e il nuovo orario di partenza era ssato per le 13.15.

La stima mi parve un lo ot imistica; a sentire

l’addet o, si trat ava di un problema tecnico.

Grandioso.

Partimmo al e 15.45. Ciò signi cava che avevamo

perso la coincidenza a Toronto. Per fortuna, il volo

successivo per Edmonton decol ava al e 17.00; ce la

facemmo con un bel o sprint at raverso il terminal. Le

gioie del a moderna aviazione.

Ryan ha molte buone qualità: intel igenza, arguzia,

gentilezza, generosità. Come compagno di viaggio,

invece, è una vera piaga.

E la presenza di Ol ie non contribuiva a risol evargli

l’umore. O forse ero io. O la croque monsieur che si

era mangiato al a ca et eria del ’aeroporto.

L’atmosfera che regnava nel terzet o era cordiale come

quel a di un blitz antidroga.

Al ’arrivo il sergente ci o rì un passaggio, ma Ryan

preferì noleggiare un’auto e, sebbene il nostro ospite

insistesse perché salissi in auto con lui, ritenni più

diplomatico restare con il lieutenant-détective.

Non avevamo una prenotazione, per cui la

procedura di noleggio richiese un’ora abbondante.

Non domandai perché.

Edmonton è la risposta canadese a Omaha: concreta,

poco appariscente e in mezzo al nul a. Un posto che ti

fa pensare a un paio di scarpe comode.

Riusci a vedere buona parte del a cit à lungo il

Riusci a vedere buona parte del a cit à lungo il

tragit o per la sede del a RCMP, Divisione K. Al ’inizio

diedi a Ryan indicazioni trat e dal e mappe satel itari

visualizzate sul cel ulare, ma lui non pareva ascoltare i

miei suggerimenti, né tanto meno seguirli. Al a ne

mi arresi e rivolsi la mia at enzione fuori dal

nestrino. Nel panorama dominava net amente il

mat one a vista.

Erano le 21.40 quando svoltammo sul a 109a Strada.

Il mio stomaco si lamentava ripetendomi che avrei

dovuto farmi una croque con Ryan. Lo ignorai.

Dopo aver mostrato i documenti e spiegato il

motivo del a visita a un commissario che esibiva una

gravità da fase preterminale, il detective Raggio-di-

sole e io ricevemmo un badge a clip con del e grosse T

stampate

sopra.

Sentendoci

decisamente

«Temporanei» – e guardati con una certa di denza –

seguimmo un agente no al ’ascensore e salimmo in

silenzio. Giunti a una porta con la scrit a PROGETTO

KARE, la nostra scorta ci indicò che potevamo

procedere da soli.

Ryan mi cedet e il passo sul a soglia. Io m’impuntai

perché passasse prima lui.

L’arredamento ricordava parecchio la sala operativa

della SQ al Wilfrid-Derome. Questa qui non si poteva

de nire una sala – era un semplice u cio – ma poco

importava: come i crimini che ne giusti cano

l’esistenza, questi ambienti presentano una

importava: come i crimini che ne giusti cano

l’esistenza, questi ambienti presentano una

deprimente uniformità a prescindere dal a metratura.

Stessi casel ari, stessi souvenir, stesse tazze di ca è

schifoso.

Al e dieci di sera il posto era deserto.

Il tavolo di Ol ie era su un lato. Ed ecco lì il

sergente, il telefono tra il col o e la spal a. Sentendo

aprirsi la porta, alzò gli occhi e ci fece segno di

entrare.

Con il piede, trascinò una sedia accanto a quel a già

posizionata di fronte al a sua scrivania. Non sembrava

felice.

Ryan e io ci accomodammo.

L’ultimo segmento di conversazione telefonica

proseguì in staccato. «Quando? Dove?» Al a ne Ol ie

disse: «Merda. Continuate a cercare».

Il ricevitore at errò con un bot o sul a base.

«L’hanno persa.»

At endemmo una spiegazione.

«La Ruben è rimasta al Tim Horton no a

mezzogiorno, poi è andata a piedi al Northlands.»

