AMORE CONGELATO

CERCATORI DI EMOZIONI

 

 

PERCHÉ NON SONO FELICE?

Le carte per essere felici ci sono tutte: un uomo, una donna e un amore.

Impellente, tenero e combattuto come si deve, anche se l'inizio non è dei più originali. Il primo incontro è sulla Rete, porta il nome di uno scrittore che mi ha fatto ridere. Mi sembra un buon inizio.

Arrivo al nostro vero primo incontro già cotta («cadresti ai suoi piedi anche se avesse le sembianze di una rapa», mi fa notare saggiamente un'amica). Cadiamo insieme, con la naturalezza con cui si scivola nel sonno. E qui, come da copione, cominciano i dolori. Perché lui sta ancora vivendo una storia sfilacciata con quella che sin dall'inizio non aveva esitato a definire la donna della sua vita, per la quale aveva mandato all'aria il suo matrimonio. A patire le pene dei loro ultimi brandelli, manco a dirlo, sono stata io. Implume 28enne scarsamente avvezza alle sofferenze d'amore (la vita mi aveva precocemente servito dolori ben più grandi, lasciandomi l'illusione di essere diventata ormai un buon soldato). Ciò fino a quando non si leva quel che resta del mio orgoglio a dire basta. Dopo pochi giorni arriva lui, all'alba, portandomi le chiavi di casa sua e la promessa di un amore.

È trascorso un anno e lui ha mantenuto la sua promessa. Stringendomi ogni notte e inventandosi ogni giornata, con la fantasia e la grazia di un equilibrista, tra il lavoro, il secondo lavoro, il figlio, la casa e la Spesa (dura la Vita dei Single di ritorno!) in modo da ricavare uno spazio per noi. Ha cercato di alimentare la mia fiducia con la pazienza che si usa con le belve da addomesticare. È quasi sempre magia, tra di noi, come vorrebbe la favola. Ma certi giorni mi monta dentro una nuvola nera, riempio delle mie cose la borsa che è sempre lì ad attendermi vicino alla porta e, con una scenetta ormai comica per la frequenza con cui si verifica, scappo a casa mia.

Eppure l'unica cosa di cui sono certa è che non ho mai amato nessuno come amo lui, non con la stessa incauta allegria né con intensità lontanamente paragonabile. Potrei dare alle stampe un breve manuale del tipo «Come rovinarsi la vita in tre semplici mosse». Ma non è una grande consolazione e comunque la domanda resta nell'aria: come si fa a essere felici quando l'amore non basta?

Una devota anonima lettrice.

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Cara Devota e Anonima (due aggettivi che non mi fanno impazzire), la tua lettera toglierà a qualcuno l'illusione che basti trovare l'amore per essere felici. Certo, si può rovistare fra i cassetti della vostra storia per trovare le ferite che la rendono un po' meno favola di quel che vorresti. Il «tira e molla» iniziale, per esempio, ancorché inevitabile quando il principe azzurro non si presenta libero all'appuntamento con il destino. Però non c'è dubbio che il ragazzo si sia ripreso alla grande e che, per tua stessa ammissione, stia facendo ogni sforzo per rientrare nel modello di uomo da te sognato.

Impresa improba, perché una coppia dove uno dei due partner ha un figlio piccolo, e l'altro no, parte già da uno squilibrio difficile da rimontare.

Chissà quante volte questa situazione sbilanciata ti ha fatto soffrire e l'hai rimossa, imputando il tuo malessere a questioni più superficiali. Ma ammettiamo pure, perché probabilmente è la verità, che nonostante i faticosi aggiustamenti la tua storia sia la cosa più vicina a una favola che un essere umano possa sognare. Perché, allora, tu non sprizzi goduria da tutti i pori?

La spiegazione, temo, scontenterà qualche lettore romantico, convinto che la sua serenità dipenda esclusivamente dal buon esito delle relazioni sentimentali.

Purtroppo la vita risponde che non è così. L'amore aiuta, ma non basta a renderci felici. Perché la felicità è qualcosa che non proviene dal mondo esterno, ma dal nostro modo di rapportarci a esso. Nessun amore può darcela. Al limite ce la può togliere, questo sì. Ma per ottenerla si deve lavorare duro su se stessi, imparando innanzitutto a rendere grazie per quello che abbiamo.

C'è una tendenza diffusa (di cui mi considero campione mondiale) a non godere mai di ciò che la vita ci offre e che spesso abbiamo raggiunto anche per merito nostro. Ci hanno insegnato che la ricerca perenne è l'anima del progresso. Che l'insoddisfazione è movimento, mentre la felicità sarebbe stasi e quindi noia, decadenza, putrefazione. Ma ne siamo così sicuri? Davvero l'unica molla per migliorarci può essere questa sensazione continua di inadeguatezza che proviamo nei confronti della realtà?

Non è un invito ad accontentarsi, ma ad apprezzare di più le piccole cose che abbiamo già conquistato, trasformandole in benzina di nuovi successi: un amore imperfetto ma vero come il tuo, un lavoro non alienante, il superamento di uno scoglio scolastico o familiare. Dovremmo volerci più bene da soli, prima di far dipendere il nostro umore da quello che ci vogliono gli altri.

 

***

 

IL FUOCO SOTTO LA NEVE

Sono una «donna», da 2 anni separata dopo 13 di matrimonio. Troppo diversi, nulla ci teneva insieme, neanche il bimbo che oggi ha 8 anni. Ho avuto un inizio di storia con un nostro amico comune che per fortuna non è andata più in là di tanto, molto geloso e possessivo, con la presunzione di non errare mai e pronto a sottolineare di continuo quel che faceva per me.

