avrei certamente ribattuto, ma non me la sentivo più, e a ogni modo non era troppo grave; Patrick era un po' sbronzo, si parlava addosso con soddisfazione, il pesce era fresco e stavamo trascorrendo quella che si suole definire una piacevole serata. Promisi di recarmi a Lanzarote, Patrick mi assicurò con un ampio gesto che avrei goduto di un trattamento vip del tutto eccezionale; Esther non sapeva, forse in quel periodo avrebbe avuto degli esami. Al momento dei saluti, strinsi a lungo la mano a Robert, che borbottò qualcosa che non capii affatto; tremava un po', malgrado la temperatura mite. Mi faceva pena quel vecchio materialista, con il volto scavato dal dispiacere e i capelli incanutiti di colpo. Gli restavano solo alcuni mesi, forse alcune settimane. Chi lo avrebbe rimpianto?
Non molti; probabilmente Harry, che si sarebbe ritrovato privo di conversazioni piacevoli, che seguivano una scaletta immutabile, contraddittorie senza eccessi. Mi resi conto allora che Harry avrebbe sopportato probabilmente assai meglio di Robert la scomparsa della moglie; poteva immaginarsi Hildegarde intenta a suonare Tarpa in mezzo agli angeli del Signore, o, sotto una forma più spirituale, rannicchiata in un recesso topologico del punto omega, qualcosa del genere; per Robert il Belga, la situazione era senza via di uscita.
"What are you thinking?" chiese Esther nel momento in cui varcavamo la soglia. "Sad things..." risposi pensoso. Lei scosse il capo e mi guardò con serietà, rendendosi conto che ero davvero triste. "Don't wotry..." disse; poi si inginocchiò per farmi un pompino. Possedeva una tecnica molto perfezionata, certamente ispirata dai film porno - lo si capiva subito poiché aveva quel gesto, che s'impara così in fretta nei film, di gettare i capelli indietro per permettere al partner, in mancanza di cinepresa, di ammirarla in piena azione. La fellatio è da sempre il pezzo forte dei film porno, l'unica pratica che possa servire da modello utile alle ragazze; l'unica, inoltre, in cui si ritrovi talvolta qualcosa dell'emozione reale dell'atto, perché è la sola in cui il primo piano sia anche un primo piano del volto della donna, in cui si possa leggere l'espressione di fierezza gioiosa, l'estasi infantile che prova talvolta nel dare piacere. Esther mi raccontò in seguito che in realtà si era rifiutata di praticare il sesso orale durante il suo primo rapporto e che aveva deciso di lanciarsi solo dopo aver visto parecchi film. Adesso ci sapeva proprio fare, godeva della propria abilità, e in seguito non esitai mai a chiederle un pompino, anche quando mi sembrava troppo stanca o troppo indisposta per scopare. Immediatamente prima dell'eiaculazione, si faceva un po' indietro per ricevere lo schizzo di sperma sulla faccia o in bocca, ma tornava poi alla carica per leccare minuziosamente, fino all'ultima goccia. Come molte ragazze bellissime, era facilmente indisposta, delicata sul piano nutrizionale, e in un primo tempo aveva ingoiato con reticenza; ma l'esperienza le aveva dimostrato nel modo più chiaro che avrebbe dovuto rassegnarvisi, che la degustazione del loro sperma non era per gli uomini un atto indifferente o opzionale, ma costituiva una testimonianza personale del tutto insostituibile. Vi si prestava ormai con gioia, e provai una felicità immensa a venire nella sua piccola bocca.
DANIEL25,3
Dopo alcune settimane di riflessione, presi contatto con Marie23, lasciandole semplicemente il mio indirizzo IP. Mi rispose con il messaggio seguente:
Ho visto nitidamente Dio nella sua inesistenza, nel suo nulla prezioso, e ho colto la mia occasione.
12924, 4311, 4358,212526. L'indirizzo indicato era quello di una superficie grigia, vellutata, serica, percorsa nel suo spessore da leggeri movimenti, come una tenda di velluto agitata dal vento al ritmo di lontani accordi di ottoni. La composizione era al tempo stesso distensiva e leggermente euforizzante, e mi persi un po' nella sua contemplazione. Prima che avessi avuto il tempo di rispondere, mi inviò un secondo messaggio:
Dopo l'evento dell'uscita dal Vuoto, nuoteremo infine nella Vergine liquida.
51922624, 4854267. In mezzo a un paesaggio distrutto composto di scheletri alti e grigi di edifici, dalle finestre simili a orbite vuote, un bulldozer gigantesco trasportava del fango. Zoomai leggermente sull'enorme veicolo giallo, dalle forme arrotondate, dall'aria di giocattolo radiocomandato sembrava non esserci alcun pilota nella cabina. In mezzo al fango nerastro, ossa umane venivano sparpagliate dalla lama del bulldozer via via che avanzava; zoomando ancora un po', distinsi più nettamente tibie e crani.
"È ciò che vedo dalla mia finestra..." mi scrisse Marie23, passando senza preavviso alla modalità non codificante. Ne fui un po' sorpreso; lei apparteneva dunque alle rare neoumane che abitavano nelle antiche conurbazioni. Era un argomento, ne presi coscienza contemporaneamente, che Marie22 non aveva mai affrontato con il mio predecessore; il suo commento perlomeno non ne recava alcuna traccia. "Sì, vivo fra le rovine di New York..." rispose Marie23. "Proprio in mezzo all'isola che gli uomini chiamavano Manhattan..." soggiunse un po' più tardi.
Ciò non aveva ovviamente molta importanza, poiché era escluso che i neoumani si avventurassero fuori delle loro abitazioni; ma personalmente ero contento di vivere in mezzo a un paesaggio naturale, le dissi. New York non era così sgradevole, mi rispose; c'era molto vento dal periodo del Grande Prosciugamento, il cielo mutava di continuo; lei viveva a un piano alto e trascorreva molto tempo osservando il movimento delle nuvole. Alcune fabbriche di prodotti chimici, probabilmente situate nel New Jersey, vista la distanza, continuavano a funzionare e, al momento del tramonto, l'inquinamento conferiva al cielo strane sfumature rosa e verdi; e l'oceano era ancora presente, molto lontano verso est, a meno che non si trattasse di un'illusione ottica, ma quando era sereno si scorgeva talvolta un leggero luccichio.
Le chiesi se avesse avuto il tempo di terminare il racconto di vita di Mariel. "Oh, sì..." mi rispose immediatamente. "È molto corto: meno di tre pagine. Sembrava disporre di straordinarie attitudini per la sintesi." Anche questo era abbastanza originale, ma possibile. Invece Rebeccai era celebre per il suo racconto di vita di più di tremila pagine che abbracciavano però soltanto un periodo di due ore. Anche al riguardo non c'era alcuna consegna.
DANIEL1, 15
La vita sessuale dell'uomo si divide in due fasi, la prima in cui eiacula troppo presto, la seconda in cui non riesce più a farselo diventare duro. Nelle prime settimane della mia relazione con Esther mi accorsi di essere ritornato alla prima fase, mentre credevo da un pezzo di essere entrato nella seconda. A tratti, camminando al suo fianco in un parco, o lungo la spiaggia, ero pervaso da un'ebbrezza straordinaria, avevo l'impressione di essere un ragazzo della sua età, e camminavo più in fretta, respiravo profondamente, mi tenevo dritto, parlavo forte. In altri momenti, invece, incrociando i nostri riflessi in uno specchio, ero pervaso dal senso di nausea e, con il fiato mozzo, mi raggomitolavo fra le coperte; di colpo mi sentivo così vecchio, così fiacco. Nell'insieme, però, il mio corpo non era mal conservato, non avevo un filo di grasso, avevo persino qualche muscolo; ma le natiche mi pendevano, e soprattutto i coglioni pendevano sempre di più ed era irrimediabile, non avevo mai sentito parlare di alcun trattamento; però lei leccava quei coglioni e li accarezzava senza dare a vedere il minimo disagio.
Il suo corpo, invece, era così fresco e liscio.
Verso la metà di gennaio, dovetti recarmi a Parigi per alcuni giorni; un'ondata di freddo eccezionale si era abbattuta sulla Francia, tutte le mattine si ritrovavano dei barboni assiderati sui marciapiedi. Capivo perfettamente che rifiutassero di recarsi nei centri di accoglienza aperti per loro, che non avessero alcuna voglia di mescolarsi con i loro simili; era un mondo selvaggio, popolato di individui crudeli e stupidi, e la cui stupidità, con una mescolanza particolare e ripugnante, inaspriva ulteriormente la crudeltà; era un mondo in cui non esistevano né solidarietà né pietà - le risse, gli stupri, gli atti di tortura erano all'ordine del giorno, era in realtà un mondo duro quasi quanto quello delle prigioni, solo che la sorveglianza era inesistente e il pericolo costante. Andai a trovare Vincent, il cui villino era surriscaldato. Mi accolse in pantofole e vestaglia, sbatteva le palpebre e ci mise alcuni minuti prima di riuscire a esprimersi normalmente; era ancora dimagrito.
Avevo l'impressione di essere il suo primo visitatore da mesi. Aveva lavorato sodo nel suo scantinato, mi disse, mi interessava vedere? Non ne ebbi il coraggio, andai via dopo un caffè; continuava a rinchiudersi nel suo piccolo mondo meraviglioso, onirico, e mi rendevo conto che nessuno vi avrebbe mai più avuto accesso.
Siccome ero sceso in un albergo nei pressi di place de Clichy, ne approfittai per recarmi in qualche sex shop per acquistare della biancheria erotica per Esther - mi aveva detto che le piaceva molto il lattice e che apprezzava anche essere imbavagliata, ammanettata, coperta di catene. Dato che il venditore mi sembrava insolitamente competente, gli parlai del mio problema di eiaculazione precoce; mi consigliò una crema tedesca, messa in commercio di recente, dalla composizione complessa: c'erano del solfato di benzocaina, dell'idroclorito di potassio, della canfora. Applicandola sul glande prima del rapporto sessuale, e massaggiando con cura per farla penetrare, la sensibilità diminuiva e la crescita del piacere e l'eiaculazione erano molto più lente. La provai appena tornato in Spagna, e fu subito un successo totale, ero in grado di penetrarla per ore, senz'altro limite che lo sfinimento respiratorio per la prima volta in vita mia, ebbi voglia di smettere di fumare.
Di solito mi svegliavo prima di lei; il mio primo gesto era di leccarla, la fica le si bagnava molto in fretta e apriva le cosce per essere presa: facevamo l'amore a letto, sui divani, in piscina, sulla spiaggia. Forse ci sono persone che vivono così per lunghi anni, ma io non avevo mai conosciuto una felicità simile, e mi chiedevo come fossi riuscito a vivere fino a quel momento. Lei aveva d'istinto la mimica, i piccoli gesti (umettarsi le labbra con avidità, stringersi i seni fra le palme per porgermeli) che fanno pensare alla ragazza un po' troia, e portano l'eccitazione dell'uomo al grado più alto. Essere dentro di lei era una fonte di gioie infinite, sentivo ogni movimento della sua fica quando la richiudeva, piano o più forte, attorno al mio sesso; per interi minuti gridavo e piangevo nello stesso tempo e non sapevo più dove fossi; talvolta, quando lei si ritraeva, mi accorgevo che c'era stata della musica a tutto volume e che non avevo udito nulla. Uscivamo di rado, talvolta andavamo a prendere un cocktail in un bar di San José, ma anche là non tardava ad avvicinarsi a me, mi posava la testa sulla spalla e con le dita mi stringeva il cazzo attraverso il tessuto sottile. Spesso andavamo subito a scopare nei cessi - avevo rinunciato a portare indumenti intimi, lei era sempre senza mutande. Aveva davvero pochissime inibizioni: talvolta, quando eravamo soli nel bar, si inginocchiava fra le mie gambe sulla moquette e me lo succhiava mentre finiva il suo cocktail a piccoli sorsi. Un giorno, nel tardo pomeriggio, fummo sorpresi in quella posizione dal cameriere: lei si tolse il cazzo di bocca ma lo tenne in mano, rialzò il capo e gli fece un gran sorriso mentre continuava a masturbarmi con due dita; anche il cameriere sorrise e incassò il conto, e fu allora come se tutto fosse previsto, combinato da un pezzo da un'autorità superiore, e anche la mia felicità era inclusa nell'economia del sistema.
Ero in paradiso e avrei continuato volentieri a viverci per il resto dei miei giorni, ma lei dovette partire dopo una settimana per riprendere le sue lezioni di piano. La mattina della partenza, prima del suo risveglio, mi massaggiai con cura il glande con la crema tedesca; poi mi inginocchiai sopra il suo viso, le scostai i lunghi capelli biondi e le introdussi il cazzo fra le labbra. Cominciò a succhiare ancor prima di aprire gli occhi.
Più tardi, mentre facevamo colazione, mi disse che il gusto più accentuato del mio sesso al risveglio, mescolato a quello della crema, le aveva ricordato quello della cocaina. Sapevo che dopo aver sniffato, molti leccavano con piacere i granelli restanti. Esther mi spiegò allora che, in certe feste, le ragazze giocavano a farsi una pista di coca sul sesso dei ragazzi presenti; ormai andava poco a quel genere di feste, che l'avevano attirata quando aveva sedici, diciassette anni.
Lo shock, per me, fu abbastanza doloroso; il sogno di tutti gli uomini è quello d'incontrare delle troiette innocenti, ma pronte a ogni depravazione, quello che sono, pressappoco, tutte le adolescenti. Poi, via via, le donne mettono giudizio, condannando così gli uomini a restare eternamente gelosi del loro passato depravato di troiette. Rifiutare di fare qualcosa perché lo si è già fatto, perché si è già vissuta l'esperienza, conduce rapidamente a una distruzione, per sé come per gli altri, di ogni ragione di vivere e di ogni futuro possibile, getta in un tedio pesante che finisce col trasformarsi in un'amarezza atroce, accompagnata da odio e da rancore impotente nei confronti di coloro che appartengono ancora alla vita. Esther, per fortuna, non aveva messo giudizio, ma non potei però fare a meno di interrogarla sulla sua vita sessuale; mi rispose, come mi aspettavo, senza tanti giri di parole e con molta semplicità.
Aveva fatto l'amore per la prima volta all'età di dodici anni, dopo una serata in discoteca, durante un soggiorno linguistico in Inghilterra; ma era stata un'esperienza di scarsa importanza e piuttosto isolata. Infatti, in seguito non era successo niente per circa due anni. Poi aveva cominciato a uscire a Madrid, e là, sì, erano successe parecchie cose, aveva veramente scoperto i giochi sessuali. Alcune ammucchiate, sì. Un po' di sadomaso.
Ragazze, non molte - sua sorella era completamente bisessuale, lei, no, lei preferiva i ragazzi. Per il suo diciottesimo compleanno aveva avuto voglia, per la prima volta, di andare a letto con due ragazzi, e ne serbava un eccellente ricordo, i ragazzi erano in piena forma, la storia a tre si era persino prolungata per un certo tempo, i ragazzi si erano specializzati a poco a poco, lei li masturbava e li succhiava entrambi, ma l'uno la penetrava piuttosto per davanti, l'altro per didietro ed era forse ciò che preferiva, quello riusciva davvero a incularla da Dio, soprattutto quando lei aveva comperato dei popper. 13 La immaginavo, fragile ragazzina, nei sex shop di Madrid intenta a chiedere dei popper. C'è un breve periodo ideale, durante la dissoluzione delle società a forte morale religiosa, in cui i giovani hanno veramente voglia di una vita sfrenata, libera, allegra; poi si stancano, a poco a poco la competizione narcisistica riprende il sopravvento, e alla fine scopano ancor meno che all'epoca di una forte morale religiosa; ma Esther apparteneva ancora a quel breve periodo ideale, più tardivo in Spagna. Lei era stata così semplicemente, così onestamente sessuale, si era prestata di così buon grado a tutti i giochi, a tutte le esperienze nel campo sessuale, senza mai pensare che ci potesse essere qualcosa di male, che non riuscivo nemmeno a volergliene davvero. Avevo solo la sensazione tenace e tormentosa di averla incontrata troppo tardi, davvero troppo tardi, e di aver sciupato la mia vita; tale sensazione, lo sapevo, non mi avrebbe abbandonato, semplicemente perché era esatta.
Ci rivedemmo molto spesso le settimane seguenti, trascorrevo in pratica tutti i fine settimana a Madrid. Ignoravo completamente se andasse a letto con altri in mia assenza, suppongo di sì, ma riuscivo abbastanza bene a scacciare il pensiero dalla mente, dopotutto era disponibile ogni volta, felice di vedermi, faceva sempre l'amore con tanto candore, con così poco ritegno, non so davvero che cosa avrei potuto chiedere di più. Non mi passava nemmeno per la testa, o assai di rado, di interrogarmi su ciò che una ragazza bella come lei potesse trovare in me. Dopotutto ero divertente, rideva molto in mia compagnia, era forse semplicemente la stessa cosa che mi salvava oggi come con Sylvie, trent'anni prima, nel momento in cui avevo cominciato una vita amorosa nel complesso poco soddisfacente e attraversata da lunghe eclissi. Non erano di certo il mio denaro o la mia celebrità ad attirarla in realtà, ogni volta che venivo riconosciuto per strada in sua presenza, se ne mostrava piuttosto imbarazzata. Non le piaceva nemmeno essere riconosciuta come attrice, anche questo succedeva, benché più di rado. È vero che non si considerava affatto un'attrice; quasi tutti gli attori accettano senza problemi di essere amati per la loro celebrità, e in fin dei conti a buon diritto poiché essa fa parte di loro, della loro personalità più autentica, di quella a ogni modo che si sono scelti. Rari invece sono gli uomini che accettano di essere amati per il loro denaro, in Occidente perlomeno; diversamente accade ai commercianti cinesi. Nella semplicità dei loro animi, i commercianti cinesi ritengono che le loro Mercedes classe S, i loro bagni con idromassaggio e più generalmente il denaro che possiedono, facciano parte di loro, della loro personalità profonda, e non hanno dunque nulla da obiettare se destano l'entusiasmo delle ragazze grazie a quegli attributi materiali, hanno con essi lo stesso rapporto immediato, diretto, che un occidentale potrà avere con la bellezza del proprio viso - e in fondo a maggior ragione, poiché, in un sistema politico- economico sufficientemente stabile, se succede di frequente che un uomo sia privato della propria bellezza fisica dalla malattia, se la vecchiaia a ogni modo lo priverà di essa ineluttabilmente, è assai più raro che lo sia delle sue ville sulla Costa Azzurra o delle sue Mercedes classe S. Ma io ero un nevrotico occidentale, e non un commerciante cinese, e nella complessità del mio animo preferivo di gran lunga essere apprezzato per il mio spirito che per il mio denaro o anche per la mia celebrità - poiché non ero affatto certo, nel corso di una carriera pur lunga e attiva, di aver dato il meglio di me stesso, di avere esplorato tutti gli aspetti della mia personalità; non ero un artista autentico nel senso in cui poteva esserlo, per esempio, Vincent, poiché sapevo bene in fondo che la vita non aveva nulla di divertente ma avevo rifiutato di tenerne conto, ero stato un po' puttana, mi ero adattato ai gusti del pubblico, non ero mai stato realmente sincero, supponendo che sia possibile, ma sapevo che bisognava supporlo, e che se la sincerità, di per sé, non è nulla, essa è la condizione di tutto. Sapevo bene in fondo che nessuno dei miei miseri sketch, nessuna delle mie penose sceneggiature, confezionate meccanicamente, con l'abilità di un astuto professionista, per divertire un pubblico di sporcaccioni e di scimmie, meritavano di sopravvivermi. Tale pensiero era, a tratti, doloroso; ma sapevo che sarei riuscito a scacciarlo, come altri, abbastanza in fretta.
L'unica cosa che faticavo a spiegarmi era la sorta di imbarazzo che provava Esther quando le telefonava la sorella e io mi trovavo con lei in una camera d'albergo. Pensandoci, mi resi conto che se avevo incontrato alcuni suoi amici (omosessuali essenzialmente), non avevo mai incontrato sua sorella, con cui in fondo viveva. Dopo un attimo di esitazione, mi confessò di non averle mai parlato della nostra relazione; ogni volta che ci si vedeva, sosteneva di essere con un'amica o con un altro ragazzo. Le chiesi perché: non aveva mai realmente riflettuto sulla faccenda; sentiva che la sorella sarebbe rimasta scioccata, ma non aveva cercato di approfondire. Non era certamente il contenuto delle mie produzioni, show o film, che poteva disturbarla. Alla morte di Franco era un'adolescente, aveva partecipato attivamente alla movida che era seguita, e condotto una vita piuttosto sfrenata. Tutte le droghe avevano diritto di cittadinanza da lei, dalla cocaina all' LSD, passando per i funghi allucinogeni, la marijuana e l'ecstasy. Quando Esther aveva cinque anni, sua sorella viveva con due uomini, anche loro bisessuali; tutt'e tre scopavano nello stesso letto, e andavano a darle la buonanotte insieme, prima che si addormentasse.
In seguito, aveva vissuto con una donna, senza smettere di ricevere numerosi amanti, aveva organizzato a più riprese serate piuttosto calde nell'appartamento. Esther passava a salutare tutti prima di ritirarsi in camera sua a leggere gli album di Tintin. C'erano comunque alcuni limiti, e sua sorella una volta aveva buttato fuori senza tanti riguardi un invitato che aveva osato accarezzare con troppa insistenza la ragazzina, minacciando addirittura di chiamare la polizia. "Fra adulti liberi e consenzienti", era questo il limite, e l'età adulta cominciava con la pubertà, tutto ciò era perfettamente chiaro, vedevo benissimo di che genere di donna si trattava, e in materia artistica era certo fautrice di una libertà di espressione totale.
Come giornalista di sinistra, doveva rispettare la grana, il dinero, insomma non vedevo che cosa potesse rimproverarmi.
Doveva esserci altro, di più segreto, di meno confessabile, e per vederci chiaro finii col porre direttamente la domanda a Esther.
Mi rispose dopo qualche minuto di riflessione, in tono pensieroso: "Penso che ti troverebbe troppo vecchio..." Sì, era questo, ne fui convinto non appena lo disse, e la rivelazione non mi causò alcuna sorpresa, fu come l'eco di un colpo sordo, atteso. La differenza di età era l'ultimo tabù, l'ultimo limite, tanto più forte dato che restava l'ultimo e aveva rimpiazzato tutti gli altri. Nel mondo moderno si poteva essere scambisti, bisex, trans, zoofili, SM, ma era vietato essere vecchi. "Troverebbe malsano, anormale che io non stia con un ragazzo della mia età..." proseguì con rassegnazione. Ebbene sì, ero un uomo senescente, avevo quella disgrazia, per riprendere il termine usato da Coetzee (mi sembrava perfetto, non ne vedevo alcun altro), e quella libertà di costumi così incantevole, così fresca e così seducente negli adolescenti non poteva divenire in me che l'insistenza ripugnante di un vecchio porco che rifiuta di passare la mano. Ciò che avrebbe pensato sua sorella, quasi tutti lo avrebbero pensato al posto suo, non c'era alcuna via d'uscita - a meno di essere un commerciante cinese.
Quella volta avevo deciso di restare a Madrid tutta la settimana, e due giorni dopo ebbi una piccola disputa con Esther a proposito oli Ken Park, l'ultimo film di Larry Clark, che lei aveva voluto andare a vedere. Avevo detestato Kids, detestai ancor di più Ken Park, trovai particolarmente insopportabile la scena in cui quella sporca carogna picchia i nonni, quel regista mi disgustava al massimo grado, e fu probabilmente quel disgusto sincero a impedirmi di stare zitto, quando sospettavo che a Esther piacesse per abitudine, per conformismo, perché di solito era cool approvare la rappresentazione della violenza nelle arti, che le piacesse insomma senza vero discernimento, come le piaceva per esempio Michael Haneke, senza nemmeno rendersi conto che il senso dei film di Michael Haneke, doloroso e morale, era agli antipodi di quello di Larry Clark.
Sapevo che avrei fatto meglio a tacere, che l'abbandono del mio abituale personaggio comico poteva attirarmi soltanto delle noie, ma non ce la facevo, il demone della perversità era più forte. Ci trovavamo in un bar strano, molto kitsch, con specchi e dorature, pieno di omosessuali scatenati che si inculavano senza ritegno in backrooms adiacenti, ma aperto a tutti; gruppi di ragazzi e ragazze bevevano tranquillamente CocaCola ai tavoli vicini. Mandando giù d'un fiato la mia tequila gelata, le spiegai che avevo costruito l'insieme della mia carriera e della mia ricchezza sullo sfruttamento commerciale dei cattivi istinti, sull'attrazione assurda dell'Occidente per il cinismo e per il male, e che nessuno meglio di me era in grado di affermare che fra tutti i commercianti del male Larry Clark era uno dei più comuni, uno dei più volgari, semplicemente perché si schierava senza ritegno a favore dei giovani contro i vecchi, perché tutti i suoi film erano un incitamento ai figli a comportarsi nei confronti dei genitori senza la minima umanità, senza la minima pietà, e perché ciò non aveva nulla di nuovo né di originale, era la stessa cosa in tutti i settori culturali da una cinquantina d'anni, e tale tendenza pseudoculturale celava in realtà soltanto il desiderio di un ritorno allo stato primitivo in cui i giovani si sbarazzavano dei vecchi senza riguardi, senza reazioni affettive, semplicemente perché costoro erano troppo deboli per difendersi, essa non era dunque che un riflusso brutale, tipico della modernità, verso uno stadio anteriore a ogni civiltà, poiché ogni civiltà poteva giudicarsi in base alla sorte che riservava ai più deboli, a coloro che non erano più né produttivi né desiderabili, insomma Larry Clark e il suo abietto complice Harmony Korine non erano che due degli esemplari più penosi - e artisticamente più miserabili - di quella feccia nietzschiana che proliferava nel campo culturale da troppo tempo, e non potevano in alcun modo essere messi sullo stesso piano di persone come Michael Haneke, o come me per esempio che avevo sempre fatto in modo di introdurre una certa forma di dubbio, d'incertezza, di malessere nei miei spettacoli globalmente ripugnanti - com'ero il primo a riconoscere.
Esther mi ascoltava con aria sconsolata, ma con molta attenzione, non aveva ancora toccato la sua Fanta.
Il vantaggio di tenere un discorso morale è che questo tipo di discorso è stato sottoposto a una censura così forte, così a lungo, che provoca un effetto d'incongruità, e attira subito l'attenzione dell'interlocutore; l'inconveniente è che questi non riesce mai a prendervi completamente sul serio. L'espressione seria e attenta di Esther mi sconcertò un attimo, ma ordinai un altro bicchiere di tequila e continuai, prendendo coscienza che mi eccitavo artificialmente, che la mia stessa sincerità aveva qualcosa di falso: oltre al fatto patente che Larry Clark era solo un piccolo mestierante senza levatura e che citarlo nella stessa frase con Nietzsche aveva già di per sé qualcosa di ridicolo, sentivo in fondo che me ne fregavo abbastanza di quegli argomenti come della fame nel mondo, dei diritti dell'uomo o di qualsiasi cazzata del genere. Continuai però, con crescente acrimonia, trascinato dalla strana commistione di cattiveria e di masochismo che speravo forse mi portasse alla rovina dopo avermi fruttato notorietà e ricchezza. Non solo i vecchi non avevano più il diritto di scopare - ripresi con ferocia -, ma non avevano più il diritto di rivoltarsi contro un mondo che pure li schiacciava senza ritegno, ne faceva la preda indifesa della violenza dei delinquenti giovanili prima di parcheggiarli in istituti ignobili in cui venivano umiliati e maltrattati da infermieri deficienti, e malgrado tutto ciò la rivolta era loro vietata, anche la rivolta - come la sessualità, come il piacere, come l'amore sembrava riservata ai giovani, sembrava non avere alcuna giustificazione possibile al di fuori di loro, ogni causa incapace di suscitare l'interesse dei giovani era screditata in anticipo, i vecchi venivano trattati in tutto e per tutto come meri rifiuti cui non si concedeva altro che una miserabile sopravvivenza, condizionale e sempre più strettamente limitata. Nella mia sceneggiatura, il deficit della previdenza sociale, che non si era tradotta in film (era stato del resto l'unico mio progetto a non essersi realizzato, e la cosa mi sembrava altamente significativa - proseguii quasi fuori di me), incitavo invece i vecchi a rivoltarsi contro i giovani, a usarli e a domarli. Perché, per esempio, gli adolescenti dei due sessi, consumatori voraci e pecoreschi, sempre avidi di argent de poche, non dovrebbero essere costretti alla prostituzione, unico modo per loro di rimborsare in debole misura gli sforzi e le fatiche immensi sopportati per il loro benessere? E in un'epoca in cui la contraccezione era perfetta, e il rischio di degenerazione genetica perfettamente circoscritto, perché mantenere l'assurdo e umiliante tabù dell'incesto?
Ecco dei veri interrogativi, dei problemi morali autentici, esclamai con foga; ma non era più questione di Larry Clark.
Se io ero acrimonioso, lei era dolce; e se io patteggiavo senza il minimo ritegno per i vecchi, lei non si schierava a favore dei giovani nella stessa misura. Ne seguì una lunga conversazione, sempre più commovente e tenera, prima in quel bar, poi al ristorante, poi in un altro bar, infine nella camera d'albergo; per una sera, dimenticammo persino di fare l'amore.
Era la nostra prima vera conversazione, e mi sembrava del resto che fosse la prima vera conversazione che avevo con qualcuno da anni, l'ultima risaliva probabilmente agli inizi della mia vita in comune con Isabelle, non avevo forse mai avuto una vera conversazione con qualcuno che non fosse una donna amata, e in fondo mi pareva normale che lo scambio di idee con qualcuno che non conosce il vostro corpo, che non è in grado di farne l'infelicità o la gioia, fosse un esercizio falso e in fin dei conti impossibile, poiché siamo dei corpi, siamo innanzitutto, principalmente e quasi unicamente dei corpi, e lo stato dei nostri corpi costituisce l'autentica spiegazione della maggior parte delle nostre concezioni intellettuali e morali.
Appresi così che Esther, all'età di tredici anni, aveva avuto una malattia renale molto grave che aveva richiesto una lunga operazione, e che uno dei suoi reni era rimasto definitivamente atrofizzato, il che la obbligava a bere almeno due litri di acqua al giorno, mentre il secondo, per il momento sano, poteva dare segni di affaticamento in qualsiasi momento. Mi sembrava evidente che si trattasse di un particolare fondamentale, che fosse probabilmente per questo che non aveva affatto messo giudizio sul piano sessuale: conosceva il valore della vita e la sua durata così breve. Appresi anche, e ciò mi parve ancora più importante, che aveva avuto un cane, raccolto per le strade di Madrid, e che se n'era occupata dall'età di dieci anni; l'animale era morto l'anno prima. Una bellissima ragazza, trattata con riguardi costanti e attenzioni smisurate dall'insieme della popolazione maschile, compresi coloro - la stragrande maggioranza - che non hanno più alcuna speranza di ottenerne un favore di ordine sessuale, e a dire il vero in special modo loro, con un'abietta emulazione che in certi cinquantenni confina con il rimbambimento puro e semplice, una bellissima ragazza davanti alla quale tutti i volti si aprono, tutte le difficoltà si appianano, accolta ovunque come se fosse la regina del mondo, diventa naturalmente una specie di mostro di egoismo e di vanità compiaciuta. La bellezza fisica gioca qui esattamente lo stesso ruolo della nobiltà del sangue sotto l'Ancien Regime, e la breve coscienza che la ragazza bellissima potrebbe prendere, nell'adolescenza, dell'origine puramente casuale del proprio rango cede rapidamente il posto quasi sempre a una sensazione di superiorità innata, naturale, istintiva, che la colloca interamente al di fuori, e largamente al di sopra del resto dell'umanità. Dato che ciascuno attorno a lei ha come unico obiettivo quello di evitarle ogni pena e di prevenire ogni suo minimo desiderio, è ovvio che una bellissima ragazza arrivi a considerare il resto del mondo come costituito da altrettanti servitori, dato che anche lei ha come unico compito quello di mantenere il proprio valore erotico - nell'attesa di incontrare un ragazzo degno di riceverne l'omaggio. La sola cosa che la possa salvare sul piano morale è di avere la responsabilità concreta di una creatura più debole, di essere direttamente e personalmente responsabile del soddisfacimento dei suoi bisogni fisici, della sua salute, della sua sopravvivenza - e tale creatura può essere un fratello o una sorella più giovane, un animale domestico, poco importa.
Esther non era certamente ben educata nel senso abituale del termine, non le sarebbe mai venuta l'idea di svuotare un portacenere, o di gettare gli avanzi dei suoi pasti, e con la massima disinvoltura lasciava le luci accese dietro di sé nelle stanze da cui usciva (mi è capitato, seguendo passo passo il suo percorso nella mia casa di San José, di dover azionare diciassette interruttori); non era nemmeno il caso di chiederle di fare un acquisto, di riportare da un negozio una spesa non destinata al proprio uso, o più generalmente di eseguire una commissione qualunque. Come tutte le ragazze bellissime, in fondo era brava solo a scopare, e sarebbe stato stupido impiegarla in altro, considerarla diversamente da un animale di lusso, coccolato e viziato, protetto da ogni preoccupazione come da ogni compito penoso o scocciante perché si potesse dedicare meglio al suo servizio esclusivamente sessuale. Però, a differenza della maggior parte delle ragazze bellissime, Esther era ben lungi dall'essere un mostro di arroganza, di egoismo assoluto e freddo, o, per parlare in termini più baudelairiani, un'infernale troietta. In lei c'era la coscienza della malattia, della debolezza, della morte. Benché bella, bellissima, infinitamente erotica e desiderabile, Esther era sensibile alle infermità animali, perché le conosceva; fu quella sera che ne presi coscienza e cominciai davvero ad amarla. Il desiderio fisico, per quanto violento fosse, non era mai bastato a condurmi all'amore, aveva potuto raggiungere quello stadio estremo solo quando si accompagnava, per una strana giustapposizione, a una compassione per l'essere desiderato; ogni essere vivente, ovviamente, merita la compassione per il semplice fatto che è in vita, e si trova perciò esposto a innumerevoli sofferenze; ma, di fronte a un essere giovane e in perfetta salute, è una considerazione che sembra assai teorica. Con la sua malattia renale, con la sua debolezza fisica insospettabile ma reale, Esther poteva suscitare in me una compassione non simulata, ogni volta che mi fosse venuta la voglia di provare quel sentimento nei suoi confronti. Essendo anche lei compassionevole, avendo persino occasionali aspirazioni alla bontà, poteva pure suscitare in me la stima, il che completava l'edificio, poiché non ero un essere passionale, non essenzialmente, e se potevo desiderare qualcuno di totalmente spregevole, se mi era capitato a più riprese di scopare delle ragazze nell'unico intento di assicurare il mio ascendente su di loro e in fondo di dominarle, se ero arrivato persino a utilizzare quel poco lodevole sentimento in alcuni sketch, a manifestare una comprensione inquietante per quegli stupratori che sacrificano la loro vittima immediatamente dopo aver disposto del suo corpo, avevo invece sempre avuto bisogno di provare stima per amare, in fondo non mi ero mai sentito perfettamente a mio agio in una relazione sessuale basata sulla pura attrazione erotica e sull'indifferenza all'altro; in mancanza d'amore, avevo sempre avuto bisogno, per sentirmi sessualmente felice, di un minimo di simpatia, di stima, di comprensione reciproca.
All'umanità, no, non avevo rinunciato.
Esther non solo era compassionevole e dolce, ma sufficientemente intelligente e fine da mettersi, all'occorrenza, al posto mio. Al termine di questa discussione, in cui avevo difeso con un'irruenza penosa - e stupida del resto poiché lei non pensava affatto di collocarmi in quella categoria - il diritto alla felicità per le persone senescenti, lei concluse che avrebbe parlato di me alla sorella e che avrebbe proceduto alle presentazioni entro breve tempo.
Durante quella settimana a Madrid, in cui fui quasi sempre con Esther, e che resta uno dei periodi più felici della mia vita, mi resi conto anche che, se lei aveva altri amanti, la loro presenza era singolarmente discreta, e che, se non ero l'unico - il che dopotutto appariva ugualmente possibile -, ero senza alcun dubbio il preferito. Per la prima volta in vita mia, mi sentivo, senza restrizioni, felice di essere un uomo, intendo dire un essere umano di sesso maschile, perché per la prima volta avevo trovato una donna che si apriva completamente a me, che mi dava totalmente, senza restrizioni, ciò che una donna può dare a un uomo. Per la prima volta, anche, mi sentivo animato nei confronti del prossimo da intenti caritatevoli e amichevoli, avrei voluto che tutti fossero felici, come lo ero io.
Non ero più un buffone allora, avevo lasciato lontano da me l'atteggiamento umoristico; rivivevo insomma, anche se sapevo che era per l'ultima volta. Ogni energia è di ordine sessuale, non principalmente ma esclusivamente, e quando l'animale non è più in grado di riprodursi, non è assolutamente più buono a nulla; stessa cosa per gli uomini. Quando l'istinto sessuale è morto, scrive Schopenhauer, il vero nocciolo della vita è consumato; così, annota in una metafora di terrificante violenza, "l'esistenza umana somiglia a una rappresentazione teatrale che, cominciata da attori vivi, sarebbe terminata da automi che indossano gli stessi costumi". Non volevo diventare un automa, ed era ciò, questa presenza reale, questo sapore della vita viva, come avrebbe detto Dostoevskij, che Esther mi aveva restituito. Perché mantenere funzionante un corpo che non viene toccato da nessuno? E perché scegliere una bella camera d'albergo se ci si deve dormire da soli? Dopo tanti altri alla fine vinti malgrado i loro sogghigni e le loro smorfie, non potevo che inchinarmi: immensa e stupenda era la potenza dell'amore.
Davvero!
DANIEL25,4
La notte successiva al mio primo contatto con Marie23, feci un sogno strano. Ero in mezzo a un paesaggio montagnoso, l'aria era così limpida che si distinguevano i minimi particolari delle rocce, dei cristalli di ghiaccio; la vista si estendeva lontano, oltre le nubi, oltre le foreste, fino a una linea di cime dirupate, scintillanti nelle loro nevi eterne.
Accanto a me, a qualche metro più in basso, un vecchio di bassa statura, vestito di pelli, dal volto segnato come quello di un cacciatore calmucco, scavava pazientemente attorno a un paletto piantato nella neve; poi, sempre armato del suo modesto coltello, incominciava a segare una corda trasparente attraversata da fibre ottiche. Sapevo che la corda era una di quelle che conducevano alla sala trasparente, la sala in mezzo alle nevi in cui si riunivano i dirigenti del mondo. Lo sguardo del vecchio era intelligente e crudele. Sapevo che ci sarebbe riuscito, poiché aveva il tempo dalla sua, e che le fondamenta del mondo sarebbero crollate; non era animato da alcuna motivazione precisa, ma da un'ostinazione animale; gli attribuivo la conoscenza intuitiva e i poteri di uno sciamano.
Come quelli degli umani, i nostri sogni sono quasi sempre delle ricombinazioni attuate partendo da elementi eterocliti di realtà sopravvenuti nello stato di veglia; ciò ha indotto alcuni a vedervi una prova della non unicità del reale. Secondo loro, i nostri sogni sarebbero squarci su altri rami di universo esistenti nel senso della teoria di Everett- De Witt, vale a dire altre biforcazioni di osservabili apparse in occasione di certi avvenimenti della giornata; non sarebbero così affatto l'espressione di un desiderio né di un timore, ma la proiezione mentale di sequenze di avvenimenti consistenti, compatibili con l'evoluzione della funzione di onda globale dell'universo, ma non direttamente attestabili. Nulla indicava in questa ipotesi ciò che permetteva ai sogni di sfuggire alle limitazioni consuete della funzione conoscitiva, vietando a un dato osservatore ogni accesso alle sequenze di avvenimenti non attestabili nel proprio ramo di universo; peraltro non vedevo affatto ciò che, nella mia esistenza, avrebbe potuto dare origine a un ramo così divergente.
Secondo altre interpretazioni, certi nostri sogni sono di un ordine diverso rispetto a quelli che hanno potuto conoscere gli uomini; di origine artificiale, essi sono le produzioni spontanee di semiforme mentali generate dall'interfacciamento modificabile degli elementi elettronici della rete. Un organismo gigantesco chiederebbe di nascere, di formare una coscienza elettronica comune, ma per il momento potrebbe manifestarsi solo tramite la produzione di treni di onde onirici generati da sottoinsiemi evolutivi della rete e costretti a propagarsi attraverso i canali di trasmissione aperti dai neoumani; cercava quindi di esercitare un controllo sull'apertura di tali canali.
Eravamo anche noi degli esseri incompleti, di transizione, il cui destino era quello di preparare l'avvento di un futuro digitale.
Qualunque valore avesse tale ipotesi, era certo che si era prodotta una mutazione del software, probabilmente fin dall'inizio della Seconda Diminuzione e che, partendo innanzitutto dal sistema di criptaggio, si era estesa a poco a poco all'insieme degli strati informatici della rete; nessuno conosceva esattamente la sua ampiezza, ma doveva essere grande, e l'affidabilità del nostro sistema di trasmissione, nel migliore dei casi, era divenuta molto aleatoria.
Il pericolo di sovrapproduzione onirica era descritto fin dall'epoca dei Fondatori, e poteva anche spiegarsi, più semplicemente, con le condizioni di isolamento fisico assoluto in cui eravamo destinati a vivere. Non si conosceva alcun vero trattamento.
La sola difesa consisteva nell'evitare l'invio e la ricezione di messaggi, nel troncare ogni contatto con la comunità neoumana, nel tornare sugli elementi di fisiologia individuale.
Mi attenni strettamente a questa linea e misi in atto i principali dispositivi di sorveglianza biochimica; ci vollero parecchie settimane perché la mia produzione mentale ritornasse al suo livello normale e potessi concentrarmi di nuovo sul racconto di vita di Daniel1 e sul mio commento.
DANiEL1,16
Per poter sviare netstat, bisogna esservi iniettati, per fare ciò non resta altro che sviare tutto l'userland.
kdm. fr. st
Avevo un po' dimenticato l'esistenza degli elohimiti quando ricevetti una telefonata di Patrick: mi ricordava che il seminario invernale sarebbe cominciato di lì a due settimane e mi chiedeva se avessi sempre intenzione di parteciparvi. Dovevo aver ricevuto un biglietto d'invito, un biglietto vip, precisò. Lo ritrovai facilmente in mezzo alla mia posta: la carta era ornata in filigrana con ragazze nude danzanti fra i fiori. Sua Santità il profeta mi invitava, con altre eminenti personalità amiche, ad assistere come ogni anno alla celebrazione dell'anniversario del "meraviglioso incontro"- quello con gli Elohim, immagino.
Sarebbe stata una celebrazione particolare, in cui avrebbero svelato dettagli inediti riguardanti l'edificazione dell'ambasciata, alla presenza di fedeli del mondo intero, guidati dai loro nove arcivescovi e dai loro quarantanove vescovi - tali distinzioni onorifiche non avevano nulla a che vedere con l'organigramma reale; erano state istituite da Sbirro, che le riteneva indispensabili alla buona gestione di un'organizzazione umana. "Ci si divertirà da matti! " aveva aggiunto di suo pugno il profeta.
Esther, come previsto, aveva degli esami in quel periodo, e non avrebbe potuto accompagnarmi. Dato che non avrebbe avuto nemmeno il tempo di vedermi, accettai senza esitare dopotutto ero in pensione adesso, potevo fare un po' di turismo, escursioni sociologiche, cercare di vivere momenti pittoreschi o divertenti. Non avevo mai messo in scena una setta nei miei sketch, mentre si trattava di un fenomeno autenticamente moderno visto che esse proliferavano nonostante tutte le campagne razionalistiche e gli avvertimenti, e nulla sembrava poterle fermare. Per un po' accarezzai l'idea di uno sketch elohimita, poi presi il biglietto aereo.
Il volo faceva scalo a Gran Canaria, e mentre giravamo nell'attesa di un corridoio di atterraggio osservai con curiosità le dune di Maspalomas. Le gigantesche formazioni sabbiose si immergevano nell'oceano di un azzurro straordinario; volavamo a bassa quota e potevo distinguere le figure che si creavano sulla sabbia, generate dal movimento del vento, figure che facevano pensare talvolta a lettere, talvolta ad animali o a volti umani; non si poteva fare a meno di vedervi dei segni, di dare loro un'interpretazione divinatoria, e cominciai a sentirmi oppresso, malgrado l'uniformità dell'azzurro o proprio a causa di essa.