«Cos’è il Northlands?» domandai.

«Credo si de nisca un complesso ricreativo… eventi

sportivi, corse ippiche, rodei, slot machine, fiere.»

«Oppio dei popoli in chiave moderna» chiosò Ryan.

«È un modo di vedere le cose.»

«È un modo di vedere le cose.»

Ah, sì. A Ol ie piacevano i rodei e le corse di

caval i.

«Lauti guadagni per il mercato del sesso» insistet e

Ryan.

«È un aspet o del a questione» ribat é Ol ie in tono

asciut o.

Fece oscil are ripetutamente una penna tra due dita:

la punta colpiva il sot omano del a scrivania con un

picchiet io stizzito. «La Ruben ha dormito su una

panchina a Borden Park per quasi tut o il pomeriggio.

Al e cinque è tornata al a ca et eria. Al e set e è

arrivata, sempre a piedi, a Rexal Place.»

«Perché non l’hanno fermata?»

«Non erano quel i gli ordini.»

Ryan stava per spararne un’altra. Lo prevenni.

«Cos’è Rexal Place?»

Il sergente Hasty mi guardò, poi fece quel a sua

mosset a con il mento.

«Hai presente gli Edmonton Oilers?»

«È un’arena sportiva.» Il tono del detective era

piat o.

«Talvolta ci fanno dei concerti. Stasera suonano i

Nickleback» aggiunse Ol ie.

«Ed è lì che voi ragazzi l’avete persa.»

«Forse non riesco a spiegarmi. I Nickleback sono un

«Forse non riesco a spiegarmi. I Nickleback sono un

gruppo del ’Alberta e c’erano migliaia di persone nei

dintorni del palazzet o.»

«Ci vuole una certa preparazione per pedinare un

sogget o tra la fol a.»

«La ritroveremo» replicò gelido il sergente.

«Più in fret a di quanto ci avete messo a perderla?»

La penna di Ol ie smise di oscil are.

Io guardai Ryan con occhi a lama di coltel o.

«Forse Annaliese Ruben doveva incontrare

qualcuno» but ai lì.

«Probabile» concordò il sergente.

«Susan Forex?»

«Sto aspet ando notizie dei suoi spostamenti.»

«La Ruben aveva un protet ore?» chiese Ryan.

«Un piccolo stronzo perverso di nome Ronnie

Scarborough. Scar per gli amici. Quel tizio ha il

fascino di un’unghia sporca.»

«Cioè?»

«È brut o, violento e piut osto irascibile.»

«Pessima combinazione.»

«Il nomignolo di Scarborough non deriva dal

cognome, ma proprio da scar, “cicatrice”: una volta ne

ha lasciata una grossa come la mia mano in faccia a

una ragazza. Usando un at izzatoio incandescente.»

«Forse la Ruben sta cercando di incontrarlo?»

«Forse la Ruben sta cercando di incontrarlo?»

domandai.

«Penso che prima avrebbe preferito vedere la Forex,

ma vai a sapere…»

«E adesso?» chiesi, rivolgendomi a nessuno dei due

in particolare.

«Adesso aspet iamo che i ragazzi la rintraccino. Ho

prenotato due stanze al Best Western, circa a un

isolato da qui. Volete registrarvi? O but are giù un

boccone?»

«Io sto morendo di fame» ammisi.

«Haute cuisine o roba più abbordabile?»

«Qualcosa di veloce.»

«Un hamburger va bene?»

«Perfet o.»

Al e 22.30 il Burger Express ospitava solo due

clienti, ovvero un vecchio con tut a l’aria di avere

elemosinato il pasto e un teenager con uno zaino e gli

occhi occultati dal ciuf o.

Il cameriere al bancone sembrava appena scappato

da una comunità di recupero: denti marci, capel i

ispidi, acne da incubo.

Quel a visione, comunque, non riuscì a togliermi

l’appetito. Ordinai un mastodon-burger, o come

diavolo si chiamasse quel colosso, anel i di cipol a e

diavolo si chiamasse quel colosso, anel i di cipol a e

una Diet Coke.