Ho incontrato poi un ragazzo a modo: un rapporto fantastico, con un'intesa sotto ogni profilo eccellente. Dopo 3 mesi la prima baruffa: per capire se lo amavo, ha iniziato a dirmi sciocche ma taglienti bugie su di lui e la sua ex ragazza e io ho iniziato a non fidarmi più. Nell'ultimo mese abbiamo baruffato una volta a settimana e ogni volta sentivo più distanza. Alla fine ci siamo «salutati» e la mia prima reazione è stata: meno male che non c'è più. Lui ha tentato di ricominciare, ma io sento una corazza di ghiaccio, non provo nulla se non una profonda indifferenza per tutto e tutti.

Non so chi sono, che voglio, solo Polo Nord. Mi sento senza sentimenti, speranze e giorni, su un'alta montagna di vetri frantumati che brillano al sole ma servono solo a tagliarti, giorno dopo giorno, in un immenso spazio vuoto. Lui mi ha offerto le sue scuse, è pronto a ricominciare. Io lo ascolto e non sento nulla: mi spaventa questo nulla, questo freddo. Cos'è questo orribile mostro di ghiaccio che mi fa scappare da ogni persona quando ci litigo? E questo desiderio di tutto nuovo, gente, città, abiti, auto, un mondo dove non conosco nessuno e dove niente mi riporti a ieri? Lui dice che sono così perchè odio le parabole discendenti.

Non so qual è la mia identità, mi sento anestetizzata, voglio star sola ma non voglio star sola, lui mi manca come ragazzo ma non lo voglio come ragazzo.

Vorrei uscire da questo tunnel. Sapesse quan-t'è stupido avere 38 anni e continuare a non farne una giusta.

Iceberg.

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Per tornare a sentire bisognerebbe anzitutto smetterla di rimuginare. Il cervello va usato per organizzare i sensi, non per soffocarli sotto il peso di elucubrazioni sterili. Sembra un paradosso, ma lei non sente più le emozioni perché ne sopravvaluta il ruolo, arrivando a farle coincidere con la felicità.

Come se l'unica vita auspicabile consistesse nel traghettarsi da uno stato di esaltazione all'altro, alla continua ricerca di sensazioni sempre diverse e sempre più forti.

Temo che i nostri sensi abbiano subito una mutazione genetica. Le orecchie sentono meno i rumori, il naso sopporta la puzza dello smog senza neanche più tossire e persino il cuore assorbe suggestioni che un tempo lo avrebbero sconvolto: si difende dal bombardamento come può, rilasciando quel senso di torpore misto a disagio che chiamiamo depressione.

Molti si illudono di poterlo scuotere esponendolo a choc sempre maggiori, come emerge dall'uso crescente delle droghe, dal successo degli sport estremi, dal continuo innalzamento dell'asticella della trucidità e della violenza. Ma le vere emozioni sono un'altra cosa, più semplice e tenue: un'alba, una musica, un'opera d'arte, un amore piccolo che all'improvviso diventa grande.

La vita l'ha toccata: non più duramente di altri, ma lo ha fatto. Un matrimonio fallito non è mai uno scherzo. Lascia addosso una sensazione di fallimento e di incapacità a stabilire legami duraturi. L'errore che si commette in questi casi è di ripartire dalla fine: cioè da un nuovo rapporto con un'altra persona.

Invece di approfittare della solitudine momentanea per ridisegnare con calma, ma in profondità, le basi della propria esistenza. Se non si cambia da soli, si è destinati infatti a ripetere incessantemente gli stessi errori. E dato che il suo cuore queste cose le sa benissimo, ha pensato bene di cautelarsi staccando la spina delle emozioni.

Lei probabilmente non ama il ragazzo che ha lasciato. Altrimenti, scusi la banalità, non lo avrebbe lasciato. Le azioni che compiamo hanno un senso, un peso, una ragione profonda che è più forte di tutti i nostri dubbi. Se, passata l'infatuazione iniziale, non ha più trovato benzina per questo amore appena nato, è perché lo aveva affrontato senza aver prima rimesso ordine nella sua vita.

Noi non siamo ladri di emozioni, ma esploratori. Il nostro errore, forse, è di cercarle troppo all'esterno. Lei aveva sicuramente un sogno dentro di sé, da piccola. Ignoro quale fosse, ma l'ha soffocato. Ha smesso di ascoltarsi per non soffrire più. E invece la sofferenza arriva lo stesso, perché per quanto uno passi la vita a narcotizzare il suo vero «io», non riesce mai a ucciderlo del tutto: lui manda dei segnali disperati, per esempio la noia o l'assenza di entusiasmo, perché confida ancora nella sua ribellione.

Lei ha un figlio. L'affetto per lui può diventare un alibi per non pensare a se stessa, oppure una straordinaria spinta per ricominciare a «sentire». L'uomo giusto, quello verrà. Quando sarà giusta lei. E la smetterà di definirsi, come all'inizio della lettera, «donna» fra virgolette. Tolga le virgolette, Iceberg. E si faccia Vulcano.

 

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LA SCELTA GIUSTA

Da un anno convivo con una ragazza, dopo quattro di fidanzamento, ma abbiamo avuto tante crisi, un po' per la mia voglia di uscire ogni tanto con gli amici mentre lei vorrebbe stare sempre con me e possibilmente a casa, e in parte per la sfera sessuale che è sempre stata scarsa e ora è quasi inesistente.

Ho 33 anni e non riesco a capire se la amo o le voglio solo molto bene, spesso penso ancora alla mia ex (anche se il mio pensiero va più che altro all'idea dell'amore che avevo per lei), a volte vorrei una vita più libera, fatta di qualche serata in più con gli amici, forse per egoismo, forse per la mia paura di invecchiare.

Mi spiacerebbe lasciarla perché è una brava e bella ragazza e poi forse per paura di restare solo o di non trovarne un'altra con certe caratteristiche.

Vorrei fare ancora un po' il ragazzino, ma mi rendo conto che il tempo passa e il mio desiderio di avere un giorno una famiglia rischia di diventare un progetto realizzabile troppo in là negli anni, ma allo stesso tempo vorrei essere certo di avere almeno la donna giusta al mio fianco.

