EPILOGO
Sei mesi dopo
L’orologio segnava l’una di notte. Non ero stanco, eppure non vedevo l’ora di tornare a casa. Era strano. Negli ultimi sette anni non mi era mai pesato lavorare, né fare qualche ora di straordinario in più. Qualche volta mi era capitato di rimanere così a lungo al Bellagio da trovarmi costretto a dormire in una delle sue stanze. Ora, però, quell’idea mi pareva del tutto inaccettabile, perché a casa c’era finalmente qualcuno ad aspettarmi.
«Tavolo ventitré, Ryan. Il computer segnala qualcosa.»
Scacciai ogni pensiero e tentai di concentrarmi. Corinne doveva avere finito di lavorare da un’oretta. Le avevo trovato un impiego magnifico: era una delle assistenti del mago che si esibiva al Monte Carlo Resort, per la precisione quella che veniva trapassata dalle spade infuocate. Un paio di mesi prima mi ero azzardato ad acquistare di nascosto un biglietto per osservarla. Vederla sul palco mentre sorrideva e si inchinava alla folla mi aveva riempito il cuore di emozione, ma era stato nulla rispetto a quello che provavo ogni sera quando tornavo a casa e la trovavo ad attendermi nel nostro letto.
«Eccola: si tratta della donna seduta accanto all’uomo con la giacca grigia, quella con i capelli neri. La vedi? Pare che sia già stata segnalata per gioco scorretto.»
Scossi la testa e tornai al presente.
«Puoi zoomare su di lei?»
Matt fece quanto gli avevo chiesto. Per un istante il filmato si fece sgranato, poi riacquistò definizione. La donna che aveva destato sospetti aveva dei capelli scuri e corti. Rideva insieme all’uomo accanto a lei, che, esattamente come il dealer, non perdeva occasione di gettare sguardi indiscreti alla sua scollatura generosa.
Una notte ormai lontana Corinne mi aveva consigliato di diffidare dalle donne poco vestite e degli uomini che accompagnavano. Nulla di più vero.
«Mandiamo qualcuno?» domandò Matt. Gli feci cenno di attendere. Prima di intervenire occorreva assicurarsi dei fatti. Non bastavano una bella donna e qualche vincita.
Il dealer distribuì di nuovo le carte. La donna si adagiò meglio sulla sedia e inarcò la schiena mettendo in mostra la curva dei seni. Era chiaro che lo stava provocando. Mi preparai a dare l’ordine di avvicinarsi a loro, quando la vidi voltarsi per parlare con qualcuno e mi fu possibile vederla in viso. Dovetti impiegare tutte le mie forze per trattenere la sorpresa. Non si trattava di una donna qualsiasi. Anche se aveva indossato una parrucca, avrei potuto riconoscere Corinne tra mille altre.
Una rabbia cieca e devastante mi montò in corpo. Mi aveva promesso che non avrebbe mai più tentato di imbrogliare il banco e invece eccola lì, in compagnia di un complice che non conoscevo, a ridere e a fare gli occhi dolci in base alla convenienza.
«Una giocata ancora e poi interveniamo» sentenziai amaro. Se credeva che gliel’avrei fatta passare liscia soltanto perché qualche sera prima le avevo confidato che la amavo si sbagliava di grosso. Mi sentii uno stupido, in primo luogo perché avevo sbagliato a espormi, e poi perché quando aveva detto che anche lei provava la stessa cosa le avevo creduto.
Non riuscii più a trattenermi. Indietreggiai di un passo. Afferrai il cellulare e senza staccare gli occhi dal monitor digitai un messaggio.
“Non mi piace quello che stai facendo.”
Mentre il dealer distribuiva il secondo giro di carte vidi Corinne abbassare gli occhi e muovere le dita in maniera furtiva. Un istante dopo sentii il cellulare vibrare. Mi aveva risposto.
“Mi stai per caso guardando?”
Alzai la testa e tornai a fissare il monitor. Il dealer l’aveva oltrepassata. Stava giocando con gli uomini che si trovavano dopo di lei, ma nonostante questo Corinne si muoveva ancora come se volesse attirare l’attenzione. La vidi seguire con un dito la scollatura del vestito e la curva dei seni. Non stava provocando il banco. Stava provocando me.
Mi allentai appena la cravatta. La rabbia svanì così com’era arrivata, anche se al suo posto subentrò un’emozione altrettanto potente e pericolosa. Quello di Corinne era un tentativo di seduzione in piena regola e il suo obiettivo ero proprio io. Accavallò le gambe e si morse le labbra inclinando appena il capo all’indietro. Sapeva che amavo la curva della sua gola, così come amavo giocare con lei. Digitai un altro messaggio.
“Verrai punita, per questo, lo sai?”
Le mie dita corsero all’interno della giacca, a controllare che ci fossero ancora le manette. Non le usavo quasi mai, tranne che con le cattive ragazze come lei. E quella sera si era decisamente comportata nella maniera sbagliata. Mentre la guardavo mi ritrovai a pensare a tutte le cose che avrei voluto farle. Erano sei mesi che stavano insieme. Alcune volte mi pareva che fosse così da sempre, altre invece che ci fossero un’infinità di cose che non avevamo ancora sperimentato. Il cellulare mi vibrò ancora tra le mani.
“La stanza degli interrogatori è disponibile?”
Esibizionista! Una sera non troppo lontana mi aveva confidato che le era rimasta addosso la voglia di tornare nella stanza degli interrogatori per prendersi la sua rivincita. A quanto pareva non le era piaciuto il fatto che durante il nostro primo incontro non avessi ceduto alle sue avance. Era stata brava. Aveva avuto pazienza. Aveva aspettato l’occasione giusta prima di trovare il modo di entrarci di nuovo con me. Non c’era niente da dire: meritava decisamente un premio per tanta… dedizione.
«Matt, è libera la stanza degli interrogatori?»
«Solo la tre» mi rispose annoiato. «Nella due c’è già Nicholas e la uno è fuori servizio per via di un guasto elettrico.»
Niente elettricità si traduceva in niente luce e niente telecamere. Era veramente molto raro che accadesse. Mi chiesi se Corinne lo sapesse, ma in fondo conoscevo già la risposta. Tornai a guardare il video e non mi sorpresi di scoprire che si era girata proprio verso la telecamera. Mi stava sorridendo, adesso, mentre Matt fissava la scena sempre più confuso. Un giorno o l’altro avrei dovuto decidermi a dire a tutti che stavo con lei. Ora, però, avevo in mente qualcosa di estremamente diverso.
«Penso io alla sospetta» dissi uscendo dal centro di controllo. Matt annuì di rimando, poi si concentrò su un altro tavolo.
Mentre camminavo a passo spedito sentii le mani prudermi, le fantasie che Corinne mi aveva costretto a confessare una notte lontana risvegliarsi. Non c’era che dire: sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro provocandomi, eppure aveva deciso di farlo comunque. Mi allentai il nodo della cravatta, ansioso di raggiungerla.
Hai fatto il tuo gioco, tesoro. Ora subirai il mio.
E chissà perché quell’idea non mi dispiaceva affatto…
FINE