Capitolo sesto

Durante il tragitto fino alla pianta di calicanto, la lumaca si imbatté all’improvviso in alcune formiche che trasportavano minuscole goccioline di miele in formazione ordinata. Obbedendo alle regole rispettate da tutti gli esseri del prato, si fermò immediatamente, perché se avesse attraversato senza preavviso quella specie di sentiero, la sua scia umida le avrebbe disorientate.

«Formiche, devo attraversare il vostro sentiero per avvertire le mie compagne di un grande pericolo» sussurrò chinando la testa fin quasi a toccare terra.

«E si può sapere di che grande pericolo si tratta? Restare nei ranghi!» disse una formica un po’ più vecchia delle altre, che non trasportava nulla e sorvegliava energica le portatrici.

Allora la lumaca parlò degli esseri umani e di come avessero cominciato a coprire il bordo del prato con qualcosa di denso, più scuro di una notte senza stelle.

«Sembra molto grave, ma io non posso decidere il da farsi. La mia funzione è guidare le portatrici al formicaio. Ho detto restare nei ranghi! Vieni con me e parla con la regina.»

La lumaca si avviò insieme alla formica, ma non riusciva a tenere il ritmo frenetico delle sue zampe, così rimase indietro e quando lentamente, molto lentamente, arrivò al formicaio, trovò ad attenderla la regina, circondata dal suo seguito.

Cap_06

«Accidenti, quanto ci hai messo. Non si fa aspettare una regina» la rimproverò la formica che l’aveva preceduta. La regina però le diede ordine di tacere e si avvicinò alla lumaca.

«È vero quello che dici? È vero che gli umani stanno coprendo il prato con un manto più scuro della terra profonda?»

«Disgraziatamente per tutti noi, è proprio così. Una tartaruga di nome Memoria mi ha portato fino ai confini dell’erba e l’ho visto con i miei occhi.»

«Non è la prima volta che ci succede. Esodo!» ordinò la regina e subito le formiche cominciarono a uscire dal formicaio trasportando pezzettini di foglie, gocce di miele, semi, gli alimenti che immagazzinavano nelle gallerie sotterranee.

«Ringraziamo la tua lentezza, lumaca, perché se fossi stata veloce come il coniglio o avessi strisciato svelta come la serpe non ci avresti visto e avvisato. Hai un nome?»

«Mi chiamo Ribelle, è il nome che mi ha dato Memoria.»

«Memoria, Ribelle, grazie» disse la regina, e al grido di «Esodo! Esodo!» si unì alla lunga fila di formiche che abbandonavano il formicaio.

Prima che il sole accarezzasse il prato con i suoi ultimi raggi, la lumaca aveva avvertito del pericolo anche i bruchi, che una volta messi in guardia la ringraziarono per la sua lentezza, perché se fosse stata rapida come le lucertole e i grilli non li avrebbe visti e allertati.

La lumaca scorse gli scarabei abbandonare in fretta le tane e allontanarsi in formazione ordinata, sospingendo palline di cibo.

Ribelle, la lumaca che ormai aveva un nome e iniziava a conoscere i motivi della sua lentezza, era esausta e decise di riposarsi un po’ prima di proseguire il viaggio per avvisare le proprie compagne che in quel momento, inconsapevoli del pericolo, dovevano essere tutte prese dall’abitudine di mangiare in gruppo sotto le foglie del calicanto. Prima di ritirarsi dentro il guscio, notò che molti esseri notturni del prato si erano messi in movimento.

I lombrichi timorosi del sole strisciavano lasciando scie umide sull’erba, le lucciole in fuga volavano bassissime per illuminare la marcia dei bruchi e le minuscole rane verdi dei prati saltavano gracidando in cerca di uno stagno.

Ribelle cominciò a percepire il piacevole sopore della stanchezza, ma quando stava per addormentarsi sentì arrivare una vocina da un punto molto sotto l’erba.

«Sei tu la lumaca di cui tanto si parla?» disse la voce.

«Sì, e tu chi sei?» sussurrò Ribelle.

Allora, vicinissimo a dove si trovava, il suolo si sollevò leggermente e l’erba lasciò spazio a un monticello di terra smossa da cui sbucò fuori una testa con il naso a punta.

«Sono una talpa. Ci sono esseri che vivono in volo sopra il prato, altri al livello dell’erba e altri ancora sotto terra. È vero che gli umani copriranno tutto con uno strato di ghiaccio nero?»

La lumaca rispose che purtroppo era proprio così e la talpa, dopo aver ringraziato, scomparve sotto il monticello per avvertire le sue compagne che avevano molto da scavare.

Ribelle, la lumaca che ormai aveva un nome e conosceva sempre di più e sempre meglio i motivi della sua lentezza, si preparò di nuovo a dormire, ma non riuscì a conciliare il sonno perché nel guscio era assediata da troppe domande.

E se le sue compagne non le avessero creduto? E se le sue compagne sotto le foglie di calicanto avessero preso il suo allarme come una nuova fastidiosa stravaganza, così come avevano preso il suo desiderio di avere un nome e di conoscere i motivi della lentezza? E nel caso in cui le avessero creduto, accettando la necessità di lasciare la loro casa, il Paese del Dente di Leone, dove sarebbero andate?