Ma esiste la donna giusta? Credo di no! Ognuno ha i propri difetti che bisogna accettare, ma fino a che punto? Quale è il limite per dire basta e rendersi conto che non si può più continuare perché si è già fatto l'impossibile o per rendersi conto che forse siamo noi a dover cambiare modo di pensare?

Rocco.

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Vale la pena rinunciare a un rapporto spento ma rassicurante, quando le alternative sono la solitudine o un'altra storia uguale alla precedente che addirittura la farà rimpiangere?

Sono domande mal poste, Rocco, e non solo perché si rispondono da sé. Il punto è che ci vuole una rivoluzione mentale, un cambiamento d'approccio ai problemi amorosi e non solo a quelli. Come la stragrande maggioranza degli umani, anche tu sei istintivamente portato a ritardare il momento delle scelte e a farle dipendere più dalla paura che dal coraggio.

Ti faccio un esempio personale: da ragazzo sognavo di diventare giornalista e al momento di individuare l'università tutto il cuore gridava Lettere o Scienze Politiche. Ma per non deludere mio padre, che mi avrebbe voluto dottore in Economia, accettai un compromesso onorevole e mi iscrissi a Legge, in base al tipico ragionamento difensivo: se non riuscirò a realizzare il mio desiderio, avrò una soluzione di riserva che non mi darà la felicità, ma quantomeno un'infelicità contenuta. Infatti all'epoca la laurea in Giurisprudenza garantiva un'occupazione. Quella in Lettere, decisamente meno. Il risultato furono anni stiracchiati e privi di passione, in cui mi sentivo un leone in gabbia.

L'excursus autobiografico serve ad aggiungere l'autorità del vissuto a quanto sto per dirti: che le scelte giuste sono quelle che si prendono sulla spinta del coraggio e non della paura. Perché non è la scelta in sé che conta, ma lo spirito con cui la si affronta.

Esauriti i sogni dell'infanzia e le utopie dell'adolescenza, tendiamo a recluderci dentro gabbie mentali alimentate dal timore di non riuscire a raggiungere l'obiettivo che sentiamo di avere nell'anima e che di solito è legato ai nostri talenti individuali: piccoli o grandi, non importa, ma sempre unici.

Rinnegare la voce che ci parla dentro è il primo atto contro noi stessi che compiamo nella vita, coadiuvati spesso dai familiari, che con le loro paure alimentano le nostre. E se non ci riesci? E se ti va male? Si evocano gli esempi di chi ha fallito come monito a non sfidare gli dei, mentre il successo di chi ce l'ha fatta viene accreditato alla fortuna o a privilegi di casta.

Anche in amore è così. Troverai sempre qualcuno pronto a dirti che la donna giusta non esiste e che tutte le storie si equivalgono. Ma non lo troverai qui.

Bada bene: non ti sto suggerendo di lasciare la tua ragazza. Ti invito solo a modificare la pulsione interiore che guiderà la scelta. Se deciderai di restare con lei, non dovrà essere per paura di non trovare di meglio, ma perché sarai stato disposto a scommettere sulle vostre affinità e a lottare per un progetto comune che non può prescindere dal riaccendersi della fiamma erotica. Così come, se la lascerai, non dovrà essere per paura di mettere su famiglia con lei, ma per la voglia di partire alla conquista della donna con cui lo farai davvero.

Nessuno nega che l'amore possa diventare un bastone a cui appoggiarsi per non cadere. Ma rimane innanzitutto una spada per conquistare una nuova cognizione delle proprie potenzialità. Ed è solo quando lo si sa impugnare con l'audacia di uno spadaccino che si riesce anche a usarlo come bastone da passeggio senza farsi del male.

 

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I DEPRESSI SPOSI

Quella di cui parlo non è ancora depressione, ma quel misto di insoddisfazione, noia, auto-tormento che ogni tanto ci infliggiamo. Quando ti guardi intorno, sapendo di valere, ma vedi solo ingiustizia, corruzione, marcio; quando la vita sembra divertirsi a prenderti a schiaffi; quando gli arroganti la fanno da padrone; quando sei stanco di combattere e non sai neanche più bene per cosa, sei sempre di corsa e non fai quasi nulla di quello che vorresti perché il tempo non si moltiplica, non puoi, non è lecito...

Ecco, quando a vivere tutto questo è chi ti sta vicino e nel calderone ci finisci pure tu perché sei vista come l'ennesimo impegno, e vieni messa da parte nonostante tu sappia bene che è uno sbaglio, cosa si deve fare?

Una compagna incompresa.

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E' già difficile aiutare se stessi a uscire da una crisi esistenziale. Figuriamoci le persone che amiamo. Bisogna seguire i loro contorcimenti senza sembrare ossessivi. Sostenerle, più con i silenzi che con le parole. Il trip del vittimista è terribile. Tutti ne siamo parzialmente succubi, perché abituati a osservare la vita da un unico punto di vista: il nostro. Ciò che abbiamo non vale nulla, rispetto a quel che pensiamo di meritare. Ma in alcuni casi questa psicosi diventa così acuta da toglierci la voglia di credere e di lottare.

Ci vuole una straordinaria forza d'animo per alzarsi dal letto ogni mattina con l'idea che la vita è un'ingiustizia eppure va vissuta, perché è una prova che ci tocca affrontare e tutto ciò che accade è sempre perfetto e ha un senso, anche quando noi non capiamo quale sia. Che le nostre sconfitte dipendono da noi, anche quando è evidente che i colpevoli sono altri, dato che siamo stati noi ad avergli permesso di batterci.

E' una visione dura, a tratti spietata, dell'esistenza. Ma non ne conosco altre che permettano di uscire dalla depressione subdola in cui tanti vivono, anzi non vivono. Se impariamo a ricondurre a noi le cause di tutto ciò che ci accade, senza farle rimbalzare sulla società, alla lunga avremo più forza, < perché nel nostro intimo si metterà in moto un meccanismo silenzioso che ci dirà: essendo tu il responsabile delle tue batoste, tu potrai essere anche l'artefice delle tue fortune.