L'aereo si svuotò quasi completamente all'aeroporto di Las Palmas; poi salirono alcuni passeggeri, che facevano la spola fra le isole. I più sembravano viaggiatori di lungo corso, stile backpackers 14 australiani armati di una guida Let's go Europe e degli indirizzi dei Mac Donald's. Si comportavano tranquillamente, guardavano anche loro il paesaggio, si scambiavano sottovoce osservazioni intelligenti o poetiche. Poco prima dell'atterraggio, sorvolammo una zona vulcanica dalle rocce tormentate, di un rosso cupo.
Patrick mi aspettava nella hall dell'aeroporto di Arrecife, in pantaloni e tunica bianca ricamata con la stella multicolore della setta, e un largo sorriso sulle labbra - avevo l'impressione che avesse cominciato a sorridere cinque minuti prima del mio arrivo, e in realtà continuò, senza ragione apparente, mentre attraversavamo il parcheggio. Mi indicò un minibus Toyota bianco, anch'esso ornato con la stella multicolore. Mi accomodai sul sedile anteriore; il volto di Patrick era sempre illuminato da un sorriso stereotipato; mentre aspettava in coda per introdurre il biglietto di uscita, cominciò a tamburellare con le dita sul volante agitando il capo, come se udisse una melodia inferiore.
Viaggiavamo in una pianura di un nero intenso, quasi bluastro, formata da rocce spigolose, grossolane, appena modellate dall'erosione, quando riprese a parlare: "Vedrai, questo seminario è formidabile..." disse sottovoce, come rivolto a se stesso o come se mi confidasse un segreto. "Ci sono vibrazioni speciali... È molto spirituale, davvero." Accondiscesi educatamente. L'osservazione mi sorprendeva solo in parte: nelle opere New Age, è classicamente dichiarato che le regioni vulcaniche siano percorse da correnti telluriche particolari, cui la maggior parte dei mammiferi, e specialmente gli uomini, è sensibile; esse, fra l'altro, indurrebbero alla promiscuità sessuale. "È così, è così..." fece Patrick, sempre estatico. "Siamo figli del fuoco." Mi astenni dal fare commenti.
Poco prima di arrivare, costeggiammo una spiaggia di sabbia nera, disseminata di piccoli sassi bianchi; devo riconoscere che il paesaggio era strano, e persino inquietante. Guardai dapprima con attenzione, poi voltai la testa dall'altra parte; mi sentivo un po' scioccato da quella brutale inversione dei valori.
Se il mare fosse stato rosso, avrei potuto probabilmente ammetterlo; ma era sempre così azzurro, disperatamente azzurro.
La strada si biforcò bruscamente verso l'entroterra, e cinquecento metri più avanti ci fermammo davanti a una solida barriera metallica alta tre metri, fiancheggiata da fili spinati, che si estendeva a perdita d'occhio. Due guardie armate di mitra facevano la ronda dietro il cancello che, a quanto pareva, costituiva l'unico accesso. Patrick fece loro segno e i due lo aprirono, si avvicinarono e mi squadrarono attentamente prima di lasciarci passare. "È necessario..." mi disse Patrick sempre in tono estatico. "I giornalisti..." La pista, tenuta abbastanza bene, attraversava una zona piatta e polverosa, disseminata di piccoli sassi rossi. Nel momento in cui scorgevo in lontananza una sorta di tendopoli bianca, Patrick svoltò a sinistra in direzione di una balza rocciosa in forte pendenza, erosa su uno dei lati, della stessa roccia nera, probabilmente vulcanica, che avevo notato in precedenza.
Dopo due o tre tornanti, fermò la vettura su un terrapieno, e dovemmo proseguire a piedi. Malgrado le mie proteste, insistette per prendermi la valigia, che era piuttosto pesante.
"No, no, ti prego... Sei un invitato vip..." Aveva usato un tono scherzoso, ma qualcosa mi diceva che era in realtà assai più serio. Passammo davanti a una decina di grotte scavate nella roccia, dalle aperture strette, prima di arrivare su un nuovo terrapieno, quasi in cima al monticello. Un'apertura larga tre metri e alta due, davanti alla quale stavano di sentinella due guardie armate, immetteva in una grotta assai più vasta delle altre.
Entrammo in una prima sala quadrata, di circa dieci metri di lato, dalle pareti spoglie, lungo cui erano disposte alcune sedie pieghevoli che costituivano l'unico arredamento; poi, preceduti da una guardia, percorremmo un corridoio illuminato da alte lampade a stelo a forma di colonne, abbastanza simili a quelle in voga negli anni settanta: all'interno di un liquido luminescente e vischioso, di colore giallo, turchese, arancione o malva, si formavano grossi globuli che risalivano lentamente lungo la colonna luminosa prima di sparire.
Gli appartamenti del profeta erano arredati nello stesso stile anni settanta. Una spessa moquette arancione, con zebrature viola, ricopriva il pavimento. Alcuni divani bassi, ricoperti di pelliccia, erano disposti irregolarmente nella stanza. In fondo, alcuni gradini conducevano a una poltrona girevole da relax in pelle rosa con poggiapiedi integrato; la poltrona era vuota.
Dietro, riconobbi il quadro che si trovava nella sala da pranzo del profeta a Zwork: in mezzo a un giardino presumibilmente edenico, dodici ragazze vestite di tuniche trasparenti lo contemplavano con adorazione e desiderio. Era ridicolo se vogliamo, ma lo era soltanto nella misura, in fin dei conti scarsa, in cui può esserlo una cosa puramente sessuale; l'umorismo e il senso del ridicolo - ero pagato, e pure bene, per saperlo - possono riportare una piena vittoria soltanto quando prendono di mira bersagli già disarmati come la religiosità, il sentimentalismo, la devozione, il senso dell'onore, e si mostrano invece incapaci di nuocere seriamente ai determinanti profondi, egoistici, animali della condotta umana. Il quadro, comunque sia, era dipinto così male che mi ci volle un certo tempo per riconoscere i modelli nelle ragazze vive e vegete, sedute sui gradini, che tentavano alla bell'e meglio di riprodurre le posizioni pittoriche (dovevano essere state avvertite del nostro arrivo), ma offrivano però solo una copia approssimativa della tela: se alcune indossavano le stesse tuniche trasparenti, vagamente greche, rialzate fino alla vita, altre avevano optato per dei bustini e dei reggicalze di lattice nero; tutte, a ogni modo, avevano il sesso scoperto. "Sono le fidanzate del profeta..." mi disse Patrick con rispetto. Mi informò allora che quelle elette avevano il privilegio di vivere alla presenza permanente del profeta; tutte disponevano di camere nella sua residenza californiana.
Rappresentavano tutte le razze della terra ed erano state destinate per la loro bellezza al servizio esclusivo degli Elohim: potevano dunque avere rapporti sessuali soltanto con loro (ovviamente una volta che costoro avessero onorato il pianeta della loro visita) e con il profeta; potevano anche, quando questi ne esprimeva il desiderio, avere rapporti sessuali fra di loro. Meditai un po' su tale prospettiva, mentre cercavo di ricontarle: ce n'erano proprio soltanto dieci. In quel momento, udii uno sciacquio proveniente da destra. Delle aio gene situate nel soffitto si accesero, scoprendo una piscina scavata nella roccia, circondata da una vegetazione lussureggiante, in cui il profeta faceva il bagno nudo. Le due ragazze mancanti attendevano rispettosamente accanto alla scaletta di accesso, reggendo un accappatoio e un asciugamano bianchi ornati con la stella multicolore. Il profeta se la prendeva comoda, rotolava su se stesso, si lasciava cullare pigramente dall'acqua facendo il morto. Patrick tacque e abbassò il capo; non si udì altro che il leggero sciabordio del bagno.
Finalmente il profeta uscì e venne subito avvolto nell'accappatoio, mentre la seconda ragazza s'inginocchiava per frizionargli i piedi; mi accorsi allora che era più grande, e soprattutto più ben piantato di come lo ricordassi; doveva certo fare ginnastica, allenarsi. Venne verso di me a braccia spalancate e mi strinse a sé. "Sono contento..." disse con voce profonda, "sono contento di vederti..." Durante il viaggio, mi ero chiesto parecchie volte che cosa si aspettasse esattamente da me; forse esagerava la mia notorietà. Scientology, per esempio, beneficiava senza alcun dubbio della presenza fra i suoi adepti di John Travolta o di Tom Cruise; ma ero ben lontano dall'essere allo stesso livello. Anche lui, a dire il vero, ed era forse quella la semplice spiegazione: prendeva chi aveva sottomano.
Il profeta prese posto nella sua poltrona da relax; noi ci accomodammo su dei pouf piazzati a un livello inferiore. A un cenno, le ragazze si sparpagliarono e ritornarono portando coppette di gres colme di mandorle e di frutta secca, e anfore piene di quello che risultò essere succo di ananas. Si restava dunque nella nota greca; la messa in scena, comunque, non era del tutto curata, infatti dava un po' fastidio scorgere, su un ripiano, le buste vuote della frutta secca Bénénuts. "Susan..." disse sommessamente il profeta a una ragazza biondissima, dagli occhi azzurri, volto incantevole e candido, che era rimasta seduta ai suoi piedi. Obbedendo senza dire una parola, costei gli si inginocchiò fra le cosce, scostò i lembi dell'accappatoio e cominciò a succhiargli il sesso che era corto e grosso. A quanto pareva, il profeta voleva stabilire subito una posizione di dominio chiara; mi chiesi fuggevolmente se lo facesse unicamente per il piacere, o se ciò facesse parte di un piano destinato a impressionarmi. In realtà non ero affatto impressionato, notai invece che Patrick sembrava a disagio, si guardava i piedi con imbarazzo, ebbi persino la sensazione che arrossisse un po', mentre tutto ciò era, in linea di massima, assolutamente conforme alle teorie che professava. La conversazione vertè dapprima sulla situazione internazionale, caratterizzata - secondo il profeta - da gravi minacce che incombevano sulla democrazia; il pericolo rappresentato dall'integralismo musulmano non era, a suo avviso, affatto sopravvalutato, disponeva di informazioni inquietanti provenienti dai suoi adepti africani. Non avevo gran che da dire sulla questione, il che era un bene perché mi permise di conservare un'espressione di interesse rispettoso.
Ogni tanto posava una mano sulla testa della ragazza, che interrompeva il suo movimento; poi, a un nuovo segno, lei ricominciava a spompinarlo. Dopo aver monologato qualche minuto, il profeta volle sapere se desiderassi riposarmi prima del pasto, che sarebbe stato consumato in compagnia dei principali dirigenti; avevo l'impressione che la risposta giusta fosse: “Sì”.
"È andata bene! È andata benissimo!..." mi sussurrò Patrick, fremente di eccitazione, mentre ripercorrevamo il corridoio nella direzione inversa. La sua sottomissione ostentata mi lasciava un po' perplesso, cercavo di passare in rassegna ciò che sapevo sulle tribù primitive, sui rituali gerarchici, ma facevo fatica a ricordare, erano veramente letture di gioventù, risalenti all'epoca in cui seguivo i corsi di recitazione; mi ero allora persuaso che gli stessi meccanismi si ritrovassero, leggermente modificati, nelle società moderne, e che la loro conoscenza mi sarebbe potuta servire per la stesura dei miei sketch - l'ipotesi si era del resto rivelata grossomodo esatta, Lévi- Strauss in particolare mi aveva aiutato molto.
Sbucando sul terrapieno, mi fermai, colpito dalla visione della tendopoli in cui alloggiavano gli adepti, una cinquantina di metri più in basso: dovevano esserci un migliaio abbondante di tende- igloo, molto fitte, tutte identiche, di un bianco immacolato, e disposte in modo da formare la stella dalle punte ricurve che costituiva l'emblema della setta. Si poteva scorgere il disegno solo dall'alto - o dal cielo, mi suggerì Patrick. L'ambasciata, una volta costruita, avrebbe presentato la stessa forma, il profeta ne aveva disegnato personalmente la pianta, avrebbe voluto di certo mostrarmela.
Mi aspettavo più o meno un pasto sontuoso, punteggiato di delizie sibaritiche; dovetti rapidamente ricredermi. In materia di alimentazione, il profeta prediligeva la massima frugalità: pomodori, fave, olive, semolino (il tutto servito in piccole quantità); un po' di formaggio di pecora, accompagnato da un bicchiere di vino rosso. Non solo seguiva scrupolosamente la dieta mediterranea, ma faceva un'ora di ginnastica al giorno, secondo movimenti concepiti proprio per tonificare l'apparato cardiovascolare; assumeva compresse di Pantestone 15 e di MDMA, 16 come altri farmaci più specifici, disponibili unicamente negli USA. Era letteralmente ossessionato dall'invecchiamento fisico, e la conversazione vertè quasi unicamente sulla proliferazione dei radicali liberi, sul legame crociato del collagene, sulla frammentazione dell'elastina, sull'accumulo di lipofuscina all'interno delle cellule epatiche. Aveva l'aria di conoscere l'argomento a fondo, e Scienziato interveniva solo ogni tanto per precisare un dettaglio.
Gli altri convitati erano Umorista, Sbirro e Vincent, che vedevo per la prima volta dal mio arrivo e che mi parve ancora più stranito del solito: non ascoltava affatto, sembrava pensare a cose personali e inesprimibili; il suo volto era percorso da trasalimenti nervosi, in particolare ogni volta che compariva Susan. Il servizio era assicurato dalle "fidanzate del profeta", che per l'occasione avevano indossato lunghe tuniche bianche con spacchi laterali.
Il profeta non prendeva caffè e il pasto si concluse con una sorta di tisana verde, particolarmente amara, ma che secondo lui era prodigiosa contro gli accumuli di lipofuscina. Scienziato confermò l'informazione. Ci separammo presto, il profeta insisteva sulla necessità di un sonno lungo e ristoratore. Vincent mi seguì precipitosamente nel corridoio di uscita, ebbi l'impressione che si aggrappasse a me, che desiderasse parlarmi.
La grotta che mi era stata assegnata era leggermente più vasta della sua e comprendeva una terrazza che sovrastava la tendopoli.
Erano solo le undici, ma tutto era perfettamente calmo, non si udiva alcuna musica e si percepiva uno scarso andiriveni fra le tende. Servii a Vincent un bicchiere del Glenfiddich che avevo comperato al dutyfree dell'aeroporto di Madrid.
Mi aspettavo più o meno che avviasse la conversazione, ma non lo fece, si limitò a servirsi di nuovo da bere e a far girare il liquido nel suo bicchiere. Alle mie domande sul suo lavoro, rispose soltanto a monosillabi scoraggiati; era dimagrito ancora.
Come ultima risorsa, finii col parlare di me, cioè di Esther, era quasi la sola cosa che mi sembrasse degna di essere segnalata nella mia vita degli ultimi tempi; avevo anche acquistato un nuovo sistema automatico di annaffiatura, ma non mi sentivo in grado di trattare a lungo l'argomento. Mi chiese di parlargli ancora di Esther, cosa che feci con reale piacere; il volto gli si illuminava a poco a poco, mi disse che era contento per me, e lo sentivo sincero. L'affetto fra uomini è difficile perché non si può concretizzare in niente, è qualcosa di irreale e di dolce, ma sempre anche un po' doloroso. Se ne andò dieci minuti dopo, senza avermi rivelato niente sulla sua vita. Mi sdraiai al buio e meditai sulla strategia psicologica del profeta, che mi pareva oscura. Mi avrebbe offerto un'adepta destinata a divertirmi sul piano sessuale? Probabilmente esitava, non doveva avere una grossa esperienza nel trattare i vip.
Esaminavo la prospettiva con calma: avevo fatto l'amore con Esther il mattino stesso, era stato ancora più lungo e più delizioso del solito; non avevo alcuna voglia di un'altra donna, non ero nemmeno certo, all'occorrenza, di riuscire a provare interesse. Di solito, si ritiene che gli uomini siano cazzi ambulanti, capaci di scopare qualsiasi fica purché sia sufficientemente eccitante, senza tener conto di alcuna considerazione sentimentale. Il ritratto è quasi giusto, ma comunque un po' forzato. Susan era incantevole, certo, ma vedendola succhiare il cazzo del profeta non avevo sentito nessun aumento di adrenalina, nessuna spinta di rivalità scimmiesca; per quanto mi riguardava, l'effetto non c'era stato e mi sentivo insolitamente calmo.
Mi svegliai verso le cinque del mattino, poco prima dell'alba, e feci una toeletta energica che finii con una doccia gelata; avevo l'impressione, piuttosto difficile da giustificare, e che doveva del resto rivelarsi sbagliata, che mi apprestassi a vivere una giornata decisiva. Mi preparai un caffè nero, che bevvi sulla terrazza osservando la tendopoli che cominciava a destarsi; alcuni adepti si dirigevano verso gli impianti sanitari collettivi.
Nella luce dell'alba, la pianura ciottolosa appariva di un rosso cupo. Lontano, verso oriente, si scorgevano le barriere di protezione; il terreno delimitato dalla setta doveva essere almeno di una decina di chilometri quadrati. Scorrendo il sentiero a tornanti, alcuni metri più in basso, vidi all'improvviso Vincent in compagnia di Susan. Si fermarono sul terrapieno dove avevamo lasciato il minibus il giorno prima, proseguendo una discussione animata. Vincent agitava le mani, sembrava perorare la propria causa, ma parlava a bassa voce e io ero troppo lontano per capire ciò che stava dicendo; lei lo guardava con calma, ma la sua espressione rimaneva inflessibile e quando, voltando il capo, si accorse che li stavo osservando, pose una mano sul braccio di Vincent per farlo tacere. Ritornai all'interno della mia grotta, pensieroso. Mi pareva che Vincent fosse proprio messo male: con lo sguardo limpido che nulla sembrava poter turbare, il corpo atletico e sano di giovane sportiva protestante, la ragazza aveva tutto della fanatica; la si sarebbe potuta immaginare altrettanto bene in un movimento evangelista radicale o in un gruppuscolo di deep ecology; all'occorrenza, doveva essere devota anima e corpo al profeta, e nulla avrebbe potuto convincerla a infrangere il suo voto di servizio sessuale esclusivo. Capii in quel momento perché non avessi mai introdotto delle sette nei miei sketch: è facile ironizzare sugli esseri umani, considerarli come meccanismi burleschi quando sono mossi, banalmente, dalla cupidigia o dal desiderio; quando danno invece l'impressione di essere animati da una fede profonda, da qualcosa che oltrepassa l'istinto di sopravvivenza, il meccanismo si inceppa, il riso viene bloccato fin dall'inizio.
A uno a uno gli adepti uscivano dalle loro tende, con addosso una tunica bianca, e si dirigevano verso l'apertura scavata alla base del picco roccioso, che immetteva in un'immensa grotta naturale in cui si tenevano gli insegnamenti. Molte tende mi sembravano vuote; in realtà dovevo apprendere, nel corso di una conversazione che ebbi alcuni minuti dopo con Sbirro, che il seminario invernale aveva attirato quell'anno solo trecento persone; per un movimento che vantava ottantamila adepti nel mondo, era poco. Attribuiva tale insuccesso al livello troppo alto delle conferenze di Miskiewicz. "Supera completamente la capacità di comprensione delle persone... In un seminario destinato a tutti, sarebbe meglio porre l'accento su emozioni più semplici, più catalizzatrici. Ma il profeta è totalmente affascinato dalla scienza..." concluse con amarezza. Ero sorpreso che si rivolgesse a me con tanta franchezza; la diffidenza dimostrata nei miei confronti durante il seminario di Zwork sembrava essere svanita. A meno che non cercasse in me un alleato: doveva essersi informato, aver capito che ero un vip di primaria importanza, forse destinato a rivestire un ruolo nell'organizzazione, addirittura a influenzare le decisioni del profeta. I suoi rapporti con Scienziato non erano buoni, era evidente, l'altro lo considerava come una sorta di sottufficiale, capace solo di organizzare il servizio d'ordine o di sistemare l'intendenza dei pasti. Durante le loro discussioni, talvolta aspre, Umorista rimaneva elusivo, ironizzava, evitava di prendere posizione, facendo completo affidamento sulla sua relazione personale con il profeta.
La prima conferenza della giornata cominciava alle otto ed era proprio una conferenza di Miskiewicz intitolata: "L'essere umano: materia e informazione". Vedendolo salire sul podio, emaciato, serio, con un fascio di appunti in mano, pensai che sarebbe stato in effetti perfettamente al suo posto in un seminario di studenti postdoc, ma che lì lo era meno. Salutò rapidamente i presenti prima di cominciare la sua esposizione: nessuna strizzata d'occhio al pubblico né battuta di spirito, nemmeno il più piccolo tentativo di produrre un'emozione collettiva, sentimentale o religiosa; solo il sapere allo stato bruto.
Dopo una mezz'ora dedicata al codice genetico (esplorato ormai benissimo) e alle modalità (ancora mal conosciute) della sua espressione nella sintesi delle proteine, ci fu, tuttavia, un piccolo effetto teatrale. Due assistenti, faticando un po', portarono sul tavolo che aveva davanti un contenitore grande all'incirca quanto un sacco di cemento, costituito di sacchetti di plastica trasparenti, giustapposti, di dimensioni diverse, contenenti svariati prodotti chimici - il più grande era pieno di acqua.
"Questo è un essere umano!..." esclamò Scienziato, quasi con enfasi - appresi in seguito che il profeta, tenendo conto delle osservazioni di Sbirro, gli aveva chiesto di drammatizzare un pochino la sua esposizione, lo aveva persino iscritto a un corso di oratoria accelerato, con training video e partecipazione di attori professionisti. "Il contenitore posato su questo tavolo, riprese, ha esattamente la stessa composizione chimica di un essere umano adulto di settanta chili. Come constaterete, siamo soprattutto composti di acqua..." Afferrò uno stiletto e perforò il sacchetto trasparente; si formò un piccolo getto.
"Naturalmente, ci sono grandi differenze..." Lo spettacolo era terminato, Scienziato riprendeva a poco a poco la sua serietà; il sacchetto di acqua si afflosciava lentamente. "Tali differenze, per quanto importanti siano, possono riassumersi in una parola: l'informazione. L'essere umano è materia più informazione.
Oggi la composizione di questa materia ci è nota, grammo più grammo meno: si tratta di elementi chimici semplici, già largamente presenti nella natura inanimata. Anche l'informazione ci è nota, almeno in linea di massima: essa poggia interamente sul DNA, quello del nucleo e quello dei mitocondri.
Il DNA racchiude non soltanto l'informazione necessaria alla costruzione dell'insieme, all'embriogenesi, ma anche quella che pilota e comanda in seguito il funzionamento dell'organismo.
Quindi, perché dovremmo assoggettarci a passare per l'embriogenesi? Perché non fabbricare direttamente un essere umano adulto, partendo dagli elementi chimici necessari e dallo schema fornito dal DNA? Questa è, ovviamente, la strada che imboccheremo in futuro. Gli uomini del futuro nasceranno direttamente in un corpo adulto, un corpo di diciotto anni, ed è questo modello che verrà riprodotto in seguito, è sotto questa forma ideale che raggiungeranno, che voi e io raggiungeremo l'immortalità, se le mie ricerche avanzeranno rapidamente come spero. La clonazione non è che un metodo primitivo, direttamente ricalcato sul modo di riproduzione naturale; lo sviluppo dell'embrione non apporta nulla, se non una possibilità di malformazioni e di errori; dal momento che disponiamo del piano di costruzione e dei materiali necessari, diventa una tappa inutile."
"Non è la stessa cosa," proseguì, "ed è un punto su cui attiro la vostra attenzione, per il cervello umano. Ci sono effettivamente alcuni precablaggi grossolani; alcuni elementi base di attitudini e tratti del carattere sono già inscritti nel codice genetico; ma essenzialmente la personalità umana, ciò che costituisce la nostra individualità e la nostra memoria, si forma a poco a poco durante tutta la nostra vita, per attivazione e rafforzamento chimico di sottoreti neuronali e di sinapsi funzionali.
In poche parole, è la storia individuale a creare l'individuo."
Dopo un pasto frugale quanto il precedente, presi posto accanto al profeta nella sua Range Rover. Miskiewicz salì davanti, e una delle guardie prese il volante. La pista continuava dopo la tendopoli, scavata nella roccia; una nuvola di polvere rossa ci avvolse rapidamente. Dopo un quarto d'ora, il veicolo si fermò davanti a un parallelepipedo a sezione quadrata, di un bianco immacolato, privo di aperture, che poteva misurare venti metri di lato e dieci di altezza. Miskiewicz azionò un telecomando; una porta massiccia, dai cardini invisibili, ruotò nella parete.
All'interno, giorno e notte, per tutto l'anno regnavano temperatura e luminosità uniformi e costanti, mi spiegò Scienziato. Una scala ci condusse in alto a una larga corsia che faceva il giro dell'edificio, passando davanti a una serie di uffici.
Gli armadi metallici incassati nei muri erano pieni di DVD di dati etichettati con cura. Il piano inferiore non racchiudeva altro che un emisfero di plastica trasparente, irrigato da centinaia di tubi, anch'essi trasparenti, che portavano a contenitori di lucido acciaio.
"Questi tubi contengono le sostanze chimiche necessarie alla fabbricazione di un essere vivente," proseguì Miskiewicz.
"Carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, e i vari oligoelementi..."
"È in questa bolla trasparente," aggiunse il profeta in tono vibrante, "che nascerà il primo uomo concepito in maniera interamente artificiale; il primo autentico cyborg!"
Lanciai uno sguardo attento ai due uomini: per la prima volta da quando lo avevo incontrato il profeta ostentava la massima serietà, sembrava anche lui impressionato, e quasi intimidito, dalle prospettive che si aprivano per il futuro.
Miskiewicz, dal canto suo, pareva del tutto sicuro di sé, e desideroso di proseguire le sue spiegazioni: all'interno di quella sala era lui il vero capo, il profeta non aveva più il diritto di aprire bocca. Mi resi conto allora che la creazione del laboratorio era dovuta costare parecchio, che probabilmente doveva finire lì la maggior parte delle quote e degli utili, che quella sala insomma era la vera ragion d'essere della setta. In risposta alle mie domande, Miskiewicz precisò che erano già in grado di realizzare la sintesi dell'insieme delle proteine e dei fosfolipidi complessi coinvolti nel funzionamento cellulare; che erano riusciti ugualmente a riprodurre l'insieme degli organuli, a eccezione dell'apparato di Golgi (eccezione che supponeva molto temporanea); ma che si scontravano ancora con difficoltà impreviste nella sintesi della membrana plasmatica, e che al momento non erano dunque in grado di produrre una cellula vivente completamente funzionale. Alla mia domanda se fossero in anticipo rispetto alle altre squadre di ricerca, aggrottò le sopracciglia; a quanto pareva, non avevo capito: non erano soltanto in anticipo, erano l'unica squadra al mondo che lavorasse su una sintesi artificiale, in cui il DNA non sarebbe più servito allo sviluppo dei foglietti embrionali, ma sarebbe stato utilizzato unicamente per l'informazione che permetteva di pilotare le funzioni dell'organismo compiuto. Era questo, per l'appunto, che doveva consentire di aggirare lo stadio dell'embriogenesi e di fabbricare direttamente degli individui adulti.
Finché si fosse rimasti vincolati allo sviluppo biologico normale, ci sarebbero voluti circa diciotto anni per costruire un nuovo essere umano; una volta padroneggiato l'insieme dei processi, pensava di poter ridurre questo tempo di attesa a meno di un'ora.
DANIEL25,5
Ci vollero in realtà tre secoli di lavori per raggiungere l'obiettivo che Miskiewicz aveva fissato fin dai primi anni del XXI secolo, e le prime generazioni neoumane furono ottenute per mezzo della clonazione, da cui aveva pensato di potersi liberare molto più in fretta. Resta il fatto che le sue intuizioni embriologiche risultarono, nel lungo termine, di una straordinaria fecondità, il che doveva purtroppo indurre ad accordare lo stesso credito alle sue idee sulla modellizzazione del funzionamento cerebrale. La metafora del cervello umano come macchina di Turing a cablaggio indefinito doveva rivelarsi in fin dei conti assolutamente sterile; nella mente umana esistevano proprio dei processi non algoritmici, come in realtà avrebbe già dovuto indicare l'esistenza, stabilita da Godei fin dal 1930, di proposizioni non dimostrabili che potevano tuttavia essere riconosciute come vere senza ambiguità. Ci vollero però, ancora una volta, quasi tre secoli per abbandonare questo tipo di ricerca e per rassegnarsi a utilizzare gli antichi meccanismi del condizionamento e dell'apprendimento - evoluti tuttavia, e resi più rapidi e più affidabili grazie all'iniezione nel nuovo organismo delle proteine estratte dall'ippocampo dell'organismo antico. Questo metodo ibrido fra il biochimico e il proposizionale mal corrisponde all'istanza di rigore espressa da Miskiewicz e dai suoi primi successori; esso ha soltanto l'ambizione di rappresentare, secondo la formula operazionalista e un tantino insolente di Pierce, "ciò che possiamo fare di meglio, nel mondo reale, tenuto conto dello stato effettivo delle nostre conoscenze".
DANiEL 1,17
Una volta iniettato nello spazio di memoria dell'applicazione,
è possibile modificare il suo comportamento.
kdm. fr. st
I primi due giorni furono occupati principalmente dalle conferenze di Miskiewicz; l'aspetto spirituale o emozionale era quasi assente, e cominciavo a capire le obiezioni di Sbirro: mai, in nessun momento della storia umana, una religione aveva potuto acquistare ascendente sulle masse rivolgendosi unicamente alla ragione. Il profeta stesso se ne stava un po' in disparte, lo incrociavo soprattutto ai pasti, rimaneva la maggior parte del tempo nella sua grotta e immagino che i fedeli dovessero essere un po' delusi.
Tutto cambiò il mattino del terzo giorno, che doveva trascorrere nel digiuno ed essere dedicato alla meditazione. Verso le sette fui svegliato dal suono malinconico e grave di trombe tibetane che suonavano una melodia molto semplice, su tre note tenute indefinitamente. Uscii sulla terrazza; spuntava il giorno sulla pianura ciottolosa. A uno a uno gli elohimiti uscivano dalle tende, srotolavano una stuoia sul terreno e si sdraiavano, collocandosi attorno a un podio su cui i due suonatori di tromba affiancavano il profeta seduto nella posizione del loto.
Come gli adepti, indossava una lunga tunica bianca; ma mentre la loro era di una tela di cotone ordinaria, la sua era di satin bianco, brillante, che sfavillava nella luce del giorno nascente.
Dopo uno o due minuti, il profeta si mise a parlare con voce lenta, profonda, che, largamente amplificata, si fece facilmente udire sopra il suono delle trombe. Con parole semplici, esortò gli ascoltatori a prendere coscienza della terra su cui erano distesi, a immaginare l'energia vulcanica che ne emanava, quell'energia incredibile, superiore a quella delle bombe atomiche più potenti; a impadronirsi di quell'energia, ad assimilarla nei loro corpi destinati all'immortalità.
Poi chiese agli adepti di spogliarsi delle tuniche, di presentare i corpi nudi al sole; di immaginare l'energia colossale dell'astro, fatta di milioni di reazioni termonucleari simultanee energia che era anche quella di tutte le stelle.
Li sollecitò anche a scendere sotto la loro pelle, nel profondo del corpo, a cercare di visualizzare le loro cellule con la meditazione, ad arrivare addirittura al nucleo cellulare, che racchiudeva quel DNA depositario delle loro informazioni genetiche. Li invitò a prendere coscienza del loro DNA, a imbeversi dell'idea che esso racchiudeva il loro schema, lo schema di costruzione del loro corpo, e che tali informazioni, a differenza della materia, erano immortali. Li esortò a immaginare tali infomazioni che attraversavano i secoli in attesa degli Elohim, che avrebbero avuto il potere di ricostituire il loro corpo grazie alla tecnologia che avevano sviluppato e alle informazioni contenute nel DNA. Chiese loro di immaginare il momento del ritorno degli Elohim, e il momento in cui essi stessi, dopo un periodo di attesa simile a un lungo sonno, sarebbero ritornati alla vita.
Attesi la fine della seduta di meditazione per unirmi alla folla che si dirigeva verso la grotta in cui avevano avuto luogo le conferenze di Miskiewicz; fui sorpreso dall'allegria effervescente, un po' anormale, che sembrava essersi impadronita dei partecipanti; molti si rivolgevano la parola ad alta voce e si fermavano per tenersi abbracciati qualche attimo, altri avanzavano saltellando, altri ancora camminavano intonando un'allegra melopea. Davanti alla grotta era stato teso uno striscione che recava la scritta: "PRESENTAZIONE DELL'AMBASCIATA", in lettere variopinte. Accanto all'entrata, mi imbattei in Vincent, che sembrava ben lontano dal fervore generale; come vip, eravamo senza dubbio dispensati dalle emozioni religiose comuni, pensai. Ci infilammo in mezzo agli altri, e gli scoppi di voci cessarono mentre uno schermo gigante, di trenta metri di base, si srotolava lungo la parete di fondo; poi si fece buio.
I progetti dell'ambasciata erano stati ideati con l'aiuto di software di progettazione 3D, probabilmente AutoCad e Freehand; appresi in seguito con sorpresa che il profeta aveva fatto tutto da solo. Benché ignorantissimo in quasi tutti i campi, era appassionato di informatica, e non solo di videogiochi; aveva acquisito una buona padronanza dei software di progettazione grafica professionali - aveva per esempio realizzato personalmente il sito della setta con l'aiuto di Dreamweaver MX, arrivando persino a scrivere un centinaio di pagine di codice HTML. Nel progetto dell'ambasciata come nella concezione del sito, aveva comunque dato libero sfogo al suo gusto naturale per la bruttezza; accanto a me, Vincent emise un gemito di dolore, poi abbassò il capo e tenne ostinatamente lo sguardo fisso sulle ginocchia durante tutta la durata della proiezione, cioè per poco più di una mezz'ora.
Le diapositive si susseguivano, di solito collegate da passaggi in forma di esplosione e di ricomposizione dell'immagine, il tutto accompagnato da ouverture di Wagner in versione techno a tutto volume. La maggior parte delle sale dell'ambasciata presentava la forma di solidi perfetti, andando dal dodecaedro all'icosaedro; la gravità, probabilmente per convenzione d'artista, vi era abolita, e lo sguardo del visitatore virtuale vagava liberamente dall'alto in basso nelle stanze separate da jacuzzi sovraccariche di gemme, e ornate alle pareti di stampe pornografiche di un realismo nauseante.
Alcune sale avevano delle vetrate che davano su un paesaggio di prati lussureggianti, punteggiati di fiori variopinti, e mi chiedevo proprio come contasse di fare per ottenere un risultato simile, in mezzo al paesaggio radicalmente arido di Lanzarote; vista la resa iperrealistica dei fiori e dei fili d'erba, finii col rendermi conto che non sarebbe stato quel genere di dettaglio a poterlo fermare, e che avrebbe usato probabilmente dei prati artificiali.
Seguì un finale in cui ci si librava in aria, scoprendo la struttura globale dell'ambasciata - una stella a sei punte ricurve , e poi, in una carrellata all'indietro vertiginosa, le Canarie e l'insieme della superficie del globo, mentre risuonavano le prime battute di Così parlò Zarathustra. Poi calò il silenzio, mentre sullo schermo si susseguivano immagini confuse di ammassi galattici. Anche tali immagini scomparvero, e un cerchio di luce piovve sul podio per accompagnare l'apparizione del profeta, saltellante e risplendente nel suo costume da cerimonia di satin bianco, con degli sproni che scintillavano come diamanti.
Un'immensa ovazione percorse la sala, tutti si alzarono applaudendo e gridando: "Bravo!" Mi sentii obbligato anch'io, assieme a Vincent, ad alzarmi e ad applaudire. Il delirio durò almeno venti minuti: a tratti gli applausi scemavano, sembravano spegnersi; poi una nuova ondata riprendeva, ancora più forte, proveniente soprattutto da un gruppetto riunito nelle prime file attorno a Sbirro, e si propagava all'intera sala. Ci furono così cinque diminuzioni e poi cinque riprese, prima che il profeta allargasse le braccia, sentendo probabilmente che il fenomeno avrebbe finito con lo smorzarsi. Si fece subito silenzio. Con voce profonda, devo dire piuttosto impressionante (ma la sonorizzazione esagerava con gli echi e i bassi), intonò le prime battute del canto di accoglienza agli Elohim. Parecchi, attorno a me, ripeterono le parole sottovoce.
"Noi ri- co- strui- remo l'am- ba- sciata...": la voce del profeta cominciò una salita verso le note alte. "Con l'a- iu- to di coloro che vi amano": cantavano in numero sempre maggiore attorno a me. "I suoi pila- stri e i suoi colon- nati": il ritmo si fece più indeciso e più lento, prima che il profeta riprendesse, con voce trionfale, potentemente amplificata, che risuonò in tutto lo spazio della grotta: "La nuova Ge- ru- sa- lemme!..." Lo stesso mito, lo stesso sogno, sempre altrettanto potente dopo tre millenni. "E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi..." Un moto di emozione percorse la folla e tutti ripresero, imitando il profeta, su tre note, il ritornello, che consisteva in un'unica parola, ripetuta indefinitamente: "EeeelooohimL.
Eeee- looo- him!..." Sbirro, con le braccia protese al cielo, cantava con voce possente. Ad alcuni metri da me, scorsi Patrick, con gli occhi chiusi dietro gli occhiali e le mani allargate in un atteggiamento quasi estatico, mentre al suo fianco Fadiah, ritrovando probabilmente i riflessi dei suoi antenati pentecostali, si contorceva sul posto salmodiando parole incomprensibili.
Una nuova meditazione ebbe luogo, questa stavolta nel silenzio e nell'oscurità della grotta, prima che il profeta riprendesse la parola. Tutti lo ascoltavano non solo con raccoglimento, ma con una gioia muta, adorante, che confinava con il rapimento estatico puro. Penso fosse soprattutto dovuto al tono della sua voce, morbida e lirica, che segnava ora pause tenere e meditative, ora dei crescendo di entusiasmo; anche il suo discorso mi parve dapprima un po' sconnesso, partendo dalla diversità delle forme e dei colori nel mondo animale (ci invitò a meditare sulle farfalle, che sembravano avere come unica ragione d'essere quella di stupirci con il loro volo cangiante) per arrivare alle buffe abitudini riproduttive tipiche di svariate specie animali (si dilungò per esempio su quella specie di insetti in cui il maschio, cinquanta volte più piccolo della femmina, trascorreva la vita come parassita nell'addome di quest'ultima prima di uscirne, a tempo debito, per fecondarla e poi morire; doveva avere nella sua biblioteca un libro del genere Etologia divertente, suppongo che il titolo esistesse per tutte le discipline). Tale accumulo disordinato conduceva però a un'idea forte, che ci espose subito dopo: gli Elohim, che avevano creato noi e l'insieme della vita su questo pianeta, erano senza alcun dubbio scienziati di altissimo livello, e noi, prendendo esempio da loro, dovevamo onorare la scienza, base di ogni realizzazione pratica, dovevamo rispettarla e darle i mezzi necessari al suo sviluppo, e dovevamo più specificamente rallegrarci di avere fra noi uno dei più eminenti scienziati mondiali (indicò Miskiewicz, che si alzò e salutò la folla con freddezza, fra un uragano di applausi); ma, se gli Elohim tenevano la scienza in grande considerazione, erano comunque e innanzitutto degli artisti: la scienza non era che il mezzo indispensabile alla realizzazione di quella favolosa diversità vitale, che poteva essere considerata una vera e propria opera d'arte, la più grandiosa di tutte. Solo grandissimi artisti avevano potuto concepire una tale esuberanza, una tale bellezza, una diversità e una fantasia estetica così mirabili. "È dunque anche per noi un immenso onore, proseguì il profeta, avere al nostro fianco durante questo seminario due artisti di grandissimo talento, riconosciuti a livello mondiale..." Fece un cenno nella nostra direzione . Vincent si alzò esitante; io lo imitai. Dopo un attimo di perplessità, le persone attorno a noi si scostarono e fecero cerchio per applaudirci, con larghi sorrisi. Scorsi Patrick, a qualche metro; mi applaudiva con calore e sembrava sempre più commosso.
"La scienza, l'arte, la creazione, la bellezza, l'amore... Il gioco, la tenerezza, le risa... Miei cari amici, com'è bella la vita!
Com'è meravigliosa e come vorremmo vederla durare eternamente!...
Ciò, miei cari amici, sarà possibile, sarà possibile molto presto... La promessa è stata fatta e verrà mantenuta." Dopo queste parole di una tenerezza anagogica, tacque, rimanendo silenzioso alcuni istanti prima di intonare di nuovo il canto di accoglienza agli Elohim. Stavolta l'intero pubblico lo accompagnò con forza, battendo lentamente le mani; Vincent, al mio fianco, cantava a squarciagola, e anch'io ero sul punto di condividere quella autentica emozione collettiva.
Il digiuno finiva alle ventidue, grandi tavoli erano stati apparecchiati sotto le stelle. Eravamo invitati a sederci a caso, senza tener conto delle nostre relazioni e amicizie abituali, cosa tanto più facile dato che il buio era quasi totale. Il profeta prese posto a un tavolo collocato su una pedana, e tutti chinarono il capo mentre pronunciava alcune parole sulla diversità dei gusti e dei sapori, altra fonte di piaceri che la giornata di digiuno ci avrebbe permesso di apprezzare ancor di più; menzionò anche la necessità di masticare lentamente. Poi, cambiando argomento, ci invitò a concentrarci sulla meravigliosa persona umana che avremmo trovato di fronte a noi, su tutte quelle meravigliose persone umane, nello splendore delle loro individualità magnificamente sviluppate, la cui diversità ci prometteva una varietà straordinaria di incontri, di gioie e di piaceri.
Con un leggero sibilo, un leggero ritardo, delle lampade a gas, poste accanto ai tavoli, si accesero. Rialzai gli occhi: nel mio piatto c'erano due pomodori; davanti a me c'era una bellissima ragazza di una ventina d'anni, dalla pelle molto bianca, dai tratti di una purezza che ricordava Botticelli; i capelli folti e neri le scendevano leggermente ondulati fino alla vita. Stette al gioco per qualche minuto, mi sorrise, mi rivolse la parola, cercò di saperne di più sulla meravigliosa persona umana che potevo essere; lei si chiamava Francesca, era italiana, veniva più precisamente dall'Umbria, ma studiava a Milano; conosceva l'insegnamento elohimita da due anni. Il suo amichetto, che era seduto alla sua destra, intervenne però presto nella conversazione; lui si chiamava Gianpaolo, faceva l'attore - insomma recitava in spot pubblicitari, talvolta in qualche telefilm, era cioè pressappoco allo stadio di Esther. Anche lui era molto bello, con capelli di media lunghezza, castani con riflessi dorati, e un viso che si doveva di certo trovare in alcuni primitivi italiani di cui per il momento mi sfuggiva il nome; era pure piuttosto ben piantato, i bicipiti e i pettorali abbronzati gli si disegnavano nettamente sotto la T- shirt. A titolo personale era buddhista, ed era venuto a quel seminario solo per curiosità la sua prima impressione, del resto, era buona. Si disinteressarono di me piuttosto in fretta e avviarono una conversazione animata in italiano. Non solo formavano una coppia splendida, ma sembravano sinceramente innamorati. Erano ancora in quel momento incantevole in cui si scopre l'universo dell'altro, in cui si ha bisogno di potersi meravigliare di ciò che lo meraviglia, divertire di ciò che lo diverte; in cui si cerca di condividere ciò che lo distrae, lo indigna, lo rallegra. Lei lo guardava con il tenero rapimento della donna che si sa scelta da un uomo, che ne prova gioia, che non si è ancora del tutto abituata all'idea di avere un uomo al fianco, un compagno per proprio uso esclusivo, e che pensa che la vita sarà dolcissima.
Il pasto fu come al solito frugale: due pomodori, del taboulé, un pezzo di formaggio di capra. Ma, una volta sparecchiati i tavoli, le dodici fidanzate avanzarono fra i commensali, vestite di lunghe tuniche bianche, portando anfore che contenevano un liquore zuccherato a base di mele. Un'euforia comunicativa, fatta di molteplici conversazioni spezzate, leggere contagiava i presenti; parecchi canticchiavano sottovoce. Patrick venne verso di me e mi si accovacciò accanto promettendo che ci saremmo rivisti spesso in Spagna, che saremmo diventati veri amici, che sarei potuto andare a trovarlo in Lussemburgo.
Quando il profeta si alzò per prendere di nuovo la parola, ci furono dieci minuti di applausi entusiastici; la sua sagoma argentea, sotto i riflettori, era circondata da un alone scintillante.
