CAPITOLO QUATTORDICI
Ryan Mill era arrabbiato con me. Certo. Potevo comprenderlo. Ma anch’io in fondo ero arrabbiata con lui. Non contento di avere provato a scaricarmi con le parole, era passato ai fatti e mi aveva abbandonata in una delle numerose cappelle di Las Vegas. Credeva forse che sarei rimasta lì ad aspettarlo?
«Seguimi» mi ordinò secco.
Lanciai un’occhiata in direzione dell’uscita. La tentazione di scappare era forte, ma non quanto il desiderio di fargli capire che non disponeva della mia vita e che non ero certo ai suoi ordini. Non avevo idea di come fosse solito trattare le donne, ma non mi piaceva affatto come stava trattando me. Strinsi le mani a pugno e accelerai il passo così da stargli dietro.
«Guarda che me la sarei cavata benissimo.»
Si voltò appena per rivolgermi uno sguardo di rimprovero da sopra una spalla. «Sì, certo. Come no.»
Chiamò l’ascensore. Non eravamo gli unici ad attenderlo, così fui costretta a zittirmi finché non arrivammo al piano che voleva e non ci ritrovammo davanti alla porta di una stanza. Era l’ultima del corridoio. Mentre Ryan strisciava il tesserino mi guardai intorno. Eravamo soli. Prima che potesse entrare mi piazzai tra il suo corpo e la porta e lo fissai con determinazione. Non ero la sprovveduta che credeva. Avrei potuto accettare da chiunque quello sguardo di rimprovero, tranne che da lui.
«Tu non hai idea di cosa ho passato negli ultimi anni» gli confidai aspra.
Lo sguardo che mi rivolse mi gelò sul posto.
«E tu non hai idea del guaio in cui ti stavi cacciando.»
Non mi lasciò altra scelta che contrattaccare.
«Vogliamo scommettere?»
I suoi occhi si fecero sottili, astiosi. Si era stancato di battibeccare con me, così non esitò a piegarsi sulle ginocchia, a prendermi per la vita e a caricarmi sulle spalle per farmi entrare.
«Sei un dannatissimo bastardo!» gridai. Gli tempestai la schiena di pugni, ottenendo in cambio soltanto una pacca sul sedere che aveva ben poco di sensuale.
Le luci della suite si accesero non appena varcammo la soglia. Ryan fu svelto ad afferrare un telecomando e a spegnerle. Si mosse nel buio, confermandomi l’impressione che avevo avuto al principio: era già stato in quel luogo diverse volte, probabilmente con altre donne. Mi chiesi se avesse trattato anche loro in quel modo, ma chissà perché ne dubitavo. Mi portò nella stanza adiacente al salotto e mi gettò sul letto con ben poca delicatezza. Imprecando tra i denti si slacciò la cravatta e si massaggiò una spalla con aria dolorante.
«Finta magra, eh?»
Lo fulminai con gli occhi. «Non mi pareva che ti dispiacesse tanto mentre ti aggrappavi alle mie cosce e grugnivi di piacere l’altra notte.»
«Sono un uomo, non un maiale.»
«Questo è tutto da dimostrare.»
Tentai di alzarmi in piedi. Impiegò meno di un istante a raggiungermi e a ributtarmi sul letto. Mi aspettai di sentire da un momento all’altro il suo corpo che ricopriva il mio, ma non accadde. Fremetti di rabbia e frustrazione, tuttavia ebbi il buon senso di restare immobile e di osservarlo mentre controllava gli ambienti, così da accertarsi che non ci fosse nessuno oltre a noi nella suite. Per maggiore sicurezza chiuse a chiave la porta che separava la camera dal salottino e tirò fuori da una tasca il suo cellulare personale. Nel momento in cui la luce dello schermo gli rischiarò il viso, una sensazione di déjà vu mi morse lo stomaco.
«Che diavolo sta succedendo, Ryan?»
«Lasciamo passare stanotte» rispose vago. «Domani sarà tutto diverso.»
Si mise in tasca il cellulare e si sedette su una sedia con un sospiro.
«Devi dei soldi a qualcuno, vero?»
Il silenzio che seguì a quella domanda mi lasciò interdetta. Qualcosa non tornava. Lui non era il tipo da gettarsi in scommesse strane. Allo stesso tempo, però, ero certa di avergli visto addosso la stessa espressione che aveva anche mio padre quando tornava con qualche nuovo debito. Era per questo che tutta la rabbia che provavo era svanita all’istante e che ora nutrivo per lui un sentimento completamente diverso. Ero preoccupata, intimorita. Gli andai vicino e lo forzai a guardarmi.
«Qualsiasi cosa sia, non devi vergognarti. Puoi parlarne con me, io posso capirti.» Lo vidi esitare. Sentii il suo respiro farsi più lento e riempirgli il petto. Decisi di insistere. «Tutti possono sbagliare. Guarda me! Sono venuta a Las Vegas per rubare un futuro diverso da quello che il destino aveva in serbo. Ho scommesso contro il banco, ho vinto. E poi ho incontrato te.» Gli sfiorai le labbra con le dita, ma soltanto per essere certa che fosse tornato in sé e che l’ombra che avevo scorto se ne fosse andata. «Mi devi ancora ventimila dollari. Vuoi dirmi che il segreto che nascondi vale di più?»
«Ne vale molti di più.» La sua voce fu come un colpo di frusta. Trasalii, sentendomi turbata. «E comunque non sono i soldi a preoccuparmi, ma la vita che in questo momento si trova sul piatto al centro del tavolo.»
«Di cosa diavolo stai parlando?»
«Siediti qui, Corinne.» Afferrò una sedia e me la offrì. «Credo che sia giunto il momento di raccontarti cosa sta succedendo e chi ero prima di essere Ryan Mill.»