Mi sono sempre immaginato la vita come una partita a carte. Quelle che ho ricevuto all'inizio non le ho scelte io. Ma tutto ciò che succede durante la partita dipende da me: saranno le carte che scarto a determinare il valore, fortunato o sfortunato, di quelle che pescherò dal mazzo. Sarà il mio tipo di gioco, non il caso, a decidere il destino della partita.

Ripeto: è difficile pensarla così, perché la vita ogni giorno offre mille spunti per scaricare all'esterno i nostri insuccessi. Quello ha avuto la raccomandazione e io no, quell'altro è un prepotente e io no. Si entra in un reticolo infernale, da cui sembra impossibile uscire. E così dopo un po' subentra l'abulìa: ci si arrende, ci si lascia dominare dagli eventi, trasformandoci in un coacervo borbottante di nervi e difendendoci dietro una corazza di cinismo spacciato per saggezza cosmica. Mentre chiunque può riprendere in mano i fili della propria vita, tagliando quelli che gli strozzano la gola. E' che ci vuole coraggio e anche un po' di fede in se stessi: nelle potenzialità inespresse che ciascuno di noi ha.

Mi viene in mente una storia che lessi da ragazzino su quella signora dell'Alabama che non riusciva a portare al braccio nemmeno la sua borsetta, tanto ogni peso le pareva insopportabile. Un giorno era in macchina col figlio quando forarono una gomma. Il ragazzo scese a cambiarla, ma rimase intrappolato sotto il cric: il peso dell'auto, una jeep, gli stava schiacciando una gamba. La mamma cominciò a gridare «aiuto», ma era una strada di provincia e non passava nessuno. Con la forza della disperazione, la signora che non riusciva a portare al braccio la sua borsetta si aggrappò al parafango e sollevò la jeep di quel tanto che serviva a suo figlio per liberare la gamba dalla trappola. L'amore materno aveva sprigionato l'immensa energia che covava inerte dentro quel corpo. Perché spesso non è la vita a essere troppo pesante. Siamo noi a pensarci troppo deboli per reggerla.

Questa rivoluzione copernicana del modo di affrontare l'esistenza è il frutto di una dura crescita interiore. Non si trasmette con una pagina di libro o con una chiacchierata in salotto. Il tuo uomo dovrà arrivarci da solo. Tutto quello che puoi fare è offrirgli il tuo orecchio, il tuo calore, la tua pazienza. Ma se lui non sarà capace di darsi un colpo di reni, potrebbe trascinare nelle macerie il vostro rapporto. E' una eventualità che devi cominciare a prendere in considerazione. Non potrai fare molto per evitarla. Ma puoi fare tantissimo fin da adesso per non esserne travolta, quando dovesse succedere.

 

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LA VITA IN ROSA

Compio oggi 20 anni... certo è una svolta, il numerino davanti non è più un bell'1 ma un 2... Mi si prospetta un ventennio molto punto interrogativo... quasi quasi mi metto a immaginare come lo vorrei e poi potrei ricontrollare questa lettera a 40 anni, e vedere se i miei desideri si sono verificati nella vita reale... Mmmmm. Ok. Cosa voglio nei prossimi vent'anni?

Innanzitutto voglio finire l'università, voglio avere un lavoro che mi gratifichi, voglio avere la possibilità di concedermi una vita agiata, voglio poter possedere una mia macchina che mi renda indipendente, voglio una famiglia d'origine in salute e che mi sia sempre vicina, voglio avere 2 cani in casa, voglio avere una grande amica che mi aiuti nelle scelte e con cui fare delle telefonate di un'ora, voglio avere una casa accogliente, voglio festeggiare il Natale, voglio fare del teatro, voglio invitare amici a cena almeno 2 volte alla settimana, voglio la musica sempre accesa, voglio vivere in un luogo che mi piace...

E poi voglio avere un uomo, non voglio cercarlo ossessivamente, voglio che mi accada di conoscerlo senza un evento particolare, voglio passeggiarci insieme, voglio stimarlo, voglio amarlo e voglio sposarlo... voglio che mi faccia sempre credere di essere la più bella, voglio che si metta a cucinare con me le uova al mattino, voglio che mi chiami con un nomignolo dolce, voglio che mi faccia regali senza un motivo, voglio che mi accompagni a fare un viaggio in un'isola tropicale, voglio che venga al cinema, voglio che legga libri, voglio che rida con me, voglio che non sia troppo vanitoso, voglio che ami lo sport, voglio che sia forte, voglio che sia un po' geloso, voglio che mi faccia avere una bambina, voglio che mi accompagni dal dottore, voglio che mi ascolti sempre, voglio che abbia un lavoro tranquillo, voglio che mi dica di guardare la luna alla stessa ora quando siamo lontani.

Certo, ho un po' di pretese... ma sono riuscita finalmente a capire quello che voglio veramente dalla vita. Almeno per i prossimi ventanni. Quello che ti chiedo è solo se è possibile tutto questo, e se sì, come posso fare per ottenerlo. Perché mi piacerebbe molto.

Letizia.

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La Qualcosa mi dice che Vasco Rossi non sia il tuo uomo ideale. Tu di vite spericolate proprio non vuoi sentirne parlare. Conoscere il mondo, viverlo alla giornata, tuffarti negli imprevisti e, se non arrivano, crearteli tu. Ecco, tutto questo, che pure fa parte della natura umana, sembrerebbe non appartenerti. Quando immagini il futuro, al brivido delle montagne russe preferisci la comodità di una bella spiaggia sabbiosa, possibilmente con parcheggio annesso.

Mi ricordi un'altra lettrice di 26 anni che scriveva come una bambina e aveva già scelto i nomi per i cinque figli e il mestiere del marito: «Ingegnere, perché con tutti quei bambini ci vuole uno stipendio alto». Serve una buona dose di coraggio per esporre sensazioni che un tempo si sarebbero dette « piccolo borghesi». Alla tua età di solito si vuole ribaltare il mondo e quelli che a te sembrano traguardi affascinanti (il maritino, la Casina carina) vengono vissuti come incubi da encefalogramma piatto. In realtà persino il più alternativo di noi cova aneliti simili in qualche ripostiglio del suo cuore, anche se non li confesserebbe mai.