Ci invitò a meditare sulla pluralità dei mondi; a volgere i nostri pensieri verso le stelle che eravamo in grado di vedere, ciascuna circondata da pianeti; a immaginare la diversità delle forme di vita che popolavano quei pianeti, le vegetazioni strane, le specie animali di cui ignoravamo tutto, e le civiltà intelligenti, alcune delle quali, come quella degli Elohim, erano molto più avanzate della nostra, e non chiedevano che di condividere con noi il loro sapere, di accoglierci per abitare l'universo in loro compagnia nel piacere, nel rinnovamento permanente e nella gioia. La vita, concluse il profeta, era meravigliosa in tutto, e spettava soltanto a noi fare in modo che ogni istante fosse degno di essere vissuto.
Quando scese dal podio, tutti si alzarono e al suo passaggio si formò un'ala di discepoli che agitavano le braccia verso il cielo ripetendo: "Eeee- looo- hiiiim!..." con voce forte; alcuni ridevano senza riuscire a fermarsi, altri scoppiavano in singhiozzi.
Arrivato all'altezza di Fadiah, il profeta si fermò e le sfiorò leggermente i seni. Lei ebbe un sussulto gioioso e lanciò una specie di: "Yeeep!..." Se ne andarono insieme, fendendo la folla dei discepoli che cantavano e applaudivano fragorosamente.
"È la terza volta! La terza volta che viene scelta!..." mi sussurrò Patrick con fierezza. Mi informò allora che capitava che il profeta concedesse a una comune adepta, oltre alle sue dodici fidanzate, l'onore di trascorrere una notte in sua compagnia.
L'eccitazione si calmava a poco a poco, gli adepti tornavano alle loro tende. Patrick si asciugò le lenti degli occhiali, che erano bagnate di lacrime, poi mi circondò le spalle con un braccio, volgendo lo sguardo al cielo. Era una notte eccezionale, mi disse; percepiva ancora meglio del solito le onde venute dalle stelle, le onde piene dell'amore che nutrivano per noi gli Elohim. Era convinto che sarebbero ritornati fra noi in una notte simile. Non sapevo bene che cosa rispondergli. Non solo non avevo mai aderito a una qualunque credenza religiosa, ma non ne avevo nemmeno mai considerato la possibilità. Per me, le cose erano esattamente ciò che sembravano essere: l'uomo era una specie animale, discesa da altre specie animali con un processo di evoluzione tortuoso e penoso; era composto di materia configurata in organi, e dopo la sua morte tali organi si decomponevano, trasformandosi in molecole più semplici; non rimaneva alcuna traccia di attività cerebrale, di pensiero, né ovviamente qualcosa che potesse essere assimilato a uno spirito o a un'anima. Il mio ateismo era così monolitico, così radicale che non ero nemmeno mai riuscito a prendere totalmente sul serio quegli argomenti. Durante gli anni di liceo, quando discutevo con un cristiano, un musulmano o un ebreo, avevo sempre avuto la sensazione che la loro fede fosse da prendere in certo qual modo con le molle; che non credessero ovviamente in senso proprio alla realtà dei dogmi esposti, ma che si trattasse di un segno di riconoscimento, di una sorta di parola d'ordine per avere accesso alla comunità dei credenti - un po' come avrebbero potuto fare la grunge music o Doom per gli amanti di tale gioco. La serietà pesante che talvolta mettevano nei dibattiti fra posizioni teologiche egualmente assurde sembrava contrastare questa ipotesi; ma, in fondo, lo stesso si poteva dire dei veri amanti di un gioco: per un giocatore di scacchi o un partecipante davvero coinvolto in un gioco di ruolo, lo spazio fittizio del gioco è una cosa del tutto seria, si può persino dire che per lui non esista nient'altro, durante il gioco perlomeno.
L'irritante enigma rappresentato dai credenti mi si riproponeva dunque, praticamente negli stessi termini, per gli elohimiti.
Naturalmente, in certi casi si poteva mettere fine al dilemma con facilità. Scienziato, per esempio, non poteva ovviamente prendere sul serio quelle fanfaluche, e aveva ottime ragioni per restare nella setta: tenuto conto del carattere eterodosso delle sue ricerche, non avrebbe mai potuto ottenere altrove finanziamenti così importanti e un laboratorio fornito di equipaggiamenti così moderni. Gli altri dirigenti (Sbirro, Umorista e naturalmente il profeta) traevano anche loro un beneficio materiale dall'appartenenza alla setta. Il caso di Patrick era più curioso. Certo, la setta elohimita gli aveva permesso di trovare un'amante dall'erotismo esplosivo, e probabilmente calda come pareva esserlo - il che non avrebbe avuto altrimenti nulla di ovvio: la vita sessuale dei banchieri e dei dirigenti d'industria, malgrado tutto il loro denaro, è di solito assolutamente miserabile, devono accontentarsi di brevi appuntamenti pagati ad altissimo prezzo con delle escort girls che li disprezzano e non mancano mai di far sentire loro il disgusto fisico che ispirano. A ogni modo Patrick sembrava manifestare una fede reale, una speranza non simulata nell'eternità di delizie che il profeta lasciava intravedere; in un uomo dal comportamento peraltro improntato a una così grande razionalità borghese, era inquietante.
Prima di addormentarmi, ripensai a lungo al caso di Patrick e a quello di Vincent. Dalla prima sera, costui non mi aveva più rivolto la parola. Risvegliandomi presto l'indomani mattina, lo vidi di nuovo scendere il sentiero che serpeggiava lungo la collina in compagnia di Susan; anche questa volta sembravano impegnati in una discussione sterile. Si separarono all'altezza del primo terrapieno, con un cenno del capo, e Vincent tornò indietro in direzione della sua camera. Lo aspettavo accanto all'entrata; scorgendomi, sobbalzò. Lo invitai a prendere un caffè da me; colto di sorpresa, accettò. Mentre l'acqua si scaldava, apparecchiai il tavolino della terrazza. Il sole squarciava a fatica i cupi nuvoloni gibbosi; un sottile raggio viola correva sopra la linea dell'orizzonte. Gli versai il caffè; lui vi aggiunse una zolletta di zucchero, e lo mescolò pensieroso. Mi sedetti di fronte a lui che, in silenzio e con gli occhi bassi, si portò la tazza alle labbra. "Sei innamorato di Susan?" gli chiesi a bruciapelo.
Vincent levò verso di me uno sguardo ansioso. "Si vede così tanto?" chiese dopo un lungo silenzio. Annuii.
"Dovresti cercare di prendere un po' le distanze..." dissi, e il mio tono posato sembrava indicare una lunga riflessione preliminare, mentre ci avevo appena pensato per la prima volta, ma proseguii sullo slancio: "Si potrebbe fare un'escursione sull'isola..."
"Intendi dire... uscire dall'accampamento?"
"È vietato?"
"No... No, non credo. Bisognerebbe domandare a Jéròme come fare..." La prospettiva sembrava comunque inquietarlo un po'.
"Certo che sì! Certo che sì! " esclamò Sbirro di buonumore.
"Non siamo mica in prigione, qui! Chiederò a qualcuno di accompagnarvi ad Arrecife; o forse all'aeroporto, sarà più pratico per noleggiare un'auto."
"Tornate stasera però?" chiese nel momento in cui salivamo nel minibus. "È solo per sapere..." Non avevo alcun progetto preciso, se non quello di riportare Vincent per una giornata nel mondo normale, cioè quasi ovunque; cioè, tenuto conto del posto in cui ci trovavamo, piuttosto verosimilmente in spiaggia. L'artista manifestava una docilità e una mancanza d'iniziativa sorprendenti; il noleggiatore di auto ci aveva fornito una carta dell'isola. "Potremmo andare alla spiaggia di Teguise..." dissi. "È la cosa più semplice." Non si prese nemmeno la briga di rispondermi.
Aveva portato comunque un costume da bagno e un asciugamano, e si sedette senza protestare fra due dune, sembrava persino pronto a trascorrervi tutta la giornata se bisognava.
"Ci sono molte altre donne..." dissi tanto per avviare la conversazione, prima di rendermi conto che la cosa non aveva nulla di ovvio. Eravamo in bassa stagione, potevano esserci una cinquantina di persone nel nostro campo visivo: adolescenti dal corpo attraente, accompagnate da ragazzi; e madri di famiglia dal corpo già meno attraente, accompagnate da bambini.
La nostra appartenenza a uno spazio comune era destinata a rimanere puramente teorica; nessuna di quelle persone si muoveva in una sfera reale con cui potessimo interagire in una maniera o nell'altra; ai nostri occhi avevano la stessa esistenza delle immagini su uno schermo cinematografico, forse neppure. Cominciavo a sentire che quella escursione nel mondo normale era destinata al fallimento quando mi resi conto che rischiava per giunta di finire in maniera piuttosto spiacevole.
Non lo avevo fatto apposta, ma ci eravamo sistemati sul pezzo di spiaggia riservato a un club Thomson Holidays. Tornando dal mare, un po' freddo, in cui non ero riuscito a entrare, mi accorsi che un centinaio di persone si erano ammassate attorno a un podio su cui era stata piazzata una sonorizzazione volante. Vincent non si era mosso; seduto in mezzo all'assembramento, considerava l'agitazione generale con una perfetta indifferenza. "Miss Bikini Contest" lessi, mentre lo raggiungevo, su uno striscione teso sopra il podio. Infatti, una decina di troiette fra i tredici e i quindici anni aspettavano dimenandosi e lanciando gridolini accanto a una delle scalette che portavano al podio. Dopo uno stacco musicale spettacolare, uno spilungone nero vestito come una scimmia da circo balzò sul podio e invitò le ragazze a fare altrettanto. "Ladies and Gentlemen, boys and girls," urlò nel suo microfono HF, "welcome to thè "Miss Bikinì contest! Have we got some sexy girls for you today!..." Si voltò verso la prima ragazza, un'adolescente longilinea, con un bikini bianco ridottissimo e lunghi capelli rossicci. "What'syourname?" le chiese. "Ilona," rispose la ragazza. "A beautiful namefor a beautifui girl!" commentò con brio il presentatore. "And where are you from, Ilona?" Veniva da Budapest. "Budaaa- pest! That tity's hoooot!" esclamò ruggendo di entusiasmo; la ragazza scoppiò a ridere con nervosismo. Il nero continuò con la seguente, una russa biondo platino, ben tornita malgrado i suoi quattordici anni, e che aveva l'aria di una vera porca, poi pose due o tre domande a tutte le altre, saltellando e pavoneggiandosi nel suo smoking di lamé argento, moltiplicando le battute più o meno oscene.
Lanciai uno sguardo disperato a Vincent: era al proprio posto in quell'animazione balneare quasi quanto Samuel Beckett in un videoclip di rap. Fatto il giro delle ragazze, il nero si voltò verso quattro sessantenni panciuti, seduti dietro un tavolino disseminato di fogli e li indicò al pubblico con enfasi: "And judgingtheeem... is ourinternationaljury!... The four members ofourpanel bave been around thè worlàafew times - that's thè leastyou can say! They know what sexy boys andgirls look like!
Ladies and Gentlemen, a special hand for our experts"..." Ci furono alcuni deboli applausi, mentre i senior così ridicolizzati facevano segno alle loro famiglie presenti fra il pubblico. A questo punto cominciò il concorso vero e proprio: una dopo l'altra, le ragazze sfilarono sulla pedana in bikini effettuando una sorta di danza erotica: ancheggiavano, si spalmavano di olio solare, giocavano con le spalline dei reggiseni, ecc. La musica era della house a tutto volume. Ecco fatto: eravamo nel mondo normale. Ripensai a ciò che mi aveva detto Isabelle la sera del nostro primo incontro: un mondo di eterni kids. Il nero era un kid adulto, i membri della giuria dei kids senescenti; lì non c'era nulla che potesse realmente incitare Vincent a riprendere il proprio posto nella società. Gli proposi di andarcene nel momento in cui la russa si ficcava una mano nello slip; Vincent accettò con indifferenza.
Su una carta geografica 1 : 200.000, in particolare su una carta Michelin, tutto sembra bello; le cose si guastano su una carta in scala più grande, come quella che avevo di Lanzarote: vi si distinguono gli alberghi e le infrastrutture destinate al divertimento. In scala 1:1, ci si ritrova nel mondo normale, il che non ha nulla di divertente; ma, se si ingrandisce ancora, si precipita nell'incubo: si cominciano a vedere gli acari, le micosi, i parassiti che rodono le carni. Verso le due, eravamo di ritorno al centro.
"Perfetto! Perfetto!" Sbirro ci accolse pieno di entusiasmo; il profeta aveva per l'appunto deciso all'improvviso di organizzare per quella sera una cenetta per le personalità presenti, cioè per tutti coloro che potevano essere, in un modo o nell'altro, in contatto con i media o con il pubblico. Umorista, al suo fianco, scuoteva vigorosamente il capo facendomi delle strizzatine d'occhio come per suggerire che non bisognava prendere la cosa troppo sul serio. In realtà, contava parecchio su di me, penso, per risollevare la situazione; come responsabile dei rapporti con la stampa, fino a quel momento aveva conosciuto solo dei fiaschi: nel migliore dei casi, la setta veniva presentata come un insieme di mentecatti e di ufologi; nel peggiore come un'organizzazione pericolosa che diffondeva tesi che flirtavano con l'eugenetica, addirittura con il nazismo; quanto al profeta, veniva regolarmente messo in ridicolo per la serie di fallimenti nelle sue carriere precedenti (pilota da corsa, cantante di varietà...). A dirla breve, un vip un po' consistente come me era per loro una fortuna insperata, una bombola di ossigeno.
Una decina di persone erano riunite nella sala da pranzo; riconobbi Gianpaolo, accompagnato da Francesca. Doveva probabilmente l'invito alla sua carriera di attore, per quanto modesta fosse; con ogni evidenza, bisognava prendere "personalità" nel senso lato della parola. Riconobbi pure una donna di una cinquantina d'anni, dai capelli biondo platino, piuttosto in carne, che aveva interpretato il canto di accoglienza agli Elohim con un'intensità sonora a stento sostenibile; mi si presentò come una cantante d'opera, o più esattamente una corista. Avevo il posto d'onore, proprio di fronte al profeta che mi accolse con cordialità, ma sembrava teso, ansioso, lanciava sguardi agitati in tutte le direzioni; si calmò un po' quando Umorista gli si sedette accanto. Vincent si accomodò alla mia destra, lanciando uno sguardo acuto al profeta che modellava delle palline con la mollica e le faceva rotolare meccanicamente sulla tavola; adesso sembrava stanco, assente, per una volta dimostrava tutti i suoi sessantacinque anni. "I media ci detestano..." disse con amarezza. "Se dovessi scomparire ora, non so che cosa resterebbe della mia opera. Sarebbe la disfatta..." Umorista, che si apprestava a piazzare una battuta qualunque, si voltò verso di lui, si accorse dal tono della sua voce che parlava seriamente, e rimase a bocca aperta. Il viso piatto come un ferro da stiro, il nasino, i capelli radi e dritti lo predisponevano a interpretare il ruolo del buffone, faceva parte di quegli esseri sgraziati di cui persino la disperazione non può essere presa del tutto sul serio; ciò non toglie che nel caso di un crollo improvviso della setta la sua sorte non avrebbe avuto nulla di molto invidiabile, non ero nemmeno certo che disponesse di un'altra fonte di entrate.
Viveva con il profeta a Santa Monica, nella stessa casa occupata dalle sue dodici fidanzate. Non aveva una vita sessuale, e più generalmente non faceva gran che delle proprie giornate; la sua unica eccentricità consisteva nel farsi inviare dalla Francia il suo salame all'aglio, poiché i negozi di Delikatessen californiani gli parevano insufficienti; inoltre collezionava ami, e appariva tutto sommato come una misera marionetta, svuotata di ogni desiderio personale come di ogni sostanza viva, che il profeta teneva al suo fianco per un vago spirito di carità, per risaltare e per avere uno su cui sfogarsi all'occasione.
Le fidanzate del profeta fecero il loro ingresso, recando piatti di antipasti; probabilmente per rendere omaggio al carattere artistico dei presenti, avevano sostituito le tuniche con tenute da impudenti fate Melusine: cappelli conici disseminati di stelle e abiti aderenti di paillette argentate che lasciavano scoperte le natiche. Quella sera era stato fatto uno sforzo per la cucina, c'erano piccoli pàté di carne e zakuski misti.
Meccanicamente, il profeta accarezzò le natiche della bruna che gli serviva gli zakuski, ma la cosa non sembrò risollevargli il morale; nervosamente ordinò che gli servissero subito il vino, ne tracannò in un fiato due bicchieri e poi si appoggiò allo schienale della sedia, lasciando vagare un lungo sguardo sui convitati.
"Bisogna fare qualcosa a livello dei media..." disse infine a Umorista. "Ho appena letto il Nouvel Observateur di questa settimana, questa campagna di denigrazione sistematica non può veramente più continuare..." L'altro aggrottò le sopracciglia, poi, dopo almeno un minuto di riflessione, come se enunciasse una verità straordinaria, disse: "È difficile..." in un tono dubitativo. Trovavo che prendesse la cosa con un distacco un po' sorprendente, perché dopotutto era ufficialmente l'unico responsabile, e lo si capiva dall'assenza alla cena di Scienziato e di Sbirro. Era senza dubbio un perfetto incompetente in quel campo, come in tutti gli altri, si era abituato a ottenere cattivi risultati e pensava che sarebbe stato sempre così, che tutti attorno a lui si fossero abituati a quel tipo di risultati; anche lui doveva avvicinarsi ai sessantacinque anni e non aspettarsi più gran che dalla vita. La bocca gli si apriva e richiudeva silenziosamente, cercava a quanto pareva qualcosa di divertente da dire, un modo per riportare il buonumore, ma non ci riusciva, era vittima di un vuoto temporaneo di comicità. Finì col rinunciare: il profeta, doveva pensare, aveva la luna storta quella sera, ma gli sarebbe passata; si mise a mangiare tranquillamente il suo paté di carne.
"Secondo te..." Il profeta si rivolse direttamente a me, guardandomi dritto negli occhi. "L'ostilità della stampa è davvero un problema a lungo termine?"
"Globalmente, sì. Atteggiandosi a martiri, lamentandosi di essere vittime di un ostracismo ingiustificato, si possono attirare alcuni che la pensano in maniera diversa... Le Pen, a suo tempo, c'era riuscito benissimo. Ma in fin dei conti ci si perde - soprattutto non appena si vuoi tenere un discorso un po' catalizzatore, cioè non appena si vuole superare una certa audience."
"Ecco! Ecco!... Ascoltate ciò che mi dice Daniel!..." Si raddrizzò sulla sedia, prendendo tutta la tavola a testimone: "I media ci accusano di essere una setta, mentre sono loro che ci impediscono di diventare una religione deformando sistematicamente le nostre tesi, vietandoci l'accesso alle masse, mentre le soluzioni che proponiamo valgono per ogni uomo, quali che siano la sua nazionalità, la sua razza, le sue credenze precedenti..." I convitati smisero di mangiare; alcuni scossero il capo, ma nessuno trovò la minima osservazione da fare. Il profeta si rimise a sedere, scoraggiato, fece un cenno del capo alla bruna, che gli servì un altro bicchiere di vino. Dopo un certo silenzio, le conversazioni attorno alla tavola ripresero, imperniate soprattutto su ruoli, sceneggiature, progetti cinematografici diversi. Pareva che molti convitati fossero attori, debuttanti o di secondo piano; a causa probabilmente del ruolo determinante che il caso può giocare nelle loro vite, gli attori, come avevo già notato, sono spesso prede facili per tutte le sette, credenze e discipline spirituali bizzarre. Curiosamente, nessuno di loro mi aveva riconosciuto, il che era una cosa piuttosto bella.
"Harley de Dude was righi...?” disse pensieroso il profeta.
"Ife is basically a conservative option..." Mi chiesi un attimo a chi si rivolgesse, prima di rendermi conto che stava parlando con me. Si riprese e continuò in francese. "Vedi, Daniel," mi disse con una tristezza autentica, sorprendente in lui, "il solo progetto dell'umanità è quello di riprodursi, di continuare la specie. Anche se tale obiettivo è evidentemente insignificante, essa lo persegue con un accanimento spaventoso.
Anche se gli uomini sono infelici, atrocemente infelici, si oppongono con tutte le loro forze a ciò che potrebbe cambiare la loro sorte: vogliono dei figli, e dei figli simili a loro, per scavarsi la fossa e perpetuare le condizioni dell'infelicità.
Quando si propone loro di compiere una mutazione, di avanzare su un'altra strada, bisogna aspettarsi feroci reazioni di rifiuto. Non mi faccio alcuna illusione sugli anni a venire: a mano a mano che ci avvicineremo alle condizioni di realizzazione tecnica del progetto, le resistenze si faranno sempre più vive. Inoltre, il potere intellettuale globalmente è detenuto dai fautori dello statu quo. La lotta sarà difficile, estremamente difficile..." Sospirò, finì il bicchiere di vino e sembrò sprofondare in una meditazione personale, a meno che non lottasse semplicemente contro l'apatia. Vincent lo fissava con un'attenzione smisurata in quell'istante in cui il suo umore sembrava oscillare fra lo scoraggiamento e la noncuranza, fra un tropismo di morte e i soprassalti della vita; somigliava sempre più a una vecchia scimmia stanca. Dopo due o tre minuti, si raddrizzò sulla sedia e fece vagare sui presenti uno sguardo più vivace; fu solo in quell'attimo, credo, che notò la bellezza di Francesca. Fece segno a una delle ragazze incaricate del servizio, la giapponese, e le disse qualche parola all'orecchio; costei si avvicinò all'italiana e le trasmise il messaggio.
Francesca si alzò di scatto, felicissima, senza nemmeno consultare il compagno con lo sguardo, e andò a sedersi alla sinistra del profeta.
Gianpaolo si raddrizzò, con il volto perfettamente immobile; girai la testa dall'altra parte e scorsi mio malgrado il profeta che passava una mano nei capelli della ragazza; il suo viso era pieno di un rapimento infantile, senile, commovente, se vogliamo. Abbassai lo sguardo sul piatto, ma dopo trenta secondi mi stancai della contemplazione dei miei pezzi di formaggio e sbirciai di lato: Vincent continuava a fissare il profeta senza vergogna, persino con una certa esultanza, mi sembrava; questi teneva adesso per il collo la ragazza che gli aveva posato il capo sulla spalla. Nel momento in cui le infilava una mano nella camicetta, lanciai mio malgrado un'occhiata a Gianpaolo che si era raddrizzato un po' di più sulla sedia.
Potevo vedere il furore brillargli nello sguardo, e non ero il solo, tutte le conversazioni erano cessate; poi, vinto, tornò a sedersi lentamente, si strinse nelle spalle e abbassò la testa. A poco a poco le conversazioni ripresero, prima sottovoce, poi normalmente. Il profeta lasciò la tavola in compagnia di Francesca addirittura prima dell'arrivo dei dessert.
L'indomani, incrociai la ragazza all'uscita dalla conferenza del mattino; stava parlando con un'amica italiana. Arrivando alla sua altezza, rallentai e la udii dire: "Comunicare..." Aveva il volto raggiante, sereno, un'aria felice. Il seminario aveva preso il suo ritmo di crociera: avevo deciso di assistere alle conferenze del mattino, ma di esimermi dai laboratori del pomeriggio. Raggiunsi gli altri per la meditazione della sera, immediatamente prima del pasto. Notai che Francesca era di nuovo al fianco del profeta e che se ne andavano insieme dopo la cena; non avevo invece visto Gianpaolo durante tutto il giorno.
Una sorta di bar in cui si servivano solo tisane era stato installato all'entrata di una delle grotte. Vidi Sbirro e Umorista a un tavolino, davanti a un infuso di tiglio. Sbirro parlava con animazione, scandendo il suo discorso con gesti energici, affrontava un argomento che gli stava visibilmente a cuore.
Umorista non rispondeva; con aria preoccupata, dondolava la testa in attesa che la virulenza dell'altro si attenuasse. Mi diressi verso l'Elohimita preposto ai bollitori; non sapevo che cosa prendere, ho sempre detestato le tisane. Ripiegai su una cioccolata calda: il profeta autorizzava il cacao, a condizione che fosse molto sgrassato - probabilmente in omaggio a Nietzsche, di cui ammirava il pensiero. Quando ripassai accanto al loro tavolino, i due dirigenti tacevano. Sbirro lanciava uno sguardo severo all'intorno. Mi fece un cenno vivace per invitarmi a sedere con loro, apparentemente rianimato dalla prospettiva di un nuovo interlocutore.
"Ciò che dicevo a Gerard," riprese (eh, sì, anche quel povero essere sfavorito dalla natura aveva un nome, aveva certamente avuto una famiglia, forse dei genitori affettuosi che lo facevano saltare sulle ginocchia, era troppo difficile la vita davvero, se avessi continuato a pensare a quel genere di cose avrei finito di certo col farmi saltare le cervella), "ciò che dicevo a Gerard è che secondo me comunichiamo veramente troppo sull'aspetto scientifico dei nostri insegnamenti. C'è tutta una corrente New Age, ecologista, che è spaventata dalle tecnologie troppo intrusive, perché vede di malocchio il dominio dell'uomo sulla natura. Sono individui che rifiutano con forza la tradizione cristiana, che sono spesso vicini al paganesimo o al buddhismo; potrebbero essere dei potenziali simpatizzanti."
"D'altra parte," fece astutamente Gerard, "si recuperano i technofreak"
"Sì..." rispose Sbirro, dubbioso. "Ce ne sono soprattutto in California, ti assicuro che in Europa non ne vedo molti..." Si voltò di nuovo verso di me: "Che cosa ne pensi?" Non avevo un'opinione precisa, mi sembrava che a lungo termine i fautori della tecnologia genetica sarebbero diventati più numerosi dei suoi oppositori; ero sorpreso, soprattutto, che mi prendessero ancora una volta a testimone delle loro contraddizioni interne. Non me n'ero ancora pienamente reso conto, ma come uomo di spettacolo mi attribuivano una sorta di comprensione intuitiva delle correnti di pensiero, dei movimenti che attraversavano l'opinione pubblica; non vedevo alcuna ragione di disilluderli e, dopo aver pronunciato qualche banalità che ascoltarono con rispetto, lasciai il tavolo con un sorriso, adducendo uno stato di stanchezza, sgusciai fuori dalla grotta e camminai in direzione della tendopoli perché avevo voglia di vedere gli adepti un po' più da vicino.
Era ancora presto, nessuno si era coricato; i più sedevano alla turca, in genere da soli, raramente in coppia, davanti alle loro tende. Molti erano nudi (senza essere obbligatorio, il naturismo veniva largamente praticato dagli elohimiti; gli Elohim, nostri creatori, che avevano acquisito un dominio perfetto del clima sul loro pianeta di origine, giravano del resto nudi, come conviene a ogni essere libero e fiero del proprio aspetto, avendo respinto il senso di colpa e la vergogna. Come insegnava il profeta, le tracce del peccato di Adamo erano scomparse, vivevamo ormai sotto la legge nuova del vero amore). Nel complesso non facevano niente, o forse meditavano a modo loro - molti avevano le palme aperte e lo sguardo rivolto alle stelle. Le tende, fornite dall'organizzazione, avevano la forma di un tepee, ma la tela, bianca e leggermente brillante, era molto moderna, del genere "nuovi materiali nati dalla ricerca spaziale". Tutto considerato, era una specie di tribù, di tribù indiana high- tech, credo che avessero tutti Internet, il profeta insisteva molto al riguardo, era indispensabile perché potesse comunicare loro istantaneamente le sue direttive. Suppongo dovessero avere intense relazioni sociali tramite Internet, ma ciò che era sorprendente nel vederli riuniti era piuttosto l'isolamento silenzioso; ciascuno rimaneva davanti alla propria tenda, senza parlare, senza andare verso i suoi vicini, erano a pochi metri gli uni dagli altri ma sembravano ignorare persino la loro reciproca esistenza. Sapevo che i più non avevano figli né animali domestici (non era vietato, ma comunque fortemente sconsigliato: si trattava innanzitutto di creare una nuova specie, e la riproduzione di quelle esistenti era considerata come un'opzione desueta, conservatrice, prova di un temperamento tiepido, che non indicava a ogni modo una fede molto grande; pareva poco verosimile che un padre di famiglia si innalzasse parecchio nell'organizzazione).
Attraversai tutti i vialetti, passai davanti a centinaia di tende senza che nessuno mi rivolgesse la parola; si limitavano a fare un cenno del capo, un sorriso discreto. Pensai dapprima che fossero probabilmente un po' intimiditi: ero un vip, avevo il privilegio di un accesso diretto alla conversazione col profeta; ma mi resi conto ben presto che quando si incrociavano in un vialetto il loro comportamento era esattamente lo stesso: un sorriso, un cenno del capo, nient'altro. Uscii dal villaggio e camminai per qualche centinaio di metri sulla pista ciottolosa prima di fermarmi. Era una notte di plenilunio, si distinguevano perfettamente le ghiaie, i blocchi di lava; lontano, verso oriente, scorgevo la debole luminosità delle barriere metalliche che circondavano la proprietà; ero in mezzo al niente, la temperatura era mite e mi sarebbe piaciuto arrivare a una conclusione qualunque.
Dovetti restare così a lungo, in uno stato di grande vuoto mentale, perché al mio ritorno l'accampamento era silenzioso; tutti, a quanto pareva, dormivano. Guardai l'orologio: erano passate da poco le tre. La cella di Scienziato era ancora illuminata; era al suo tavolo da lavoro ma udì i miei passi e mi fece segno di entrare. L'arredamento era meno austero di quanto avrei potuto immaginare: c'era un divano con cuscini di seta piuttosto belli, dei tappeti con motivi astratti ricoprivano il suolo roccioso. Mi offrì un bicchiere di tè.
"Ti sarai reso conto di certe tensioni esistenti fra i membri della squadra dirigente..." disse prima di fare una pausa.
Decisamente, ai loro occhi, ero una pedina importante; non potevo fare a meno di pensare che esagerassero. È vero che potevo raccontare qualsiasi cosa, ci sarebbero sempre stati dei media pronti a raccogliere i miei discorsi; ma di lì a pensare che la gente mi ascoltasse e modificasse il proprio punto di vista, ne passava! Tutti ormai si erano abituati ai pareri di solito prevedibili espressi pubblicamente dalle personalità in vista sugli argomenti più disparati, e nessuno vi prestava una reale attenzione, insomma il sistema spettacolare, costretto a produrre un consenso nauseante, era crollato da un pezzo sotto il peso della propria inconsistenza. Non feci nulla per disilluderlo, però; accondiscesi con quell'atteggiamento di neutralità benevola che mi era già servito tanto nella vita, che mi aveva permesso di raccogliere in molti ambienti confidenze intime che riutilizzavo in seguito nei miei sketch, grossolanamente deformate, irriconoscibili.
"Non sono realmente inquieto, il profeta si fida di me..." proseguì. "Ma la nostra immagine nei media è catastrofica...
Passiamo per dei mentecatti, mentre nessun laboratorio al mondo, attualmente, sarebbe in grado di produrre risultati equivalenti ai nostri..." Indicò la stanza con un gesto della mano come se tutti gli oggetti presenti, le opere di biochimica in inglese della Elsevier Publications, i DVD allineati sulla sua scrivania, lo schermo acceso del computer fossero là per testimoniare la serietà delle sue ricerche. "Ho bruciato la mia carriera, venendo qui," proseguì con amarezza, "non ho più accesso alle pubblicazioni di consultazione..." La società è una struttura a strati, e non avevo mai introdotto degli scienziati nei miei sketch; si trattava secondo me di uno strato specifico, mosso da ambizioni e da criteri di valutazione che non si potevano trasporre per la gente comune, non aveva insomma niente di un soggetto da grosso pubblico; tuttavia ascoltai, come ascoltavo tutti, mosso da un'antica abitudine - ero una sorta di vecchia spia dell'umanità, una spia in pensione, ma ancora in gamba, possedevo ancora dei buoni riflessi, mi sembra persino di aver scrollato il capo per incitarlo a proseguire, ma ascoltai in certo qual modo senza sentire, le sue parole mi sfuggivano via via dal cervello, avevo messo in funzione involontariamente una sorta di filtro; ero però consapevole che Miskiewicz era un uomo importante, forse uno degli uomini più importanti della storia umana, avrebbe modificato il destino dell'umanità al livello biologico più profondo, ne era capace, disponeva della competenza e dei mezzi, ma forse ero io a non interessarmi più molto alla storia umana, ero anch'io un vecchio stanco, e così, mentre mi vantava il rigore dei suoi protocolli sperimentali e la serietà che apportava alla dimostrazione e alla convalida delle sue tesi controfattuali, venni colto all'improvviso dalla voglia di Esther, della sua bella vagina morbida, ripensai ai piccoli movimenti della sua vagina che si richiudeva sul mio cazzo quando ero dentro di lei, sostenni di avere sonno e, appena uscito dalla caverna di Scienziato, composi il numero del suo cellulare, ma non c'era nessuno, solo la sua segreteria, e non avevo realmente voglia di farmi una sega, la produzione degli spermatozoi avveniva più lentamente alla mia età, il tempo di latenza si allungava, le proposte della vita si sarebbero fatte sempre più rare prima di sparire del tutto; naturalmente ero fautore dell'immortalità, naturalmente le ricerche di Miskiewicz costituivano una speranza, la sola speranza in realtà, ma non sarebbe stato per me né per nessuno della mia generazione, al riguardo non nutrivo alcuna illusione; l'ottimismo che ostentava in merito a un successo imminente non era del resto probabilmente una menzogna, ma una finzione necessaria - necessaria non soltanto agli elohimiti che finanziavano i suoi progetti, ma soprattutto a lui stesso; non si è mai potuto elaborare alcun progetto umano senza la speranza di una realizzazione entro un lasso di tempo ragionevole, e più precisamente entro un lasso di tempo massimo costituito dalla durata di vita prevedibile dell'ideatore del progetto, l'umanità non ha mai funzionato in uno spirito di squadra esteso all'insieme delle generazioni, mentre è questo che si verifica in fin dei conti: si lavora, si muore, e le generazioni future ne approfittano a meno che non preferiscano distruggere la vostra opera, ma tale pensiero non è mai stato formulato da nessuno di coloro che si sono dedicati a un qualunque progetto, hanno preferito ignorarlo poiché altrimenti avrebbero semplicemente smesso di agire, si sarebbero semplicemente messi a letto per aspettare la morte. È così che Scienziato, per quanto moderno fosse sul piano intellettuale, era ancora un romantico ai miei occhi, la sua vita era guidata da antiche illusioni, e adesso mi chiedevo che cosa potesse fare Esther, se la sua piccola vagina morbida si contraesse su altri cazzi, e cominciavo ad avere seriamente voglia di strapparmi uno o due organi, per fortuna avevo una decina di scatole di Rohypnol, ero stato più che previdente, e dormii un po' più di quindici ore.
Al mio risveglio, il sole era basso sull'orizzonte, ed ebbi subito la sensazione che stesse accadendo qualcosa di strano.
C'era aria di temporale, ma sapevo che non sarebbe scoppiato, non scoppiava mai, la piovosità sull'isola era praticamente nulla. La tendopoli degli adepti era immersa in una luce debole e giallastra; l'apertura di alcune tende era agitata debolmente dal vento, ma a parte ciò l'accampamento sembrava deserto, nessuno circolava nei vialetti. In assenza di attività umana, il silenzio era totale. Inerpicandomi su per la collina, passai davanti alle camere di Vincent, di Scienziato e di Sbirro, sempre senza incontrare anima viva. La porta della residenza del profeta era spalancata, era la prima volta dal mio arrivo che non c'erano guardie all'ingresso. Mio malgrado, entrando nella prima sala, soffocai il rumore dei passi. Percorrendo il corridoio che conduceva ai suoi appartamenti privati, udii delle voci soffocate, il rumore di un mobile che veniva trascinato sul pavimento e qualcosa che somigliava a un singhiozzo.
Tutte le luci erano accese nella grande sala in cui il profeta mi aveva ricevuto il giorno del mio arrivo, ma nemmeno là c'era nessuno. Feci il giro, spinsi la porta dell'office, tornai indietro. Sul lato destro, accanto alla piscina, una porta dava su un corridoio; le voci sembravano provenire da quella direzione. Avanzai con precauzione, e alla svolta di un altro corridoio mi imbattei in Gerard, in piedi nel vano della porta della camera del profeta. L'umorista era in uno stato pietoso: il volto era ancor più smorto del solito, segnato da profonde occhiaie, dava l'impressione di non aver dormito tutta la notte. "È successo... è successo..." La sua voce era debole e tremante, quasi impercettibile. "È successo qualcosa di terribile..." finì con l'articolare. Sbirro lo raggiunse e mi si piantò davanti, con espressione furiosa, scrutandomi. L'umorista emise una sorta di belato lamentoso. "Bene, al punto in cui siamo, non resta che lasciarlo entrare..." concluse Sbirro.
L'interno della camera del profeta era occupato da un immenso letto rotondo, del diametro di tre metri almeno, ricoperto di satin rosa; dei pouf di satin rosa erano disposti qua e là per la stanza, tappezzata di specchi su tre lati; il quarto era costituito da una grande vetrata che dava sulla pianura ciottolosa delimitata dai primi vulcani, leggermente minacciosi nella luce temporalesca. La vetrata era volata in frantumi, e il cadavere del profeta giaceva in mezzo al letto, nudo, con la gola tagliata. Aveva perduto moltissimo sangue, la carotide era stata sezionata di netto. Scienziato camminava nervosamente su e giù per la stanza. Vincent, seduto su un pouf, pareva un po' assente, alzò appena il capo al mio avvicinarsi. Una ragazza dai lunghi capelli neri, in cui riconobbi Francesca, era accasciata in un angolo della stanza, con addosso una camicia da notte bianca macchiata di sangue.
"È stato l'italiano..." disse seccamente Sbirro.
Era la prima volta che mi capitava di vedere un cadavere e non ero così impressionato; non ero nemmeno sorpreso più di tanto. Durante la cena di due giorni prima, in cui il profeta aveva messo gli occhi sull'italiana, vedendo l'espressione di Gianpaolo nel momento in cui si raddrizzava sulla sedia, avevo avuto l'impressione fuggevole che il capo della setta stesse esagerando, e che le cose non sarebbero andate lisce come al solito. Poi mi era parso che Gianpaolo si fosse sottomesso, avevo pensato che si sarebbe annullato come gli altri; evidentemente mi ero sbagliato. Mi avvicinai con curiosità alla vetrata: il pendio era molto ripido, quasi a picco; si distinguevano qua e là alcune sporgenze, e la roccia era buona, niente affatto sfaldata né friabile, ma era comunque una scalata impressionante. "Sì..." commentò cupamente Sbirro avvicinandosi a me, "doveva essere molto amareggiato..." Poi continuò ad andare avanti e indietro per la stanza, premurandosi di rimanere a distanza da Scienziato, che camminava dall'altra parte del letto. Umorista restava immobile accanto alla porta, aprendo e chiudendo meccanicamente le mani, con un'aria completamente stravolta, sull'orlo del panico. Presi allora coscienza per la prima volta che, malgrado l'atteggiamento edonistico e libertino ostentato dalla setta, nessuno dei compagni del profeta aveva una vita sessuale: nel caso di Umorista e di Scienziato era evidente; l'uno per incapacità, l'altro per assenza di motivazione. Sbirro, dal canto suo, era sposato con una donna della sua età, un'ultracinquantenne, quindi non doveva essere in preda alla frenesia dei sensi ogni giorno; e non approfittava affatto della sua posizione elevata nell'organizzazione per sedurre giovani adepte. Gli adepti stessi, come avevo notato con sorpresa crescente, erano tutt'al più monogami e nella maggior parte dei casi zerogami - a eccezione delle adepte giovani e belle, quando il profeta le invitava a condividere la sua intimità per una notte. Insomma, all'interno della propria setta, il profeta si era comportato come un maschio dominante assoluto, ed era riuscito a stroncare ogni virilità nei suoi compagni: non solo costoro non avevano più una vita sessuale, ma non cercavano nemmeno più di averne, si vietavano ogni approccio alle femmine, e avevano assimilato l'idea che la sessualità era una prerogativa del profeta.
Capii allora perché questi si abbandonasse, nelle sue conferenze, a un elogio eccessivo dei valori femminili e ad attacchi spietati contro il machismo: il suo obiettivo era semplicemente quello di castrare i suoi ascoltatori. Di fatto, nella maggior parte delle scimmie, la produzione di testosterone dei maschi dominati diminuisce e finisce con l'esaurirsi.
Il cielo si schiariva a poco a poco, le nuvole si disperdevano; un chiarore senza speranza avrebbe presto illuminato la pianura prima del calare della notte. Eravamo nelle immediate vicinanze del Tropico del Cancro - ci eravamo grosso merdo, come avrebbe detto Umorista quando era ancora in grado di produrre delle battute. "Ciò non ha alcula importanza", "Ho l'abitudine di prendere dei cereali a culazione...
": ecco le spiritosaggini con cui cercava di solito di rallegrare le nostre giornate. Che ne sarebbe stato di quel povero ometto, adesso che Scimmia numero 1 non c'era più?
Lanciava sguardi attoniti su Sbirro e Scienziato, rispettivamente Scimmia numero 2 e Scimmia numero 3, che continuavano ad andare avanti e indietro per la stanza, cominciando a misurarsi con lo sguardo. Quando il maschio dominante è messo nell'impossibilità di esercitare il suo potere, la secrezione di testosterone riprende nella maggior parte delle scimmie.
Sbirro poteva contare sulla fedeltà del gruppo militare dell'organizzazione - era stato lui a reclutare e a istruire tutte le guardie, esse obbedivano solo ai suoi ordini; da vivo, il profeta faceva completo affidamento su di lui per tali questioni.
D' altra parte, i laboratoristi e il complesso dei tecnici responsabili del progetto genetico avevano a che fare soltanto con Scienziato, esclusivamente con lui. Si era davanti, tutto sommato, a un conflitto classico fra la forza bruta e l'intelligenza, fra una manifestazione elementare del testosterone e una manifestazione più intellettualizzata. Sentii a ogni modo che sarebbe andata per le lunghe, e mi sedetti su un pouf vicino a Vincent, che parve accorgersi della mia presenza, fece un vago sorriso e ripiombò nella sua fantasticheria.
Seguirono quindici minuti circa di silenzio; Scienziato e Sbirro continuavano a misurare la stanza a grandi passi, il cui rumore veniva attutito dalla moquette. Considerate le circostanze, mi sentivo abbastanza calmo; mi rendevo conto che per il momento né io né Vincent avevamo un ruolo da sostenere.
Nella storia, noi eravamo scimmie secondarie, scimmie onorifiche; scendeva la notte, il vento penetrava nella stanza - l'italiano aveva fatto letteralmente esplodere la vetrata.
A un tratto, Umorista estrasse dalla tasca del suo giubbotto di tela una macchina fotografica digitale - una Sony DSCF101 a tre milioni di pixel, riconoscevo il modello, ne avevo avuta una uguale prima di optare per una Minolta Dimage A2, a otto milioni di pixel, decisamente più sensibile in condizioni di luce scarsa. Sbirro e Scienziato si immobilizzarono, a bocca aperta, guardando il povero fantoccio che zigzagava nella stanza scattando una foto dietro l'altra. "Stai bene, Gerard?" chiese Sbirro. Secondo me no, non sembrava che stesse bene, scattava meccanicamente, senza nemmeno inquadrare, e nel momento in cui si avvicinava alla finestra ebbi la netta impressione che si sarebbe buttato. "Basta!" urlò Sbirro. Umorista si bloccò, le mani gli tremavano talmente che lasciò cadere la macchina. Sempre accasciata nel suo angolo, Francesca tirò su con il naso brevemente. Scienziato si bloccò a sua volta, si mise di fronte a Sbirro e lo guardò dritto negli occhi.
"Adesso bisogna prendere una decisione..." disse in tono neutro.
"Avvertiremo la polizia, è la sola decisione da prendere."
"Se avverti la polizia, è la fine dell'organizzazione. Non potremo sopravvivere allo scandalo, e tu lo sai."
"Hai un'altra idea?"
Seguì un nuovo silenzio, decisamente più teso: lo scontro si era scatenato e sentivo che questa volta si sarebbe concluso; avevo persino l'intuizione piuttosto chiara che avrei assistito a una seconda morte violenta. La scomparsa del leader carismatico costituisce sempre un momento estremamente difficile da gestire in un movimento di tipo religioso; quando il capo non si è preso la briga di designare senza ambiguità il proprio successore, si arriva quasi inevitabilmente a uno scisma.
"Pensava alla morte..." intervenne Gerard con una vocina tremante, quasi infantile. "Me ne parlava sempre più spesso; non avrebbe voluto che l'organizzazione sparisse, temeva molto che dopo di lui tutto si disperdesse. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo riuscire a metterci d'accordo..." Sbirro aggrottò le sopracciglia volgendo vagamente il capo verso di lui, come si reagisce a un rumore importuno; restituito alla coscienza della sua assoluta mediocrità, Gerard tornò a sedersi su un pouf accanto a noi, abbassò il capo e posò con calma le mani sulle ginocchia.
