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Quando Dor viveva felice sulla Terra, suo figlio una volta gli fece una strana domanda.
«Chi sposerò?»
Dor sorrise e rispose che non lo sapeva.
«Ma tu hai detto che le pietre possono dirti quello che accadrà.»
«Le pietre possono dirmi molte cose. Quando spunterà il sole, quando tramonterà, e quante notti mancano affinché la luna sia piena come il tuo viso rotondo.»
Diede un pizzicotto al figlio. Il ragazzino rise e distolse lo sguardo.
«Ma quelle sono cose difficili» sussurrò il piccolo.
«Difficili?»
«Il sole e la luna sono lontani. Io voglio sapere solo chi sposerò. Se sai dirmi le cose difficili, perché non riesci a dirmi questo?»
Dor sorrise. Suo figlio stava facendo il tipo di domande che aveva fatto lui da ragazzino. E Dor ricordava bene la frustrazione di quando non riceveva risposta.
«Perché vuoi saperlo?»
«Be’» rispose il ragazzino, «se quelle pietre dicessero che sposerò Iltani, sarei contento.»
Dor annuì. Iltani era la figlia timida e graziosa di un fabbricante di mattoni. In effetti, sarebbe certo diventata una sposa desiderabile.
«E se le pietre rivelassero che sposerai Gildesh?»
Suo figlio fece una smorfia che Dor aveva previsto.
«Gildesh è troppo grossa e parla sempre!» protestò il ragazzo. «Se le pietre dicessero così, fuggirei subito!»
Dor rise e gli scompigliò con dolcezza i capelli. Il ragazzo raccolse una pietra e la scagliò lontano.
«Gildesh no!» gridò.
Dor guardò la pietra fendere l’aria del giardino.
Adesso Dor guardava Sarah, ricordando quel momento.
Si chiese cosa ne fosse stato della giovane Gildesh: anche lei era stata respinta dagli uomini?
Pensò alla pietra lanciata da suo figlio in giardino, all’idea infantile che si può gettare via il futuro se non ti piace, e di colpo capì cosa doveva fare.
Sollevò la clessidra davanti a sé, guardò all’interno e vide, come aveva sospettato, che la sabbia non stava scorrendo.
Neppure un granello passava da una parte all’altra. Il tempo non avanzava.
Svitò di nuovo il pezzo superiore e lo rimosse dall’antico orologio.
«Cosa sta facendo?» chiese Victor.
«Quello che mi è stato ordinato di fare» disse Dor.
Poi versò sul pavimento del magazzino la sabbia contenuta nel bulbo aperto, quella di ciò che doveva ancora accadere; sembrava non finire mai. Fuoriuscì più sabbia di quella che sembrava potessero contenere cento clessidre. Infine appoggiò lo strumento su un lato, e lo guardò ingrandirsi fino a diventare un enorme tunnel, con un sentiero di sabbia che portava al centro della clessidra e che risplendeva come la luce della luna risplende sul mare.
Dor si tolse le scarpe e affondò i piedi nella sabbia. Fece cenno a Sarah e Victor di seguirlo.
«Venite.»
Si guardò le braccia. Per la prima volta da seimila anni stava sudando.
Una volta Einstein postulò che, se qualcuno avesse viaggiato a una velocità elevatissima, il tempo avrebbe rallentato in relazione al mondo che quella persona si lasciava dietro;
pertanto vedere il futuro senza invecchiare in proporzione al tempo trascorso era, almeno in teoria, possibile.
Sarah l’aveva studiato in fisica. E così Victor, decenni prima. Adesso, in questo spazio senza tempo, veniva loro chiesto di testare questa teoria, di andare avanti mentre il mondo restava fermo, di camminare nella sabbia di una gigantesca clessidra su richiesta di un uomo magro, con i capelli neri, che portava un maglione a collo alto e che, per quanto ne sapevano, lavorava in un negozio di orologi.
«Viene con noi?» disse Sarah, rivolgendosi a Victor.
«Io non abbocco» ribatté lui. «Avevo preparato documenti, contratti. Qualcuno sta deliberatamente sabotando i miei piani.»
Sarah sentì un groppo in gola. Per qualche motivo voleva fortemente che quel vecchio li seguisse, se non altro per non restare sola. Lui le sembrava l’amico più importante che potesse avere in quel momento.
«Per favore…» chiese con voce sommessa.
Victor distolse gli occhi. La logica gli diceva di non farlo. Non conosceva la ragazza. E il tizio del negozio di orologi poteva essere chiunque, un ciarlatano, un truffatore dell’occulto. Ma il modo in cui lei lo stava pregando… Sembrava una stupidaggine, ma quelle parole, «per favore», erano le più pure che sentiva da mesi. Poche persone avevano con lui un rapporto così stretto da potergli chiedere qualcosa con quel tono.
Si guardò intorno: tutto ciò che lo circondava era uno scenario immobile e impalpabile.
È proprio quando ci sentiamo più soli che andiamo incontro alla solitudine degli altri.
Victor prese la mano di Sarah.
E tutto diventò buio.