Intendiamoci. Tu esageri un po'. Intanto con i puntini di sospensione. Perché voi ragazze dovete sempre seminare di briciole i vostri pensieri? Quei puntini stanno a indicare un discorso trattenuto, quasi che il punto fermo rappresentasse una limitazione, una condanna. Venendo alla sostanza, non voglio toglierti nessuna illusione, ma ti assicuro che è più facile fare una rivolta che conquistare la normalità. Se uno desidera scrivere il romanzo della sua vita, dai e dai qualcuno che glielo pubblichi lo troverà, magari a pagamento. Ma se uno vuole viverla in modo sereno, quella vita, andrà incontro a grandi frustrazioni.

Il lavoro gratificante spesso arriva solo dopo tali umiliazioni che quando ce l'hai non te lo godi più. E i genitori troppo presenti rompono e quelli assenti fanno soffrire. Mentre un marito adorante che ha un lavoro tranquillo e il tempo di accompagnarti dal dottore, o è una pizza d'uomo oppure un represso che prima o poi esploderà. E se invece è veramente così, allora sarai tu a esplodere, perché la condizione dell'essere umano è il conflitto, non la quiete. Sono i contrasti che fanno andare avanti, l'orto del progresso è concimato dai problemi.

Non voglio tesserti l'elogio delle vite sballate, ma metterti in guardia da un miraggio: la vita in rosa è un inganno, dietro la foto di scena c'è sempre una verità più complessa. Ed è in un continuo alternarsi di tensioni e rilassamenti, rese e trasgressioni, coccole e sfide che procede la vita, se vuoi che ti serva a qualcosa.

 

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NEL MEZZO DEL CAMMIN

Faccio parte anch'io della generazione depressa e senza grandi ideali da inseguire che è venuta dopo quella del Sessantotto e va avanti nella vita per forza di inerzia.

Non è facile cambiare strada quando il percorso è già iniziato. In questi casi, se si è fatto un autogol, non resta che rassegnarsi. Io, con il mio diploma di Ragioneria, mi ritrovo a spulciare dati e girare tra le mani scartoffi'e, mentre il mio grande desiderio è sempre stato di lavorare tra i pazienti di un ospedale. Tuttavia ringrazio Dio ugualmente per il lavoro che ho, anche se non potrà mai entusiasmarmi e coinvolgermi più di tanto! In amore è diverso, è più una questione di fortuna, non dipende tutto da noi ma anche da chi incontriamo.

Sono ancora single e recentemente ho interrotto la mia breve relazione con un coetaneo perché ho capito che a lui interessava solo fare sesso e per il resto non sapeva parlarmi che di internet, telefonini, Tizio, Caio eccetera. Non riuscivamo mai a comunicarci pensieri e sentimenti e i miei tentativi in tal senso erano per lui «solo chiacchiere». Che tristezza!! Così ho preferito lasciare questo mezzo amore e aspettare ancora che il mio sogno si avveri. Ma succederà mai?

È vero che basta non scoraggiarsi e rimanere fedeli alla propria idea dell'amore e dell'uomo che vogliamo accanto a noi, ma è anche vero che il tempo va di fretta e la solitudine a volte tiene compagnia, a volte pesa. Mi chiedo se non è meglio essere più realiste e accontentarsi. Insomma, temo di essermi un po' persa «nel mezzo del cammin di nostra vita...» e gradirei sapere se e dove sbaglio vedendo così le cose.

L. B.

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E' normale che alla tua età si comincino a tracciare i primi bilanci, misurando sulla propria pelle quella che sembra la grande assurdità della vita: trovarsi ancora a pagare le scelte sbagliate, o magari solo obbligate, che furono fatte molti anni prima. Quelle scelte, a loro volta, dipendevano da situazioni ambientali e da carenze della personalità che gli psicologi fanno risalire alla primissima infanzia: assenze della figura paterna o materna, oppure eccessiva e soffocante presenza di entrambe. Insomma, comunque la si rivolti, si ha l'impressione di aver vissuto lungo un piano inclinato senza vie d'uscita che ci ha portato fin qui. E adesso bisognerebbe accontentarsi. Essere realisti. In effetti non c'è nessuno più triste di quegli adulti fuori tempo massimo che vivono col torcicollo esistenziale, nell'ansia di recuperare «il tempo perduto». Mentre il tempo ha un suo ritmo che non prevede recuperi: se uno a sedici anni non ha avuto la grande storia con la compagna di banco non è che può ritornare davanti al liceo a quarantacinque, con un principio di pancia e di calvizie: c'è pure il rischio che lo arrestino.

Vale anche per te. Non puoi rincorrere quella che non sei stata. Però puoi raggiungere te stessa in un altro modo: andando avanti. Se desideravi lavorare in un ospedale, chi ti impedisce di farlo adesso, dedicandoti a qualche attività di assistenza? Non diventerai più un chirurgo, ma troverai mille impieghi «part time» per riempirti la vita e darle finalmente un senso. Il «tuo» senso, non quello imposto da chi dice di volerti bene o ti condiziona i desideri attraverso gli stimoli della pubblicità.

L'amore, poi, è una combinazione misteriosa di energie che si realizza quando ti trovi davvero bene nei tuoi panni: indipendente, appagata, ma al tempo stesso aperta al nuovo. In quel magico istante, appena ti sorprendi a pensare di non averne più bisogno, lui arriva. E se arriva di rado è perché troppo raramente noi riusciamo a metterci in quello stato di grazia che ci fa sentire così vicini al cielo.