"Ti ricordo," riprese pacatamente Scienziato guardando Sbirro dritto negli occhi, "che per noi la morte non è definitiva, è addirittura il primo dei nostri dogmi. Disponiamo del codice genetico del profeta, basta aspettare che il procedimento sia messo a punto..."
"Credi che aspetteremo vent'anni che la tua roba funzioni?..." Ribattè Sbirro con violenza, senza più nemmeno cercare di dissimulare la propria ostilità.
Scienziato fremette all'oltraggio, ma rispose con calma: "Sono duemila anni che i cristiani aspettano..."
"Forse, ma intanto è stato necessario organizzare la Chiesa, e sono io quello più capace di farlo. Quando si è dovuto designare un discepolo che gli succedesse, Cristo ha scelto Pietro; non era il più brillante, il più intellettuale, né il più mistico, ma era il miglior organizzatore."
"Se abbandono il progetto, non avrai nessuno da mettere al mio posto; e in questo caso ogni speranza di risurrezione svanisce.
Non credo che tu possa tener duro molto a lungo in queste condizioni..." Calò di nuovo il silenzio, sempre più pesante; non avevo l'impressione che sarebbero riusciti a intendersi, le cose erano andate troppo avanti fra loro, da troppo tempo; nel buio quasi totale, vidi Sbirro che stringeva i pugni. Fu in quel momento che Vincent intervenne. "Posso prendere il posto del profeta..." disse con voce leggera, quasi allegra. Gli altri due sobbalzarono. Sbirro scattò verso l'interruttore per accendere la luce e si precipitò su Vincent per scuoterlo: "Che cosa dici? Che cosa dici?..." gli urlava in faccia. Vincent si lasciò fare e attese che l'altro lo mollasse prima di precisare in tono sempre altrettanto brioso: "Dopotutto, sono suo figlio..."
Passato il primo momento di sbalordimento, fu Gerard a intervenire con voce lamentosa: "È possibile... È possibilissimo... So che il profeta ha avuto un figlio, trentacinque anni fa, subito dopo gli inizi della Chiesa, e che lo andava a trovare ogni tanto... Ma anche con me non ne parlava mai. L'ha avuto con una delle prime adepte, ma la ragazza si è suicidata poco dopo il parto."
"È vero..." disse con calma Vincent, e nella sua voce c'era solo l'eco di una tristezza molto lontana. "Mia madre non ha sopportato le sue continue infedeltà né i giochi sessuali di gruppo che le imponeva. Aveva tagliato i ponti con i suoi genitori - erano dei borghesi protestanti, alsaziani, di una famiglia molto rigida, non le avevano mai perdonato di essere diventata elohimita, alla fine non aveva più contatti con nessuno. Sono stato allevato dai nonni paterni, i genitori del profeta; durante i primi anni non l'ho praticamente visto, non si interessava ai bambini. E poi, dopo che ho compiuto quindici anni, è venuto a trovarmi sempre più spesso: discuteva con me, voleva sapere che cosa contassi di fare nella vita, alla fine mi ha invitato a entrare nella setta. Mi ci sono voluti quindici anni per decidermi. In questi ultimi tempi avevamo rapporti, diciamo... un po' più calmi." Presi allora coscienza di un fatto che avrebbe dovuto colpirmi fin dall'inizio: la somiglianza fisica di Vincent con il profeta era molto forte. L'espressione del loro sguardo, molto diversa e persino opposta, mi aveva impedito probabilmente di accorgermene, ma i tratti principali della loro fisionomia (la forma del viso, il colore degli occhi, il disegno delle sopracciglia) erano di una somiglianza sorprendente; avevano per giunta pressappoco la stessa statura e la stessa corpulenza. Dal canto suo, Scienziato guardava Vincent con molta attenzione, sembrava giungere alla stessa conclusione, e fu lui, alla fine, a rompere il silenzio: "Nessuno è esattamente al corrente dello stato di avanzamento delle mie ricerche, abbiamo mantenuto un segreto totale.
Possiamo quindi annunciare che il profeta ha deciso di abbandonare il proprio corpo senescente per trasferire il proprio codice genetico in un nuovo organismo."
"Non ci crederà nessuno!" obiettò subito Sbirro con violenza.
"Pochissimi, in effetti; non abbiamo più niente da aspettarci dai grandi media, sono tutti contro di noi. Ci saranno di certo una copertura enorme e uno scetticismo generale; ma nessuno potrà provare nulla, siamo gli unici a disporre del DNA del profeta, non ne esiste alcuna copia, da nessuna parte.
E la cosa più importante è che gli adepti, invece, ci crederanno; sono anni che li prepariamo a questo. Quando Cristo è risuscitato il terzo giorno, nessuno ci ha creduto, a eccezione dei primi cristiani, che si sono definiti proprio così: coloro che credevano alla Risurrezione."
"Che cosa faremo del corpo?"
"Non è un problema che si ritrovi il corpo, basta che la ferita alla gola non sia rilevabile. Potremmo utilizzare, per esempio, una fenditura vulcanica e precipitarlo nella lava in fusione."
"E Vincent? Come spiegare la sparizione di Vincent?" Sbirro era visibilmente scosso, le sue obiezioni si facevano più esitanti.
"Oh, non conosco molta gente..." intervenne Vincent con leggerezza. "Inoltre mi considerano un aspirante suicida, la mia scomparsa non meraviglierà nessuno... Trovo che la fenditura vulcanica sia una buona idea, permetterà di far pensare alla morte di Empedocle." Recitò a memoria, con voce stranamente fluida: "Un'altra cosa ti dirò, saggio Pausania: non c'è nascita alcuna di tutte le cose mortali; né alcuna fine di morte funesta, ma solo mescolanza e mutamento di cose frammiste, che nascita si chiama tra gli uomini. "
Sbirro rifletté silenziosamente uno o due minuti, poi disse: "Dovremo occuparci anche del corpo dell'italiano..." Seppi allora che Scienziato aveva vinto la partita. Subito dopo, Sbirro chiamò tre guardie e ordinò loro di perlustrare la tenuta e, se avessero trovato il corpo, di riportarlo senza farsi notare, avvolto in una coperta, sui sedili posteriori del 4x4. Bastò loro un quarto d'ora: il disgraziato, evidentemente in preda a uno stato di terribile confusione, aveva tentato di superare le barriere elettrificate e naturalmente era rimasto fulminato.
Deposero il cadavere sul pavimento, ai piedi del letto del profeta.
In quel momento, Francesca uscì dal suo inebetimento e si mise a lanciare lunghe urla inarticolate, quasi animalesche.
Scienziato le si avvicinò e la schiaffeggiò, con calma ma con forza, a più riprese; le sue urla si trasformarono in una nuova crisi di singhiozzi.
"Dovremo occuparci anche di lei..." osservò cupamente Sbirro.
"Non abbiamo scelta, credo..."
"Che cosa intendi dire?" Vincent si era voltato verso Scienziato, di colpo lucido.
"Credo che si possa difficilmente contare sul suo silenzio.
Se gettiamo i due corpi dalla finestra, dopo una caduta di trecento metri saranno ridotti in poltiglia; mi stupirebbe che la polizia decidesse di procedere a un'autopsia."
"Può funzionare..." disse Sbirro dopo qualche attimo di riflessione. "Conosco bene il capo della polizia locale. Se gli racconto che li avevo sorpresi a scalare la parete nei giorni scorsi, che avevo tentato di avvertirli del pericolo, ma che mi avevano riso in faccia... Del resto è molto plausibile, il tipo era appassionato di sport estremi, credo facesse del free climbing il fine settimana sulle Dolomiti."
"Bene..." disse semplicemente Scienziato. Fece un piccolo cenno del capo a Sbirro, i due uomini sollevarono il corpo dell'italiano, l'uno per i piedi, l'altro per le spalle, fecero alcuni passi e lo precipitarono nel vuoto; avevano obbedito così in fretta che né io né Vincent avevamo avuto il tempo di reagire.
Con un'energia tremenda, Scienziato tornò verso Francesca, la sollevò per le spalle e la trascinò sulla moquette; la ragazza era ricaduta nella sua apatia e non reagiva più. Nel momento in cui Sbirro l'afferrava per i piedi, Vincent urlò: "Ehiii!..." Scienziato depose l'italiana e si voltò verso Vincent, irritato.
"Non puoi mica farlo! "
"E perché no?"
"È un omicidio..." Senza ribattere, Scienziato guardò Vincent incrociando con calma le braccia. "Ovviamente, è spiacevole..." disse infine.
"Credo però che sia necessario," soggiunse alcuni secondi dopo.
I lunghi capelli neri della ragazza le inquadravano il volto pallido; i suoi occhi scuri si posavano via via su ciascuno di noi, avevo l'impressione che non fosse più assolutamente in grado di capire la situazione.
"È così giovane, così bella..." mormorò Vincent in tono supplichevole.
"Immagino che nel caso di una donna anziana e brutta l'eliminazione ti sembrerebbe più scusabile..."
"No... no," Protestò Vincent, imbarazzato. "Non è esattamente ciò che intendevo dire."
"Sì," Ribatté spietatamente Scienziato, "è esattamente ciò che intendevi dire; ma sorvoliamo. Pensa che è solo una mortale, una mortale come lo siamo tutti finora; una disposizione temporanea di molecole. Diciamo che in questa circostanza abbiamo a che fare con una bella disposizione; ma non ha più consistenza di un cristallo di brina, che un semplice raddolcimento della temperatura basta ad annientare; e, purtroppo per lei, la sua sparizione è divenuta necessaria perché l'umanità possa proseguire il suo cammino. Ti prometto, però, che non dovrà soffrire." Estrasse di tasca un trasmettitore HF e pronunciò alcune parole sottovoce. Un minuto dopo comparvero due guardie con una valigetta di pelle morbida. Lui l'aprì, ne estrasse una bottiglietta di vetro e una siringa ipodermica. A un cenno di Sbirro, le due guardie si ritirarono.
"Aspetta, aspetta, aspetta..." intervenni. "Nemmeno io ho intenzione di rendermi complice di un omicidio, e inoltre non ho alcuna ragione per farlo."
"Sì," ribatté seccamente Scienziato, "hai un'ottima ragione: posso richiamare le guardie. Anche tu sei un testimone scomodo; dal momento che sei famoso, la tua sparizione porrebbe senza dubbio maggiori problemi; ma anche i personaggi famosi muoiono e a ogni modo non abbiamo scelta." Parlava con calma, guardandomi dritto negli occhi, ero certo che non stesse scherzando. "Non soffrirà..." ripeté con voce dolce, e si chinò in fretta sulla ragazza, trovò la vena e le iniettò la soluzione. Ero persuaso come gli altri che si trattasse di un sonnifero, ma in pochi secondi Francesca si irrigidì, la pelle le divenne cianotica, poi la respirazione le si fermò di colpo. Dietro di me udivo Umorista lanciare gemiti bestiali, lamentosi. Mi voltai: tremava tutto e riuscì a stento ad articolare: "Ah! Ah! Ah..." Gli si formava una macchia sul davanti dei pantaloni, capii che si era pisciato addosso. Esasperato, Sbirro estrasse a sua volta di tasca un trasmettitore e diede un breve ordine: alcuni secondi dopo apparvero cinque guardie armate di mitra e fummo circondati. A un ordine di Sbirro, ci condussero in una stanza attigua, ammobiliata con un tavolo su cavalletti e dei classificatori metallici, poi ci chiusero a chiave.
Non riuscivo proprio a convincermi che tutto ciò fosse reale, lanciavo sguardi increduli a Vincent, che mi sembrava nello stesso stato d'animo; nessuno dei due parlava, il silenzio era rotto soltanto dai gemiti di Gerard. Dieci minuti dopo Scienziato venne nella stanza e mi resi conto all'improvviso che era tutto vero, che avevo davanti a me un assassino, che aveva saltato il fosso. Provai nei suoi confronti un orrore irrazionale, istintivo, ma lui sembrava molto calmo, era convinto di aver compiuto solo un gesto tecnico.
"L'avrei risparmiata se avessi potuto," disse senza rivolgersi a nessuno di noi in particolare. "Ma ve lo ripeto, si trattava di una mortale; e non credo che la morale abbia veramente senso se il soggetto è mortale. Arriveremo all'immortalità, e voi farete parte dei primi esseri ai quali verrà concessa; sarà, in certo qual modo, il prezzo del vostro silenzio. La polizia sarà qui domani; avete tutta la notte per riflettere."
I giorni seguenti mi lasciarono un ricordo strano, come se fossimo entrati in uno spazio radicalmente diverso, in cui le leggi ordinarie erano abolite, in cui tutto - il peggio come il meglio - poteva succedere a ogni istante. Devo comunque riconoscere retrospettivamente che c'era una certa logica in tutto ciò, la logica voluta da Miskiewicz, e che il suo piano si realizzò punto per punto, nei minimi dettagli. In primo luogo il capo della polizia non ebbe alcun dubbio sulla causa accidentale della morte dei due giovani. Davanti ai loro corpi disarticolati, dalle ossa in frantumi, praticamente ridotti in poltiglia sanguinolenta sparsa sulla roccia, era in effetti difficile conservare il proprio sangue freddo e sospettare che la loro morte avesse potuto avere un'altra causa. Soprattutto, quel caso banale fu rapidamente eclissato da quello della scomparsa del profeta.
Alla fine della notte, Sbirro e Scienziato ne avevano trascinato il corpo fino a un'apertura che dava su un piccolo cratere vulcanico in attività: la lava in fusione lo ricoprì ben presto. La stessa notte avevano bruciato le lenzuola macchiate di sangue e fatto riparare la vetrata da un artigiano che si occupava dei lavori di manutenzione; insomma avevano dispiegato un'attività piuttosto impressionante. Quando l'ispettore della Guardia Civil capì che aveva a che fare con un suicidio, e che il profeta aveva intenzione di reincarnarsi tre giorni dopo in un corpo giovane, si sfregò pensieroso il mento (era un po' al corrente delle attività della setta, insomma pensava di avere a che fare con un gruppo di matti che adoravano i dischi volanti, le sue informazioni si fermavano lì) e concluse che era meglio fare rapporto ai superiori. Era proprio ciò che aspettava Scienziato.
Già l'indomani, il caso era sulle prime pagine dei giornali a titoli cubitali, non solo in Spagna, ma anche in Europa e ben presto in tutto il mondo. "L'uomo che credeva di essere eterno", "La folle scommessa dell'uomo- Dio", i titoli erano pressappoco di questo tenore. Tre giorni dopo, settecento giornalisti stazionavano dietro le barriere di protezione; la BBC e la CNN avevano inviato degli elicotteri per riprendere immagini dell'accampamento. Miskiewicz selezionò cinque giornalisti appartenenti a riviste scientifiche anglosassoni e tenne una breve conferenza stampa. Escluse subito ogni visita al laboratorio: la scienza ufficiale lo aveva respinto, disse, e costretto a lavorare da paria; ne prendeva atto e avrebbe comunicato i suoi risultati solo quando lo avesse ritenuto opportuno. Sul piano giuridico, la sua posizione era difficilmente attaccabile: si trattava di un laboratorio privato, che funzionava con fondi privati, aveva pienamente il diritto di vietarne l'accesso a chiunque; la tenuta stessa era del resto privata, precisò, i sorvoli e le riprese con gli elicotteri gli parevano una pratica del tutto discutibile dal punto di vista legale. Peraltro non lavorava né su organismi viventi né su embrioni, ma su semplici molecole di DNA, e questo con l'accordo scritto del donatore.
La clonazione riproduttiva era certo vietata o limitata in numerosi paesi; ma in quella circostanza non si trattava di clonazione, e nessuna legge vietava la creazione artificiale della vita; era una direzione ti ricerca cui il legislatore non aveva semplicemente pensato.
Naturalmente, i giornalisti all'inizio non ci credevano, tutto nella loro formazione li predisponeva a mettere in ridicolo l'ipotesi; ma mi resi conto che, loro malgrado, erano impressionati dalla personalità di Miskiewicz, dalla precisione e dal rigore delle sue risposte; alla fine dell'intervista, ne sono persuaso, almeno due di loro avevano dei dubbi: era largamente sufficiente perché tali dubbi si diffondessero, amplificati, nelle riviste d'informazione generale.
Ciò che mi sbalordì, invece, fu la credulità immediata, senza riserve, degli adepti. Già il mattino successivo alla morte del profeta, Sbirro aveva convocato di buon'ora una riunione generale. Lui e Scienziato presero la parola per annunciare che il profeta aveva deciso, in un gesto di oblazione e di speranza, di mantenere per primo la promessa. Si era dunque gettato in un vulcano, consegnando al fuoco il suo corpo fisico senescente, per rinascere il terzo giorno in un corpo rinnovato. Le sue ultime parole, che erano incaricati di comunicare ai discepoli, erano state le seguenti: "Là dove vado, verrete presto anche voi." Mi aspettavo moti di folla, reazioni varie, forse gesti di disperazione; non accadde nulla. All'uscita, tutti erano concentrati, silenziosi, ma il loro sguardo brillava di speranza, come se tale notizia fosse quella che avevano sempre aspettato.
Eppure credevo di avere una buona conoscenza generale degli esseri umani, ma essa era basata solo sulle motivazioni più comuni: loro avevano la fede, una novità per me, e ciò cambiava tutto.
Due giorni dopo, si riunirono spontaneamente attorno al laboratorio, lasciando le tende nel cuore della notte, e attesero senza pronunciare una parola. Fra loro c'erano cinque giornalisti, selezionati da Scienziato, appartenenti a due agenzie di stampa (l'AFP e la Reuters) e a tre network che erano la CNN, la BBC e, mi sembra, Sky News. C'erano anche parecchi poliziotti spagnoli, venuti da Madrid, che volevano raccogliere una dichiarazione dell'essere che sarebbe uscito dal laboratorio. A dire il vero, non c'era nulla di cui accusarlo, ma la sua posizione era senza precedenti: pretendevano che fosse il profeta, ufficialmente morto, senza esserlo esattamente; che sarebbe nato senza avere né padre né madre biologici. I giuristi del governo spagnolo avevano preso in esame la questione, senza ovviamente trovare nulla che si potesse applicare, nemmeno vagamente, al caso attuale; avevano dunque deciso di accontentarsi di una dichiarazione formale, in cui Vincent avrebbe confermato per iscritto le sue affermazioni, e di concedergli temporaneamente lo status di trovatello.
Nel momento in cui le porte del laboratorio si aprirono, girando sui loro cardini invisibili, tutti si alzarono, ed ebbi l'impressione che un ansito animale percorresse la folla, causato da centinaia di respirazioni che acceleravano di colpo. Nel giorno nascente, il volto di Scienziato appariva sfinito, teso, chiuso. Annunciò che la fine dell'operazione di risurrezione incontrava difficoltà inattese; dopo aver conferito con i suoi assistenti, aveva deciso di concedersi una proroga di altri tre giorni; invitava dunque gli adepti a tornare nelle loro tende, a rimanervi il più possibile, a concentrare i loro pensieri sulla trasformazione in corso, da cui dipendeva la salvezza del resto dell'umanità. Dava loro appuntamento di lì a tre giorni, al tramonto del sole, alla base della montagna: se tutto andava bene, il profeta sarebbe tornato nei suoi appartamenti e sarebbe stato in grado di fare la sua prima apparizione pubblica.
La voce di Miskiewicz era grave, carica della giusta dose d'inquietudine, e percepii un'agitazione della folla percorsa da bisbigli. Ero sorpreso che Scienziato manifestasse una comprensione così buona della psicologia collettiva. La fine del seminario era inizialmente prevista per il giorno dopo, ma nessuno, credo, pensò seriamente di partire: su trecentododici voli di ritorno ci furono trecentododici defezioni. Quanto a me, mi ci vollero parecchie ore prima che mi venisse in mente di avvertire Esther. Ancora un volta, trovai la segreteria, ancora una volta lasciai un messaggio; ero piuttosto sorpreso che non richiamasse, doveva essere al corrente di ciò che stava succedendo sull'isola, adesso i media del mondo intero ne parlavano.
Il rinvio aumentò naturalmente l'incredulità, ma la curiosità non cessava, anzi, cresceva di ora in ora, ed era quanto cercava Miskiewicz, che fece altre due brevi dichiarazioni, una al giorno, rivolgendosi questa volta unicamente ai cinque giornalisti scientifici che aveva scelto come interlocutori, per aggiornarli sulle difficoltà dell'ultimo minuto con le quali sosteneva di scontrarsi. Possedeva una padronanza perfetta della sua materia, e avevo l'impressione che gli altri cominciassero a lasciarsi convincere sempre di più.
Ero sorpreso anche dall'atteggiamento di Vincent, che entrava sempre più nella parte. Sul piano della somiglianza fisica, il progetto all'inizio mi aveva ispirato dei dubbi. Vincent si era sempre mostrato molto discreto, aveva sempre rifiutato di parlare in pubblico, di illustrare per esempio il suo lavoro artistico, come il profeta lo aveva invitato a fare a più riprese; malgrado tutto, la maggior parte degli adepti aveva avuto occasione di incontrarlo nel corso degli ultimi anni. In pochi giorni i miei dubbi svanirono: mi resi conto con sorpresa che Vincent si stava trasformando fisicamente. Aveva deciso per prima cosa di rasarsi il cranio, e la somiglianza con il profeta risultava accentuata; ma la cosa più stupefacente era che l'espressione del suo sguardo cambiava a poco a poco, assieme al tono della sua voce. Brillava adesso nei suoi occhi una luce viva e maliziosa che non vi avevo mai scorto; e la sua voce assumeva tonalità calde e seducenti che mi meravigliavano sempre più. C'erano ancora in lui una gravità, una profondità che il profeta non aveva mai avuto, ma anche questo poteva quadrare con la situazione: l'essere che stava per rinascere doveva aver attraversato le frontiere della morte, ci si poteva aspettare che dall'esperienza uscisse qualcuno di più distaccato, di più strano. Sbirro e Scienziato erano a ogni modo contentissimi delle mutazioni che si verificavano in lui, credo che non avessero sperato di ottenere un risultato così convincente. Il solo che reagisse male era Gerard, che potevo difficilmente continuare a chiamare Umorista: trascorreva le sue giornate vagando nelle gallerie sotterranee, come se sperasse ancora di incontrarvi il profeta; aveva smesso di lavarsi e cominciava a puzzare. A Vincent lanciava sguardi diffidenti, ostili, esattamente come un cane che non riconosca il suo padrone. Quanto a Vincent, parlava poco, ma il suo sguardo era luminoso, benevolo, dava l'impressione di prepararsi a un'ordalia e di aver bandito ogni timore; mi confidò in seguito che in quelle giornate pensava già alla costruzione dell'ambasciata, al suo arredamento, contava di non mantenere nulla dei progetti del profeta.
Aveva manifestamente dimenticato l'italiana, la cui scomparsa era sembrata porgli sul momento problemi di coscienza così dolorosi; e confesso che anch'io l'avevo un po' dimenticata.
Miskiewicz, in fondo, aveva forse ragione: un cristallo di brina, una bella formazione temporanea... I miei anni di carriera nello show business avevano un po' attenuato il mio senso morale; mi restavano tuttavia alcune convinzioni, credevo.
L'umanità, come tutte le specie sociali, si era costruita sulla proibizione dell'omicidio all'interno del gruppo, e più generalmente sulla limitazione del livello di violenza accettabile nella risoluzione dei conflitti interindividuali; la civiltà stessa non aveva altro autentico contenuto. Tale idea valeva per tutte le civiltà immaginabili, per tutti gli "esseri ragionevoli", come avrebbe detto Kant; fossero tali esseri mortali o immortali, era una certezza insuperabile. Dopo alcuni minuti di riflessione, mi resi conto che, dal punto di vista di Miskiewicz, Francesca non apparteneva al gruppo: ciò che Scienziato cercava di fare era di creare una nuova specie, che avrebbe avuto nei confronti degli esseri umani gli stessi obblighi morali che costoro avevano nei confronti delle meduse o delle lucertole; mi resi conto, soprattutto, che non avrei avuto alcuno scrupolo ad appartenere a quella nuova specie, che il mio disgusto per l'omicidio era di ordine sentimentale o affettivo, assai più che razionale; pensando a Fox, mi resi conto che l'assassinio di un cane mi avrebbe scioccato quanto quello di un uomo, e probabilmente persino di più; poi, come avevo fatto in tutte le circostanze un po' difficili della mia vita, smisi semplicemente di pensare.
Le fidanzate del profeta erano rimaste confinate nelle loro camere, e tenute al corrente degli avvenimenti esattamente come gli altri adepti; avevano accolto la notizia con la stessa fede, e aspettavano con fiducia di ritrovare un amante ringiovanito.
Pensai per un attimo che però ci sarebbero state forse delle difficoltà con Susan, che aveva conosciuto personalmente Vincent, gli aveva parlato; poi mi resi conto di no, che aveva anche lei la fede, e ancor più di tutte le altre, che la sua natura stessa escludeva persino la possibilità del dubbio. In questo senso, mi dissi, era molto diversa da Esther, che a mio avviso non avrebbe mai aderito a dogmi così poco realistici, e mi resi conto anche che dall'inizio di quel soggiorno pensavo un po' meno a lei, per fortuna, del resto, poiché continuava a non rispondere ai miei messaggi, ne avevo lasciati forse una decina nella sua segreteria senza successo, ma non ne soffrivo troppo, ero in certo qual modo altrove, in uno spazio ancora umano ma estremamente diverso da tutto ciò che avevo potuto conoscere; persino certi giornalisti, me ne resi conto in seguito leggendo i loro articoli, erano stati sensibili a quell'atmosfera particolare, a quella sensazione di attesa pre-apocalittica.
Il giorno della risurrezione, i fedeli si radunarono fin dalle prime ore del mattino ai piedi della montagna, mentre l'apparizione di Vincent era prevista solo al tramonto. Due ore dopo, gli elicotteri dei network cominciarono a ronzare sopra la zona. Scienziato aveva finito col dare loro l'autorizzazione di sorvolo, ma aveva vietato a tutti i giornalisti l'accesso alla tenuta. Per il momento, i cameraman non racimolavano gran che - alcune immagini di una piccola folla tranquilla che attendeva in silenzio, senza una parola e praticamente senza un gesto, che si manifestasse il miracolo. L'atmosfera, al ritorno degli elicotteri, si faceva un po' più tesa - gli adepti detestavano i media, il che era piuttosto normale tenuto conto del trattamento che avevano ricevuto fino a quel momento; ma non c'erano reazioni ostili, gesti minacciosi o grida.
Verso le cinque del pomeriggio, un brusio percorse la folla; si innalzarono alcuni canti, furono ripresi in sordina, calò di nuovo il silenzio. Vincent, seduto alla turca nella grotta principale, sembrava non solo concentrato, ma in certo qual modo fuori del tempo. Verso le sette, Miskiewicz si presentò all'entrata della grotta. "Ti senti pronto?" gli chiese. Vincent annuì senza proferire verbo e si alzò agilmente; era così dimagrito che la lunga tunica bianca gli ballava addosso.
Miskiewicz uscì per primo, avanzò sul terrapieno che dominava la folla dei fedeli; tutti si alzarono di scatto. Il silenzio era turbato soltanto dal rombo regolare degli elicotteri immobilizzati in volo stazionario.
"La porta è stata varcata," disse. La sua voce era amplificata perfettamente, senza distorsione né eco, ero sicuro che i giornalisti, con un buon microfono direzionale, sarebbero riusciti a realizzare una registrazione decente. "La porta è stata varcata in un senso, e poi nell'altro," proseguì. "La barriera della morte non c'è più; ciò che era stato annunciato si è compiuto.
Il profeta ha vinto la morte, è di nuovo fra noi." Con queste parole si scostò di qualche passo e abbassò il capo con rispetto. Ci fu un'attesa di circa un minuto, ma che mi parve interminabile; più nessuno parlava o si muoveva, tutti gli sguardi erano rivolti verso l'apertura della grotta, che era orientata a ovest. Nel momento in cui un raggio dell'astro al tramonto, attraversando le nuvole, illuminò l'imboccatura, Vincent uscì e avanzò sul terrapieno; è questa l'immagine, ripresa da un cameraman della BBC, che sarebbe passata all'infinito su tutte le televisioni del mondo. Un'espressione di adorazione si dipinse sui volti, alcuni levarono le braccia al cielo; ma non ci furono grida o mormorii. Vincent aprì le mani, e dopo alcuni secondi in cui si limitò a respirare nel microfono che captava ogni suo soffio, prese la parola: "Io respiro, come ognuno di voi..." disse sommessamente. "Eppure, non appartengo più alla stessa specie. Vi annuncio un'umanità nuova..." proseguì. "Dalla sua origine l'universo attende la nascita di un essere eterno, coesistente a lui, per riflettervisi come in uno specchio puro, non intaccato dalle lordure del tempo. Questo essere è nato oggi, un po' dopo le diciassette.
Sono il Paracleto, e la realizzazione della promessa. Per il momento sono solitario, ma la mia solitudine non durerà, poiché verrete presto a raggiungermi. Siete i miei primi compagni, nel numero di trecentododici; siete la prima generazione della nuova specie destinata a sostituire l'uomo; siete i primi neoumani.
Io sono l'attimo zero, voi siete la prima onda. Oggi, entriamo in un'era diversa, in cui lo scorrere del tempo non ha più lo stesso significato. Oggi entriamo nella vita eterna. Si serberà memoria di questo momento."
DANIEL25,6
Quelle giornate cruciali hanno avuto, oltre a Daniel1, solo tre testimoni diretti; i racconti di vita di Slotanl (che Daniel1 chiamava "Scienziato") e di Jéròmel (ribattezzato "Sbirro") concordano essenzialmente con il suo: l'adesione immediata degli adepti, la loro fede senza riserve nella risurrezione del profeta... Il piano sembra aver funzionato subito, per quanto si possa parlare del resto di "piano"; Slotanl, come testimonia il suo racconto di vita, non aveva affatto l'impressione di perpetrare una frode, persuaso com'era di ottenere risultati effettivi nel giro di alcuni anni; nella sua mente si trattava soltanto di un annuncio dato con un leggero anticipo.
Con un tono molto diverso e una concisione ellittica che ha sconcertato i suoi commentatori, il racconto di vita di Vincenti conferma comunque esattamente lo svolgimento dei fatti, fino al patetico episodio del suicidio di Gerard, colui che Daniel1 aveva soprannominato "Umorista", ritrovato impiccato nella sua grotta dopo essersi trascinato miseramente per parecchie settimane, e mentre Slotanl e Jéròmel cominciavano a pensare seriamente di eliminarlo. Dandosi sempre più all'alcool, Gerard si lasciava andare al ricordo lacrimevole dei suoi anni di gioventù con il profeta e dei "bei colpi" che avevano organizzato insieme. Né l'uno né l'altro, a quanto pareva, avevano creduto per un attimo all'esistenza degli Elohim. "Era solo una fandonia..." ripeteva, "una bella fandonia da drogati.
Avevamo preso dei funghi allucinogeni, ci siamo messi a delirare sui vulcani e ci siamo inventati tutto di sana pianta. Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a tanto..." Le sue chiacchiere cominciavano a diventare imbarazzanti, poiché il culto degli Elohim non venne mai ufficialmente abbandonato, benché fosse caduto abbastanza in fretta nel dimenticatoio. Né Vincenti né Slotanl attribuivano in fondo una grande importanza all'ipotesi di una razza di creatori extraterrestri, ma entrambi condividevano l'idea che l'essere umano sarebbe scomparso, e che si trattava di preparare l'avvento del suo successore.
Nella mente di Vincenti, anche se era possibile che l'uomo fosse stato creato dagli Elohim, gli avvenimenti recenti dimostravano a ogni modo che era entrato in un processo di elohimizzazione, nel senso che era divenuto ormai, a sua volta, padrone e creatore della vita. In tale prospettiva, l'ambasciata diventava una sorta di monumento commemorativo dell'umanità, destinato a testimoniare le sue aspirazioni e i suoi valori agli occhi della razza futura; il che si inseriva del resto perfettamente nella tradizione classica dell'arte. Quanto a Jéròmel, la questione degli Elohim gli era altrettanto indifferente, dal momento che poteva dedicarsi alla sua vera passione: la creazione e l'organizzazione di strutture di potere.
Questa grande diversità di punti di vista in seno al triumvirato dei fondatori contò certamente molto, com'è già stato sottolineato, nella complementarità di funzionamento che seppero attuare, e nel successo folgorante dell'elohimismo nei pochi anni che seguirono la "risurrezione" di Vincent. Essa rende, peraltro, tanto più sorprendente la concordanza delle loro testimonianze.
DANIEL1,18
La complicazione del mondo non è giustificata.
Yves Roissy, risposta a Marcel Frétnrez
Dopo l'estrema tensione delle giornate che precedettero la risurrezione del profeta sotto i tratti di Vincent, dopo l'acme della sua apparizione mediatica all'entrata della grotta, sotto i raggi del sole al tramonto, le giornate che seguirono mi lasciarono il ricordo di una distensione vaga, quasi allegra. Sbirro e Scienziato avevano definito rapidamente i limiti delle loro rispettive attribuzioni; mi resi conto in fretta che li avrebbero rispettati e che, se nessuna simpatia poteva nascere fra loro, avrebbero funzionato efficacemente in tandem, poiché avevano bisogno l'uno dell'altro, lo sapevano, e condividevano lo stesso gusto per un'organizzazione impeccabile.
Dopo la prima sera, Scienziato aveva definitivamente vietato ai giornalisti l'accesso alla tenuta, e a nome di Vincent aveva rifiutato tutte le interviste; aveva persino chiesto un divieto di sorvolo - che gli venne subito concesso dal capo della polizia, il cui unico obiettivo era quello di cercare di calmare, per quanto possibile, l'agitazione generale. Procedendo così, Scienziato non aveva alcuna intenzione particolare, se non quella di far sapere ai media mondiali che era il padrone dell'informazione, che era alla sua fonte e che non sarebbe potuto trapelare nulla senza la sua autorizzazione. I giornalisti, dopo essere rimasti accampati senza successo davanti all'entrata della tenuta, se ne andarono dunque, in gruppi sempre più fitti, e in capo a una settimana ci ritrovammo soli. Vincent sembrava essere passato definitivamente in un'altra realtà, e non avevamo più alcun contatto; una volta, tuttavia, incrociandomi sul ripido sentiero roccioso che conduceva alle nostre vecchie celle, mi invitò ad andare a vedere lo stato di avanzamento dei progetti dell'ambasciata. Lo seguii in una piccola sala sotterranea dalle pareti bianche, tappezzata di altoparlanti e di videoproiettori, dove avviò la funzione "Presentazione" del software. Non era un'ambasciata e non erano nemmeno dei veri progetti. Avevo l'impressione di attraversare immensi sipari di luce che nascevano, si formavano e svanivano attorno a me. Talvolta mi trovavo in mezzo a oggetti piccoli, scintillanti e graziosi, che mi circondavano con la loro vicinanza amichevole; poi un'immensa marea di luce inghiottiva l'insieme, dando origine a un altro scenario.
Eravamo completamente nella gamma dei bianchi, dal cristallino al lattiginoso, dall'opaco all'abbagliante; non aveva alcun rapporto con una realtà possibile, ma era bello. Pensai che la vera natura dell'arte fosse forse quella di far vedere mondi sognati, mondi impossibili, e che fosse una cosa cui non mi ero mai avvicinato, di cui non mi ero nemmeno mai sentito capace; capii ugualmente che l'ironia, la comicità, l'umorismo dovevano morire, poiché il mondo a venire era quello della felicità, e non vi avrebbero più avuto alcun posto.
Vincent non aveva nulla del maschio dominante, non aveva alcuna inclinazione per gli harem, e pochi giorni dopo la morte del profeta aveva avuto un lungo colloquio con Susan, in seguito al quale aveva restituito la libertà alle altre ragazze. Ignoro che cosa si fossero potuti dire, ignoro che cosa credesse Susan, se vedesse in lui una reincarnazione del profeta, se lo avesse riconosciuto come Vincent, se lui le avesse confessato di esserne il figlio, o se lei si fosse fatta un'idea approssimativa; ma penso che per lei tutto ciò non avesse molta importanza.
Incapace di ogni relativismo, piuttosto indifferente in fondo alla questione della verità, Susan poteva vivere solo essendo interamente nell'amore. Con un nuovo essere da amare, amandolo forse già da un pezzo, aveva trovato insieme una nuova ragione di vivere, e sapevo senza possibilità di errore che sarebbero rimasti uniti fino all'ultimo giorno, finché morte non li avesse separati, come si suoi dire, solo che forse nel loro caso la morte non ci sarebbe stata. Miskiewicz sarebbe riuscito a realizzare i suoi obiettivi, loro sarebbero rinati identici in corpi rinnovati, e per la prima volta nella storia del mondo avrebbero vissuto, effettivamente, un amore senza fine. Non è la stanchezza a porre fine all'amore, o meglio tale stanchezza nasce dall'impazienza, dall'impazienza dei corpi che si sanno condannati e che vorrebbero vivere, che vorrebbero nel lasso di tempo che viene loro assegnato non perdere alcuna occasione, non lasciarsi sfuggire alcuna possibilità; che desidererebbero utilizzare al massimo il tempo di vita limitato, declinante, mediocre che è il loro, e che pertanto non possono amare chicchessia poiché tutti gli altri sembrano loro limitati, declinanti, mediocri.
Malgrado questo nuovo orientamento verso la monogamia - orientamento implicito del resto, Vincent non aveva fatto alcuna dichiarazione in questo senso, non aveva impartito alcuna nuova direttiva, la scelta unica che aveva fatto di Susan aveva tutto della decisione puramente individuale -, la settimana successiva alla risurrezione fu contrassegnata da un'attività sessuale più intensa, più libera, più diversa, udii persino parlare di autentiche orge. Le coppie presenti nel centro non sembravano però soffrirne affatto, non si osservava alcuna rottura delle relazioni coniugali né alcuna lite. Forse la prospettiva più vicina dell'immortalità dava già qualche consistenza alla nozione di amore non possessivo che il profeta aveva predicato durante tutta la sua vita senza mai riuscire veramente a convincere nessuno; credo soprattutto che la scomparsa della sua schiacciante presenza maschile avesse liberato gli adepti, avesse fatto venir loro la voglia di vivere momenti più leggeri e più ludici.
Ciò che mi attendeva nella mia vita personale aveva poche probabilità di essere così divertente, ne avevo sempre più il presentimento. Fu solo alla vigilia della mia partenza che riuscii finalmente a raggiungere Esther: mi spiegò che era stata molto occupata, aveva interpretato il ruolo principale in un cortometraggio, era un colpo di fortuna, era stata presa all'ultimo momento, e la lavorazione era cominciata subito dopo i suoi esami, che aveva peraltro superato brillantemente; riassumendo, non mi parlò che di sé. Era al corrente, però, degli avvenimenti di Lanzarote, e sapeva che ne ero stato un diretto testimone. "Que fuerte!" esclamò, il che mi parve un commento un po' misero; mi resi conto allora che anche con lei avrei mantenuto il silenzio, che mi sarei attenuto alla versione ufficiale di un probabile imbroglio, senza mai indicare quanto fossi stato coinvolto negli avvenimenti, e che Vincent era la sola persona al mondo con cui avrei potuto forse discuterne un giorno. Capii allora perché le eminenze grigie, e anche i semplici testimoni di un evento storico le cui cause profonde sono rimaste ignote al grosso pubblico, provino prima o poi il bisogno di liberarsi la coscienza, di mettere per iscritto ciò che sanno.
Vincent mi accompagnò l'indomani all'aeroporto di Arrecife, guidando personalmente il 4x4. Nel momento in cui costeggiavamo di nuovo quella spiaggia strana, dalla sabbia nera disseminata di piccoli sassi bianchi, tentai di spiegargli il bisogno che provavo di una confessione scritta. Mi ascoltò con attenzione e, dopo aver parcheggiato proprio davanti alla sala delle partenze, mi disse che capiva e mi diede l'autorizzazione a scrivere ciò che avevo visto. Bisognava semplicemente che il resoconto venisse pubblicato solo dopo la mia morte o perlomeno che aspettassi per pubblicarlo, o per farlo leggere a chicchessia, un'autorizzazione formale del consiglio direttivo della Chiesa, cioè del triumvirato formato da lui stesso, da Scienziato e da Sbirro. Al di là di quelle condizioni, che accettai facilmente (e sapevo che si fidava di me), lo sentivo pensieroso, come se la mia richiesta lo avesse trascinato in riflessioni vaghe, che faceva ancora fatica a mettere a fuoco.
Aspettammo l'ora del mio imbarco in una sala dalle immense vetrate, che sovrastava le piste. I vulcani si stagliavano in lontananza, presenze familiari, quasi rassicuranti sotto il cielo di un azzurro intenso. Sentivo che Vincent avrebbe desiderato dare a quei saluti un tono più caloroso, ogni tanto mi stringeva il braccio o mi prendeva per le spalle; ma non trovava realmente le parole e non sapeva realmente fare i gesti. Il mattino stesso, avevo subito il prelievo del DNA, e facevo dunque ufficialmente parte della Chiesa. Nel momento in cui un' hostess annunciava l'imbarco del volo per Madrid, pensai che quell'isola dal clima temperato e uniforme, in cui il soleggiamento e la temperatura durante tutto l'anno conoscevano variazioni minime, fosse proprio il posto ideale per accedere alla vita eterna.
DANIEL25,7
In effetti, Vincenti ci informa che fu in seguito a quella conversazione con Daniel1 nel parcheggio dell'aeroporto di Arrecife che ebbe per la prima volta l'idea del racconto di vita, dapprima introdotto come un complemento, un palliativo, in attesa che progredissero i lavori di Slotanl sul cablaggio dei circuiti memoriali, ma poi destinato ad assumere grande importanza in seguito alle concettualizzazioni logiche di Pierce.
DANIEL1,19
Avevo due ore di tempo all'aeroporto di Madrid in attesa dell'imbarco del volo per Almerìa; quelle due ore bastarono a spazzar via lo stato di stranezza astratta in cui mi aveva lasciato il soggiorno dagli elohimiti e a farmi ripiombare integralmente nella sofferenza, come si entra, passo passo, in un'acqua gelata: risalendo in aereo, malgrado il caldo che faceva, tremavo già letteralmente di angoscia. Esther sapeva che ripartivo il giorno stesso, e mi ci era voluto uno sforzo enorme per non confessarle che avevo due ore di attesa all'aeroporto di Madrid, dato che la prospettiva di sentirle dire che erano troppo poche per un'andata e ritorno in taxi mi risultava quasi insopportabile. Ciò non toglie che durante quelle due ore, vagando fra i negozi di CD che facevano una promozione sfrontata dell'ultimo disco di David Bisbal (lei era apparsa, abbastanza spogliata, in uno dei recenti clip del cantante), i Punta de Fumadores e le boutique di abbigliamento Jennyfer, avevo la sensazione sempre più insostenibile di scorgere il suo giovane corpo, erotizzato in un abito estivo, avanzare per le vie della città, ad alcuni chilometri da lì, sotto lo sguardo ammirato dei ragazzi. Mi fermai a Tip Tap Tapas e ordinai delle salsicce disgustose, annegate in una salsa molto grassa, che accompagnai con parecchie birre; sentivo lo stomaco che si gonfiava, che si riempiva di merda, e mi balenò l'idea di accelerare coscientemente il processo di distruzione, di diventare vecchio, ripugnante e obeso per sentirmi definitivamente indegno del corpo di Esther; nel momento in cui cominciavo la mia quarta birra, la radio del bar trasmise una canzone, di cui non conoscevo l'interprete, ma non era David Bisbal, piuttosto un latino tradizionale, con quei tentativi di vocalizzi che i giovani spagnoli trovavano ormai ridicoli, un cantante per casalinghe più che per ragazzine insomma, comunque sia il ritornello era "Mujer es fatal", e mi resi conto che quella cosa così semplice, così stupida non l'avevo mai sentita esprimere così esattamente, e che la poesia quando arrivava alla semplicità era una grande cosa, thE big thing decisamente, la parola "fatai" in spagnolo si addiceva a meraviglia, non ne vedevo alcun'altra che avrebbe potuto definire meglio la mia situazione, era un inferno, un autentico inferno, ero ritornato spontaneamente nella trappola, avevo desiderato ritornarvi ma non conoscevo l'uscita e non ero nemmeno certo di volerne uscire, c'era sempre più confusione nella mia mente, sempre che ne avessi una, avevo a ogni modo un corpo, un corpo sofferente e devastato dal desiderio.
Di ritorno a San José, andai subito a letto, dopo aver assunto una dose massiccia di sonniferi. I due giorni seguenti, non feci che vagare da una stanza all'altra; ero immortale, certo, ma per il momento non cambiava gran che, Esther continuava a non chiamare, ed era l'unica cosa che pareva avere importanza.