Mentre mangiavo, Ol ie ci aggiornò sul conto di

Susan Forex.

«È stata fermata due volte da quando ha denunciato

la scomparsa del a Ruben. Una nel corso di una retata,

ma è riuscita a scappare, e un’altra per adescamento.

Si è presa un anno di libertà vigilata.»

«E poi è tornata a fare la vita.» Ryan sembrava

disgustato.

«Qualcosa del genere.» Il tono di Ol ie avrebbe

potuto congelare una busta di pisel i.

«Si sarà persa un po’ di feste e vernissage.»

«La Forex è diversa dal a maggior parte del e sue

col eghe.»

«Sarebbe a dire?»

«Lasciamo perdere.»

Ryan si rivolse a me. «Caf è?»

«No, grazie.»

Stavo già rimpiangendo la mia ordinazione. E la

velocità con cui avevo ingerito il tut o.

Lui si al ontanò per fare il pieno di ca eina. O forse

per accendersi una sigaret a: sebbene avesse smesso di

fumare da anni, di recente avevo captato odore di

fumo sui suoi abiti, sui suoi capel i. Era il sintomo di

un estremo nervosismo. Insieme al ’umore così

insolitamente scontroso.

un estremo nervosismo. Insieme al ’umore così

insolitamente scontroso.

Stavamo in lando gli involucri di carta oleata nei

sacchet i macchiati d’unto, quando il cel ulare di Ol ie

vibrò. Mentre rispondeva al a chiamata, andai al o

straripante contenitore dei ri uti e versai anche il

nostro contributo.

Quando tornai al séparé, il sergente pareva un

bambino che ha ritrovato il suo cucciolo dopo giorni

di ricerche disperate.

«La Forex è in un bar vicino al Coliseum.»

«Insieme al a Ruben?»

«Sola. E in piena at ività.»

«Stavi pensando a una visita a sorpresa?»

«Vederci comparire in orario lavorativo potrebbe

renderla più disponibile a col aborare.»

Sorridemmo entrambi. Mi avviai verso la porta.

Circa a metà del tragit o, mi senti a errare il braccio.

Mi voltai.

Ol ie stava assumendo una tipica espressione da

macho.

«Pensi mai a…» – facendo la spola con la mano tra

il suo pet o e il mio – «noi?»

«No.»

«Sì, invece.»

«Non c’è mai stato nessun “noi”.» Mimando

virgolet e con le dita.

virgolet e con le dita.

«Ce la siamo spassata al a grande.»

«Tu ti comportavi quasi sempre da stronzo

presuntuoso.»

«Ero giovane.»

«Mentre ora sei vecchio e saggio.»

«La gente cambia.»

«Hai una ragazza, Ol ie?»

«Non al momento.»

«Come mai?»

«Non ho trovato quel a giusta.»

«L’amore del a tua vita.»

Alzò le spal e.

«Dobbiamo andare» gli ricordai.

«Già, altrimenti il detective Cagacazzo si arrabbia.»

«Cosa vuoi dire?»

«Quel tipo non è esat amente di buona compagnia.»

«Tu lo provochi apposta.»

«È uno stronzo.»

«Ol ie.» Lo sguardo con cui lo tra ssi signi cava

senza mezzi termini che non mi andava di scherzare.

«Hai parlato di noi» – imitando il suo gesto – «con il

detective Ryan?»

«Forse ho menzionato il fat o che ti conoscevo.»

Il lampo divertito nei suoi occhi era eloquente.

Il lampo divertito nei suoi occhi era eloquente.

«Bastardo arrogante.»

Non feci in tempo a oppormi e già mi aveva tirato

a sé stringendomi al pet o.

«Quando avremo risolto questa storia» mi sussurrò

al ’orecchio, «mi vorrai.»

Premendo forte i palmi, mi scostai.

«Mai nel a vita.»

Mi voltai, incendiata dal a ripugnanza.

Ryan era in piedi fuori dal locale, ssava l’interno

at raverso la vetrina. Sot o la luce abbagliante dei

neon, il suo viso appariva teso e scavato.

Merda. Merda. Merda.