Mentre scorrevo la tua lettera, mi è tornato in testa un discorso che lessi da ragazzino. Diceva pressappoco così: «Ogni essere umano tende a imprigionarsi dentro una scatola che si costruisce da solo o che gli altri hanno costruito per lui. E la scatola dei non-ce-la-faccio e dei non-si-può. Le sue pareti sono composte dai nostri pensieri di debolezza e paura, che addebitano sempre a qualche causa esterna (la famiglia, la società ingiusta, la sfortuna) le ragioni di una scelta vile o comunque riduttiva, che ci consente di utilizzare soltanto una minima parte delle nostre facoltà. Se riuscissimo a guardare oltre la scatola, scorgeremmo orizzonti nuovi nei quali liberare la personalità rattrappita. Restando chiusi là dentro, invece, finiamo col credere davvero che i confini della scatola coincidano con i confini del mondo e di ciò che è possibile per noi. La scatola è una prigione. Ma una prigione comoda, perché scalda, protegge e soprattutto concede un alibi formidabile alle frustrazioni.

Ma se abbiamo la forza di romperla, faremo una scoperta clamorosa: che ognuno di noi può essere molte più cose di quelle che crede».

Penserai che l'abbia letta in qualche manuale di psicologia. Macché. Era la prefazione a un libro di tennis firmata dal campione svedese Bjorn Borg. Non so se l'avesse scritta lui personalmente. Ma fu applicando su di sé la «rottura della scatola» che Borg riuscì a trasformare un fisico mingherlino e una mente ordinaria in una macchina di potenza e concentrazione senza uguali.

Naturalmente di queste cose è facile parlarne in teoria: posso convincermi che un bagno nell'acqua gelida abbia un effetto ritemprante, ma non per questo correrò verso quel tuffo a cuor leggero. Anzi, cercherò ogni scusa per ritardarlo. Perciò spesso la vita si incarica di darci la spinta. Tutto sta a interpretarne i segnali. Le crisi come la tua preannunciano un cambio di scenario che faresti bene ad assecondare. Il coraggio, quando nasce da una convinzione interiore e non da uno scatto di nervi, è il consigliere più saggio che abbiamo.

 

***

 

LA LUCE NEGLI OCCHI

Spesso mi sono chiesto cosa fosse la felicità. La sera, a letto... il momento delle riflessioni. Non ho mai trovato una risposta che mi soddisfacesse: concludevo pensando di non aver mai vissuto un evento che me l'avesse fatta assaporare appieno. Vagamente nell'infanzia. il Leopardi diceva che non si può più provare la felicità dell'infanzia e forse aveva ragione.

Un giorno mi sono innamorato di una ragazza: Cristina. È successo dopo che uscivamo già assieme da un po'... quando ho cominciato a conoscerla, a guardarla nella profondità degli occhi. Ho visto una luce così calorosa, rassicurante, serena. Quel giorno mi sono innamorato come mai mi era successo prima. Forse lei ha sempre avuto quella luce negli occhi, solo che io non ero pronto a vederla.

Forse il mio amore nasceva poco alla volta, un passo dopo l'altro, quasi con cautela, timore di innamorarmi della persona sbagliata. E invece quella luce aveva sciolto ogni mia paura.

E poi era arrivata la comprensione, una sera, a letto, nel mondo delle mie riflessioni avevo capito. Non avevo idea di cosa fosse la felicità: ecco perché non la trovavo mai nel mio passato. Cercavo qualcosa senza avere bene in mente cosa. Quella ragazza mi aveva aperto la mente... oltre che il cuore. Forse ciò che avevo visto nei suoi occhi era il mio riflesso, quello di una persona serena, in pace col mondo... che vive la felicità e non si interroga su di essa... spendendo le sue energie nella ricerca.

Roberto.

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Mi inchino alla tua saggezza. È proprio vero che il potere dello sguardo si sta estinguendo, peggio dei panda, e senza neanche un wf che si affanni a tutelarlo. Non si usa più dire che due esseri si sono amati perché si sono guardati. Eppure l'amore nasce esclusivamente così.

Sembra paradossale, ma in questa civiltà delle immagini che ci bombarda di messaggi per gli occhi, chi si ricorda ancora di quelli degli altri? Andiamo di corsa, amiamo di sfuggita; lo sguardo fa paura, costringe a fermarsi e a rivelarsi. Da un'informativa della polizia americana risulta che nemmeno un terzo dei genitori che si rivolgono alle autorità per denunciare la scomparsa di un figlio è in grado di dire con certezza il colore dei suoi occhi.

Vediamo, ma non guardiamo. O meglio, ci guardiamo addosso ma non più dentro.

Credendo che il potere risieda nella parola, trascorriamo ore a limare il testo di un sms per la persona amata, convinti che sarà un aggettivo a modificare la temperatura del suo cuore. Mentre sono sempre e soltanto i gesti. E il gesto per antonomasia è lo sguardo, che parla un linguaggio magico che le parole riescono solo a inquinare.

Un rapporto potrà affogare nelle chiacchiere, mai negli sguardi. Ed è quando gli occhi di chi ami si spengono e diventano simili al vetro smerigliato di una doccia (l'immagine è dello scrittore americano Jay McInerney) che la storia finisce e non ci sarà più alcuna acrobazia dialettica in grado di resuscitarla.

Quanto alla felicità, sono d'accordo con te: si vive e non si cerca. Una frase molto citata in questi casi dice che la felicità non è il traguardo in fondo alla strada. La felicità è la strada. E a proposito di strada, di felicità e di sguardi, ti regalo una piccola avventura a cui mi capitò di assistere qualche anno fa. Se il tuo è stato un colpo di fulmine al rallentatore, questa è la storia di uno istantaneo che avrebbe potuto diventare tuono.

Incontri ravvicinati Edizione straordinaria: ieri, a Roma, è stata avvistata un'emozione. Vicino all'ambasciata americana di via Veneto, sotto il semaforo della Dolce Vita. Da una parte della strada lui: trent'anni, bruno, un Raoul Bova minore, il portamento da modello guastato dalla borsa lisa e troppo incinta di pratiche. Dall'altra lei, icona bionda e quasi romantica, non fosse per il tailleur e il cipiglio, entrambi in carriera.