Ascoltando per caso una trasmissione culturale alla televisione spagnola (era più di un caso del resto, era un miracolo, poiché le trasmissioni culturali sono rare alla televisione spagnola, gli spagnoli non amano affatto le trasmissioni di questo tipo né la cultura in generale, è un campo che sentono loro profondamente ostile, si ha talvolta l'impressione - parlando di cultura - che si faccia loro una sorta di offesa personale), appresi che le ultime parole di Immanuel Kant, sul letto di morte, erano state: "È sufficiente." Fui colto immediatamente da una crisi di riso doloroso, accompagnata da fitte allo stomaco che si protrassero per tre giorni, alla fine dei quali presi a vomitare bile. Chiamai un medico, che diagnosticò un avvelenamento, mi interrogò sulla mia alimentazione degli ultimi giorni e mi raccomandò di comperare dei latticini. Comperai dei latticini, e la sera stessa ritornai al Diamond Nights, che mi aveva lasciato il ricordo di un locale onesto, in cui non vi spingevano esageratamente a consumare. C'erano una trentina di ragazze attorno al bar, ma solo due clienti. Optai per una marocchina che non poteva avere più di diciassette anni; i suoi grossi seni erano ben valorizzati dalla scollatura, e ho creduto davvero che avrebbe funzionato, ma una volta in camera mi sono dovuto arrendere all'evidenza, non mi tirava nemmeno abbastanza perché potesse infilarmi un preservativo; in tali condizioni rifiutò di succhiarmelo, e allora che fare? Finì col farmi una sega, con lo sguardo ostinatamente fisso a un angolo della stanza; me lo menava troppo forte, faceva male. Dopo un minuto ci fu uno schizzetto traslucido, e lei mi lasciò subito il cazzo; mi rimisi in ordine prima di andare a pisciare.
L'indomani mattina, ricevetti un fax del regista di Diogene il cinico. Aveva sentito dire che rinunciavo al progetto degli Scambisti dell'autostrada, trovava che fosse davvero un peccato; si sentiva pronto a fare la regia se accettavo di scrivere la sceneggiatura. Si dava il caso che dovesse passare da Madrid la settimana seguente, mi proponeva di vederci per parlarne.
Non avevo veramente contatti regolari con quel tipo, in realtà erano cinque anni che non lo vedevo. Entrando nel caffè, mi accorsi di avere completamente dimenticato che faccia avesse; mi sedetti a un tavolino e ordinai una birra. Due minuti dopo, un uomo sulla quarantina, piccolo, grassoccio, riccio, con un sorprendente giubbotto da caccia cachi pieno di tasche, si fermò davanti al mio tavolino, tutto sorridente, con un bicchiere in mano. Era mal rasato, il suo viso era il ritratto della scaltrezza, e continuavo a non riconoscerlo; lo invitai comunque ad accomodarsi. Il mio agente gli aveva fatto leggere la mia nota programmatica e la sequenza pretitoli che avevo sviluppato, disse; trovava il progetto di un interesse eccezionale.
Annuii meccanicamente sbirciando con la coda dell'occhio il mio cellulare; arrivando all'aeroporto, avevo lasciato un messaggio a Esther per avvertirla che mi trovavo a Madrid.
Richiamò al momento opportuno, proprio quando cominciavo a impegolarmi nelle mie contraddizioni, e promise di passare di lì a dieci minuti. Rialzai gli occhi verso il regista, non riuscivo ancora a ricordarne il nome, ma mi resi conto che non mi piaceva, che non mi piaceva nemmeno la sua visione dell'umanità, e che più generalmente non avevo nulla a che fare con quel tipo. Mi proponeva adesso di lavorare in collaborazione sulla sceneggiatura; sobbalzai all'idea. Se ne accorse, fece marcia indietro, mi assicurò che potevo benissimo lavorare da solo se desideravo, che aveva piena fiducia in me. Non avevo alcuna voglia di lanciarmi in quella sceneggiatura ridicola, volevo solo vivere, vivere ancora un pochino, se la cosa era possibile, ma non potevo parlargliene apertamente, aveva tutte le caratteristiche della lingua velenosa, la notizia non avrebbe tardato a fare il giro dell'ambiente, e per oscure ragioni (forse semplicemente per stanchezza) mi sembrava ancora necessario darla a bere, anche solo per pochi mesi. Per alimentare la conversazione, gli raccontai la storia di quel tedesco che ne aveva divorato un altro, incontrato tramite Internet. Prima gli aveva sezionato il pene, poi lo aveva fritto con le cipolle e lo avevano gustato insieme. Dopodiché lo aveva ucciso e tagliato a pezzi che aveva riposto nel suo congelatore. Ogni tanto ne tirava fuori un pezzo, lo scongelava e lo cucinava, seguendo ogni volta una ricetta diversa. Il momento della manducazione comune del pene era stato un'esperienza religiosa intensa, di reale comunione fra lui e la sua vittima, aveva dichiarato agli inquirenti. Il regista mi ascoltava con un sorriso al tempo stesso sciocco e crudele, immaginandosi probabilmente che contassi di inserire quegli elementi nel mio lavoro in corso, rallegrandosi già delle immagini ripugnanti che avrebbe potuto trame. Per fortuna arrivò Esther, sorridente, con la gonna estiva plissettata che le svolazzava intorno alle cosce, e si gettò fra le mie braccia con un abbandono che mi fece scordare tutto.
Si sedette e ordinò una limonata, attendendo saggiamente che la nostra conversazione terminasse. Il regista le lanciava ogni tanto sguardi di apprezzamento - Esther aveva posato i piedi sulla sedia di fronte e allargato le gambe. Non portava mutandine e la cosa sembrava naturale e logica, una semplice conseguenza della temperatura della giornata; mi aspettavo da un momento all'altro che si asciugasse la fica con uno dei tovaglioli di carta del bar. Finalmente il regista si accomiatò, dopo la promessa reciproca di restare in contatto. Dieci minuti dopo ero dentro di lei, e stavo bene. Il miracolo si ripeteva, intenso come il primo giorno, e credetti ancora, per l'ultima volta, che sarebbe potuto durare in eterno.
L'amore non condiviso è un'emorragia. Nei mesi seguenti, mentre la Spagna si adagiava nell'estate, avrei ancora potuto fingere con me stesso che tutto andasse bene, che fossimo alla pari nell'amore; ma purtroppo non ero mai stato molto bravo a mentirmi. Due settimane dopo, venne a trovarmi a San José, e se mi concedeva sempre il suo corpo con il solito abbandono, con così poco ritegno, notai pure che si allontanava sempre più spesso di qualche metro per parlare al cellulare. Rideva di frequente, in quelle conversazioni, più di frequente che con me, prometteva di essere presto di ritorno, e l'idea che mi era venuta di proporle di trascorrere l'estate in mia compagnia appariva sempre più priva di senso; fu quasi con sollievo che la riaccompagnai all'aeroporto. Avevo evitato la rottura, eravamo ancora insieme, come si dice, e la settimana seguente fui io a recarmi a Madrid.
Sapevo che usciva ancora spesso, e che trascorreva talvolta la notte intera ballando nei locali; ma non mi chiese mai di accompagnarla. Immaginavo che rispondesse ai suoi amici che le proponevano di uscire: "No, non stasera, sono con Daniel..." Conoscevo ormai la maggior parte di loro, molti erano studenti o attori; spesso del genere groove, con i capelli un po' lunghi e abiti comodi; alcuni, invece, esageravano in modo umoristico lo stile macho e latin lover; ma tutti erano, ovviamente, giovani, come avrebbe potuto essere altrimenti?
Quanti di loro, mi chiedevo talvolta, erano stati suoi amanti?
Esther non faceva mai nulla che potesse mettermi a disagio; ma non ho mai avuto nemmeno la sensazione di far veramente parte del suo gruppo. Mi ricordo di una sera, potevano essere le dieci, eravamo una decina riuniti in un bar e tutti parlavano con animazione dei meriti di diversi locali, gli uni più house, altri più trance. Da dieci minuti, avevo una voglia terribile di dire loro che volevo anch'io entrare in quel mondo, divertirmi con loro, fare le ore piccole; ero pronto a implorarli che mi portassero con loro. Poi, per caso, scorsi il mio volto riflesso in uno specchio e capii. Avevo quarant'anni suonati; il mio volto era preoccupato, rigido, segnato dall'esperienza della vita, dalle responsabilità, dai dispiaceri; non avevo affatto la faccia di qualcuno con cui sarebbe venuto in mente di divertirsi; ero condannato.
Durante la notte, dopo aver fatto l'amore con Esther (ed era l'unica cosa che continuava a funzionare bene, era probabilmente la sola parte giovanile, non intaccata di me stesso), contemplando il suo corpo bianco e liscio che riposava nel chiarore lunare, ripensai con dolore a Culona. Se dovevo essere misurato con il metro di cui mi ero servito, secondo la parola del Vangelo, allora ero messo piuttosto male, poiché non c'era alcun dubbio che mi fossi comportato con Culona in modo spietato (non che la pietà del resto sarebbe potuta servire a qualcosa: ci sono molte cose che si possono fare per compassione, ma farselo diventare duro, no, questo non è possibile).
Quando incontrai Culona, potevo avere trent'anni, e cominciavo a riscuotere un certo successo (non ancora un grande successo di pubblico, ma di stima). Notai rapidamente quel donnone smorto che veniva a tutti i miei spettacoli, si sedeva in prima fila e mi porgeva ogni volta il suo libretto degli autografi da firmare. Le ci vollero quasi sei mesi per decidersi a rivolgermi la parola, anzi, no, credo di essere stato io, alla fine, a prendere l'iniziativa. Era una donna colta, insegnava filosofia in un'università parigina, e non avevo alcuna ragione per non fidarmi di lei. Mi chiese l'autorizzazione di pubblicare una ritrascrizione commentata di alcuni miei sketch nel Quaderno di studi fenomenologici; naturalmente acconsentii. Ero un po' lusingato, lo ammetto, dopotutto non avevo che la maturità e lei mi paragonava a Kierkegaard. Ci siamo sentiti via Internet per alcuni mesi, progressivamente le cose hanno cominciato a degenerare, ho accettato un invito a cena da lei, avrei dovuto diffidare subito vedendo il suo abito da casa, sono riuscito comunque ad andarmene senza infliggerle un'umiliazione troppo cocente, insomma era ciò che avevo sperato, ma fin dal giorno dopo cominciarono le prime e- mail pornografiche. "Ah, sentirti finalmente in me, sentire il tuo stelo di carne che apre il mio fiore...", era orribile, scriveva come Gerard de Vifliers. 17 Non se la passava bene, dimostrava più della sua età, ma in realtà non aveva che quarantasette anni quando l'ho incontrata - esattamente la mia età quando avevo incontrato Esther. Saltai dal letto nell'attimo in cui ne presi coscienza, ansimante per l'angoscia, e mi misi a camminare avanti e indietro per la camera. Lei dormiva tranquillamente, aveva scostato le lenzuola, mio Dio, com'era bella!
Mi immaginavo allora - e quindici anni dopo ci ripensavo ancora con vergogna, con disgusto - che a partire da una certa età il desiderio sessuale sparisse, che lasciasse perlomeno relativamente tranquilli. Come avevo potuto, io che mi ritenevo uno spirito acuto, caustico, come avevo potuto farmi un'illusione così ridicola? Conoscevo la vita, in linea di massima, avevo anche letto dei libri; e se c'era un argomento semplice, un argomento su cui, come si dice, tutte le testimonianze concordano, era proprio quello. Non solo il desiderio sessuale non sparisce, ma con l'età si fa sempre più crudele, sempre più straziante e insaziabile - e anche negli uomini, del resto piuttosto rari, in cui spariscono le secrezioni ormonali, l'erezione e tutti i fenomeni associati, l'attrazione per i giovani corpi femminili non diminuisce, essa diventa, ed è forse ancora peggio, una cosa mentale, e desiderio del desiderio. Ecco la verità, ecco l'evidenza, ecco quello che avevano ripetuto instancabilmente tutti gli autori seri.
A Culona, al massimo, avrei potuto fare un cunnilingus - immaginavo la mia faccia che si avventurava fra le sue cosce flaccide, fra i suoi cuscinetti di grasso lividi, che cercava di rianimare il suo clitoride pendente. Ma anche ciò, ne avevo la certezza, non sarebbe potuto bastare - e forse non avrebbe fatto altro che accrescere le sue sofferenze. Come tante altre donne, lei voleva essere penetrata, non si sarebbe accontentata di meno, la cosa non era negoziabile.
Mi diedi alla fuga; come tutti gli uomini nelle stesse circostanze, mi diedi alla fuga; smisi di rispondere alla sue e- mail, le vietai l'accesso al mio camerino. Lei tenne duro per anni, cinque, forse sette, insomma per un numero di anni spaventoso; credo abbia insistito fino all'indomani del mio incontro con Isabelle. Non le avevo ovviamente detto nulla, non avevo più alcun contatto; forse in fin dei conti l'intuito esiste, l'intuito femminile come si dice, fu a ogni modo il momento che scelse per eclissarsi, per uscire dalla mia vita, e forse proprio dalla vita, come aveva minacciato più volte di fare.
L'indomani di quella notte penosa, presi il primo volo per Parigi. Esther se ne mostrò leggermente sorpresa, pensava che avrei trascorso tutta la settimana a Madrid, e del resto era quanto avevo previsto anch'io, non capivo molto bene la ragione di quella partenza improvvisa, forse volevo fare il furbo, mostrare che avevo anch'io la mia vita, le mie attività, la mia indipendenza - nel qua! caso risultò un colpo a vuoto; lei non si mostrò affatto sconvolta o destabilizzata dalla notizia e disse: "Bueno...", e fu tutto. Probabilmente i miei atti non avevano più senso, cominciavo a comportarmi come un vecchio animale ferito a morte che carica in tutte le direzioni, sbatte contro tutti gli ostacoli, cade e si rialza, sempre più furioso, sempre più indebolito, sconvolto e inebriato dall'odore del proprio sangue.
Avevo addotto come pretesto la voglia di rivedere Vincent, era ciò che avevo spiegato a Esther, ma fu solo atterrando a Roissy che mi resi conto che avevo davvero voglia di rivederlo, ancora una volta senza sapere il perché delle mie azioni, forse semplicemente per verificare che la felicità è possibile. Si era sistemato con Susan nel villino dei nonni, nel villino in cui in fondo aveva vissuto tutta la vita. Era l'inizio di giugno, ma il tempo era grigio e l'edificio di mattoni rossi sinistro; fui sorpreso leggendo i nomi sulla cassetta delle lettere. "Susan Longfellow" d'accordo, ma "Vincent Macaury"? Eh sì, il profeta si chiamava Macaury, Robert Macaury, e Vincent non aveva più il diritto di riprendere il cognome della madre; il cognome Macaury gli era stato attribuito per circolare, perché ce ne voleva uno in attesa di una decisione giudiziaria. "Sono un errore," mi aveva detto Vincent una volta alludendo al padre. Forse, ma i suoi nonni lo avevano accolto e amato teneramente come una vittima, erano stati amaramente delusi dall'egoismo irresponsabile e gaudente del figlio, che del resto era quello di tutta una generazione, prima che le cose andassero male e rimanesse soltanto l'amore di se stessi, una volta svanito il piacere; a ogni modo lo avevano accolto, gli avevano aperto le porte della loro casa, ed era una cosa per esempio che non avrei mai fatto per mio figlio, il solo pensiero di vivere sotto lo stesso tetto di quel piccolo imbecille mi sarebbe stato insopportabile, eravamo semplicemente, lui come me, persone che non sarebbero dovute esistere, contrariamente a Susan, che viveva adesso in quell'ambiente vecchio, sovraccarico, lugubre, così distante dalla sua California natale, e vi si era sentita subito bene, non aveva gettato via nulla, riconoscevo le foto di famiglia nelle loro cornici, le medaglie al merito del lavoro del nonno, i pacchiani souvenir di un soggiorno sulla Costa Brava; Susan aveva forse dato aria, comperato dei fiori, non so, non me ne intendo affatto, personalmente ho sempre vissuto come in albergo, non ho l'istinto del focolare, in mancanza di una donna credo sia una cosa cui non avrei nemmeno pensato, a ogni modo adesso quella era una casa in cui si aveva l'impressione che le persone potessero essere felici, lei aveva il potere di farlo. Amava Vincent, me ne resi conto subito, era palese, ma soprattutto amava. La sua natura era di amare, come quella della vacca di pascolare (o quella dell'uccello di cantare, o quella del topo di fiutare). Avendo perduto il suo vecchio padrone, se n'era trovato quasi subito uno nuovo, e il mondo attorno a lei si era nuovamente caricato di un'evidenza positiva.
Cenai con loro, e fu una serata gradevole, armoniosa, con pochissima sofferenza; non ebbi il coraggio, tuttavia, di rimanere a dormire, e me ne andai verso le undici dopo aver riservato una camera al Lutétia.
Alla stazione Montparnasse- Bienvenùe, ripensai alla poesia, probabilmente perché avevo appena rivisto Vincent, e ciò mi riconduceva sempre a una più chiara consapevolezza dei miei limiti: limitazioni creatrici da una parte, ma anche limitazioni nell'amore. Bisogna dire però che in quel momento passavo davanti a un manifesto "poesia RATP", più precisamente davanti a quello che riproduceva L'amore libero di Andre Breton, e che, qualunque sia il disgusto che possa ispirare la personalità di Andre Breton, qualunque sia la stupidità del titolo, pietosa antinomia che testimoniava soltanto, oltre a un certo rammollimento cerebrale, l'istinto pubblicitario che caratterizza e in fin dei conti riassume il surrealismo, bisognava riconoscerlo: l'imbecille, in quel caso, aveva scritto una bellissima poesia. Non ero il solo, però, ad avere certe riserve, e due giorni dopo, ripassando davanti allo stesso manifesto, mi accorsi che era stato imbrattato con una scritta che diceva: "Invece delle vostre poesie ridicole, fareste meglio ad aggiungere dei convogli nelle ore di punta", il che bastò a mettermi di buonumore tutto il pomeriggio e persino a ridarmi un po' di fiducia in me stesso: non ero che un comico, certo, ma ero comunque un comico.
L'indomani della cena da Vincent, avevo avvertito la reception del Lutétia che tenevo la camera, probabilmente per parecchi giorni. Avevano accolto la notizia con una cortesia complice. Dopotutto, è vero, ero una celebrità; potevo sperperare i miei soldi bevendo degli Alexandra al bar con Philippe Sollers o Philippe Bouvard - forse non con Philippe Léotard, perché era morto; ma in fondo, tenuto conto della mia notorietà, avrei avuto accesso alle tre categorie di Philippe. Potevo trascorrere la notte con una puttana slovena transessuale; insomma, potevo condurre una vita mondana brillante, era persino ciò che ci si aspettava forse da me, le persone si fanno conoscere con una o due produzioni di talento, non di più, è già abbastanza sorprendente che un essere umano abbia una o due cose da dire, poi uno gestisce il proprio declino più o meno tranquillamente, dipende.
Nei giorni seguenti però, non feci nulla di tutto ciò; l'indomani, invece, ritelefonai a Vincent. Aveva capito in fretta che lo spettacolo della sua felicità coniugale rischiava di risultarmi penoso, e mi propose un incontro al bar del Lutétia. A dire il vero, mi parlò soltanto del suo progetto di ambasciata, divenuta una installazione il cui pubblico sarebbe stato costituito dagli uomini del futuro. Aveva ordinato una limonata, ma non ne bevve un sorso; ogni tanto una celebrità attraversava il bar, mi scorgeva e mi faceva un cenno d'intesa; Vincent non vi prestava alcuna attenzione. Parlava senza guardarmi, senza nemmeno controllare che lo stessi ascoltando, con voce al tempo stesso ponderata e assente, un po' come se parlasse a un registratore o testimoniasse davanti a una commissione d'inchiesta. Via via che mi esponeva il suo progetto, presi coscienza che esso si scostava a poco a poco dall'idea iniziale, che diveniva sempre più ambizioso, e che mirava a ben altro che a testimoniare su quella che un autore enfatico del XX secolo aveva pensato bene di definire la "condizione umana".
Mi fece notare che sull'umanità c'erano già numerose testimonianze, che concordavano nella loro constatazione penosa; l'argomento, insomma, era noto. Con calma, ma senza ritorno possibile, lasciava le rive umane per vogare verso l' altrove assoluto, dove non mi sentivo in grado di seguirlo, e probabilmente era il solo spazio in cui lui potesse respirare, forse la sua vita non aveva mai avuto altro obiettivo, ma allora era un obiettivo che avrebbe dovuto perseguire da solo; solo, del resto, lo era sempre stato.
Non eravamo più gli stessi, insistette con voce soave, eravamo diventati eterni; certo avremmo avuto bisogno di tempo per assuefarci all'idea, per rendercela familiare; comunque, fondamentalmente, le cose erano ormai cambiate. Dopo la partenza degli adepti, Scienziato era rimasto a Lanzarote con alcuni tecnici, e proseguiva le sue ricerche; senza alcun dubbio, avrebbe finito col farcela. L'uomo aveva un cervello di grandi dimensioni, un cervello sproporzionato rispetto alle esigenze primitive generate dal mantenimento della sopravvivenza, dalla ricerca del cibo e del sesso; finalmente avremmo potuto cominciare a utilizzarlo. Mi rammentò che nessuna cultura dello spirito si era mai potuta sviluppare nelle società a forte delinquenza, semplicemente perché la sicurezza fisica è la condizione del libero pensiero, che nessuna riflessione, nessuna poesia, nessun pensiero appena appena creativo sono mai potuti nascere in un individuo che debba preoccuparsi della propria sopravvivenza, che debba stare di continuo in guardia. Una volta assicurata la conservazione del nostro DNA, divenuti potenzialmente immortali, ci saremmo trovati, proseguì Vincent, in condizioni di assoluta sicurezza fisica, in condizioni di sicurezza fisica che nessun essere umano aveva mai conosciuto; nessuno poteva prevedere che cosa sarebbe risultato dal punto di vista dello spirito.
Tale conversazione tranquilla, e come disimpegnata, mi fece un bene immenso, e per la prima volta mi misi a pensare alla mia, di immortalità, a considerare le cose in maniera un po' più aperta; ma di ritorno nella mia stanza trovai sul mio cellulare un messaggio di Esther, che diceva semplicemente: "I miss you", e sentii di nuovo, incrostato nella mia carne, il bisogno di lei. La gioia è così rara. L'indomani, ripresi l'aereo per Madrid.
DANIEL25,8
L'importanza incredibile che assumeva il sesso per gli esseri umani ha sempre gettato i loro commentatori neoumani in uno sbalordimento inorridito. Era penoso vedere Daniel1 avvicinarsi a poco a poco al Segreto Malvagio, come lo definisce la Sorella Suprema; era penoso sentirlo progressivamente contagiato dalla coscienza di una verità che, una volta portata a galla, avrebbe potuto soltanto annientarlo. Nel corso delle varie epoche, la maggior parte degli uomini con l'arrivo della vecchiaia aveva ritenuto corretto alludere ai problemi del sesso come se fossero soltanto ragazzate di nessun conto, e considerare che i veri argomenti, gli unici degni dell'attenzione di un uomo fatto, fossero la politica, gli affari, la guerra. La verità, all'epoca di Daniel1, cominciava a venire a galla; appariva sempre più chiaramente, e diventava sempre più difficile da dissimulare, che i veri scopi degli uomini, i soli che avrebbero perseguito spontaneamente se ne avessero conservato la possibilità, erano di ordine sessuale. Per noi neoumani, questo è un vero scoglio. Come ci avverte la Sorella Suprema, non potremo mai farci un'idea adeguata del fenomeno; potremo avvicinarci alla sua comprensione solo tenendo continuamente presenti alcune idee regolatrici, la più importante delle quali è che nella specie umana, come in tutte le specie animali che l'avevano preceduta, la sopravvivenza individuale non contava assolutamente.
La fantasia darwiniana della "lotta per la vita" aveva nascosto a lungo il fatto elementare che il valore genetico di un individuo, il suo potere cioè di trasmettere ai discendenti le proprie caratteristiche, poteva ridursi molto brutalmente a un solo parametro: il numero di discendenti che in fin dei conti era in grado di procreare. Perciò non bisognava stupirsi affatto che un animale, un qualsiasi animale, fosse stato pronto a sacrificare la propria felicità, il proprio benessere fisico e persino la propria vita nella speranza di un semplice rapporto sessuale; la volontà della specie (per parlare in termini finalistici), un sistema ormonale dalle regolazioni potenti (se ci si atteneva a un approccio deterministico) dovevano condurlo quasi ineluttabilmente a questa scelta. I manti e i piumaggi cangianti, le parate amorose chiassose e spettacolari potevano far individuare e divorare gli animali maschi dai loro predatori: una simile soluzione veniva comunque sistematicamente favorita, in termini genetici, dato che permetteva una riproduzione più efficace. Questa subordinazione dell'individuo alla specie, basata su meccanismi biochimici immutati, restava altrettanto forte nell'animale umano, con l'aggravante che le pulsioni sessuali, non limitate ai periodi di calore, potevano esercitarvisi in permanenza - i racconti di vita umani ci mostrano per esempio con evidenza che il mantenimento di un aspetto fisico suscettibile di sedurre i rappresentanti dell'altro sesso era l'unica vera ragion d'essere della salute, e che la cura minuziosa del corpo, cui i suoi contemporanei dedicavano una parte crescente del loro tempo libero, non aveva altro obiettivo.
La biochimica sessuale dei neoumani (ed era probabilmente la vera ragione della sensazione di soffocamento e di malessere che mi sopraffaceva a mano a mano che avanzavo nel racconto di Daniel1 e che percorrevo le tappe del suo calvario) era rimasta quasi identica.
DANIEL1,20
Il nulla annienta.
Martin Heidegger
Dall'inizio di agosto un'area di alte pressioni si era stabilita sulla Meseta, e fin dal mio arrivo all'aeroporto di Barajas sentii che le cose sarebbero andate male. Il caldo era appena sopportabile ed Esther era in ritardo; arrivò una mezz'ora dopo, nuda sotto l'abito estivo.
Avevo dimenticato la mia crema ritardante al Lutétia e quello fu il mio primo errore; venni troppo in fretta, e per la prima volta la sentii un po' delusa. Continuò a muoversi, per un po', attorno al mio sesso che diventava irrimediabilmente flaccido, poi si scostò con una smorfia rassegnata. Avrei dato chissà che cosa perché mi tirasse ancora; gli uomini vivono dalla nascita in un mondo difficile, un mondo dalle poste semplicistiche e spietate, e senza la comprensione delle donne ben pochi riuscirebbero a sopravvivere. Credo di aver capito da quel momento che era andata a letto con qualcun altro durante la mia assenza.
Prendemmo il metrò per andare a bere qualcosa con due suoi amici; il sudore le incollava il tessuto al corpo, mettendo in mostra perfettamente le areole dei seni e il solco delle natiche; ovviamente tutti i ragazzi nel vagone la fissavano, alcuni perfino le sorridevano.
Feci molta fatica a partecipare alla conversazione, ogni tanto riuscivo a cogliere una frase, a scambiare qualche parola, ma perdevo terreno molto in fretta, e a ogni modo pensavo ad altro, mi sentivo su una china pericolosa, estremamente pericolosa. Appena tornati in albergo, le posi la domanda; lo ammise senza fare storie. "It was an ex boyfriend..." disse per sottolineare che la cosa non aveva molta importanza. "And a friend of him," soggiunse dopo qualche attimo di esitazione.
Due ragazzi, dunque; ebbene sì, due ragazzi, dopotutto non era la prima volta. Aveva incontrato il suo ex per caso in un bar, era con un suo amico, una cosa tira l'altra e si erano ritrovati tutt'e tre nello stesso letto. Le chiesi come fosse andata, non potevo farne a meno. "Good... good..." mi rispose, un po' preoccupata per la piega che prendeva la conversazione. "It was... comfortable," precisò senza riuscire a trattenere un sorriso. Comfortable, si, potevo immaginarmelo. Feci uno sforzo atroce per trattenermi dal chiederle se lo avesse spompinato, lui, il suo amico, entrambi, se si fosse fatta sodomizzare; sentivo le immagini affluire nel mio cervello e scavarvi dei buchi, doveva vedersi perché lei tacque assumendo un'espressione sempre più preoccupata. Prese in gran fretta l'unica decisione possibile, quella di occuparsi del mio sesso, e lo fece con una tale tenerezza, una tale abilità, con le dita e con la bocca, che, contro ogni aspettativa, mi ritornò duro e un minuto dopo ero dentro di lei, e andava, andava di nuovo, ero pienamente partecipe, e anche lei, credo persino che da un pezzo non avesse goduto tanto - con me perlomeno, pensai due minuti dopo, ma questa volta riuscii a scacciare il pensiero dalla mente, la strinsi fra le braccia con molta tenerezza, con tutta la tenerezza di cui ero capace, e mi concentrai con tutte le mie forze sul suo corpo, sulla presenza attuale, calda e viva, del suo corpo.
Questa piccola scena così dolce, così discreta, implicita, ebbe, lo penso adesso, un'influenza decisiva su Esther, e il suo comportamento nel corso delle settimane seguenti fu guidato da un unico pensiero: evitare di farmi soffrire; cercare persino, nei limiti dei suoi mezzi, di rendermi felice. I suoi mezzi per rendere felice un uomo erano considerevoli, e serbo il ricordo di un periodo di immensa gioia, irradiata da una felicità carnale di ogni attimo, da una felicità che non avrei creduto sostenibile, alla quale non avrei creduto di poter sopravvivere. Serbo il ricordo anche della sua gentilezza, della sua intelligenza, della sua perspicacia compassionevole e della sua grazia, ma in fondo non serbo nemmeno un ricordo preciso, nessuna immagine si distacca, so di aver vissuto almeno alcuni giorni e probabilmente alcune settimane in un certo stato, uno stato di perfezione sufficiente e completa, umana tuttavia, di cui alcuni uomini hanno sentito talvolta la possibilità, benché nessuno sia riuscito fino a ora a fornirne una descrizione plausibile.
Esther aveva previsto già da un pezzo di organizzare un party per il suo compleanno, il 17 agosto, e nei giorni seguenti cominciò a occuparsi dei preparativi. Voleva invitare un bel po' di gente, un centinaio di persone, e decise di ricorrere a un amico che abitava in Calle San Isidor e aveva un grande loft all'ultimo piano, con terrazza e piscina; costui ci invitò a bere qualcosa per parlarne. Era un tipo alto, di nome Fabio, con lunghi capelli neri e ricci, piuttosto cool; si era infilato una leggera vestaglia per venirci ad aprire, ma se la tolse una volta sulla terrazza; il suo corpo nudo era muscoloso e abbronzato.
Ci offrì un succo d'arancia. Era andato a letto con Esther? Mi sarei posto la domanda, ormai, per tutti gli uomini che ci fosse capitato di incontrare? Lei era attenta, in guardia dalla sera del mio ritorno, colse probabilmente un lampo d'inquietudine nel mio sguardo, declinò la proposta di prendere il sole sul bordo della piscina e si sforzò di limitare la conversazione ai preparativi della festa. Era escluso che si comperasse abbastanza cocaina ed ecstasy per tutti; Esther propose di provvedere personalmente all'acquisto di una prima dose per lanciare la serata e di invitare due o tre spacciatori a passare poi. Fabio poteva incaricarsene, in quel momento aveva dei buoni fornitori; si offrì persino, in uno slancio di generosità, di procurare a sue spese qualche popper.
Il 15 agosto, giorno della Madonna, Esther fece l'amore con maggior lascivia del solito. Eravamo all'albergo Sanz, il letto stava di fronte a un grande specchio, e faceva così caldo che ogni movimento era un bagno di sudore; avevo le braccia e le gambe in croce, non avevo più la forza di muovermi, tutta la mia sensibilità si era concentrata nel mio sesso. Per più di un'ora lei mi cavalcò, salendo e scendendo lungo il mio cazzo attorno al quale contraeva e dilatava la fichetta che si era depilata da poco. Nel frattempo si accarezzava con una mano i seni lucenti di sudore guardandomi negli occhi, sorridente e concentrata, attenta a tutte le variazioni del mio piacere. La sua mano libera era richiusa sui miei coglioni che stringeva ora piano, ora più forte, allo stesso ritmo dei movimenti della sua fica. Quando sentiva che stavo per venire si fermava di colpo, e premeva prontamente con due dita per fermare l'eiaculazione alla sua fonte; poi, quando il pericolo era passato, ricominciava. Passai così un'ora, forse due, al limite della deflagrazione, nel pieno della più grande gioia che un uomo possa conoscere, e alla fine fui io a chiedere pietà, a chiedere di goderle in bocca. Lei si raddrizzò, mi mise un cuscino sotto le natiche, mi chiese se vedessi bene nello specchio; no, era meglio spostarsi un po', mi avvicinai alla sponda del letto. Lei si inginocchiò ai piedi del letto, con il viso all'altezza del mio cazzo che cominciò a leccare metodicamente, centimetro dopo centimetro, prima di richiudere le labbra sul glande. Poi le sue mani entrarono in azione e mi masturbò lentamente, con forza, come per estrarre ogni goccia di sperma dalle profondità di me stesso, mentre la sua lingua effettuava rapidi movimenti di va e vieni attorno all'estremità del mio sesso.
Con la vista annebbiata dal sudore, persa ogni nozione chiara dello spazio e del tempo, riuscii tuttavia a prolungare ancora un po' quel momento, e la sua lingua ebbe il tempo di effettuare tre rotazioni complete prima che godessi, e fu allora come se tutto il mio corpo irradiato dal piacere venisse meno, aspirato dal nulla, in un'ondata di energia felice. Mi tenne in bocca, quasi immobile, succhiandomi il sesso al rallentatore, chiudendo gli occhi come per udire meglio le urla della mia felicità.
Poi si sdraiò, rannicchiandosi fra le mie braccia, mentre la notte scendeva rapidamente su Madrid, e fu solo dopo una mezz'ora di tenera immobilità che mi disse ciò che mi doveva dire da alcune settimane - nessuno ne era ancora al corrente, a eccezione di sua sorella, contava di annunciarlo agli amici durante la sua festa di compleanno. Era stata accettata in una prestigiosa accademia a New York per un corso di pianoforte, e contava di trascorrervi almeno un anno scolastico.
Nello stesso tempo, era stata ingaggiata per una particina in una grossa produzione hollywoodiana sulla morte di Socrate; vi avrebbe interpretato una sacerdotessa di Afrodite, il protagonista sarebbe stato Robert De Niro. Era solo una particina, una settimana di lavorazione al massimo, ma era Hollywood e il cachet bastava per pagare il suo anno di studi e di soggiorno. Sarebbe partita all'inizio di settembre.
Mantenni, mi pare, un silenzio totale. Ero impietrito, incapace di reagire, mi pareva che se avessi pronunciato una parola sarei scoppiato in singhiozzi. "Bueno... It's a big chance in my Itfe..." finì col dire in tono lamentoso, affondando la testa nell'incavo della mia spalla. Fui sul punto di proporle di partire insieme per gli Stati Uniti, di vivere insieme laggiù, ma le parole mi morirono in bocca, mi rendevo conto benissimo che non aveva nemmeno preso in considerazione tale possibilità.
Non mi propose nemmeno di andarla a trovare; era un nuovo periodo della sua vita, una nuova partenza. Accesi la lampada sul comodino e la scrutai attentamente per vedere se scorgessi in lei una traccia di fascinazione per l'America, per Hollywood; no, non ce n'era, Esther pareva lucida e calma, prendeva semplicemente la decisione migliore, la più razionale, tenuto conto delle circostanze. Sorpresa dal mio silenzio prolungato, voltò il capo per guardarmi, i lunghi capelli biondi le ricaddero ai lati del viso, il mio sguardo le si posò involontariamete sui seni, mi sdraiai, spensi la lampada, respirai profondamente; non volevo rendere le cose più difficili, non volevo che mi vedesse soffrire.
Dedicò la giornata successiva a prepararsi per la festa; in un vicino istituto di bellezza si fece fare una maschera all'argilla e un massaggio con una crema esfoliante. Attesi, fumando, nella stanza d'albergo. L'indomani fu all'incirca la stessa cosa; dopo l'appuntamento dal parrucchiere, si fermò in alcuni negozi dove acquistò degli orecchini e una cintura. Mi sentivo la mente vuota in maniera singolare, come la devono avere i condannati a morte in attesa dell'esecuzione della sentenza; non ho mai creduto che passino le loro ultime ore, a parte forse coloro che credono in Dio, a ricordare la loro vita passata, a fare un bilancio; credo semplicemente che cerchino di passare il tempo nel modo più neutro possibile; i più fortunati dormono, ma non rientravo in questa categoria, credo di non aver chiuso occhio durante quei due giorni.
Quando bussò alla porta della mia stanza, il 17 agosto, verso le venti, e apparve sulla soglia, capii che non sarei sopravvissuto alla sua partenza. Indossava un piccolo top trasparente, annodato sotto i seni, che ne lasciava indovinare la curva; le calze dorate, sostenute da giarrettiere, le arrivavano a un centimetro dalla gonna - una mini ultracorta, quasi una cintura, di vinile dorato. Non portava biancheria intima, e quando si chinò per sistemarsi gli alti stivali il movimento le scoprì largamente le natiche; mio malgrado, protesi la mano per accarezzarle.
Lei si voltò, mi prese fra le braccia e mi lanciò uno sguardo così compassionevole, così tenero che credetti per un attimo che mi avrebbe detto che rinunciava, che restava con me, allora e per sempre, ma ciò non accadde, e prendemmo un taxi per recarci al loft di Fabio.
I primi invitati arrivarono verso le undici, ma la festa cominciò veramente solo dopo le tre del mattino. All'inizio, mi comportai piuttosto correttamente, circolando in maniera quasi noncurante fra gli invitati, con il mio bicchiere in mano; molti mi conoscevano o mi avevano visto al cinema, il che diede luogo a qualche semplice conversazione, a ogni modo la musica era troppo alta, e presto mi limitai a scuotere il capo.
C'erano circa duecento persone ed ero probabilmente il solo ad aver superato i venticinque anni, ma anche ciò non riusciva a destabilizzarmi, mi sentivo in uno strano stato di calma; è vero che, in un certo senso, la catastrofe era già successa.
Esther era uno splendore, salutava i nuovi arrivati abbracciandoli con effusione. Tutti sapevano ormai che sarebbe partita per New York di lì a due settimane, e avevo avuto paura all'inizio di sentirmi un po' ridicolo, dopotutto ero nella posizione del tipo che si fa piantare, ma nessuno me lo fece pesare, i presenti mi parlavano come se mi trovassi in una situazione normale.
Verso le dieci del mattino, la house cedette il posto alla trance, avevo vuotato e riempito regolarmente il mio bicchiere di punch, cominciavo a sentirmi un po' stanco, sarebbe stato meraviglioso se fossi riuscito a dormire, pensai, ma non ci credevo veramente, l'alcool mi aveva aiutato ad arginare il montare dell'angoscia, ma la sentivo sempre lì, viva nel mio intimo e pronta a divorarmi al minimo segno di debolezza. Un po' prima si erano cominciate a formare delle coppie, avevo osservato dei movimenti in direzione delle camere. Presi un corridoio a caso e aprii una porta ornata con un poster raffigurante degli spermatozoi ingranditi. Ebbi l'impressione di arrivare dopo la fine di una miniorgia; ragazzi e ragazze, seminudi, erano distesi di traverso sul letto. In un angolo, un'adolescente bionda, dalla T- shirt rialzata sui seni, faceva un pompino; mi avvicinai a lei, ma mi fece segno di allontanarmi. Mi sedetti contro il letto, non lontano da una bruna dalla pelle olivastra, dai seni magnifici, la cui gonna era rialzata fino alla vita. Pareva profondamente addormentata e non reagì più di tanto quando le allargai le cosce, ma quando le introdussi un dito nella fica, mi respinse la mano meccanicamente, senza svegliarsi davvero.
Rassegnato, tornai a sedermi ai piedi del letto, ed ero immerso da forse mezz'ora in un abbrutimento cupo quando vidi entrare Esther. Era vivace, in piena forma e accompagnata da un amico - un omosessuale carino, dai cortissimi capelli biondo platino, che conoscevo di vista. Si era procurata due dosi di coca e si accovacciò per preparare le piste, poi posò per terra il pezzo di cartoncino che aveva usato; non aveva notato la mia presenza. Il suo amico prese la prima dose. Quando lei si inginocchiò a sua volta sul pavimento, la gonna le risalì di parecchio sul sedere. Si introdusse in una narice il cartoncino arrotolato, e, nel momento in cui sniffò rapidamente la polvere bianca con un gesto abile e preciso, seppi che avrei serbato impressa nella memoria l'immagine di quell'animaletto innocente, amorale, né buono né cattivo, semplicemente in cerca della sua razione di eccitamento e di piacere. Ripensai a un tratto alle parole con cui Scienziato aveva descritto l'italiana: una bella Esposizione di particelle, una superficie liscia, senza individualità, la cui scomparsa non avrebbe avuto alcuna importanza... ed era ciò di cui ero stato innamorato, che aveva costituito la mia unica ragione di vita, e che, purtroppo, la costituiva ancora. Si raddrizzò di colpo, aprì la porta - la musica ci arrivò molto più forte - e ripartì in direzione della festa.
Mi rialzai senza volerlo per seguirla; quando raggiunsi la stanza principale era già in mezzo ai ballerini. Mi misi a ballare accanto a lei, che sembrava però non vedermi, i capelli le turbinavano attorno al viso, il suo top era ormai completamente fradicio di sudore e il tessuto le si incollava alle punte erette dei seni, il beat era sempre più rapido - almeno 160 BPM - e facevo un po' fatica a tenere il ritmo, fummo brevemente separati da un gruppo di tre ragazzi, poi ci ritrovammo schiena contro schiena, incollai le mie natiche alle sue, si mosse in risposta, i nostri sederi si strofinarono sempre più forte, poi Esther si voltò e mi riconobbe. "Hola, Daniel..." mi disse sorridendo prima di rimettersi a ballare, poi fummo separati da un altro gruppo di ragazzi e mi sentii di colpo stanchissimo, pronto a cadere; mi sedetti su un divano prima di servirmi un whisky, ma non fu una buona idea, mi venne subito un attacco di nausea atroce, la porta del bagno era chiusa a chiave e bussai parecchie volte ripetendo: "l'm sick! l'm sick!" prima che una ragazza venisse ad aprirmi; si era messa un asciugamano attorno alla vita e richiuse dietro di me prima di tornare nella vasca in cui due ragazzi la aspettavano; si inginocchiò e uno la penetrò subito, mentre l'altro si metteva in posizione per farsi spompinare. Mi precipitai sulla tazza e mi ficcai le dita in gola, vomitai a lungo, dolorosamente, prima di cominciare a sentirmi un po' meglio, poi tornai a sdraiarmi in camera dove non c'era ormai più nessuno a eccezione della bruna che mi aveva respinto poco prima; continuava a dormire tranquillamente, con la gonna rialzata fino alla vita, e mio malgrado cominciai a sentirmi spaventosamente triste, allora mi tirai su, mi misi in cerca di Esther e mi aggrappai letteralmente a lei, senza pudore; la presi per la vita e la implorai di parlarmi, di parlarmi ancora, di restare al mio fianco, di non lasciarmi solo; lei si liberava con impazienza crescente per andare verso i suoi amici, ma io tornavo alla carica, la prendevo fra le braccia, lei mi respingeva di nuovo e vedevo i loro volti chiudersi attorno a me, probabilmente mi parlavano pure, ma non capivo nulla, il baccano dei bassi copriva tutto. La udii infine che ripeteva: "Please, Daniel, please... It's a party!" con voce insistente, ma non servì a nulla, il senso di abbandono continuava a crescere in me, a sommergermi, le posai di nuovo la testa sulla spalla, allora lei mi respinse violentemente con entrambe le braccia gridando: "Stop that!", aveva un'aria davvero furiosa adesso, parecchie persone attorno a noi avevano smesso di ballare, mi voltai e tornai nella camera; mi raggomitolai sul pavimento, mi presi la testa fra le mani e, per la prima volta da almeno vent'anni, mi misi a piangere.
La festa continuò ancora per tutta la giornata; verso le cinque del pomeriggio Pablo tornò con dei panini al cioccolato e dei croissant, accettai un croissant che inzuppai in una tazza di caffellatte, la musica era più calma, era una specie di chili out melodioso e sereno, parecchie ragazze ballavano muovendo lentamente le braccia come grandi ali. Esther era a qualche metro, ma non prestò alcuna attenzione a me nel momento in cui mi sedetti, continuò a chiacchierare con i suoi amici, a rievocare altre serate, e fu solo in quel momento che capii.