Verde. I due sguardi si intercettano in mezzo all'incrocio e una scarica di magia pura attraversa l'aria e persino i passanti. Lui si blocca come ipnotizzato, lei continua a camminare con la testa all'indietro finché sbatte contro un taxi in sosta, ci sale, sussurra la destinazione all'autista e, mentre la macchina salpa, si torce all'indietro per appiccicare gli occhi al vetro e non perdere quelli di lui.

Per un attimo tutti speriamo che succeda qualcosa. Che lei scenda dal taxi. O che lui ci si butti sotto. Ma l'auto scompare dietro una svolta e la vita riprende: i passanti, il traffico, ogni cosa si rimette in moto. Tranne lui, il collo bloccato in direzione del punto in cui lei è scomparsa. Allora succede una cosa incredibile. Il telefonino squilla per richiamarlo alla non-vita di sempre, ma lui lo getta strillante dentro la borsa lisa. Non vuole intrusi nel suo spettacolo.

I casi sono due. O si conoscevano già (e quindi io sono un pirla). Oppure si sono riconosciuti nella folla, con uno scambio di segnali muti ma di uguale frequenza. Lontani per un attimo dal frastuono che ci assorda il cuore fino a deprimerlo.

 

***

 

INSEGUENDO UNO SCONOSCIUTO

Domanda da un milione di euro: ci si può innamorare, o anche solo prendersi una bella cotta, di quelle serie, per uno sconosciuto? A me credo stia capitando. È cominciata con un rapido scambio di sguardi a un semaforo ed è continuata col ritrovarmi ogni giorno a fare la stessa strada alla stessa ora per incontrarlo, il problema è che non sempre ci riuscivo.

Sono andata avanti così per un pezzo, a cercare la sua auto ovunque nella speranza di vederlo; un giorno mi sembrava di impazzire, ho vinto la mia timidezza e ho avuto il coraggio di chiedere informazioni. Scopro il suo nome e pure l'indirizzo, così adesso non è più un bellissimo (ai miei occhi) volto anonimo.

Un giorno l'incontro e mi sconvolge, è lì davanti a me e se avessi coraggio gli parlerei, ma resto immobile a fissarlo, non l'ho mai visto così vicino (ci s'incrocia sempre in macchina..), il mio sguardo cerca le sue mani e non vede nessuna fede... So bene che non significa niente, ma esco e l'aspetto ansiosa di vederlo ancora un po'.

Ecco, da allora ogni mia giornata passa con la sua immagine fissa nella mia mente e non va via. Ma si può? Dammi una via d'uscita; l'affronto oppure no? E se sì, cosa posso dire/fare?

Chiara.

*

Alzi idealmente la mano chi si è già trovato in uno splendido inghippo come il tuo. E ora la tenga alzata solo chi ha saputo giocarselo fino in fondo, senza farselo sfuggire fra le dita come un fiotto d'acqua pura.

Temo che il numero delle mani si sia drasticamente ridotto. Ed è un vero peccato, perché almeno una volta nella vita bisognerebbe provare l'emozione di fare tutto da soli e conquistare una persona che nessuno ci ha presentato.

Gli esperti sostengono sia una pulsione tipica dell'adolescenza. Quindi è logico che adesso la provino soprattutto gli adulti, che adolescenti rimangono fino al primo impiego, al secondo matrimonio e in qualche caso alla terza età. Suppongo che tu fluttui nella fascia fra i venti e i quaranta. Qui sorge il problema: a differenza di molti ragazzini d'oggi, conservi una certa difficoltà nell'approccio. Cosa ci vuole ad abbordare uno sconosciuto perché ci piace? E a dirglielo, senza paura di perdere immediatamente interesse ai suoi occhi? Nulla di più facile, in effetti. Basta scolarsi preventivamente due bottiglie di grappa a stomaco vuoto. La verità è che siamo in presenza di una prova di iniziazione, specie per una donna che consideri ancora il pudore una delle caratteristiche qualificanti del suo sesso.

La stragrande maggioranza delle relazioni umane si basa sul principio della presentazione. Se io fermo per strada una ragazza perché mi piace la sua faccia o il suo modo di vestire, nella migliore delle ipotesi verrò considerato un cascamorto. Ma se la stessa ragazza mi viene presentata in maniera fuggevole a una festa da un mezzo estraneo, improvvisamente il mio interesse nei suoi confronti sarà accettato da tutti (anche da lei) come una cosa normale. Che assurdità. Eppure si tratta di codici secolari, innescati dalla diffidenza.

Cerchiamo di farne a meno, prendendo in esame tutte le altre soluzioni possibili tranne una: la rinuncia.

1. La prossima volta che lo incroci nel traffico, scendi dalla tua auto, ti avvicini alla sua, gli chiedi di abbassare il finestrino e lo baci. Resta la strategia migliore, ma c'è il pericolo che, se non gli piaci, possa azionare l'alzacristalli elettrico come una ghigliottina.

2. Scendi dall'auto, ti buchi una gomma e gli domandi aiuto. Già più praticabile per una timida, a patto che lui non sia troppo imbranato. Io, che lo sono, nel timore di combinare disastri preferirei rinunciare al pit stop, anche se a implorarmi fosse una Monica Bellucci improvvisamente miope.

3. Non scendi dall'auto e lo tamponi. Lievemente, però. Altrimenti ti ritroverà abbracciata all'airbag e potrebbe ingelosirsi.

4. Lasci perdere l'auto, foriera di complicazioni inaudite, e lo pedini a piedi: tanto sai dove lavora. Giunto al suo cospetto, gli chiedi qualche informazione essenziale. Per esempio l'ora. O l'oroscopo. Poi sparisci dimenticando sul suo tavolo la tua agenda con indirizzo e numero di telefono.

5. Non ce la farai mai? Ti capisco. Perciò apriamo lo scenario «pizzini di Provenzano». Un biglietto semianonimo in cui gli chiedi... già, cosa gli chiedi?