Partiva per gli Stati Uniti per un anno, forse per sempre; laggiù si sarebbe fatta dei nuovi amici, e naturalmente avrebbe trovato un nuovo boyfriend. Venivo abbandonato, certo, ma esattamente come loro, la mia condizione non aveva nulla di speciale. Quel sentimento di attaccamento esclusivo che sentivo in me, che mi avrebbe torturato sempre più fino ad annientarmi, non corrispondeva assolutamente a nulla per lei, non aveva alcuna giustificazione, alcuna ragion d'essere: le nostre carni erano distinte, non potevamo provare né le stesse sofferenze né le stesse gioie, eravamo evidentemente degli esseri separati. Isabelle non amava il piacere, ma Esther non amava l'amore, non voleva essere innamorata, rifiutava quel sentimento di esclusività, di dipendenza, ed era tutta la sua generazione a rifiutarlo con lei; vagavo fra loro come una sorta di mostro preistorico con le mie scemenze sentimentali, i miei attaccamenti, le mie catene. Per Esther, come per la maggior parte delle ragazze della sua generazione, la sessualità era un divertimento piacevole, guidato dalla seduzione e dall'erotismo, che non implicava alcun impegno affettivo particolare; probabilmente l'amore, come la pietà secondo Nietzsche, non era mai stato altro che una finzione sentimentale inventata dai deboli per colpevolizzare i forti, per introdurre dei limiti alla loro libertà e alla loro ferocia naturali. Le donne erano state deboli, in particolare al momento del parto, ai loro inizi avevano avuto bisogno di vivere sotto la tutela di un protettore potente, e a tale scopo avevano inventato l'amore, ma adesso erano diventate forti, erano indipendenti e libere, e avevano rinunciato a ispirare e a provare un sentimento che non aveva più alcuna giustificazione concreta. Il millenario progetto maschile, perfettamente espresso ai giorni nostri dai film pornografici, consistente nel togliere alla sessualità ogni connotazione sentimentale per ricondurla nel campo del divertimento puro, si era realizzato finalmente in quella generazione. Ciò che provavo, quei giovani non potevano provarlo e nemmeno capirlo esattamente, e se avessero potuto avrebbero sentito una specie di fastidio, come davanti a qualcosa di ridicolo e di un po' vergognoso, come davanti a un marchio di tempi più antichi. Dopo decenni di condizionamento e di sforzi, erano finalmente riusciti a estirpare dal loro cuore uno dei più vecchi sentimenti umani, e adesso era fatta, ciò che era stato distrutto non si sarebbe potuto riformare, come non si sarebbero potuti ricomporre da soli i pezzi di una tazza rotta, avevano raggiunto il loro obiettivo: in nessun momento della loro vita avrebbero conosciuto l'amore. Erano liberi.
Verso mezzanotte qualcuno rimise della techno e gli invitati ricominciarono a ballare; gli spacciatori se n'erano andati, ma restavano ancora molte pastiglie di ecstasy e dei popper.
Vagavo in zone inferiori penose, confinate, come in una successione di stanze buie. Senza una ragione precisa ripensai a Gerard, l'umorista elohimita. "Questo non ha al- cula importanza..." dissi a un certo momento a una ragazza, una svedese abbrutita che a ogni modo parlava solo inglese; lei mi guardò bizzarramente, mi accorsi adora che molti mi guardavano bizzarramente, e che parlavo da solo, a quanto pareva da parecchi minuti. Scossi il capo, guardai l'orologio e andai a piazzarmi su una sdraio a bordo piscina; erano già le due del mattino, ma il caldo restava soffocante.
Più tardi mi resi conto che già da un pezzo non vedevo Esther e andai alla sua ricerca. Non c'era più tanta gente nella stanza principale; scavalcai parecchie persone nel corridoio che conduceva alle camere, e finii col trovarla in una delle ultime, distesa in mezzo a un gruppo; aveva addosso solo la minigonna dorata, rialzata fino alla vita. Un ragazzo sdraiato dietro di lei, uno alto, bruno, dai lunghi capelli ricci, che poteva essere Fabio, le carezzava le natiche e si accingeva a penetrarla. Lei parlava a un altro ragazzo, anche lui bruno, molto muscoloso, che non conoscevo; nello stesso tempo giocava con il suo sesso, sbattendoselo sorridente contro il naso e contro le guance.
Richiusi la porta discretamente; lo ignoravo ancora, ma sarebbe stata l'ultima immagine che avrei serbato di lei.
Più tardi ancora, mentre spuntava il giorno su Madrid, mi masturbai rapidamente vicino alla piscina. A qualche metro da me c'era una ragazza vestita di nero, dallo sguardo vuoto; pensavo che non notasse nemmeno la mia presenza, ma sputò di lato nel momento in cui eiaculavo.
Finii con l'addormentarmi e dormii probabilmente a lungo, perché al mio risveglio non c'era più nessuno; anche Fabio era uscito. C'era dello sperma secco sui miei pantaloni, e mi ero dovuto rovesciare del whisky sulla camicia, perché puzzava.
Mi alzai con difficoltà, attraversai la terrazza fra i resti di cibo e le bottiglie vuote. Mi appoggiai con i gomiti al balcone e osservai la strada sottostante. Il sole aveva già cominciato la sua discesa nel cielo, la notte non avrebbe tardato a calare, sapevo pressappoco ciò che mi aspettava. Ero manifestamente entrato nell'ultimo rettilineo.
DANIEL25,9
Sfere di metallo brillante levitavano nell'atmosfera e giravano lentamente su se stesse emettendo un canto leggermente vibrante. La popolazione locale aveva nei loro confronti un comportamento strano, fatto di venerazione e di sarcasmo insieme. Tale popolazione era indiscutibilmente composta di primati sociali - ciò premesso, si aveva a che fare con dei selvaggi, con dei neoumani, o con una terza specie? Il loro abbigliamento, costituito da grandi cappe nere e passamontagna neri con due buchi per gli occhi, non consentiva di stabilirlo.
Lo scenario distrutto conteneva probabilmente riferimenti a paesaggi reali, alcune vedute potevano richiamare la descrizione che Daniel1 da di Lanzarote; non capivo esattamente dove Marie23 volesse arrivare con quella ricostruzione iconografica.
Testimoniamo a favore
del centro appercettivo,
all'IGUS emotivo
superstite del naufragio.
Anche se Marie23, anche se l'insieme dei neoumani e io stesso eravamo soltanto, come mi capitava di sospettare, immagini virtuali, la pregnanza stessa di tali immagini dimostrava l'esistenza di uno o di parecchi IGUS (fosse la loro natura biologica, digitale o intermedia). L'esistenza stessa di un IGUS bastava a stabilire che si era prodotta una diminuzione, a un certo momento della durata, in seno al campo delle potenzialità innumerevoli. Tale diminuzione era la condizione del paradigma dell'esistenza. I Futuri stessi, se venissero a esistere, dovrebbero conformare il loro status ontologico alle condizioni generali di funzionamento degli IGUS. Hartle e Gell- Mann stabiliscono già che la funzione conoscitiva degli IGUS (Information Gathering and Utilizing Systems) 18 presuppone condizioni di stabilità e di esclusione reciproca delle sequenze di eventi. Per un IGUS osservatore, sia esso naturale o artificiale, un solo ramo dell'universo può essere dotato di un'esistenza reale; se tale conclusione non esclude affatto la possibilità di altri rami dell'universo, ne vieta ogni accesso a un dato osservatore; per riprendere la formula, abbastanza misteriosa ma sintetica, di Gell- Mann, "su ogni ramo, solo questo ramo è preservato". L'esistenza stessa di una comunità di osservatori, ridotta anche a due soli IGUS, era così la prova dell'esistenza di una realtà.
Per attenersi all'ipotesi corrente, quella di un'evoluzione senza soluzione di continuità in seno a una "biologia del carbonio", non c'era alcuna ragione di pensare che l'evoluzione dei selvaggi fosse stata interrotta dal Grande Prosciugamento; nulla indicava però che avessero potuto accedere di nuovo al linguaggio, come supponeva Marie23 né che si fossero formate comunità intelligenti, ricostruendo società nuove su basi opposte a quelle instaurate un tempo dai Fondatori.
Questo tema delle società di selvaggi, però, ossessiona Marie23, e ci torna sopra sempre più spesso nel corso dei nostri scambi, che si fanno sempre più animati. Sento in lei una sorta di ebollizione intellettuale, d'agitazione che influenza a poco a poco anche me, mentre nulla, nelle circostanze esteriori, giustifica l'uscita dalla nostra condizione di stasi, e io mi ritrovo non di rado scosso e come indebolito dopo le nostre sequenze di intermediazione. La presenza di Fox, per fortuna, non tarda a calmarmi, e mi accomodo nella mia poltrona preferita, all'estremità nord della stanza principale, per aspettare, a occhi chiusi, tranquillamente seduto nella luce, il nostro prossimo contatto.
DANIEL1,21
Presi il treno per Biarritz il giorno stesso; c'era un cambio a Hendaye, ragazze in minigonna e un'atmosfera generale da vacanze, che mi riguardava ovviamente piuttosto poco, ma in fondo ero ancora in grado di prenderne nota, ero ancora umano, non c'era da farsi illusioni, non ero totalmente temprato, la liberazione non sarebbe mai stata completa, mai prima della mia morte effettiva. Giunto a destinazione, scesi al Villa Eugènie, un'antica residenza di villeggiatura offerta da Napoleone III all'imperatrice, divenuta un albergo di lusso nel XX secolo. Il ristorante si chiamava anch'esso Villa Eugènie, e aveva una stella sulla Guida Michelin. Ordinai dei calamari e del riso cremoso con salsa al nero di seppia: ottima scelta.
Avevo l'impressione che avrei potuto prendere la stessa cosa tutti i giorni, e più generalmente che sarei potuto rimanere lì molto a lungo, alcuni mesi, tutta la vita forse. L'indomani mattina, acquistai un portatile, un Samsung X10, e una stampante Canon 180. Ero più o meno intenzionato ad avviare il progetto di cui avevo parlato a Vincent: raccontare, per un pubblico ancora indeterminato, gli avvenimenti di cui ero stato testimone a Lanzarote. Fu solo assai più tardi, al termine di parecchie conversazioni con lui, dopo che gli ebbi spiegato a lungo la tranquillità reale benché modesta e la sensazione di lucidità parziale che mi dava questa narrazione, che Vincent ebbe l'idea di chiedere a tutti gli aspiranti all'immortalità di dedicarsi all'esercizio del racconto di vita, e di farlo nella maniera più esauriente possibile; il mio progetto, per contraccolpo, ne subì l'impronta e divenne nettamente più autobiografico.
Venendo a Biarritz, avevo pensato naturalmente di rivedere Isabelle, ma dopo essermi sistemato nell'albergo mi sembrò che in fondo non ci fosse tanta fretta - cosa piuttosto strana del resto, perché mi era già chiaro che disponevo ormai solo di un tempo di vita limitato. Tutti i giorni facevo una piccola passeggiata di un quarto d'ora circa sulla spiaggia e pensavo di avere qualche probabilità di incontrarla in compagnia di Fox; ma ciò non successe e dopo due settimane mi decisi a telefonarle.
Dopotutto aveva forse lasciato la città, era già più di un anno che non ci sentivamo.
Non aveva lasciato la città, ma mi informò che lo avrebbe fatto non appena fosse morta sua madre - cosa che sarebbe successa di lì a una o due settimane, un mese al massimo. Non sembrava particolarmente felice di sentirmi e fui io a doverle proporre un incontro. La invitai a pranzo al ristorante del mio albergo; non era possibile, mi disse, i cani non vi erano ammessi.
Ci mettemmo d'accordo infine per ritrovarci come al solito al Surfeur d'Argent, ma sentii subito che qualcosa era cambiato.
Era curioso, poco spiegabile, ma per prima cosa ebbi l'impressione che ce l'avesse con me; mi resi conto inoltre che non le avevo mai parlato di Esther, non un cenno, e facevo fatica a capirlo perché eravamo, lo ripeto, persone civili, moderne; la nostra separazione non era stata segnata da nessuna meschinità, in particolare finanziaria; si poteva dire che ci fossimo lasciati da buoni amici.
Fox era un po' invecchiato e ingrassato, ma era sempre affettuoso e vivace; bisognava aiutarlo un po' a salire sulle ginocchia, ecco tutto. Parlammo di lui per una decina di minuti: era il beniamino delle tardone rock and roli di Biarritz, probabilmente perché la regina d'Inghilterra aveva lo stesso cane, - e anche Mick Jagger, dopo essere divenuto baronetto. Non era affatto un bastardo, mi informò Isabelle, ma un Welsh Corgi Pembroke, il cane accreditato della famiglia reale; le ragioni per le quali quella piccola creatura di nobile estrazione si era ritrovata, all'età di tre mesi, in una muta di cani randagi sul ciglio di un'autostrada spagnola sarebbero rimaste per sempre un mistero.
Esaurito l'argomento, ineluttabilmente, come per effetto di una legge naturale, venimmo al nocciolo della questione, e parlai a Isabelle della mia storia con Esther. Le raccontai tutto, fin dall'inizio, parlai per due ore abbondanti, e terminai con il racconto del party di compleanno a Madrid. Lei mi ascoltò attentamente, senza interrompermi, senza mostrarsi realmente sorpresa.
"Sì, hai sempre amato il sesso..." commentò brevemente, sottovoce, nel momento in cui mi abbandonavo a qualche considerazione erotica. Era da un pezzo che aveva intuito qualcosa, mi disse dopo che ebbi terminato; era contenta che mi fossi deciso a parlargliene.
"In fondo, avrò avuto due donne importanti nella mia vita, conclusi: la prima - tu - che non amava a sufficienza il sesso; e la seconda - Esther - che non amava a sufficienza l'amore." Questa volta sorrise apertamente. "È vero..." mi disse con voce mutata, curiosamente maliziosa e giovanile, "non hai avuto fortuna..." Riflette e poi soggiunse: "In fin dei conti gli uomini non sono mai contenti delle loro donne..."
"Di rado, sì."
"Vogliono cose contraddittorie, senza dubbio. Insomma, anche le donne adesso, ma è più recente. In fondo, la poligamia, costituiva forse una buona soluzione..." È triste il naufragio di una civiltà, è triste vedere sprofondare le sue intelligenze più belle, si comincia col sentirsi leggermente a disagio nella propria vita e si finisce con l'aspirare all'instaurazione di una repubblica islamica. Insomma, diciamo che è un po' triste; ci sono cose più tristi, a quanto pare.
Isabelle aveva sempre amato le discussioni teoriche, era in parte ciò che mi aveva attirato di lei; tanto l'esercizio è sterile, e può risultare funesto quando è fine a se stesso, tanto può essere profondo, creativo e tenero subito dopo l'amore - subito dopo la vera vita. Ci guardavamo negli occhi, e sapevo, sentivo che sarebbe successo qualcosa, i rumori del caffè sembravano essersi smorzati, era come se fossi entrato in una zona di silenzio, provvisoria o definitiva, non potevo ancora pronunciarmi al riguardo, e alla fine, continuando a guardarmi negli occhi, con voce chiara e irrefutabile, mi disse: "Ti amo ancora." Dormii da lei la notte stessa, e anche le notti seguenti, senza però disdire la mia camera d'albergo. Come mi aspettavo, il suo appartamento, situato in un piccolo residence in mezzo a un parco a un centinaio di metri dall'oceano, era arredato con gusto. Era con piacere che preparavo la scodella di Fox, che gli facevo fare la sua passeggiata; camminava meno in fretta, adesso, e si interessava meno agli altri cani.
Tutte le mattine Isabelle prendeva l'auto per recarsi all'ospedale; trascorreva la maggior parte della sua giornata nella stanza della madre che veniva ben curata, mi disse, cosa divenuta eccezionale. Come ogni anno ormai, l'estate era canicolare in Francia, e come ogni anno i vecchi morivano in massa, per mancanza di cure, negli ospedali e nelle case di riposo; ma già da un pezzo la cosa non suscitava più indignazione, in un certo qual modo era diventata un'abitudine, una sorta di mezzo tutto sommato naturale per riassorbire una situazione statistica di grandissima vecchiaia inevitabilmente pregiudizievole all'equilibrio economico del paese. Isabelle era diversa, e vivendo con lei riprendevo coscienza della sua superiorità morale rispetto alla maggior parte degli uomini e delle donne della sua generazione: era più generosa, più sollecita, più affettuosa. Ciò premesso, sul piano sessuale fra noi non successe nulla; dormivamo nello stesso letto senza nemmeno provarne imbarazzo, senza poter tuttavia accedere alla rassegnazione.
A dire il vero ero stanco, il caldo sfiancava anche me, mi sentivo l'energia di un'ostrica morta, e quel torpore si estendeva a tutto; durante la giornata mi sedevo a un tavolino per scrivere, ma non mi veniva nulla, nulla mi pareva importante o significativo, avevo avuto una vita che stava per concludersi e basta, ero come tutti gli altri, la mia carriera di showman mi sembrava ormai lontanissima, di tutto ciò non sarebbe rimasta alcuna traccia.
Talvolta, però, riprendevo coscienza dell'obiettivo originario della mia narrazione; mi rendevo perfettamente conto di aver assistito a Lanzarote a una delle tappe più importanti, forse alla tappa decisiva dell'evoluzione del genere umano. Un mattino in cui mi sentivo un po' più di energia, telefonai a Vincent: erano in pieno trasloco, mi disse, avevano deciso di vendere la proprietà del profeta a Santa Monica per trasferire la sede sociale della Chiesa a Chevilly- Larue. Scienziato era rimasto a Lanzarote, al laboratorio, ma Sbirro era là con la moglie, avevano comperato un villino vicino al suo e costruivano nuovi locali, assumevano del personale, pensavano ad acquistare compartecipazioni in un canale televisivo riservato ai nuovi culti. Manifestamente anche lui faceva cose importanti e significative, perlomeno ai propri occhi. Non riuscivo però a invidiarlo: durante tutta la vita non mi ero interessato che al mio cazzo o a niente, adesso il mio cazzo era morto e stavo seguendolo nel suo funesto declino, avevo solo ciò che mi meritavo, mi ripetevo fingendo di provarne una dilettazione morosa mentre il mio stato mentale si evolveva sempre più verso l'orrore puro e semplice, un orrore accresciuto ulteriormente dal caldo stabile e brutale, dal fulgore immutato dell'azzurro.
Isabelle sentiva tutto ciò, penso, e mi guardava sospirando; in capo a due settimane cominciò ad apparire evidente che le cose sarebbero andate male, era meglio che me ne andassi ancora una volta, e per l'ultima volta a dire il vero, eravamo davvero troppo vecchi, troppo amareggiati, troppo logori, non potevamo farci altro che male, rimproverarci a vicenda l'impossibilità generale delle cose. Durante il nostro ultimo pasto (la sera portava un po' di fresco, avevamo spostato il tavolo in giardino, e Isabelle aveva fatto uno sforzo per la cucina), le parlai della Chiesa elohimita e della promessa d'immortalità che era stata fatta a Lanzarote. Naturalmente lei aveva seguito un po' le notizie, ma come la maggior parte delle persone pensava che fosse una vera e propria bufala, e ignorava che fossi stato sul posto. Presi allora coscienza che non aveva mai incontrato Patrick, anche se si ricordava di Robert il Belga, e che in fondo erano successe molte cose nella mia vita dopo la sua partenza, era persino sorprendente che non gliene avessi parlato prima. Probabilmente l'idea era troppo nuova, a dire il vero dimenticavo io stesso il più delle volte di essere divenuto immortale, dovevo fare degli sforzi per ricordarmene. Le spiegai ogni cosa, però, riprendendo la storia dall'inizio, con tutte le precisazioni richieste; insistetti sulla personalità di Scienziato, sull'impressione generale di competenza che mi aveva fatto. Anche la sua intelligenza funzionava ancora benissimo, credo che non sapesse nulla di genetica, non se n'era mai interessata, tuttavia seguì senza difficoltà le mie spiegazioni e ne trasse subito le conseguenze.
"L'immortalità, dunque..." disse. "Sarebbe un po' come una seconda possibilità."
"O una terza, o come molteplici possibilità, all'infinito.
L'immortalità, davvero."
"D'accordo; sono d'accordo per lasciare loro il mio DNA, per lasciare loro i miei beni. Mi darai le coordinate. Lo farò anche per Fox. Per mia madre..." Esitò, si incupì. "Penso che per lei sia troppo tardi; non capirebbe. Soffre, in questo momento; credo voglia davvero morire. Vuole il nulla."
La rapidità della sua reazione mi sorprese, e fu da quel momento, penso, che ebbi l'intuizione che si sarebbe manifestato un fenomeno nuovo. Che una religione nuova potesse nascere in Occidente era già di per sé sorprendente, tanto la storia europea degli ultimi trent'anni era stata contrassegnata dal crollo massiccio, incredibilmente brutale, delle credenze religiose tradizionali. In paesi come la Spagna, la Polonia, l'Irlanda, una fede cattolica profonda, unanime, massiccia, strutturava la vita sociale e l'insieme dei comportamenti da secoli, determinava la morale come le strutture familiari, condizionava l'insieme delle produzioni culturali e artistiche, delle gerarchie sociali, delle convenzioni, delle regole di vita. Nello spazio di alcuni anni, in meno di una generazione, in un tempo incredibilmente breve, tutto ciò era scomparso, svanito nel nulla. In questi paesi oggi più nessuno credeva in Dio, non se ne curava affatto, non si ricordava di aver creduto; e ciò era accaduto senza difficoltà, senza conflitti, senza violenza o protesta di alcun genere, senza nemmeno una vera discussione, con la stessa facilità con cui un oggetto pesante, un tempo trattenuto da un impedimento esterno, torna alla sua posizione di equilibrio non appena lo si molla. Le credenze spirituali umane, mi dissi, erano forse lungi dall'essere quel blocco massiccio, solido, irrefutabile che ci si raffigura di solito; forse esse erano invece nell'uomo ciò che c'era di più fugace, di più fragile, di più pronto a nascere e a morire.
DANIEL25,10
La maggior parte delle testimonianze ce lo conferma: è in effetti a partire da quell'epoca che la Chiesa elohimita avrebbe fatto sempre più adepti diffondendosi senza incontrare resistenza in tutto il mondo occidentale. Dopo aver incorporato in meno di due anni le correnti buddhiste occidentali, il movimento elohimita assorbì con la stessa facilità gli ultimi residui del crollo del cristianesimo prima di rivolgersi all'Asia, la cui conquista, operata a partire dal Giappone, fu anche là di una rapidità sorprendente, soprattutto se si considera che quel continente aveva resistito vittoriosamente per secoli a tutti i tentativi missionari cristiani. È vero che i tempi erano cambiati, e che l'elohimismo marciava in certo qual modo al seguito del capitalismo consumistico, il quale, facendo della giovinezza il valore sommamente desiderabile, aveva distrutto a poco a poco il rispetto della tradizione e il culto degli antenati - nella misura in cui prometteva la conservazione indefinita della stessa giovinezza e dei piaceri che le erano associati.
L'islam, curiosamente, fu un bastione di resistenza più tenace.
Poggiando su un'immigrazione massiccia e incessante, la religione musulmana si rafforzava nei paesi occidentali praticamente allo stesso ritmo dell'elohimismo; rivolgendosi prioritariamente alle popolazioni venute dal Maghreb e dall'Africa Nera, essa conosceva comunque un successo crescente presso europei "di ceppo", successo unicamente attribuibile al suo machismo. Se l'abbandono del machismo aveva in effetti reso gli uomini infelici, non aveva affatto reso felici le donne.
Sempre più numerosi erano quelli, e soprattutto quelle, che sognavano un ritorno a un sistema in cui le donne fossero pudiche e sottomesse, e la loro verginità preservata. Naturalmente, nello stesso tempo, la pressione erotica sul corpo delle ragazze non smetteva di crescere, e l'espansione dell'islam fu resa possibile solo grazie all'introduzione di una serie di accomodamenti, sotto l'influenza di una nuova generazione di imam che, ispirandosi al tempo stesso alla tradizione cattolica, ai reahty show e al senso dello spettacolo dei telepredicatori americani, misero a punto per il pubblico musulmano uno schema di vita edificante basato sulla conversione e sul perdono dei peccati, due nozioni pur relativamente estranee alla tradizione islamica. Nello schema tipo, che si trova riprodotto in maniera identica in decine di telenovelas girate il più delle volte in Turchia o nell'Africa settentrionale, la ragazza, con costernazione dei genitori, conduce dapprima una vita dissoluta a base di alcool, consumo di droghe e libertà sessuale più sfrenata. Poi, segnata da un avvenimento che provoca in lei uno shock salutare (un aborto doloroso, l'incontro con un giovane musulmano pio e integro che studia ingegneria), scaccia le tentazioni del mondo e diventa una sposa sottomessa, casta e velata. Lo stesso schema esisteva declinato al maschile, mettendo in scena di solito dei rapper, e insistendo di più sulla delinquenza e sul consumo di droghe pesanti. Questo modello ipocrita doveva riscuotere un successo tanto più vivo dato che l'età scelta per la conversione (fra i ventidue e i venticinque anni) corrispondeva abbastanza bene a quella in cui le giovani maghrebine, di una bellezza spettacolare durante l'adolescenza, cominciavano a ingrassare e a provare il bisogno di vestiti più coprenti. Nell'arco di uno, due decenni, l'islam doveva così arrivare ad assumere in Europa il ruolo che era stato quello del cattolicesimo durante il suo periodo di gloria: quello di una religione "ufficiale", organizzatrice del calendario e delle minicerimonie che scandivano il passare del tempo, basata su dogmi sufficientemente primitivi per essere alla portata della massa pur conservando un'ambiguità sufficiente per sedurre le menti più acute, che si faceva forte in linea di massima di un'austerità morale temibile pur mantenendo, nella pratica, passerelle suscettibili di reintegrare qualsiasi peccatore.
Lo stesso fenomeno si verificò negli Stati Uniti, a partire soprattutto dalla comunità nera - con l'unica differenza che il cattolicesimo, portato dall'immigrazione latinoamericana, vi conservò a lungo posizioni più importanti.
Tutto ciò non poteva però durare che poco tempo, e il rifiuto di invecchiare, di mettere la testa a partito e di trasformarsi in buona e grassa madre di famiglia, qualche anno dopo doveva toccare anche le popolazioni provenienti dall'immigrazione.
Quando un sistema sociale è distrutto, tale distruzione è definitiva, e non è possibile alcun ritorno indietro; le leggi dell'entropia sociale, valide in teoria per qualsiasi sistema relazionale umano, furono dimostrate con assoluto rigore solo da Hewlett e Bude, due secoli dopo; ma erano già conosciute intuitivamente da un pezzo. La caduta dell'islam in Occidente ricorda in realtà curiosamente quella, avvenuta alcuni decenni prima, del comunismo: in entrambi i casi, il fenomeno di riflusso doveva nascere nei paesi di origine, e spazzar via in pochi anni le organizzazioni, pur potenti e ricchissime, messe in piedi nei paesi di accoglienza. Quando i paesi arabi, dopo anni di un lavoro di scalzatura fatto essenzialmente di connessioni Internet clandestine e di download di prodotti culturali decadenti, poterono infine accedere concretamente a uno stile di vita basato sul consumo di massa, sulla libertà sessuale e sui piaceri, l'infatuazione delle popolazioni fu intensa e viva come lo era stata, mezzo secolo prima, nei paesi comunisti. Il movimento partì, come spesso nella storia umana, dalla Palestina, più precisamente da un rifiuto improvviso delle ragazze palestinesi di limitare la loro esistenza alla procreazione ripetuta di futuri sostenitori della jihad, e dal loro desiderio di approfittare della libertà di costumi delle loro vicine israeliane. In alcuni anni, la trasformazione, portata dalla musica techno (come l'attrazione per il mondo capitalistico lo era stata, alcuni anni prima, dal rock, ma con un'efficacia accresciuta ulteriormente dall'uso della rete), si diffuse nell'insieme dei paesi arabi, che dovettero far fronte a una rivolta massiccia della gioventù che non riuscirono ovviamente a reprimere. Divenne allora perfettamente chiaro, agli occhi delle popolazioni occidentali, che i paesi musulmani erano stati mantenuti nella loro fede primitiva soltanto dall'ignoranza e dall'oppressione; senza questa retroguardia, i movimenti islamici occidentali crollarono di colpo.
L'elohimismo, dal canto suo, era perfettamente adattato alla civiltà dei piaceri in seno alla quale era nato. Non imponendo alcuna costrizione morale, riducendo l'esistenza umana al soddisfacimento dei desideri, faceva comunque sua la promessa fondamentale che era stata quella di tutte le religioni monoteistiche: la vittoria sulla morte. Sradicando ogni dimensione spirituale o confusa, limitava semplicemente la portata di tale vittoria, e la natura della promessa, al prolungamento illimitato della vita materiale, cioè al soddisfacimento illimitato dei desideri materiali.
La prima cerimonia fondamentale che contrassegnava la conversione di ogni nuovo adepto - il prelievo del DNA - si accompagnava alla firma di un atto con cui il postulante affidava, dopo la propria morte, tutti i suoi beni alla Chiesa - che si riservava la possibilità di investirli, pur promettendo all'adepto di restituirglieli dopo la sua risurrezione. La cosa appariva tanto meno scioccante dato che l'obiettivo perseguito era l'eliminazione di ogni filiazione naturale, dunque di ogni sistema di eredità, e dato che la morte veniva presentata come un periodo neutro, una semplice stasi in attesa di un corpo ringiovanito.
Dopo un'intensa campagna negli ambienti affaristici americani, il primo convertito fu Steve Jobs - che chiese e ottenne una deroga parziale a favore dei figli che aveva procreato prima di scoprire l'elohimismo. Fu in breve seguito da Bill Gates, Richard Branson e da un numero crescente di dirigenti delle più importanti industrie mondiali. La Chiesa divenne così molto ricca, e pochi anni dopo la morte del profeta rappresentava già di gran lunga, in capitale investito e in numero di adepti, la prima religione europea.
La seconda cerimonia fondamentale era l'ingresso nell'attesa della risurrezione - in altri termini il suicidio. Dopo un periodo di titubanza e d'incertezza, si instaurò a poco a poco la consuetudine di compierlo in pubblico, secondo un rituale armonioso e semplice, nel momento scelto dall'adepto, quando riteneva che il suo corpo non fosse più in grado di dargli le gioie che poteva legittimamente aspettarsi. Esso si compiva con una grande fiducia, nella certezza di una risurrezione vicina, cosa tanto più sorprendente dato che Miskiewicz, malgrado i mezzi di ricerca colossali messi a sua disposizione, non aveva fatto alcun progresso reale, e dato che, se poteva in effetti garantire una conservazione illimitata del DNA, era per il momento incapace di generare un organismo vivente più complesso di una semplice cellula. La promessa di immortalità fatta a suo tempo dal cristianesimo poggiava, è vero, su basi ancora più evanescenti. In fondo, l'idea dell'immortalità non aveva mai abbandonato l'uomo, e anche se questi aveva dovuto rinunciare, costretto e forzato, alle sue antiche credenze, ne aveva serbato vicinissima la traccia, non si era mai rassegnato, ed era pronto, accettando qualsiasi spiegazione appena appena convincente, a lasciarsi guidare da una nuova fede.
DANIEL1,22
Allora un culto trasformabile otterrà su un dogma avvizzito
la preponderanza empirica che deve preparare l'ascendente
sistematico attribuito dal positivismo all'elemento
affettivo della religione.
Auguste Comte - Appello ai conservatori
Avevo così poco io stesso la natura di un credente che le credenze altrui mi erano, in fondo, quasi indifferenti; fu senza difficoltà, ma anche senza attribuirvi una reale importanza, che comunicai a Isabelle le coordinate della Chiesa elohimita.
Quell'ultima notte, tentai di fare l'amore con lei, ma fu un nuovo fiasco. Per alcuni minuti lei si sforzò di succhiarmi il cazzo, ma sentivo bene che non lo aveva fatto da anni, che non ci credeva più, e per portare felicemente a termine quel genere di cose ci vuole comunque un minimo di fede e di entusiasmo; la carne nella sua bocca rimaneva molle e i coglioni pendenti non reagivano più alle sue carezze approssimative. Finì col rinunciare e col chiedermi se volessi dei sonniferi. Sì, ne volevo, è sempre un errore rifiutare, penso, è inutile torturarsi.
Era sempre capace di alzarsi per prima e di preparare il caffè, quella era ancora una cosa che riusciva a fare. C'era un po' di rugiada sui lillà, la temperatura era più fresca, avevo riservato un posto sul treno delle 8.32 e l'estate cominciava a mollare la presa.
Scesi come al solito al Lutétia, e anche lì ci misi un bel po' prima di chiamare Vincent, forse un mese o due, senza una ragione precisa; facevo le stesse cose di prima ma al rallentatore, come se dovessi scomporre gli atti per riuscire a compierli in modo pressappoco soddisfacente. Ogni tanto, mi piantavo al bar e mi sbronzavo tranquillamente, con flemma; piuttosto spesso venivo riconosciuto da vecchi conoscenti.
Non facevo alcuno sforzo per alimentare la conversazione e non ne provavo alcun imbarazzo; ecco uno dei pochi vantaggi di essere una star - o perlomeno una vecchia star, nel mio caso: quando si incontra qualcun altro e ci si comincia ad annoiare insieme, com'è normale, senza che nessuno dei due ne sia precisamente la causa, in certo qua! modo di comune accordo, è sempre l'altro che si ritiene responsabile, che si sente colpevole di non aver saputo mantenere la conversazione a un livello sufficientemente elevato, di non aver saputo creare un'atmosfera sufficientemente brillante e conviviale. Si tratta di una situazione comoda e persino distensiva fin dal momento in cui si comincia davvero a fregarsene. Talvolta, nel bel mezzo di uno scambio verbale in cui mi limitavo a dondolare il capo con aria d'intesa, mi lasciavo andare a fantasticherie involontarie - di solito anche piuttosto spiacevoli: ripensavo ai casting in cui Esther baciava dei ragazzi, alle scene di sesso che doveva interpretare in vari cortometraggi; mi ricordavo quanto mi trattenessi (inutilmente del resto, avrei potuto benissimo farle delle scenate o scoppiare in singhiozzi senza che cambiasse nulla), e mi rendevo pienamente conto che a ogni modo non avrei potuto resistere molto a lungo in quelle condizioni, ero troppo vecchio, non avevo più la forza; del resto tale constatazione non diminuiva affatto il mio dispiacere, perché al punto in cui ero non avevo altra via d'uscita che quella di soffrire fino alla fine, non avrei mai dimenticato il suo corpo, la sua pelle, il suo volto, e non avevo nemmeno mai sentito con tanta evidenza che i rapporti umani nascono, si evolvono e muoiono in maniera perfettamente deterministica, ineluttabile quanto i moti di un sistema planetario, e che sarebbe assurdo e vano sperare di modificarne per quanto poco il corso.
Sarei potuto restare al Lutétia abbastanza a lungo, forse meno a lungo che a Biarritz perché cominciavo, malgrado tutto, a bere un po' troppo; l'angoscia scavava lentamente il suo buco nei miei organi e rimanevo pomeriggi interi al Bon Marche a guardare i pullover; non aveva più senso continuare così. Un mattino di ottobre, un lunedì mattina probabilmente, telefonai a Vincent. Al mio arrivo nel villino di Chevilly- Larue, ebbi subito l'impressione di entrare in un termitaio o in un alveare, in un'organizzazione qualunque in cui ciascuno avesse un compito ben definito, e in cui le cose si fossero messe ad andare a tutta birra. Vincent mi aspettava nell'ingresso, pronto ad andarsene, con il cellulare in mano.
Scorgendomi, si alzò, mi strinse la mano con calore e mi invitò ad accompagnarlo nei loro nuovi locali. Avevano acquistato un piccolo immobile destinato a uffici, la costruzione non era ancora terminata, alcuni operai piazzavano degli strati isolanti e delle batterie alogene, ma una ventina di persone erano già al lavoro. Alcuni rispondevano al telefono, altri battevano delle lettere, aggiornavano database; insomma, mi trovavo in un'impresa, e pure grossa a dire il vero; se c'era una cosa cui non avrei mai pensato la prima volta che avevo incontrato Vincent era proprio di vederlo diventare un imprenditore, ma dopotutto era possibile, e inoltre aveva l'aria di essere a proprio agio nel ruolo; certi miglioramenti si verificano comunque, talvolta, nella vita di alcune persone, il processo vitale non può essere ricondotto a un movimento di puro declino, sarebbe una semplificazione eccessiva. Dopo avermi presentato a due suoi collaboratori, Vincent mi annunciò che avevano appena riportato una vittoria importante: dopo parecchi mesi di battaglia giuridica, il Consiglio di Stato aveva autorizzato la Chiesa elohimita ad acquistare per proprio uso gli edifici religiosi che la Chiesa cattolica non aveva più i mezzi per mantenere. Il solo obbligo era quello che si applicava già ai proprietari precedenti: mantenere, in collaborazione con la Cassa Nazionale dei Monumenti Storici, il patrimonio artistico e architettonico in buono stato di conservazione; sul piano del culto che sarebbe stato celebrato all'interno degli edifici, non veniva invece imposta alcuna limitazione. Persino in epoche esteticamente più favorite della nostra, mi fece osservare Vincent, sarebbe stato impossibile condurre felicemente a termine in qualche anno la concezione e la realizzazione di un simile sfoggio di splendori artistici; tale decisione, mettendo a disposizione dei fedeli numerosi luoghi di culto di grande bellezza, avrebbe permesso loro di concentrare tutti gli sforzi nell'edificazione dell'ambasciata.
Nel momento in cui cominciava a spiegarmi la sua visione dell'estetica delle cerimonie rituali, Sbirro fece il suo ingresso nell'ufficio, in un impeccabile blazer blu scuro; anche lui pareva in forma smagliante, e mi strinse la mano con energia.
Decisamente la setta non sembrava aver sofferto affatto della scomparsa del profeta; anzi, le cose sembravano andare di bene in meglio. Non era però successo nulla dalla risurrezione inscenata all'inizio dell'estate a Lanzarote; ma l'avvenimento aveva avuto un tale impatto mediatico che ciò era bastato; le richieste di informazioni affluivano continuamente, e molte erano seguite da un'adesione; il numero di fedeli e i fondi disponibili aumentavano incessantemente.
La sera stessa, fui invitato a cena a casa di Vincent, in compagnia di Sbirro e di sua moglie - era la prima volta che la incontravo, mi fece l'effetto di una persona posata, solida, e piuttosto calorosa. Ero ancora una volta colpito dal fatto che si sarebbe potuto immaginare benissimo Sbirro nei panni di un dirigente d'impresa, diciamo di un direttore delle pubbliche relazioni, o di un funzionario incaricato, per esempio, della distribuzione delle sovvenzioni all'agricoltura in zona di alta montagna; nulla faceva pensare in lui al misticismo o anche alla semplice religiosità. In realtà, sembrava persino particolarmente poco impressionabile, e fu senza emozione apparente che informò Vincent dell'emergere di una deriva inquietante, che gli era stata segnalata in certe zone raggiunte di recente dalla setta - in particolare l'Italia e il Giappone. Nulla, nel dogma, indicava in che modo la cerimonia della partenza volontaria dovesse svolgersi; dato che tutta l'informazione necessaria alla ricostruzione del corpo dell'adepto era conservata nel suo DNA, il corpo stesso poteva essere disintegrato o ridotto in cenere senza che ciò avesse la minima importanza. Una teatralizzazione malsana sembrava svilupparsi a poco a poco, nell'ambito di alcune cellule, attorno alla dispersione degli elementi costitutivi del corpo; erano particolarmente coinvolti medici, operatori sociali, infermiere. Prima di accomiatarsi, Sbirro consegnò a Vincent un dossier di una trentina di pagine e tre DVD - la maggior parte delle cerimonie era stata filmata. Accettai di rimanere a dormire; Susan mi servì un cognac mentre Vincent cominciava la sua lettura. Eravamo nel salotto che era stato quello dei suoi nonni e niente era cambiato dalla mia prima visita: le poltrone e il divano di velluto verde erano sempre coperti da appoggiatesta di pizzo, le foto di paesaggi alpini erano sempre nelle loro cornici; riconoscevo persino il filodendro accanto al piano. Il volto di Vincent si incupiva rapidamente via via che dava una scorsa al dossier; fece un rapido riassunto in inglese a Susan, poi citò per me alcuni esempi in francese: "Nella cellula di Rimini, il corpo di un adepto è stato completamente svuotato del suo sangue; i partecipanti se ne sono imbrattati prima di mangiarne il fegato e gli organi sessuali. In quella di Barcellona, il tipo aveva chiesto di essere appeso a dei ganci da macelleria e di essere lasciato poi a disposizione di tutti; il suo corpo è rimasto appeso così, in una cantina, per quindici giorni: i partecipanti si servivano, ne tagliavano una fetta che mangiavano di solito sul posto. A Osaka, l'adepto aveva chiesto che il suo corpo venisse stritolato e compattato da una pressa industriale, fino a essere ridotto a una sfera di venti centimetri di diametro, che sarebbe stata poi ricoperta di una pellicola di silicone trasparente, e sarebbe potuta servire a disputare una partita di bowling; da vivo, a quanto pareva, era un appassionato di bowling." Si interruppe, la voce gli tremava un po'; era visibilmente scioccato dall'ampiezza del fenomeno.
"È una tendenza della società..." dissi. "Una tendenza generale verso la barbarie, non c'è alcuna ragione che voi ne siate indenni..."
"Non so come fare, non so come arginare il fenomeno. Il problema è che non si è mai parlato di morale, in nessun momento..."
" There are not a lot of basic socio- religious emotions... " intervenne Susan. "If you bave no sex, you need ferocity. That's ali..."
Vincent tacque, rifletté e si servì un bicchiere di cognac; fu l'indomani mattina, a colazione, che ci annunciò la sua decisione di lanciare su scala mondiale un'azione: "DATE SESSO ALLA GENTE. FATELA GODERE". In effetti, nelle poche settimane successive alla scomparsa del profeta, la sessualità degli adepti era rapidamente diminuita, fino a stabilizzarsi a un livello pressappoco uguale alla media nazionale, cioè molto basso; tale calo della sessualità era un fenomeno universale, comune all'insieme degli strati sociali, all'insieme delle nazioni sviluppate, e che risparmiava solo gli adolescenti e le persone molto giovani; gli omosessuali stessi, dopo un breve periodo di frenesia conseguente alla liberalizzazione delle loro pratiche, si erano molto calmati, aspiravano ora alla monogamia e a una vita tranquilla, ordinata, in coppia, dedicata al turismo culturale e alla scoperta dei vini locali. Per l'elohimismo era un fenomeno preoccupante, poiché, anche se una religione si basa fondamentalmente su una promessa di vita eterna, essa accresce in maniera considerevole il suo potere di attrazione nel momento in cui sembra poter proporre nell'immediato una vita più piena, più ricca, più esaltante e più allegra. "Con Cristo, vivi più forte", era questo pressappoco il tema costante delle campagne pubblicitarie organizzate dalla Chiesa cattolica immediatamente prima della sua scomparsa. Vincent aveva dunque pensato, al di là del riferimento fourierista, di rinnovare una pratica della prostituzione sacra, classicamente attestata a Babilonia, e in un primo tempo di affidarsi alle ex fidanzate del profeta che lo desiderassero per organizzare una sorta di tournée orgiastica, allo scopo di dare agli adepti l'esempio di un dono sessuale permanente, e di propagare nel complesso degli insediamenti locali della Chiesa un'ondata di lussuria e di piacere in grado di ostacolare lo sviluppo delle pratiche sadiche e necrofile. A Susan l'idea parve eccellente: conosceva le ragazze, le poteva contattare telefonicamente, era certa che quasi tutte avrebbero accettato con entusiasmo.
Durante la notte, Vincent aveva eseguito una serie di schizzi destinati a girare su Internet. Apertamente pornografici (rappresentavano gruppi da tre a dieci persone, dei due sessi, che utilizzavano le mani, i genitali e le bocche in quasi tutte le maniere immaginabili), erano comunque estremamente stilizzati, di una grande purezza di linee, molto diversi dal realismo fotografico nauseante che aveva caratterizzato le produzioni del profeta.