6. Niente, per fare le disinibite bisogna esserci portate. Meglio domandare aiuto a qualcuno che non sia coinvolto e si assuma il compito di lanciarti la volata. Qualcuno che possa conoscerlo prima, per presentartelo poi. Un'amica? Il rischio è che prenda il compito affidatole con troppo zelo, soprattutto nel caso in cui lo sconosciuto piacesse anche a lei. Un amico offre maggiori garanzie.

Conoscerai pure un maschio affidabile, no? Io almeno tre, forse quattro, quattro e mezzo. Se vuoi ti mando la lista completa.

7. Mi arrendo, serve la raccomandazione. Nell'ufficio o nel bar che lui frequenta ci sarà qualcuno in grado di presentarvi? Anche una stretta di mano basterebbe a darti il coraggio di riparlargli senza più bisogno di intermediari.

Il resto verrà da sé: una donna motivata, e tu lo sei, conosce i sistemi per farsi notare senza diventare invadente. Un sorriso, una battuta, un qualsiasi gesto banale che nel linguaggio cifrato dell'amore significhi disponibilità ad approfondire. Sarà lui a dare un seguito alla conversazione, se vorrà. E tu, dopo averlo sentito parlare, a decidere se lo vorrai ancora.

 

***

 

QUANDO MENO TE L'ASPETTI

Ho quarantotto anni, due esperienze coniugali fallimentari che mi hanno lasciato l'eredità bella di tre figlioli, ma anche un certo cinico disincanto nei confronti delle donne e della possibilità di costruire un legame equilibrato e duraturo. O almeno così credevo...

A sconvolgere questa mia quotidianità è arrivata una quarantenne bella di una luminosa normalità, dietro la quale si nascondeva' una persona piena di interessi che erano anche i miei, curiosa della vita, disponibile a confrontare le nostre passate esperienze per trarne insegnamenti per il futuro, intrigante per le sue passioni artistiche. Anche lei era assai timorosa di sconvolgere un certo equilibrio di donna sola per una persona che poi si fosse rivelata non adeguata alle sue esigenze.

È nata così una relazione in bilico tra l'amicizia e l'affettuosa amicizia: ci frequentavamo sempre più assiduamente senza confessarci l'attrazione reciproca, ed eravamo già su un piano inclinato che ci avrebbe fatalmente portati uno fra le braccia dell'altra. Cosa che è puntualmente avvenuta dopo circa sei mesi. Tre giorni dopo le è stato diagnosticato un tumore che la colpiva crudelmente nella sua femminilità e poteva sfregiare la sua bellezza.

Sembra un brutto film e invece è orribile realtà. Anziché permetterci di conoscerci con calma in questo nostro nuovo ruolo di «fidanzati», il destino ci ha proiettati in un incubo fatto di analisi diagnostiche, di visite mediche colme di angoscia, di attesa dell'intervento chirurgico, e poi del suo esito, e poi delle cure successive, e poi dell'esito delle cure successive, e poi, e poi, e poi. Una spirale di dolore e di terrore di cui non si riesce ancora a intravedere la fine.

In tutto questo, pare impossibile, il nostro rapporto è cresciuto come riesce a crescere la pianticella nel deserto di sale: abbiamo cercato di non farci travolgere da questa difficile realtà, di mantenere la nostra coesione, di «lavorare» per un nostro futuro di serenità- E abbiamo mantenuto più che viva un'intimità fisica molto appagante e assai curativa per i nostri corpi e i nostri spiriti.

Ho scoperto di essere al fianco di una donna fantastica per coraggio e dolcezza, che mi ha insegnato come si possono affrontare nel modo giusto gli agguati del destino. La vita mi ha fatto conoscere questa giovane signora nelle condizioni peggiori, ha scosso tutti i miei timori rispetto a un nuovo rapporto di coppia, ha mandato in soffitta tutte le mie certezze sui vantaggi che derivano dal vivere soli. Ma come ci scopriremo il giorno in cui potremo amarci e vivere senza guai?

Edoardo.

*

Sai che ti dico? Non preoccuparti di cosa succederà quel giorno, che vi auguro arrivi prestissimo. Ciò che conta è che vi siete ritrovati, ora. Ora che lei aveva bisogno di te e tu di lei.

Un anno fa eri un pacifico membro del club degli zitelloni, quelli che dopo troppe scottature hanno le pile dell'amore scariche e di ogni storia che nasce non vedono le praterie ma le sbarre, non la magia dell'ignoto ma l'inevitabile prosa dei compromessi e degli adattamenti quotidiani. Bene, adesso riusciresti ad andare d'accordo con il te stesso di allora? Probabilmente no, tanto questa donna e la sua malattia ti hanno cambiato dentro.

Idem per lei. Chissà come avrebbe affrontato la prova assegnatale dal destino, se non avesse avuto al suo fianco un uomo come te. Forse sei stato proprio tu a darle l'equilibrio e la carica per non impazzire. Tu la corazza con cui lei è scesa in battaglia, e non per immolarsi ma per vincere, sapendo che la posta in palio era diventata ancor più allettante, adesso che avrebbe potuto dividerla con te.

Nessuno può prevedere se siete destinati a durare nel tempo, benché tutti i segnali parlino di una coppia matura ed equilibrata, che saprebbe godersi lo scampato pericolo con la stessa forza con cui adesso ha saputo sfidarlo.

Però, scusa se insisto, non preoccuparti delle insidie che può riservare al vostro rapporto il domani. Il futuro diventerà in fretta presente, ma prima di incrociarlo, fermati un attimo a guardare indietro: e vedi quanta strada hai già fatto nella direzione giusta. Vi siete voluti bene facendovi del bene, un ambo che sulla ruota dell'amore esce assai di rado.

Auguri, di cuore. E sappi che anziché compatirvi - un atteggiamento da soap opera che vi farebbe giustamente arrabbiare - vi invidiamo tutti un po'. Per certi versi, moltissimo.