Dopo alcune settimane, apparve chiaro che l'azione era un vero successo: la tournée delle fidanzate del profeta era un trionfo, e gli adepti, nelle loro cellule, si ingegnavano a riprodurre le figure erotiche messe sulla carta da Vincent; ci prendevano veramente gusto, a tal punto che nella maggior parte dei paesi il ritmo delle riunioni era triplicato; l'orgia rituale, dunque, contrariamente ad altre proposte sessuali di origine più recente e più profana, come lo scambismo, non sembrava essere una formula desueta. Più significativamente ancora, le conversazioni fra adepti nella vita quotidiana, quando si facevano con un minimo di empatia, si accompagnavano sempre più spesso a palpeggiamenti, a carezze intime, addirittura a masturbazioni reciproche; la risessualizzazione dei rapporti umani, insomma, sembrava sulla buona strada. Fu allora che si prese coscienza oli un dettaglio che nei primi momenti di entusiasmo era sfuggito a tutti: nel suo desiderio di stilizzazione, Vincent si era allontanato parecchio da una rappresentazione realistica del corpo umano. Se il fallo era abbastanza somigliante (benché più rettilineo, glabro e privo di irrigazione venosa evidente), la vulva si riduceva nei suoi disegni a una fessura lunga e sottile, sprovvista di peli, situata in mezzo al corpo, in maniera esattamente bisettrice, nel prolungamento del solco delle natiche, e che poteva certo aprirsi largamente per accogliere dei cazzi, ma era comunque inadatta a ogni funzione escretrice. Tutti gli organi escretori, più generalmente, erano spariti, e gli esseri così immaginati, se potevano fare l'amore, erano evidentemente incapaci di nutrirsi.
Le cose si sarebbero potute fermare lì, imputate a una semplice convenzione di artista, se non ci fosse stato l'intervento di Scienziato, tornato da Lanzarote all'inizio di dicembre per presentare lo stato di avanzamento dei suoi lavori. Anche se alloggiavo ancora al Lutétia, trascorrevo la maggior parte delle mie giornate a Chevilly- Larue; non facevo parte del comitato direttivo, ma ero uno dei soli testimoni diretti degli avvenimenti che avevano accompagnato la scomparsa del profeta, e tutti si fidavano di me adesso. Sbirro non aveva più segreti per me. A
Parigi succedevano naturalmente delle cose, c'erano un'attualità politica, una vita culturale; avevo tuttavia la certezza che le cose importanti e significative si svolgessero a ChevillyLarue.
Ne ero persuaso da un pezzo, anche se non avevo potuto tradurre tale convinzione nei miei film o nei miei sketch, poiché non avevo avuto un contatto reale con il fenomeno prima della Chiesa elohimita: gli avvenimenti politici o militari, le trasformazioni economiche, le mutazioni estetiche o culturali giocano un ruolo, talvolta grandissimo, nella vita degli uomini; ma niente, mai, può avere un'importanza storica paragonabile allo sviluppo di una nuova religione, o al crollo di una religione esistente.
Ai conoscenti che incontravo ancora talvolta al bar del Lutétia, raccontavo che scrivevo; supponevano probabilmente che stessi scrivendo un romanzo, e non se ne mostravano molto sorpresi, avevo sempre avuto la reputazione di un comico piuttosto letterario; se avessero potuto sapere, pensavo talvolta, se avessero potuto sapere che non si trattava di una semplice opera di fantasia, ma che mi sforzavo di descrivere uno degli avvenimenti più importanti della storia umana; se avessero potuto sapere, penso ora, non ne sarebbero nemmeno rimasti impressionati più di tanto. Si erano tutti abituati a una vita squallida e poco modificabile, si erano abituati a disinteressarsi più o meno dell'esistenza reale e a preferirle il suo commento; li capivo, ero stato nella stessa situazione - e lo ero ancora in larga misura, e forse ancora di più. Da quando era stata lanciata l'azione "DATE SESSO ALLA GENTE. FATELA GODERE", non avevo pensato una sola volta ad approfittare personalmente dei servizi sessuali delle fidanzate del profeta; non avevo nemmeno chiesto a un'adepta l'elemosina di una fellatio o di una semplice sega, che mi sarebbe stata facilmente concessa; avevo sempre Esther nella testa, nel corpo, dappertutto.
Lo dissi un giorno a Vincent, era la fine della mattinata, una bellissima mattinata già invernale; dalla finestra del suo ufficio guardavo gli alberi del parco comunale: solo un'azione del genere "LA TUA DONNA TI ASPETTA" avrebbe potuto salvarmi, ma era un sogno irrealizzabile. Mi guardò con tristezza, provava pena per me, non faceva certo alcuna fatica a capirmi, doveva ricordarsi perfettamente di quei momenti ancora così vicini in cui il suo amore per Susan pareva senza speranza. Agitai debolmente la mano canticchiando "la- la- la...", e feci una piccola smorfia che non riusciva affatto a essere umoristica; poi, come Zarathustra avviato al declino, mi diressi verso la mensa.
Ero presente alla riunione in cui Scienziato ci annunciò che, lungi dall'essere una semplice visione di artista, i disegni di Vincent prefiguravano l'uomo del futuro. Da un pezzo la nutrizione animale gli sembrava un sistema primitivo, di un rendimento energetico mediocre, responsabile di una quantità di residui nettamente eccessiva, residui che non solo dovevano essere evacuati ma che, nell'intervallo, provocavano un' usura non trascurabile dell'organismo. Da un pezzo pensava di dotare il nuovo animale umano del sistema fotosintetico che, per una bizzarria dell'evoluzione, era privilegio esclusivo dei vegetali.
L'utilizzazione diretta dell'energia solare era evidentemente un sistema più efficace, più robusto e più affidabile - come testimoniava la durata di vita quasi illimitata delle piante.
Inoltre, l'aggiunta alla cellula umana di capacità autotrofe era lungi dall'essere un'operazione complessa come si poteva immaginare; le sue squadre lavoravano già al problema da un po' di tempo, e il numero di geni interessati risultava straordinariamente modesto. L'essere umano così trasformato si sarebbe sostentato esclusivamente mediante l'acqua, una piccola quantità di sali minerali e naturalmente l'energia solare; l'apparato digestivo, come l'apparato escretore, potevano dunque scomparire - gli eventuali minerali in eccesso sarebbero stati facilmente eliminati, con l'acqua, attraverso il sudore.
Vincent, abituato a seguire solo alla lontana le spiegazioni di Scienziato, annuì meccanicamente, e Sbirro pensava ad altro: così dunque, in pochi minuti, e sulla base di un frettoloso schizzo d'artista, si decise la Rettifica Genetica Standard, che doveva essere applicata, uniformemente, a tutte le unità di DNA destinate a essere riportate in vita, e segnare una cesura definitiva fra i neoumani e i loro antenati. Il resto del codice genetico rimaneva immutato; si aveva comunque a che fare con una nuova specie e, persino, per essere esatti, con un nuovo regno.
DANIEL25,11
È ironico pensare che sarebbe stata proprio la RGS, concepita in partenza per pure ragioni di convenienza estetica, a permettere ai neoumani di sopravvivere senza grande difficoltà alle catastrofi climatiche che sarebbero seguite, e che nessuno all'epoca era in grado di prevedere, mentre gli umani dell'antica razza sarebbero stati quasi completamente decimati.
Su questo punto centrale, il racconto di vita di Daniel1, ancora una volta, è totalmente confermato da quelli di Vincenti, Slotanl e Jéròmel, anche se ognuno attribuisce all'avvenimento un'importanza del tutto differente. Mentre Vincenti vi fa allusione soltanto qua e là nel suo racconto, e Jéròmel lo passa quasi completamente sotto silenzio, Slotanl dedica invece decine di pagine all'idea della RGS e ai lavori che dovevano permettere alcuni mesi dopo la sua realizzazione operativa. Più generalmente, il racconto di vita di Daniel1 viene spesso considerato dai commentatori come centrale e canonico. Mentre Vincenti insiste spesso eccessivamente sul senso estetico dei rituali, Slotanl si dedica esclusivamente al ricordo dei suoi lavori scientifici, e Jéròmel alle questioni di disciplina e di organizzazione materiale, Daniel1 è il solo a fornirci una descrizione completa, e nel contempo leggermente distaccata, della nascita della Chiesa elohimita: mentre gli altri, presi nel meccanismo quotidiano, pensavano solamente alla soluzione dei problemi pratici cui dovevano far fronte, lui sembra spesso essere l'unico ad aver preso un po' di distacco e ad aver realmente capito l'importanza di ciò che succedeva sotto i suoi occhi.
Questo stato di cose mi da, come a tutti i miei predecessori della serie dei Daniel, una responsabilità particolare; il mio commento non è, non può essere uno dei tanti commenti, poiché affronta così da vicino le circostanze della creazione della nostra specie e del suo sistema di valori. Il suo carattere centrale è accresciuto ulteriormente dal fatto che il mio lontano antenato era, nella mente di Vincenti e probabilmente anche nella propria, un essere umano tipico, rappresentativo della specie, un uomo fra tanti.
Secondo la Sorella Suprema, la gelosia, il desiderio e l'istinto di procreazione hanno la stessa origine, che è la sofferenza di esistere. È la sofferenza di esistere che ci fa cercare l'altro, come un palliativo; dobbiamo superare tale stadio per raggiungere lo stato in cui il semplice fatto di esistere costituisce di per sé un'occasione perpetua di gioia; in cui l'intermediazione non è altro che un gioco, liberamente perseguito, non costitutivo dell'esistere. Dobbiamo insomma raggiungere la libertà dell'indifferenza, condizione di possibilità della serenità perfetta.
DANIEL1,23
Fu il giorno di Natale, a metà mattinata, che appresi del suicidio di Isabelle. Non ne fui realmente sorpreso; nello spazio di qualche minuto, sentii che si creava in me una specie di vuoto; ma si trattava di un vuoto prevedibile, atteso. Dalla mia partenza da Biarritz sapevo che avrebbe finito con l'uccidersi; lo sapevo da uno sguardo che ci eravamo scambiati, quell'ultimo mattino, mentre varcavo la soglia della sua cucina per salire nel taxi che mi accompagnava alla stazione. Mi rendevo anche conto che avrebbe atteso la morte della madre per curarla fino alla fine e per non addolorarla. Sapevo infine che io stesso prima o poi avrei optato per una soluzione del genere.
Sua madre era morta il 13 dicembre; Isabelle aveva acquistato una concessione nel cimitero comunale di Biarritz e si era occupata delle esequie; aveva redatto il proprio testamento e sistemato le proprie cose; poi, la notte del 24 dicembre, si era iniettata un'overdose di morfina. Non solo era morta senza sofferenze, ma era probabilmente morta nella gioia; o perlomeno nello stato di rilassamento euforico che provoca la sostanza. Il mattino stesso aveva portato Fox in un canile; non mi aveva lasciato una lettera, pensando probabilmente che fosse inutile, che l'avrei capita fin troppo bene; ma aveva preso le disposizioni necessarie perché il cane mi venisse consegnato.
Partii alcuni giorni dopo, lei era già stata cremata; il mattino del 30 dicembre, mi recai alla Sala del silenzio del cimitero di Biarritz. Era una grande sala rotonda, il cui soffitto era costituito da una vetrata che lasciava filtrare una tenue luce grigia.
Il muro era traforato di alveoli in cui si potevano infilare dei parallelepipedi di metallo contenenti le ceneri dei defunti.
Sopra ogni nicchia, una targhetta recava incisi in corsivo il cognome e il nome dello scomparso. Al centro, una tavola di marmo, anch'essa rotonda, era circondata da sedie di vetro, o piuttosto di plastica trasparente. Dopo avermi fatto entrare, il guardiano aveva posato sulla tavola la scatola contenente le ceneri di Isabelle; poi mi aveva lasciato solo. Fintanto che mi trovavo nella sala, nessun altro poteva entrare. La mia presenza era segnalata da una piccola lampada rossa che si accendeva all'esterno, come quelle che indicano la lavorazione in corso sui set cinematografici. Rimasi nella sala del silenzio una decina di minuti, come la maggior parte delle persone.
Trascorsi un San Silvestre strano, da solo nella mia camera di Villa Eugènie, a rimuginare pensieri semplici e terminali, assai poco contraddittori. Il mattino del 2 gennaio andai a prendere Fox. Purtroppo, prima di ripartire, dovevo tornare nell'appartamento di Isabelle per prendere i documenti necessari alla successione. Fin dal nostro arrivo all'ingresso del residence, notai che Fox sussultava di allegra impazienza; era ingrassato ancora un po', i Corgi sono una razza soggetta alla pinguedine, ma Fox corse fino alla porta di Isabelle, poi, ansimante, si fermò in attesa che risalissi, a un ritmo assai più lento, il viale di ippocastani spogliati dall'inverno. Emise piccoli guaiti d'impazienza nel momento in cui cercavo le chiavi; povera creatura, pensai, povera piccola creatura. Non appena ebbi aperto la porta, si precipitò all'interno dell'appartamento, ne fece rapidamente il giro, poi tornò e mi lanciò uno sguardo interrogativo. Mentre cercavo nel secretaire d'Isabelle, ritornò parecchie volte a esplorare le stanze a una a una, annusando un po' dappertutto, e poi tornando verso di me, fermandosi alla porta della camera e guardandomi con espressione delusa.
Ogni morte è più o meno simile a una sistemazione; non si ha più l'idea di lanciarsi in un progetto nuovo, ci si limita a sbrigare gli affari di ordinaria amministrazione. Ogni cosa che non si è mai fatta, fosse anche insignificante come preparare una maionese o giocare una partita a scacchi, diventa inaccessibile per sempre, la voglia di ogni nuova esperienza come di ogni nuova sensazione sparisce del tutto. Le cose, comunque, erano notevolmente in ordine, e mi ci vollero soltanto pochi minuti per trovare il testamento di Isabelle e l'atto di proprietà dell'appartamento.
Non avevo intenzione di vedere subito il notaio, pensavo che sarei ritornato un'altra volta a Biarritz, pur sapendo che sarebbe stato un passo penoso, che probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di compiere, ma ciò non aveva più molta importanza, più niente aveva molta importanza ormai. Aprendo la busta, mi accorsi che anche quell'ultimo passo sarebbe stato inutile: aveva lasciato i suoi beni alla Chiesa elohimita, riconobbi il contratto tipo; se ne sarebbero occupati i legali.
Fox mi seguì senza difficoltà nel momento in cui lasciavo l'appartamento, immaginando probabilmente una semplice passeggiata. In un negozio di articoli per animali nei pressi della stazione acquistai una gabbietta di plastica per trasportarlo in treno; poi presi il rapido per Irùn.
Il tempo era mite nella regione di Almeria, una cortina di pioggia sottile seppelliva le giornate corte che davano l'impressione di non cominciare davvero mai, e quella pace funebre sarebbe potuta essermi congeniale, avremmo potuto trascorrere così settimane intere, il mo vecchio cane e io, in fantasticherie che non lo erano nemmeno più veramente, ma le circostanze non erano purtroppo favorevoli. Attorno alla mia casa e in un raggio di chilometri erano cominciati ovunque dei lavori per costruire nuove abitazioni. C'erano gru, betoniere, era divenuto quasi impossibile accedere al mare senza dover girare intorno a mucchi di sabbia, a pile di travi metalliche, e passare in mezzo a bulldozer e a camion che sfrecciavano senza rallentare schizzandoti di fango. A poco a poco mi limitai a uscire solo due volte al giorno, per la passeggiata di Fox, che non era più piacevole: il povero animale ululava e mi si stringeva contro, terrorizzato dal rumore dei camion. Appresi dal giornalaio che Hildegarde era morta, e che Harry aveva rivenduto la sua proprietà per finire i propri giorni in Germania.
Smisi progressivamente di uscire dalla mia camera, dove trascorrevo la maggior parte delle mie giornate a letto, in uno stato di grande vuoto mentale, doloroso però. Talvolta ripensavo al mio arrivo lì, con Isabelle, alcuni anni prima; mi ricordavo che si era divertita con l'arredamento e soprattutto cercando di far crescere dei fiori, di creare un giardino; avevamo avuto comunque alcuni brevi momenti di felicità. Ripensai anche al nostro ultimo momento di unione, la notte sulle dune, dopo la nostra visita da Harry; ma non c'erano più dune, i bulldozer avevano livellato la zona che era adesso una superficie fangosa circondata da steccati. Anch'io avrei venduto, non avevo alcuna ragione di restare lì; contattai un agente immobiliare e mi informò che il prezzo dei terreni era molto aumentato, potevo sperare in un guadagno considerevole; non sapevo esattamente in quale stato sarei morto, ma a ogni modo sarei morto ricco. Gli chiesi di cercare di affrettare la vendita, anche se non aveva un'offerta alta quanto sperava; ogni giorno, il posto mi diveniva un po' più insopportabile. Avevo l'impressione non solo che gli operai non provassero alcuna simpatia per me, ma che mi fossero decisamente ostili, che facessero apposta a sfiorarmi al volante dei loro enormi camion, a spruzzarmi di fango, a terrorizzare Fox. Tale impressione era probabilmente giustificata: ero uno straniero, un uomo del nord, e inoltre sapevano che ero più ricco di loro, molto più ricco; provavano nei miei riguardi un odio sordo, animalesco, tanto più forte dato che era impotente, c'era il sistema sociale per proteggere le persone come me, e il sistema sociale era solido, la Guardia Civil era presente e faceva giri d'ispezione sempre più frequenti, la Spagna aveva eletto da poco un governo socialista, meno sensibile di altri alla corruzione, meno legato alle mafie locali, e fermamente deciso a proteggere la classe colta, agiata, che costituiva la parte più importante del suo elettorato. Non avevo mai provato simpatia per i poveri, e meno che mai oggi che la mia vita era fottuta; la superiorità che il mio denaro mi dava su di loro avrebbe persino potuto costituire una leggera consolazione: avrei potuto guardarli dall'alto in basso mentre spalavano i mucchi di calcinacci, con la schiena curva per lo sforzo, mentre scaricavano assi e mattoni; avrei potuto osservare con disprezzo le loro mani sciupate, i loro muscoli, i calendari con donne nude che ornavano le cabine dei loro automezzi. Tali soddisfazioni minime, lo sapevo, non mi avrebbero impedito di invidiare la loro virilità non contrastata, semplicistica; la loro giovinezza, anche, la brutale evidenza della loro giovinezza proletaria, animalesca.
DANIEL25,12
Stamane, poco prima dell'alba, ho ricevuto da Marie23 il messaggio seguente:
Le membrane appesantite
dei nostri dormiveglia
hanno il fascino ovattato
delle giornate senza sole.
399, 2347, 3268, 3846. Sullo schermo apparve l'immagine di un immenso living- room dai muri bianchi, arredato con divani bassi di pelle bianca; anche la moquette era bianca.
Dalla vetrata, si scorgevano le torri del Chrysler Building - le avevo già viste in una vecchia riproduzione. Dopo alcuni secondi, una neoumana abbastanza giovane, di venticinque anni al massimo, entrò nel campo della telecamera per venire a piazzarsi di fronte all'obiettivo. I suoi capelli e il suo vello pubico erano ricciuti, folti e neri; il suo corpo armonioso dalle anche larghe, dai seni rotondi, dava una grande impressione di solidità e di energia; fisicamente, somigliava abbastanza a ciò che avevo potuto immaginare. Un messaggio passò rapidamente, sovrapponendosi all'immagine:
E il mare che mi soffoca, e la sabbia,
la processione degli istanti che si susseguono
come uccelli che planano piano su New York,
come grandi uccelli dal volo inesorabile.
Su! È ormai ora di spezzare il guscio
e di andare incontro al mare che scintilla
su nuovi sentieri che i nostri passi riconoscono,
che seguiremo insieme, incerti per la debolezza.
Il verificarsi di defezioni nei neoumani non è assolutamente un segreto; anche se l'argomento non viene mai affrontato esplicitamente, certe allusioni, certe voci sono riuscite ad affiorare qua e là. Nessun provvedimento viene preso nei confronti dei disertori, non si fa nulla per rintracciarli; la stazione che occupavano viene semplicemente e definitivamente chiusa da una squadra proveniente dalla Città Centrale; la stirpe che rappresentavano viene dichiarata estinta.
Se Marie23 aveva deciso di abbandonare il suo posto per raggiungere una comunità di selvaggi, sapevo che nulla di quanto avrei potuto dire le avrebbe fatto cambiare idea. Per alcuni minuti andò avanti e indietro per la stanza; sembrava in preda a un'esitazione nervosa, e per due volte fu sul punto di uscire dal campo della telecamera. "Non so esattamente ciò che mi aspetta," disse infine voltandosi verso l'obiettivo, "ma so che ho bisogno di vivere di più. Ci ho messo del tempo per prendere la mia decisione, ho cercato di controllare tutte le informazioni disponibili. Ne ho parlato molto con Esther31, che vive anche lei fra le rovine di New York; ci siamo persino incontrate fisicamente, tre settimane fa. Non è impossibile; c'è una grossa difficoltà mentale all'inizio, non è facile lasciare i confini della stazione, si provano un'inquietudine e una tensione enormi; ma non è impossibile..."
Digerii l'informazione e mostrai di aver capito con un leggero cenno del capo. "Si tratta proprio di una discendente della stessa Esther che il tuo antenato conosceva," proseguì lei.
"Ho creduto per un attimo che avrebbe accettato di accompagnarmi; alla fine vi ha rinunciato, per il momento almeno, ma ho l'impressione che neppure lei sia soddisfatta del nostro modo di vivere. Abbiamo parlato di te a più riprese; penso che sarebbe contenta di entrare in una fase di intermediazione." Scossi il capo di nuovo. Lei fissò ancora l'obiettivo per qualche secondo, senza dire nulla, poi con un sorriso bizzarro si mise sulle spalle uno zaino leggero, si voltò e uscì di campo verso sinistra. Rimasi a lungo immobile davanti allo schermo che ritrasmetteva l'immagine della stanza vuota.
DANIEL1,24
Dopo alcune settimane di prostrazione, ripresi il mio racconto di vita, ma la cosa mi diede solo uno scarso sollievo; ero pressappoco al momento del mio incontro con Isabelle, e la creazione di quel raddoppiamento attenuato della mia esistenza reale mi pareva un esercizio leggermente malsano, a ogni modo non avevo affatto l'impressione di compiere qualcosa d'importante o di notevole, Vincent invece sembrava attribuirvi un grande valore; tutte le settimane mi telefonava per sapere a che punto fossi, una volta mi disse persino che in un certo senso ciò che facevo era importante quanto i lavori di Scienziato a Lanzarote. Esagerava, evidentemente; ciò nonostante, mi rimisi al lavoro con maggior ardore; è curioso come fossi arrivato a fidarmi di lui, ad ascoltarlo come un oracolo.
A poco a poco le giornate si allungarono di nuovo, il tempo divenne più mite e più secco, e presi a uscire un po'di più; evitando il cantiere situato di fronte a casa, imboccavo il sentiero che saliva attraverso le colline e poi ridiscendevo fino alle falesie; di là contemplavo il mare, immenso e grigio; piatto e grigio come la mia vita. Mi fermavo a ogni curva, adottando il ritmo di Fox che era contento, lo vedevo, di quelle lunghe passeggiate, anche se adesso faceva un po'fatica a camminare.
Andavamo a letto molto presto, prima del tramonto; non guardavo mai la televisione, avevo trascurato di rinnovare il mio abbonamento satellitare; non leggevo nemmeno più, e avevo persino finito con lo stancarmi di Balzac. Senza dubbio la vita sociale mi interessava meno che all'epoca in cui scrivevo i miei sketch; sapevo già allora di aver scelto un genere limitato, che non mi avrebbe permesso di compiere, in tutta la mia carriera, un decimo di ciò che Balzac aveva potuto fare in un solo romanzo, ed ero perfettamente cosciente di ciò che peraltro gli dovevo; conservavo tutti i miei sketch, tutti gli spettacoli erano stati registrati e occupavano una quindicina di DVD; durante quelle giornate pur interminabili non mi venne mai in mente di darvi un'occhiata. Mi avevano spesso paragonato ai moralisti francesi, talvolta a Lichtenberg; ma mai nessuno aveva pensato a Molière o a Balzac. Rilessi comunque Splendori e miserie delle cortigiane, soprattutto le pagine in cui compare il personaggio di Nucingen. Era comunque notevole che Balzac avesse saputo dare al personaggio del vecchio barone innamorato quella dimensione così patetica, dimensione a dire il vero ovvia non appena ci si pensa, patetica per definizione, ma alla quale Molière non aveva affatto pensato; vero è che Molière faceva teatro comico, ed è sempre lo stesso problema, si finisce sempre con lo scontrarsi con la stessa difficoltà: la vita, in fondo, non è comica.
Un mattino di aprile, un mattino piovoso, dopo aver sguazzato cinque minuti in carreggiate fangose, decisi di abbreviare la passeggiata; arrivando alla porta di casa, mi accorsi che Fox non c'era; si era messo a piovere a dirotto, non ci si vedeva a cinque metri di distanza; udivo nelle immediate vicinanze il baccano di una spalatrice che non riuscivo a scorgere. Entrai per prendere un impermeabile e poi partii alla sua ricerca, sotto una pioggia scrosciante; percorsi a uno a uno tutti i posti in cui gli piaceva fermarsi, di cui gli piaceva annusare gli odori.
Lo ritrovai solo nel tardo pomeriggio; era ad appena trecento metri da casa, gli ero passato davanti parecchie volte senza vederlo. Solo la sua testa spuntava, leggermente macchiata di sangue, con la lingua di fuori, lo sguardo bloccato in un'espressione di orrore. Scavando nel fango con le mani, ne liberai il corpo che era scoppiato come un sanguinaccio di carne, ne erano uscite le budella. Si trovava sulla banchina, il camion doveva aver fatto uno scarto per schiacciarlo. Mi tolsi l'impermeabile per avvolgerlo, e rincasai curvo, in lacrime, distogliendo lo sguardo per non incrociare quello degli operai che si fermavano al mio passaggio con un sorriso malvagio sulle labbra.
La mia crisi di pianto durò probabilmente a lungo, quando mi calmai era quasi scesa la notte; il cantiere era deserto, ma la pioggia continuava a cadere. Uscii in giardino, in quello che era stato il giardino, che era adesso un terreno abbandonato, polveroso in estate, fangoso in inverno. Non feci alcuna fatica a scavare una tomba all'angolo della casa; ci posai sopra uno dei suoi giocattoli preferiti, un anatroccolo di plastica. La pioggia provocò una nuova colata di fango, che inghiottì il giocattolo.
Mi rimisi a piangere.
Non so perché, ma quella notte in me cedette qualcosa, come un'ultima barriera di protezione che non era crollata al momento della partenza di Esther o della morte di Isabelle.
Forse perché la morte di Fox coincideva con il momento in cui ero arrivato a parlarne nel mio racconto di vita, come l'avevamo trovato su una bretella autostradale fra Saragozza e Tarragona; forse semplicemente perché ero più vecchio e la mia resistenza si riduceva. Fatto sta che telefonai piangendo a Vincent, in piena notte, e con l'impressione che le mie lacrime non si sarebbero potute fermare mai più, che fino alla fine dei miei giorni non avrei potuto fare altro che piangere. Ciò accade, lo avevo già osservato, in certe persone anziane: talvolta il loro viso è calmo, statico, la loro mente sembra tranquilla e vuota; ma non appena riprendono contatto con la realtà, non appena riprendono coscienza e si rimettono a pensare, cominciano subito a piangere - sommessamente, senza interruzione, per giornate intere. Vincent mi ascoltò con attenzione, senza protestare malgrado l'ora tarda; poi mi promise che avrebbe subito telefonato a Scienziato. Il codice genetico di Fox era stato conservato, mi ricordò, ed eravamo divenuti immortali; noi, ma se lo desideravamo anche gli animali domestici.
Sembrava crederci; sembrava assolutamente crederci, e mi sentii all'improvviso paralizzato dalla gioia. E anche dall'incredulità; ero cresciuto, ero invecchiato nell'idea della morte e nella certezza del suo impero. Fu in uno stato d'animo strano, come se fossi sul punto dì svegliarmi in un mondo magico, che attesi l'aurora, che spuntò incolore sul mare; le nuvole erano sparite, un angolo di cielo azzurro apparve all'orizzonte, minuscolo.
Miskiewicz chiamò un po' prima delle sette. Il DNA di Fox era stato conservato, sì, era stoccato in buone condizioni, non c'era da preoccuparsi; purtroppo, per il momento, la clonazione era impossibile per i cani come lo era per gli uomini. Poche cose lo separavano dalla meta, era solo una questione di anni, di mesi probabilmente; l'operazione era già riuscita nei topi e persino, benché in modo non riproducibile, in un gatto domestico. Il cane, stranamente, sembrava porre problemi più complessi; ma promise di tenermi al corrente, e promise pure che Fox sarebbe stato il primo a beneficiare della tecnica.
La sua voce, che non sentivo da un pezzo, produceva sempre la stessa impressione di tecnicità, di competenza, e nel momento in cui riagganciavo sentii qualcosa di strano: era un fallimento, per il momento era un fallimento, ed ero condannato senza alcun dubbio a finire la mia vita nella solitudine più completa; per la prima volta, però, cominciavo a capire Vincent e gli altri convertiti; cominciavo a capire la portata della Promessa; e nel momento in cui il sole saliva sul mare, provai per la prima volta, ancora oscura, lontana, velata, un'emozione che era molto simile alla speranza.
DANIEL25,13
La partenza di Marie23 mi turba più di quanto mi fossi aspettato. Mi ero abituato ai nostri colloqui; la loro assenza mi provoca un senso di vuoto, una tristezza, e non sono ancora riuscito a decidermi a entrare in contatto con Esther31.
L'indomani della sua partenza, ho stampato i rilievi topografici delle zone che Marie23 avrebbe dovuto attraversare in direzione di Lanzarote; mi capita spesso di pensare a lei, di immaginarla lungo le tappe del suo percorso. Viviamo come circondati da un velo, da un baluardo di dati, ma abbiamo la possibilità di strappare il velo, di abbattere il baluardo; i nostri corpi ancora umani sono prontissimi a rivivere. Marie23 ha deciso di separarsi dalla nostra comunità, e si tratta di una partenza libera e definitiva; provo difficoltà insormontabili ad accettare l'idea. In simili circostanze, la Sorella Suprema raccomanda la lettura di Spinoza; vi dedico circa un'ora al giorno.
DANIEL1,25
Fu solo dopo la morte di Fox che presi veramente coscienza fino in fondo dei parametri dell'aporia. Il tempo cambiava rapidamente, il caldo non avrebbe tardato a opprimere il sud della Spagna; ragazze nude cominciavano a popolare la spiaggia vicino a casa mia, soprattutto il fine settimana; sentivo rinascere, debole e fiacco, non un vero desiderio - poiché la parola mi sembra comunque presupporre una fiducia minima nella possibilità della sua realizzazione -, ma il ricordo, il fantasma di quello che avrebbe potuto essere un desiderio. Vedevo profilarsi la cosa mentale, l'estremo tormento, e in quel momento potei finalmente dire di avere capito. Il piacere sessuale non era soltanto superiore, in raffinatezza e violenza, a tutti gli altri piaceri che la vita poteva comportare; non era solamente l'unico piacere che non si accompagni ad alcun danno per l'organismo, ma che contribuisca invece a mantenerlo al suo più alto livello di vitalità e di forza; era l'unico piacere, l'unico obiettivo in verità dell'esistenza umana, e tutti gli altri - fossero essi associati ai cibi ricchi, al tabacco, all'alcool o alla droga - non erano che compensazioni irrisorie e disperate, dei minisuicidi che non avevano il coraggio di proferire il loro nome, dei tentativi per distruggere più in fretta un corpo che non aveva più accesso al piacere unico. La vita umana, dunque, era organizzata in maniera terribilmente semplice, e per una ventina d'anni, attraverso le mie sceneggiature e i miei sketch non avevo fatto altro che girare attorno a una realtà che avrei potuto esprimere in poche frasi. La giovinezza era il tempo della felicità, la sua stagione unica; conducendo una vita oziosa e priva di preoccupazioni, occupata unicamente da studi poco impegnativi, i giovani potevano dedicarsi senza limiti alla libera esultanza dei loro corpi. Potevano giocare, ballare, amare, moltiplicare i piaceri. Alle prime ore del mattino potevano uscire da una festa in compagnia dei partner sessuali che si erano scelti, per contemplare la tetra fila degli impiegati che si recavano al lavoro. Erano il sale della terra, e veniva dato loro tutto, veniva permesso loro tutto, per loro tutto era possibile.
In seguito, fondata una famiglia, entrati nel mondo degli adulti, avrebbero conosciuto le seccature, la fatica, le responsabilità, le difficoltà dell'esistenza; avrebbero dovuto pagare le tasse, assoggettarsi a formalità amministrative senza smettere di assistere, impotenti, al degrado irrimediabile - lento dapprima, poi sempre più rapido - dei loro corpi; avrebbero dovuto mantenere dei figli, soprattutto, come nemici mortali nella propria casa; avrebbero dovuto coccolarli, nutrirli, preoccuparsi delle loro malattie, assicurare i mezzi della loro istruzione e dei loro divertimenti, e contrariamente a ciò che avviene negli animali ciò non sarebbe durato soltanto una stagione, sarebbero rimasti schiavi della loro prole fino alla fine, il tempo della gioia era definitivamente terminato per loro; avrebbero continuato a penare fino in fondo, nel dolore e nei disturbi fisici crescenti, fino a essere gettati definitivamente fra gli scarti, una volta diventati vecchi buoni a nulla. Dai figli in cambio non avrebbero affatto ricevuto riconoscenza, anzi, i loro sforzi, per quanto accaniti, non sarebbero mai stati ritenuti sufficienti, fino alla fine sarebbero stati considerati colpevoli per il semplice fatto di essere genitori. Da questa vita dolorosa, segnata dalla vergogna, ogni gioia sarebbe stata spietatamente bandita. Non appena avessero voluto avvicinarsi al corpo dei giovani, sarebbero stati perseguitati, respinti, condannati al ridicolo, all'obbrobrio, e, ai giorni nostri, sempre più spesso alla prigione. Il corpo dei giovani, unico bene desiderabile che sia mai stato in grado di produrre il mondo, era riservato all'uso esclusivo dei giovani, e la sorte dei vecchi era quella di lavorare e di patire.
Questo era il vero senso della solidarietà fra generazioni: consisteva in un puro e semplice olocausto di ogni generazione a beneficio di quella destinata a sostituirla, olocausto crudele, prolungato, e che non si accompagnava ad alcuna consolazione, ad alcun conforto, ad alcuna compensazione materiale o affettiva.
Avevo tradito. Avevo lasciato mia moglie poco dopo che era rimasta incinta, avevo rifiutato di interessarmi a mio figlio, ero rimasto indifferente alla sua morte; avevo rifiutato la catena, avevo spezzato il ciclo continuo della riproduzione delle sofferenze, e quello era forse l'unico gesto nobile, l'unico atto di ribellione autentico di cui possa vantarmi, al termine di una vita mediocre malgrado il suo carattere artistico apparente; ero persino andato a letto, anche se per poco, con una ragazza dell'età che avrebbe potuto avere mio figlio. Come la stupenda Jeanne Calment, un tempo decana dell'umanità morta a centoventidue anni, che alle domande cretine dei giornalisti: "Su, Jeanne, non crede che rivedrà sua figlia? Non crede che ci sia qualcosa dopo?" rispondeva inflessibilmente, con una dirittura magnifica: "No. Nulla. Non c'è nulla. E non rivedrò mia figlia, poiché mia figlia è morta", avevo mantenuto fino in fondo la parola e l'atteggiamento della verità. Del resto, in passato avevo reso brevemente omaggio a Jeanne Calment in uno sketch che ricordava la sua sconvolgente testimonianza: "Ho centosedici anni e non voglio morire." All'epoca, nessuno aveva capito che praticavo l'ironia del doppio esatto; mi rammaricavo di quel malinteso, mi rammaricavo soprattutto di non aver insistito di più, di non aver sottolineato a sufficienza che la sua lotta era quella dell'intera umanità, che era in fondo l'unica degna di essere combattuta. Certo Jeanne Calment era morta, Esther aveva finito col lasciarmi, e la biologia, più generalmente, aveva riaffermato i propri diritti; ciò non toglie che era successo nostro malgrado, mio malgrado, malgrado Jeanne; non ci eravamo arresi, fino in fondo avevamo rifiutato di collaborare e di approvare un sistema concepito per distruggerci.
La consapevolezza del mio eroismo mi fece trascorrere un eccellente pomeriggio; decisi comunque di ripartire per Parigi l'indomani stesso, probabilmente a causa della spiaggia, dei seni delle ragazze e dei loro peli pubici; anche a Parigi c'erano delle ragazze, ma se ne vedevano meno i seni e i peli pubici. A ogni modo non era la ragione ufficiale, anche se avevo bisogno di prendere un certo distacco (rispetto ai seni e ai peli pubici); le mie riflessioni del giorno prima mi avevano messo in un tale stato che progettavo di scrivere un nuovo spettacolo: qualcosa di duro, di radicale questa volta, in confronto al quale le mie provocazioni precedenti sarebbero sembrate solo sdolcinate chiacchiere umanistiche. Avevo telefonato al mio agente, preso appuntamento per parlarne; questi si era mostrato un po' sorpreso, mi sentiva dire da tanto che ero stanco, a pezzi, morto, che aveva finito col crederci. Ciò premesso, era piacevolmente sorpreso: gli avevo causato qualche seccatura, fatto guadagnare un bel po' di soldi, nel complesso gli ero molto simpatico.
Nell'aereo per Parigi, sotto l'effetto di una bottiglia di Southern Comfort comperato al duty- free di Almerìa, il mio eroismo pieno di odio si tramutò in una pietà per me stesso che l'alcool non rendeva in fondo così sgradevole, e composi la poesia seguente, abbastanza rappresentativa del mio stato d'animo delle ultime settimane, che dedicai mentalmente a Esther:
Non c'è amore
(non veramente, non abbastanza),
viviamo senza aiuto,
moriamo abbandonati.
L'invocazione di pietà
risuona nel vuoto,
i nostri corpi sono storpi,
ma le nostre carni sono avide.
Scomparse le promesse
di un corpo adolescente,
entriamo nella vecchiaia
dove ci attendono soltanto
la memoria vana
dei nostri giorni scomparsi,
soprassalti di odio
e la nuda disperazione.
All'aeroporto di Roissy, presi un espresso doppio che mi fece passare completamente la sbornia, e cercando la mia carta di credito mi capitò in mano il testo. Immagino sia impossibile scrivere qualunque cosa senza provare una sorta di irritazione, di esaltazione nervosa che fa sì che, per quanto sia sinistro, il contenuto di ciò che si scrive non produca per il momento alcun effetto deprimente. Con il distacco è diverso, e mi resi conto subito che la poesia non corrispondeva soltanto al mio stato d'animo, ma a una realtà osservabile: quali che fossero stati i miei trasalimenti, le mie proteste, i miei rifiuti, ero proprio finito nel campo dei vecchi, e senza speranza di ritorno.
Rimuginai per un po' il desolante pensiero, pressappoco come si mastica a lungo un cibo per abituarsi al suo amaro. Fu inutile: deprimente sulle prime, il pensiero rimaneva anche a un esame più approfondito altrettanto deprimente.
L'accoglienza premurosa dei camerieri del Lutétia mi dimostrò a ogni modo che non si erano dimenticati di me, che sul piano mediatico ero sempre in auge. "Venuto per lavoro?" mi chiese l'uomo della reception con un sorriso complice, un po' come se si trattasse di sapere se bisognasse far salire una puttana in camera mia; confermai con una strizzatura d'occhio, il che provocò un nuovo guizzo di zelo e un: "Spero che si trovi bene..." sussurrato in tono di preghiera. Fu però da quella prima notte a Parigi che la mia motivazione cominciò a calare.
Le mie convinzioni continuavano a rimanere forti, ma all'improvviso mi sembrava ridicolo affidarmi a un modo qualsiasi di espressione artistica quando da qualche parte nel mondo e anche lì vicino era in marcia una rivoluzione reale. Due giorni dopo presi il treno per Chevilly- Larue. Quando esposi a Vincent le mie conclusioni sul carattere di sacrificio inaccettabile che si accompagnava attualmente alla procreazione, notai in lui una specie di esitazione, di imbarazzo, di cui non compresi la natura.
"Sai che siamo abbastanza coinvolti nel movimento childfree..." mi rispose leggermente spazientito. "Bisogna che ti presenti a Lucas. Abbiamo appena comperato una rete televisiva, un canale dedicato ai nuovi movimenti religiosi. Sarà il responsabile dei programmi - insomma, lo abbiamo assunto per tutto quel che riguarda la comunicazione. Penso che ti piacerà." Lucas era un trentenne dal volto intelligente, in camicia bianca e abito nero di tessuto morbido. Anche lui mi ascoltò con un po' di imbarazzo, e poi mi proiettò il primo di una serie di spot pubblicitari che avevano previsto di trasmettere dalla settimana seguente sulla maggior parte dei canali a diffusione mondiale. Di una durata di trenta secondi, mostrava, in un solo piano- sequenza che dava un'impressione di veridicità insostenibile, un bambino di sei anni preda di una crisi di nervi in un supermercato. Il marmocchio reclamava un pacchetto di caramelle in più, dapprima con voce piagnucolosa - e già sgradevole -, e poi, davanti al rifiuto dei genitori, si metteva a urlare, si rotolava per terra, apparentemente sull'orlo dell'apoplessia ma interrompendosi tuttavia ogni tanto per verificare, con piccoli sguardi astuti, che i genitori restassero sotto il suo completo dominio mentale; i clienti, passando, lanciavano sguardi indignati, i commessi stessi cominciavano ad avvicinarsi alla fonte di disturbo, e i genitori, sempre più a disagio, finivano con l'inginocchiarsi davanti al mostro afferrando tutti i pacchetti di caramelle a tiro per porgerglieli, come tante offerte.
L'immagine si bloccava mentre sullo schermo compariva in maiuscolo il messaggio seguente: "JUST SAY NO. USE CONDOMS".
Gli altri spot riprendevano, con la stessa forza di convinzione, i principali elementi della scelta di vita elohimita - a proposito di sessualità, invecchiamento, morte, e insomma le solite questioni umane -, ma il nome della Chiesa stessa non veniva citato, se non alla fine, in un riquadro informativo molto breve, quasi subliminale, che recava semplicemente la scritta: "Chiesa elohimita" e un numero di telefono.
"Per gli spot positivi, ho fatto più fatica..." disse Lucas sottovoce.
"Ne ho fatto comunque uno, riconoscerai l'attore, penso..." Infatti, fin dai primi secondi, riconobbi Sbirro, in salopette di jeans, impegnato a quanto pareva a riparare un battello in una rimessa in riva a un fiume. Le luci erano splendide, cangianti, l'acqua dietro di lui scintillava in una nebbia di calore, era un po' un'atmosfera alla Jack Daniels, ma più fresca, più allegra senza vivacità eccessiva, come una primavera che avesse acquisito la serenità dell'autunno. Sbirro lavorava con calma, senza fretta, dando l'impressione di divertirsi e di avere tutto il tempo davanti a sé; poi si voltava verso la macchina da presa e faceva un largo sorriso mentre compariva in sovrimpressione il messaggio: "L'ETERNITÀ. TRANQUILLAMENTE".
Capii allora l'imbarazzo che li aveva colti più o meno tutti: la mia scoperta della felicità riservata alla gioventù e del sacrificio delle generazioni non era affatto tale, tutti lì lo avevano capito perfettamente; Vincent lo aveva capito, Lucas lo aveva capito, e anche la maggior parte degli adepti. Probabilmente anche Isabelle ne era stata consapevole da un pezzo, e si era suicidata senza emozione, sotto l'effetto di una decisione razionale, come si chiederebbe una seconda mano di carte una volta che la partita fosse male avviata nei giochi, poco numerosi, che lo consentono. Ero più stupido della media?, chiesi a Vincent la sera stessa mentre prendevo l'aperitivo a casa sua. No, rispose senza turbarsi, sul piano intellettuale mi collocavo in realtà leggermente al di sopra della media, e sul piano morale ero pressappoco simile a tutti: un po' sentimentale, un po' cinico, come lo è la maggior parte degli uomini; ero soltanto molto onesto, lì stava la mia vera specificità: rispetto alla norma, ero di un'onestà quasi incredibile. Non dovevo formalizzarmi per quelle osservazioni, soggiunse, tutto ciò si sarebbe già potuto dedurre dal mio enorme successo; ed era pure ciò che conferiva un valore incomparabile al mio racconto di vita. Ciò che avrei detto agli uomini, sarebbe stato percepito da loro come autentico, come vero; e per dove ero passato io, tutti sarebbero potuti passare a loro volta, con un leggero sforzo. Se mi convertivo, voleva dire che tutti gli uomini si sarebbero potuti convenire seguendo il mio esempio. Mi diceva tutto ciò con molta calma, guardandomi dritto negli occhi, con un'espressione di sincerità totale; sapevo inoltre che mi voleva molto bene. Fu allora che capii esattamente ciò che voleva fare; fu allora che capii pure che ci sarebbe riuscito.
"A quanti adepti siete?"
" Settecentomila, " aveva risposto in una frazione di secondo, senza riflettere. Compresi allora una terza cosa, cioè che Vincent era diventato il vero capo della Chiesa, la sua guida effettiva. Scienziato, come aveva sempre desiderato, si dedicava esclusivamente ai suoi lavori scientifici; e Sbirro obbediva agli ordini di Vincent, metteva a sua completa disposizione la propria intelligenza pratica e la propria impressionante capacità lavorativa. Era stato Vincent, senza il minimo dubbio, a reclutare Lucas; era stato lui a lanciare l'azione: "DATE SESSO ALLA GENTE. FATELA GODERE"; era stato lui anche a interromperla, una volta raggiunto l'obiettivo; aveva proprio preso il posto del profeta. Mi ricordai allora della mia prima visita al villino di Chevilly- Larue, di come Vincent mi fosse apparso sull'orlo del suicidio o del crollo nervoso. "La pietra che i costruttori avevano rifiutato..." pensai. Non provavo per Vincent né gelosia né invidia: era di una natura diversa dalla mia; ciò che lui faceva, io sarei stato incapace di farlo; aveva ottenuto molto, ma aveva puntato pure molto, aveva puntato tutto se stesso, aveva messo tutto sulla bilancia, e da un pezzo, fin dal principio; sarebbe stato incapace di procedere in modo diverso, in lui non c'era mai stato posto per la strategia o per il calcolo. Gli chiesi allora se continuasse a lavorare al progetto dell'ambasciata. Abbassò gli occhi con un pudore inatteso, che non avevo più visto in lui, e mi rispose di sì, che pensava persino di finire presto, che se rimanevo ancora un mese o due avrebbe potuto mostrarmelo; che desiderava molto, in realtà, che rimanessi, e che potessi essere il primo visitatore, immediatamente dopo Susan - poiché ciò riguardava molto da vicino Susan.
Naturalmente rimasi; non avevo alcuna urgenza particolare di tornare a San José; sulla spiaggia ci sarebbero stati probabilmente un po' più di seni e di velli pubici. Avevo ricevuto un fax dell'agente immobiliare, gli era stata fatta un'offerta interessante da un inglese, un cantante rock a quanto pare, ma nemmeno per questo c'era una vera urgenza: dopo la morte di Fox, potevo benissimo morire sul posto ed essere sepolto accanto a lui. Mi trovavo al bar del Lutétia, e dopo il mio terzo Alexandra l'idea mi parve proprio eccellente: no, non avrei venduto, avrei lasciato la proprietà senza designare eredi, e avrei persino vietato la vendita per testamento, avrei messo da parte una somma per la manutenzione, avrei fatto della proprietà una sorta di mausoleo, un mausoleo a cose di merda, perché ciò che vi avevo vissuto era nel complesso di merda, ma un mausoleo lo stesso. "Mausoleo di merda...": mi ripetei l'espressione sottovoce, sentendo crescere in me, con il calore dell'alcool, un'esultanza malvagia. Nel frattempo, per addolcire i miei ultimi istanti, avrei invitato delle puttane. No, non delle puttane, mi dissi dopo un attimo di riflessione, le loro prestazioni erano decisamente troppo meccaniche, troppo mediocri. Potevo invece fare delle proposte alle adolescenti che si abbronzavano sulla spiaggia; la maggior parte avrebbe rifiutato, ma alcune forse avrebbero accettato, ero certo a ogni modo che non sarebbero rimaste scioccate. Ovviamente c'era qualche rischio, potevano avere degli amichetti delinquenti; potevo anche provare con le domestiche, alcune erano proprio passabili e non sarebbero state forse contrarie all'idea di un supplemento. Ordinai un quarto cocktail e soppesai lentamente le diverse possibilità facendo girare l'alcool nel bicchiere prima di capire che molto probabilmente non avrei fatto nulla, che non sarei ricorso alle prostitute dopo l'abbandono di Esther, come non vi avevo fatto ricorso dopo la partenza di Isabelle, e mi resi conto anche, con un misto di sgomento e di disgusto, che continuavo comunque (in modo, a dire il vero, puramente teorico, perché sapevo bene che per quanto mi riguardava tutto era finito, che avevo sprecato le mie ultime possibilità, che ero pronto ad andarmene adesso, che bisognava darci un taglio, che bisognava concludere), nel mio intimo e contro ogni evidenza, a credere nell'amore.
DANIEL25,14
II mio primo contatto con Esther31 mi sorprese; probabilmente influenzato dal racconto di vita del mio predecessore umano, mi aspettavo una persona giovane. Avvertita della mia richiesta di intermediazione, passò in modalità visiva: mi ritrovai di fronte una donna dal volto posato, serio, che aveva superato da poco la cinquantina; stava davanti al suo schermo, in una stanzetta ben ordinata che doveva servirle da studio, e portava occhiali da vista. Il suo ordinale 31 costituiva già di per sé una leggera sorpresa; mi spiegò che la stirpe delle Esther aveva ereditato la malformazione renale della sua capostipite ed era caratterizzata perciò da durate di vita più brevi. Era al corrente, naturalmente, della partenza di Marie23: sembrava anche a lei quasi certo che una comunità di primati evoluti si fosse insediata nell'area dell'antica Lanzarote. Mi informò che quella zona dell'Atlantico settentrionale aveva conosciuto un destino geologico tormentato: dopo essere stata completamente inghiottita al momento della Prima Diminuzione, l'isola era riaffiorata sotto l'effetto di nuove eruzioni vulcaniche; era divenuta una penisola al momento del Grande Prosciugamento, e una stretta striscia di terra continuava a collegarla, secondo gli ultimi rilievi, alla costa africana.
Contrariamente a Marie23, Esther31 pensava che la comunità Insediata si nella zona non fosse costituita da selvaggi, ma da neoumani che avevano rifiutato gli insegnamenti della Sorella Suprema. Le immagini via satellite, è vero, lasciavano sussistere il dubbio: poteva anche non trattarsi di esseri trasformati dalla RGS; ma degli eterotrofi, mi fece notare, come sarebbero potuti sopravvivere in un posto che non sembrava recare alcuna traccia di vegetazione? Era persuasa che Marie23, convinta di incontrare degli umani dell'antica razza, avrebbe ritrovato in realtà dei neoumani che avevano seguito il suo stesso percorso.
"In fondo era forse ciò che cercava..." le dissi. Lei rifletté a lungo prima di rispondermi con voce neutra: "È possibile."
DANIEL1 ,26
Per lavorare, Vincent si era sistemato in una rimessa senza finestre, di una cinquantina di metri di lato, situata nelle immediate vicinanze dei locali della Chiesa e a essi collegata mediante un passaggio coperto. Attraversando gli uffici - dove malgrado l'ora mattutina si affaccendavano già dietro gli schermi dei loro computer segretarie, documentalisti, contabili --, fui colpito un'altra volta dal fatto che quell'organizzazione spirituale potente, in pieno sviluppo, che vantava già, nei paesi nordeuropei, un numero di adepti equivalente a quello delle principali confessioni cristiane, era, sotto altri aspetti, organizzata esattamente come una piccola impresa. Sbirro si sentiva a proprio agio, lo sapevo, in quell'atmosfera laboriosa e modesta che corrispondeva ai suoi valori; in realtà, il lato istrionico, esibizionista del profeta non gli era mai andato a genio. A proprio agio nella sua nuova esistenza, si comportava da boss liberale, aperto all'ascolto dei suoi impiegati, sempre pronto a concedere loro una mezza giornata di vacanza o un anticipo sullo stipendio.
L'organizzazione funzionava a meraviglia, i lasciti degli adepti venivano ad arricchire un patrimonio valutato già il doppio di quello della setta Moon; il loro DNA, replicato in cinque copie, era conservato a bassa temperatura in sale sotterranee impermeabili alla maggior parte delle radiazioni conosciute e in grado di resistere a un attacco termonucleare.
I laboratori diretti da Scienziato non costituivano soltanto il non plus ultra della tecnologia attuale; nulla in realtà poteva essere paragonato loro sia nel settore privato, sia in quello pubblico. Lui e la sua équipe avevano acquisito nel campo dell'ingegneria genetica come in quello dei circuiti neuronali a cablaggio indefinito un vantaggio irrecuperabile, e ciò nel rispetto assoluto della legislazione in vigore, e gli studenti più promettenti, nella maggior parte delle università tecnologiche americane ed europee, chiedevano adesso di lavorare al loro fianco.
Una volta stabiliti il dogma, il rituale e il regime, fugato ogni pericolo di deriva, Vincent non aveva fatto altro che brevi apparizioni mediatiche, nel corso delle quali si era potuto permettere il lusso della tolleranza, concordando con i rappresentanti delle religioni monoteistiche sull'esistenza di un'aspirazione spirituale comune, senza dissimulare tuttavia che i loro obiettivi erano diametralmente opposti. Tale strategia distensiva aveva dato i suoi frutti, e i due attentati perpetrati ai danni di alcuni locali della Chiesa - uno, a Istanbul, rivendicato da un gruppo islamista; l'altro, a Tucson, in Arizona, attribuito a un gruppo fondamentalista protestante - avevano suscitato una riprovazione generale e si erano ritorti contro i loro organizzatori.
L'aspetto audace, innovatore, delle proposte di vita elohimite veniva adesso essenzialmente sostenuto da Lucas, la cui comunicazione incisiva, ridicolizzando senza tanti giri di parole la paternità, approfittando con un'audacia controllata dell'ambiguità sessuale delle ragazzine, svalutando senza attaccarlo frontalmente l'antico tabù dell'incesto, assicurava a ogni sua campagna stampa un impatto straordinario rispetto all'investimento consentito, mentre manteneva un largo consenso con un' apologià senza riserve dei valori edonistici dominanti e un omaggio insistente alle tecniche sessuali orientali, il tutto in una presentazione visiva al tempo stesso estetizzata e molto diretta che aveva fatto scuola (lo spot: "L'ETERNITÀ, TRANQUILLAMENTE" era stato così seguito da un: "L'ETERNITÀ, SENSUALMENTE", e poi da un: «L'ETERNITÀ, AMOROSAMENTE", che costituivano senza il minimo dubbio un'innovazione nel campo della pubblicità religiosa). Fu senza alcuna resistenza e senza nemmeno mai considerare la possibilità di un contrattacco, che le Chiese costituite videro dileguarsi, in pochi anni, la maggior parte dei loro fedeli, e la loro stella impallidire a beneficio del nuovo culto che, per giunta, reclutava la maggioranza dei suoi adepti in ambienti atei, agiati e moderni - delle categorie socio- professionali+ e socioprofessionali++, per riprendere la terminologia di Lucas - cui esse non avevano accesso da molto tempo ormai.
Consapevole che le cose andavano bene, che si era circondato dei migliori collaboratori possibili, Vincent, nel corso delle ultime settimane, si era dedicato sempre più esclusivamente al suo grande progetto, ed era con sorpresa che avevo visto manifestarsi di nuovo la sua timidezza, il suo disagio, la maniera incerta e maldestra di esprimersi che aveva durante i nostri primi incontri. Quel mattino esitò a lungo prima di lasciarmi scoprire l'opera della sua vita. Prendemmo un caffè, poi un secondo, al distributore automatico. Rigirando il bicchierino vuoto fra le dita, mi disse infine: "Credo sia il mio ultimo lavoro..." prima di abbassare gli occhi. "Susan è d'accordo..." soggiunse. "Quando il momento sarà venuto... insomma, il momento di lasciare questo mondo e di entrare nell'attesa della prossima incarnazione, entreremo insieme in questa sala; ci recheremo nel suo centro e lì prenderemo insieme il cocktail letale. Altre sale saranno costruite sullo stesso modello, perché tutti gli adepti possano avervi accesso. Mi è sembrato... mi è sembrato fosse utile formalizzare questo momento." Tacque e mi guardò dritto negli occhi. "È stato un lavoro difficile..." disse. "Ho pensato molto alla Morte dei poveri di Baudelaire; mi ha aiutato enormemente."
I versi sublimi mi tornarono subito alla memoria, come se fossero sempre stati presenti in un recesso della mia mente, come se la mia intera vita non fosse stata che il loro commento più o meno esplicito:
È la Morte, ahimè!, che ci conforta e ci fa vivere;
è la meta della vita, la speranza più vera
che, come un elisir, ci esalta e c'inebria,
e ci da il coraggio di camminare fino a sera;
attraverso la tempesta, la neve e la brina
è la luce che vibra all'orizzonte nero;
l'albergo rinomato, segnato sulla guida,
dove potremo mangiare, dormire, e sedere...
Scossi il capo, che altro potevo fare? Poi imboccai il corridoio che conduceva alla rimessa. Non appena ebbi aperto la porta ermetica, blindata, attraverso cui si accedeva all'interno, fui abbagliato da una luce accecante, e per trenta secondi non scorsi nulla; la porta si richiuse alle mie spalle con un rumore sordo.
Progressivamente il mio sguardo si abituò, riuscii a riconoscere forme e contorni; somigliava un po' alla simulazione informatica che avevo visto a Lanzarote, ma la luminosità dell'insieme era ancora più intensa, aveva veramente lavorato bianco su bianco, e non c'era assolutamente musica, solo alcuni fremiti leggeri, come vibrazioni atmosferiche incerte. Avevo l'impressione di muovermi all'interno di uno spazio lattiginoso, isotropo, che si condensava talvolta, improvvisamente, in microformazioni granulose - avvicinandomi, distinsi montagne, vallate, paesaggi interi che diventavano più complessi rapidamente e poi sparivano quasi subito, e lo scenario piombava di nuovo in una omogeneità indistinta, attraversata da potenzialità oscillanti. Stranamente non riuscivo più a vedermi : mani né alcuna altra parte del corpo. Persi molto in fretta ogni senso dell'orientamento, ed ebbi allora l'impressione di udire dei passi che facevano eco ai miei; quando mi fermavo, i passi si fermavano anch'essi, ma con un leggero ritardo.
Volgendo lo sguardo verso destra, scorsi una sagoma che ripeteva ogni mio movimento, che si distingueva dal biancore abbagliante dell'atmosfera solo per un bianco leggermente più opaco. Ne provai una leggera inquietudine: la sagoma sparì subito. La mia inquietudine si dissipò: la sagoma si materializzò di nuovo, come nata dal niente. A poco a poco mi abituai alla sua presenza, e continuai la mia esplorazione; mi pareva sempre più evidente che Vincent avesse utilizzato delle strutture frattali, riconoscevo dei triangoli di Sierpinski, degli insiemi di Mandelbrot, e l'installazione stessa sembrava modificarsi a mano a mano che ne prendevo coscienza. Nel momento in cui ebbi l'impressione che lo spazio attorno a me si frammentasse in insiemi triadici di Cantor, la sagoma sparì e calò un silenzio totale. Non udivo nemmeno più la mia respirazione e capii allora che ero diventato lo spazio; ero l'universo ed ero l'esistenza fenomenica; le microstrutture scintillanti che apparivano si rapprendevano e poi si dissolvevano nello spazio, facevano parte di me stesso, e sentivo mia, prodotta all'interno del mio corpo, ogni loro apparizione come ogni loro cessazione.
Fui assalito allora da un intenso desiderio di scomparire, di fondermi in un nulla luminoso, attivo, vibrante di potenzialità perpetue; la luminosità ridivenne accecante, lo spazio attorno a me sembrò esplodere e diffrangersi in particelle di luce, ma non si trattava di uno spazio nel senso abituale del termine, comportava dimensioni multiple, e ogni altra percezione era sparita - tale spazio non conteneva, nel senso abituale del termine, nulla. Rimasi così, fra le potenzialità senza forma, al di là persino della forma e dell'assenza di forma, per un tempo che non riuscii a definire; poi qualcosa apparve in me, all'inizio quasi impercettibile, come il ricordo o il sogno di una sensazione di pesantezza; allora ripresi coscienza della mia respirazione, e delle tre dimensioni dello spazio, che divenne a poco a poco immobile; alcuni oggetti apparvero di nuovo attorno a me, come discrete emanazioni del bianco, e fui in grado di uscire dalla stanza.
Era probabilmente impossibile, dissi a Vincent un po' più tardi, rimanere vivi in un posto simile per più di una decina di minuti. "Chiamo quel posto amore," disse. "L'uomo non ha mai potuto amare, mai tranne che nell'immortalità; è forse la ragione per la quale le donne erano più vicine all'amore, quando avevano la missione di dare la vita. Abbiamo ritrovato l'immortalità, e la co-presenza al mondo; il mondo non ha più il potere di distruggerci, siamo noi, invece, ad avere il potere di crearlo con la potenza del nostro sguardo. Se rimaniamo nell'innocenza e nell'approvazione del solo sguardo, rimaniamo pure nell'amore." Dopo essermi accomiatato da Vincent, una volta in taxi, lentamente mi calmai; il mio stato d'animo durante l'attraversamento della periferia rimaneva tuttavia piuttosto caotico, e solo dopo la porte d'Italie ritrovai la forza di ironizzare e di ripetermi mentalmente: "Sarebbe dunque possibile! Quell'artista immenso, quel creatore di valori, non ha ancora imparato che l'amore è morto!" Provai subito una certa tristezza nel constatare che non avevo ancora rinunciato a essere quello che ero stato durante tutta la mia carriera: una specie di Zarathustra delle classi medie.
Al Lutétia, l'uomo della reception mi chiese se fossi soddisfatto del soggiorno. "È stato impeccabile," risposi cercando la carta Premier, "perfetto..." Volle poi sapere se avrebbero avuto il privilegio di rivedermi presto. "No, non credo..." risposi, "non credo che mi capiterà di tornare prima di un bel pezzo."
DANIEL25,15
"Volgiamo i nostri sguardi ai cieli e i cieli sono vuoti," scrive Ferdinandl2 nel suo commento. Fu attorno alla dodicesima generazione neoumana che apparvero i primi dubbi circa l'avvento dei Futuri, cioè quasi un millennio dopo gli avvenimenti riferiti da Daniel1; fu pressappoco alla stessa epoca che si manifestarono le prime defezioni.
Un altro millennio è trascorso e la situazione è rimasta stabile, la proporzione delle defezioni immutata. Inaugurando una tradizione di disinvoltura rispetto ai dati scientifici che doveva condurre la filosofia alla sua rovina, il pensatore umano Friedrich Nietzsche vedeva nell'uomo "la specie il cui tipo non è ancora fissato". Se gli umani non giustificavano affatto una simile valutazione - meno, a ogni modo, della maggior parte delle specie animali -, essa non si applica maggiormente ai successori neoumani. Si può affermare persino che ciò che ci caratterizza meglio, rispetto ai nostri predecessori, è probabilmente un certo conservatorismo. Gli umani, perlomeno gli umani dell'ultimo periodo, aderivano sembra con grande facilità a ogni nuovo progetto, un po' indipendentemente dalla direzione del movimento proposto; ai loro occhi, il cambiamento in sé rappresentava un valore. Noi accogliamo invece l'innovazione con la massima cautela e l'adottiamo solo quando ci sembra costituire un miglioramento indiscutibile. Dopo la Rettifica Genetica Standard, che fece di noi la prima specie animale autotrofa, nessuna modificazione di rilevanza comparabile è stata messa in cantiere. In base alle istanze scientifiche della Città Centrale, sono stati sottoposti alla nostra approvazione alcuni progetti che proponevano per esempio di sviluppare la nostra idoneità al volo o alla sopravvivenza negli ambienti sottomarini; sono stati dibattuti, dibattuti a lungo, prima di essere infine respinti. I soli caratteri genetici che mi separano da Daniel2, il mio primo predecessore neoumano, sono miglioramenti minimi, ispirati dal buonsenso, riguardanti per esempio un aumento dell'efficienza metabolica nell'utilizzo dei minerali, o una leggera diminuzione della sensibilità delle fibre nervose ricettrici del dolore. La nostra storia collettiva, sull'esempio dei nostri destini individuali, appare dunque singolarmente tranquilla, se paragonata a quella degli umani dell'ultimo periodo. Talvolta, di notte, mi alzo per osservare le stelle. Mutamenti climatici e geologici di notevole vastità hanno rimodellato nel corso degli ultimi due millenni la fisionomia della regione, così come quella della maggior parte delle aree del mondo; lo sfavillio e la posizione delle stelle, i loro raggruppamenti in costellazioni sono probabilmente gli unici elementi naturali che dall'epoca di Daniel1 non abbiano subito alcuna trasformazione. Contemplando il cielo notturno, mi capita di pensare agli Elohim, alla strana credenza che in fin dei conti, per vie traverse, doveva scatenare la Grande Trasformazione.
Daniel1 rivive in me, il suo corpo vi conosce una nuova incarnazione, i suoi pensieri sono i miei, i suoi ricordi sono i miei; la sua esistenza si prolunga realmente in me, assai più di quanto un uomo abbia mai potuto sognare di prolungarsi attraverso la propria discendenza. La mia vita, tuttavia, ci penso spesso, è ben lontana dall'essere quella che avrebbe desiderato vivere.
DANIEL1,27
Di ritorno a San José continuai, è pressappoco tutto ciò che si può dire. Le cose insomma andavano piuttosto bene per un suicidio, e fu con una facilità sorprendente che portai felicemente a termine, durante i mesi di luglio e agosto, la narrazione di avvenimenti che pure erano i più significativi e i più atroci della mia esistenza. Ero un autore debuttante nel campo dell'autobiografia, a dire il vero non ero nemmeno un autore, probabilmente ciò spiega come non mi sia mai reso conto, nel corso di quelle giornate, che era il semplice fatto di scrivere, dandomi l'illusione di un controllo sugli avvenimenti, a impedirmi di sprofondare in stati che giustificano quelle che gli psichiatri, nel loro gergo affascinante, chiamano cure pesanti. È sorprendente che non mi sia reso conto di camminare sull'orlo di un precipizio; tanto più che i miei sogni avrebbero dovuto mettermi in allarme. Esther vi tornava sempre più spesso, sempre più gentile e maliziosa, e prendevano una piega ingenuamente pornografica, una piega di autentici sogni di carestia, che non annunciava niente di buono. Ogni tanto ero costretto a uscire per comperare birra e fette biscottate, il più delle volte ritornavo passando per la spiaggia, dove ovviamente incontravo in abbondanza ragazze nude: esse si ritrovavano la notte stessa al centro di orge di un patetico irrealismo di cui io ero il protagonista ed Esther l'organizzatrice; pensavo sempre più spesso alle polluzioni notturne dei vecchi che fanno disperare le infermiere -- ripetendomi che non sarei arrivato a quel punto, che avrei compiuto in tempo il gesto fatale, che c'era comunque in me una certa dignità (alla quale nulla, tuttavia, nella mia vita poteva fino a quel momento essere ricondotto).
In fondo non era affatto certo che mi sarei suicidato, avrei fatto forse parte di coloro che scocciano fino alla fine, tanto più che avendo abbastanza denaro potevo scocciare un numero considerevole di persone. Odiavo l'umanità, è certo, l'avevo odiata fin dal principio, e dato che l'infelicità rende cattivi la odiavo ormai ancor di più. Nello stesso tempo ero diventato un cagnolino che una semplice zolletta di zucchero sarebbe bastata a far stare buono (non pensavo nemmeno in maniera particolare al corpo di Esther, qualunque cosa sarebbe andata bene: dei seni, un vello pubico); ma nessuno me l'avrebbe tesa, quella zolletta di zucchero, e avevo tutte le probabilità di terminare la mia vita come l'avevo cominciata: derelitto e furente, in uno stato di panico astioso esacerbato ulteriormente dalla calura estiva. È per effetto di un'antica appartenenza animale che le persone hanno tante conversazioni a proposito della meteorologia e del clima, per effetto di un ricordo primitivo, impresso negli organi sensoriali e collegato alle condizioni di sopravvivenza nella preistoria. Quei dialoghi dalla scaletta immutata, convenzionali, continuano a essere tuttavia il segno di una posta in gioco reale: anche se viviamo in appartamenti, in condizioni di stabilità termica garantite da una tecnologia affidabile e ben sperimentata, ci è impossibile liberarci dal nostro atavismo animale; è così che la piena consapevolezza della nostra ignominia e della nostra infelicità, del loro carattere totale e definitivo, può manifestarsi per contrasto soltanto in condizioni climatiche sufficientemente favorevoli.
A poco a poco, il tempo della narrazione raggiunse il tempo della mia vita effettiva; il 17 agosto, con un caldo atroce, stesi i miei ricordi del party di compleanno a Madrid, che si era svolto esattamente un anno prima. Mi soffermai rapidamente sul mio ultimo soggiorno a Parigi, sulla morte di Isabelle: tutto ciò mi sembrava già racchiuso nelle pagine precedenti, apparteneva all'ordine delle conseguenze, alla sorte comune dell'umanità, e desideravo invece fare opera di pioniere, apportare qualcosa di sorprendente e di nuovo.
La menzogna mi appariva ormai in tutta la sua vastità: si allargava a tutti gli aspetti dell'esistenza umana, e il suo uso era universale; i filosofi, senza eccezione, l'avevano ratificata, come la quasi totalità dei letterati; essa era probabilmente necessaria alla sopravvivenza della specie, e Vincent aveva ragione: il mio racconto di vita, una volta diffuso e commentato, avrebbe posto fine all'umanità come la conoscevamo. Il mio mandante, per parlare in termini mafiosi (e si trattava proprio di un delitto, e pure, in termini propri, di un delitto contro l'umanità) poteva essere soddisfatto. L'uomo avrebbe cambiato direzione , si sarebbe convertito.
Prima di porre termine al mio racconto, ripensai per l'ultima volta a Vincent, il vero ispiratore di questo libro, e l'unico essere umano che abbia mai suscitato in me quel sentimento così estraneo alla mia natura: l'ammirazione. A ragione Vincent aveva ravvisato in me le capacità di una spia e di un traditore. Spie e traditori, nella storia umana, ce n'erano già stati (non poi così tanti del resto, solo alcuni, a intervalli distanziati; era piuttosto notevole constatare nel complesso quanto gli uomini si fossero comportati da brave bestie, con la buona volontà del bue che sale allegramente nel camion che lo conduce al macello); ma io ero probabilmente il primo a vivere in un'epoca in cui le condizioni tecnologiche potevano conferire al mio tradimento tutto il suo impatto. Del resto non avrei fatto che accelerare, concettualizzandola, un'evoluzione storica ineluttabile. Gli uomini avrebbero voluto vivere sempre più nella libertà, nell'irresponsabilità, nella ricerca folle del piacere; avrebbero voluto vivere come vivevano già, in mezzo a loro, i kids, e quando l'età avesse fatto sentire il suo peso, quando fosse divenuto loro impossibile sostenere la lotta, ci avrebbero dato un taglio; ma nel frattempo avrebbero aderito alla Chiesa elohimita, il loro codice genetico sarebbe stato salvaguardato, e sarebbero morti nella speranza di una continuazione indefinita di quella stessa esistenza votata ai piaceri. Tale era il senso del movimento storico; tale era la sua direzione a lungo termine, che non si sarebbe fermata all'Occidente; l'Occidente si limitava a dissodare, a tracciare la strada, come soleva fare dalla fine del medioevo.
Allora sarebbe sparita la specie nella sua forma attuale; allora sarebbe apparso qualcosa di diverso, di cui non si poteva ancora dire il nome, forse peggiore, forse migliore, che sarebbe stato comunque più limitato nelle proprie ambizioni, e a ogni modo più calmo: l'importanza dell'impazienza e della frenesia non doveva essere sottovalutata nella storia umana. Forse quel grossolano imbecille di Hegel aveva in fin dei conti visto giusto; forse io ero un'astuzia della ragione. Era poco verosimile che la specie destinata a succederei fosse una specie sociale allo stesso grado; dalla mia infanzia, l'idea che concludeva tutte le discussioni, che poneva fine a tutte le divergenze, l'idea attorno alla quale avevo visto sprigionarsi il più delle volte un consenso assoluto, tranquillo, senza storie, poteva riassumersi pressappoco così: "In fondo si nasce soli, si vive soli e si muore soli." Accessibile alle menti più sommarie, tale frase era ugualmente la conclusione dei pensatori più acuti; essa provocava in ogni circostanza un'approvazione unanime e a ciascuno sembrava, appena erano state pronunciate tali parole, di non aver udito mai nulla di così bello, di così profondo e di così giusto, e ciò quali che fossero l'età, il sesso, la posizione sociale degli interlocutori. Era già sorprendente per la mia generazione e lo era assai di più per quella di Esther. Simili disposizioni d'animo, a lungo termine, non possono proprio favorire una socialità ricca. La socialità aveva fatto il suo tempo, aveva avuto il suo ruolo storico; era stata indispensabile nei primi tempi dell'apparizione dell'intelligenza umana, ma oggi non era altro che un resto inutile e ingombrante. Lo stesso poteva dirsi della sessualità, dopo la generalizzazione della procreazione artificiale.
"Masturbarsi è fare l'amore con qualcuno che si ama veramente": la frase veniva attribuita a diversi personaggi, che andavano da Keith Richards a Jacques Lacan; a ogni modo, quando venne pronunciata, era in anticipo sul suo tempo, e non poteva perciò avere un reale impatto. I rapporti sessuali si sarebbero del resto mantenuti sicuramente per un certo periodo, come supporto pubblicitario e principio di differenziazione narcisistica, pur essendo riservati sempre più a specialisti, a un'elite erotica. La lotta narcisistica avrebbe continuato per tutto il tempo in cui si sarebbe potuta alimentare di vittime consenzienti, disposte a cercarvi la loro razione di umiliazioni, sarebbe durata probabilmente quanto la socialità stessa, ne sarebbe stata l'estrema traccia, ma avrebbe finito nonostante tutto con l'estinguersi. Quanto all'amore, non bisognava più contarci; ero probabilmente uno degli ultimi uomini della mia generazione ad amarmi abbastanza poco da essere in grado di amare qualcun altro, anche se mi era capitato solo due volte nella vita. Non c'è amore nella libertà individuale, nell'indipendenza, è semplicemente una menzogna e una delle più grossolane che si possa concepire; c'è amore soltanto nel desiderio di annientamento, di fusione, di annullamento individuale, in una sorta, come si diceva un tempo, di sentimento oceanico, in qualcosa a ogni modo che era, almeno in un futuro prevedibile, condannato.
Tre anni prima, avevo ritagliato da Gente Libre una fotografia in cui il sesso di un uomo, di cui si vedeva solo il bacino, affondava per metà, e per così dire con calma, in quello di una donna di circa venticinque anni, dai lunghi capelli castani e ricci. Tutte le foto di quella rivista destinata alle "coppie liberali" giravano più o meno attorno allo stesso tema; perché quella foto mi affascinava tanto? Appoggiata sulle ginocchia e sui gomiti, la giovane donna volgeva il viso verso l'obiettivo come se fosse sorpresa da quella introduzione inattesa, avvenuta nel momento in cui pensava a tutt'altro, per esempio a pulire il pavimento; sembrava del resto piuttosto piacevolmente sorpresa, il suo sguardo tradiva una soddisfazione zuccherosa e impersonale, come se fossero le sue mucose a reagire a quel contatto imprevisto più che il suo spirito. Il suo sesso pareva elastico e morbido, di buone dimensioni, comodo, era a ogni modo gradevolmente aperto e dava l'impressione di potersi dilatare facilmente, a richiesta. Quella ospitalità gentile, senza tragedia, alla buona in certo qua! modo, era ormai tutto ciò che chiedevo al mondo, me ne rendevo conto una settimana dopo l'altra osservando quella fotografia; mi rendevo conto pure che non sarei più riuscito a ottenerla, che non avrei cercato nemmeno più di ottenerla, e che la partenza di Esther non era stata un passaggio doloroso, ma una fine assoluta. Forse era già rientrata dagli Stati Uniti, anzi sicuramente. Mi pareva poco verosimile che la sua carriera di pianista conoscesse grandi sviluppi, Esther non possedeva il talento necessario né la dose di follia che lo accompagna, era una piccola creatura in fondo molto ragionevole. Tornata o no, sapevo che non avrebbe fatto a ogni modo molta differenza, che non avrebbe avuto voglia di rivedermi, per lei ero storia vecchia, e a dire il vero ero storia vecchia anche per me stesso; ogni idea di riprendere una carriera pubblica, o più generalmente di avere delle relazioni con i miei simili, mi aveva davvero abbandonato definitivamente; Esther mi aveva svuotato, avevo impiegato con lei le mie ultime forze, ero sfinito ormai; era stata la mia felicità, ma era stata pure, come avevo presagito fin dall'inizio, la mia morte; quella premonizione non mi aveva del resto fatto esitare un solo istante, tanto è vero che si deve incontrare la propria morte, vederla in faccia almeno una volta - e ciascuno dì noi, nel proprio intimo, 10 sa -, e che tutto sommato è preferibile che questa morte piuttosto che quello, abituale, della noia e dell'usura abbia per caso 11 volto del piacere.
DANIEL25,16
All'inizio fu generata la Sorella Suprema, che è la prima. Poi furono generati i Sette Fondatori, che crearono la Città Centrale.
Se l'insegnamento della Sorella Suprema è alla base delle nostre convinzioni filosofiche, l'organizzazione politica delle comunità neoumane deve quasi tutto ai Sette Fondatori; ma, per loro stessa ammissione, essa fu soltanto un parametro marginale, condizionato tanto dalle evoluzioni biologiche che avevano aumentato l'autonomia funzionale dei neoumani quanto dai movimenti storici, già largamente avviati nelle società umane, che comportavano il declino delle funzioni relazionali.
Le ragioni che portarono a una separazione fisica radicale fra neoumani non hanno d'altronde niente di assoluto, e tutto indica infatti che essa si è attuata solo in maniera progressiva, probabilmente nell'arco di alcune generazioni. La separazione fisica totale costituisce a dire il vero una configurazione sociale possibile, compatibile con gli insegnamenti della Sorella Suprema, che va globalmente nella stessa direzione più che esserne una conseguenza nel senso stretto.
Sparito il contatto, svanì anche il desiderio. Non avevo provato alcuna attrazione fisica per Marie23, come naturalmente non ne provavo per Esther31, che a ogni modo aveva superato l'età per suscitare questo genere di manifestazioni. Ero persuaso che neppure Marie23, malgrado la sua partenza, e Marie22, malgrado lo strano episodio anteriore alla sua fine riportato dal mio predecessore, avessero conosciuto il desiderio. Ciò che avevano invece conosciuto, e in maniera singolarmente dolorosa, era la nostalgia del desiderio, la voglia di provarlo di nuovo, di essere irradiate come le loro lontane antenate da quella forza che pareva così potente. Benché Daniel1 si mostri singolarmente eloquente sul tema della nostalgia del desiderio, io finora sono stato risparmiato dal fenomeno, ed è con la massima calma che discuto dettagliatamente con Esther31 dei rapporti fra i nostri rispettivi predecessori; dal canto suo, lei manifesta una freddezza almeno uguale, ed è senza rimpianto, senza turbamento che ci separiamo al termine delle nostre intermediazioni episodiche e riprendiamo le nostre vite calme, contemplative, che sarebbero probabilmente sembrate di una noia insopportabile a umani dell'età classica.
L'esistenza di un'attività mentale residua, distaccata da ogni posta in gioco, orientata verso la conoscenza pura, costituisce uno dei punti chiave dell'insegnamento della Sorella Suprema; finora, nulla ha permesso di metterla in dubbio.
Un calendario ristretto, punteggiato di episodi essenziali di grazia minuta (come ne offrono lo scorrere del sole sulle imposte o il dissolvimento improvviso di una formazione nuvolosa dai contorni minacciosi sotto l'effetto di un vento più violento che soffia da nord) organizza la mia esistenza, la cui durata esatta è un parametro indifferente. Identico a Daniel24, so che avrò in Daniel26 un successore equivalente; i ricordi limitati, confessabili che serbiamo di esistenze dai contorni identici non hanno affatto la pregnanza necessaria perché la fantasia individuale possa trovarvi un appiglio. La vita dell'uomo, a grandi linee, è uguale, e questa verità segreta, dissimulata durante tutto il periodo storico, ha potuto prendere corpo solo nei neoumani. Respingendo il paradigma incompleto della forma, aspiriamo a raggiungere l'universo delle potenzialità innumerevoli. Richiudendo la parentesi del divenire, siamo entrati fin d'ora in una condizione di stasi illimitata, indefinita.
DANIEL1,28
È settembre, gli ultimi vacanzieri stanno per partire; con loro gli ultimi seni, gli ultimi velli pubici, gli ultimi micromondi accessibili. Un autunno interminabile mi attende, seguito da un inverno siderale; e questa volta ho davvero finito il mio compito, ho superato gli ultimissimi minuti, non c'è più una giustificazione alla mia presenza qui, nessun collegamento, nessun obiettivo assegnabile. C'è tuttavia qualcosa, qualcosa di orribile che aleggia nello spazio e che sembra volersi avvicinare.
Prima di ogni tristezza, prima di ogni dispiacere o di ogni privazione chiaramente definibile, c'è, a quanto pare, qualcos'altro, che si potrebbe definire il terrore puro dello spazio. Era questo l'ultimo stadio? Che cosa avevo fatto per meritare una sorte simile? E che cosa avevano fatto, in generale, gli uomini?
Adesso non sento più odio in me, più nulla cui aggrapparmi, più alcun punto di riferimento; c'è la paura, verità di ogni cosa, uguale in tutto al mondo osservabile. Non c'è più mondo reale, non c'è più mondo sociale, mondo umano. Sono uscito dal tempo, non ho più passato né futuro, non ho più tristezza, progetti, nostalgia, abbandono o speranza; in me non c'è altro che la paura.
Lo spazio viene, si avvicina, e cerca di divorarmi. C'è un piccolo rumore al centro della stanza. I fantasmi sono qui, costituiscono lo spazio, mi circondano. Si nutrono degli occhi accecati degli uomini.
DANIEL25,17
Così terminava il racconto di vita di Daniel1; mi dispiaceva, personalmente, questa conclusione brusca. Le sue anticipazioni finali sulla psicologia della specie destinata a sostituire l'umanità erano abbastanza curiose; mi sembrava che, se avesse proseguito, avremmo potuto trame indicazioni utili.
Questa impressione non è affatto condivisa dai miei predecessori.
Un individuo certo onesto ma limitato, ottuso, abbastanza rappresentativo delle limitazioni e delle contraddizioni che dovevano condurre la specie alla rovina: tale è nel complesso il giudizio che hanno formulato sul nostro antenato comune, influenzati da Vincenti. Sottolineano che se fosse vissuto più a lungo, tenuto conto delle aporie costitutive della sua natura, avrebbe potuto solo continuare le sue oscillazioni ciclotimiche fra lo scoraggiamento e la speranza, evolvendosi in linea di massima verso uno stato di abbandono crescente legato all'invecchiamento e alla perdita del tono vitale; la sua ultima poesia, scritta nell'aereo che lo portava da Almeria a Parigi, è, osservano, talmente tipica dello stato d'animo medio degli umani del periodo che sarebbe potuta servire da epigrafe ali opera classica di Hatchett e Rawlins, Stato di abbandono, seniorìtudine.
Ero consapevole della forza delle loro argomentazioni e a dire il vero fu solo un'intuizione leggera, quasi impalpabile a spingermi a cercare di saperne un po' di più. Esther31 oppose dapprima un rifiuto categorico alle mie richieste. Naturalmente aveva letto il racconto di vita di Estherl, aveva persino terminato il suo commento; ma non le sembrava opportuno che ne prendessi conoscenza.
"Sa..." le scrissi (eravamo ritornati da un pezzo in modalità non visuale), "mi sento comunque molto lontano dal mio antenato..."
"Non si è mai così lontani come si crede," rispose lei brutalmente.
Non capivo che cosa le facesse pensare che quella storia vecchia di duemila anni, riguardante degli umani dell'antica razza, potesse avere un impatto ancora oggi. "Ne ha avuto uno, però, e un impatto estremamente negativo..." mi rispose, enigmatica.
Tuttavia finì col piegarsi alle mie insistenze e mi raccontò ciò che sapeva degli ultimi momenti della relazione di Daniel1 con Estherl. Il 23 settembre, due settimane dopo aver terminato il suo racconto di vita, lui le aveva telefonato. Non si erano in fin dei conti mai più rivisti, ma Daniel aveva chiamato a più riprese; lei aveva risposto, dolcemente dapprima, ma in maniera irrevocabile, che non voleva rivederlo. Constatando il fallimento del suo metodo, era passato agli SMS, poi alle email, infine aveva superato le tappe sinistre della scomparsa del vero contatto. A mano a mano che ogni possibilità di risposta svaniva, lui si faceva sempre più audace, accettava francamente la libertà sessuale di Esther, arrivava persino a rallegrarsene con lei, moltiplicava le allusioni licenziose, rammentava i momenti più erotici della loro relazione, suggeriva che avrebbero potuto frequentare insieme i locali per coppie, girare video porno, vivere nuove esperienze; era patetico e un po' ripugnante. Le aveva scritto numerose lettere, rimaste senza risposta. "Si è umiliato..." commentò Esther31, "ha sguazzato nell'umiliazione, e nella maniera più abietta. È arrivato persino a offrirle del denaro, molto denaro, semplicemente per passare un'ultima notte con lei. Cosa tanto più assurda dato che cominciava a guadagnarne parecchio anche lei come attrice.
Alla fine, si è messo a girare attorno a casa sua - lei lo ha intravisto parecchie volte in alcuni bar e ha cominciato ad avere paura. Aveva un nuovo amichetto all'epoca, con cui le cose andavano bene - provava molto piacere a fare l'amore con lui, molto di più che con il vostro predecessore. Ha persino pensato di rivolgersi alla polizia, ma lui si limitava a gironzolare nel quartiere, senza mai cercare di entrare in contatto con lei, e alla fine è sparito." Non ero sorpreso, tutto ciò corrispondeva abbastanza a quello che sapevo della personalità di Daniel1. Chiesi a Esther31 che cosa fosse successo poi, pur essendo consapevole di conoscere già la risposta anche a tal riguardo.
"Si è suicidato. Si è suicidato dopo averla vista in un film, Una Mujer desnuda, in cui lei interpretava il ruolo principale.
Era un film tratto dal romanzo di una giovane italiana che aveva riscosso un certo successo all'epoca, in cui costei raccontava come moltiplicasse le esperienze sessuali senza mai provare il minimo sentimento. Prima del gesto definitivo le ha scritto un'ultima lettera in cui non parlava affatto del suo suicidio - lei lo ha appreso solo dalla stampa. Era invece una lettera dal tono allegro, quasi euforico, in cui si dichiarava fiducioso nel loro amore, nel carattere superficiale delle difficoltà che attraversavano da un anno o due. È stata questa lettera ad avere su Marie23 un'influenza catastrofica, a indurla a partire, a immaginare che una comunità sociale - di umani o di neoumani, in fondo non lo sapeva molto bene - si fosse formata da qualche parte e che avesse scoperto un nuovo tipo di organizzazione relazionale; che la separazione individuale radicale che noi conosciamo potesse essere abolita fin d'ora, senza attendere l'avvento dei Futuri. Ho cercato di farla ragionare, di spiegarle che quella lettera testimoniava semplicemente un'alterazione delle capacità mentali del vostro predecessore, di un estremo e patetico tentativo di negazione del reale, che quell'amore senza fine di cui parlava esisteva soltanto nella sua immaginazione, che Esther in realtà non lo aveva nemmeno mai amato. Tutto inutile! Marie23 attribuiva a quella lettera, in particolare alla poesia che la conclude, un'importanza enorme."
"Non è affatto di questo parere?"
"Devo riconoscere che è un testo curioso, privo di ironia come di sarcasmo, niente affatto nel suo stile abituale; lo trovo persino abbastanza commovente. Ma da questo a dargli una simile importanza... No, non sono d'accordo. Anche Marie23 non era probabilmente molto equilibrata; è la sola cosa che possa spiegare come abbia attribuito all'ultimo verso il significato di un'informazione concreta, utilizzabile."
Esther31 si aspettava certamente la mia richiesta successiva e dovetti attendere ben poco, il tempo che la digitasse sulla sua tastiera, per scoprire l'ultima poesia che Daniel, prima di darsi la morte, aveva indirizzato a Esther; quella stessa che aveva spinto Marie23 ad abbandonare il suo domicilio, le sue abitudini, la sua vita, e a partire alla ricerca di un'ipotetica comunità neoumana:
Vita mia, vita mia, mia antichissima vita,
mio primo voto mal richiuso,
mio primo amore infirmato,
sei dovuta ritornare.
Ho dovuto conoscere
ciò che la vita ha di migliore,
quando due corpi gioiscono della loro felicità
e si uniscono e rinascono senza fine.
Divenuto totalmente dipendente,
conosco il tremito dell'essere,
l'esitazione a sparire,
il sole che colpisce al limitare
e l'amore, in cui tutto è facile,
in cui tutto è dato nell'attimo;
esiste in mezzo al tempo
la possibilità di un'isola.