Non sapendo con certezza cosa avesse visto, gli

mostrai il pol ice in su con un sorriso smagliante.

Buone notizie!

Si spostò in ombra, i trat i così tirati da sembrare

dipinti sul e ossa.

10

Ol ie guidava con me seduta accanto. Ryan stava

dietro.

Aveva cominciato a cadere una pioggerel a ne.

At raversavamo la cit à e un caleidoscopio di colori e

ombre sfocate scorreva al di là del vetro. Il rumore dei

tergicristal i era un lento metronomo sul parabrezza.

Dopo una decina di minuti, il sergente svoltò in una

via ancheggiata da bar, strip club e fastfood, tut i

il uminati e in piena at ività. Neon intermit enti si

ri et evano sul selciato, accendendo cartel i stradali,

automobili e taxi.

Un’o cina di autoricambi, un banco di pegni, un

negozio di liquori si contendevano i pochi metri

rimasti. Le vetrine erano buie e sbarrate contro il

rischio di furti e at i di vandalismo.

Uomini con il cappuccio del a felpa o del a giacca a

Uomini con il cappuccio del a felpa o del a giacca a

vento tirato su camminavano nei due sensi. Spal e

curve, testa bassa. Qua e là, fumatori indugiavano

al ’ingresso dei locali sopportando il vento e l’umidità

in cambio di una dose di nicotina.

Ol ie accostò al marciapiede di fronte a un edi cio

a due piani con la facciata di mat oni a vista e la

scrit a XXX STORE dipinta su un lato. Oltre al più vasto

assortimento del mondo di lm e immagini porno,

o riva peep show a venticinque cent, ventiquat r’ore

su ventiquat ro, set e giorni su set e.

«Qui, se hai i soldi, puoi soddisfare qualsiasi tuo

inconfessabile desiderio.» Abbracciò con un gesto lo

squal ido ambiente intorno a noi. «Droga, donne,

armi, ragazzini. Se cerchi un kil er, probabilmente

puoi trovare anche quel o.»

«Che ne diresti di Susan Forex?» sbot ai.

«Vediamo cosa si può fare.»

Premet e un tasto di chiamata rapida e si accostò il

telefono al ’orecchio.

Udi una voce al ’altro capo del a linea, ma non

riusci a distinguere le parole.

«Davanti al e tre X» disse Ol ie dopo vari secondi.

Pausa.

«Quanto tempo?»

Pausa.

«Novità sul a Ruben?»

Pausa.

«Novità sul a Ruben?»

Pausa.

«Chiamami appena la avvistate.»

Chiudendo il telefono di scat o, annunciò: «Buone

notizie. Per la Forex non è una serata particolarmente

fortunata».

Scendemmo tut i dal ’auto. Mentre il sergente faceva

scat are la chiusura centralizzata, in lai la giacca presa

al volo dal mio trol ey.

L’aria puzzava di frit o, benzina e asfalto bagnato.

Musica at utita proveniva dal ’edi cio al a nostra

destra e rimbombò fortissima quando uscì un cliente,

per smorzarsi di nuovo non appena la porta si

richiuse.

Ol ie ci condusse cinquanta metri più a nord, verso

un cubo d’intonaco che l’insegna identi cava come

Cowboy Lounge. La cowgirl al neon accanto al a

scrit a indossava solo un cappel o stile western.

«Lasciate parlare me.» La frecciata era rivolta a

Ryan. «Lei mi conosce. Non mi vede come una

minaccia.»

Ryan non replicò.

«Okay per te, detective?»

«Okay per me, sergente.»

Ol ie entrò, io lo segui , Ryan chiuse la la. Ci

fermammo oltre l’ingresso.

fermammo oltre l’ingresso.

La prima cosa che mi colpì fu l’odore, un mix

pestilenziale di birra stantia, sigaret e, erba,

disinfet ante e sudore umano. Il tanfo mi aggredì le

narici, mentre i miei occhi si abituavano al a

penombra.

A sinistra, porte a vento conducevano in un’altra

sala da cui proveniva il cozzo secco di pal e da

biliardo. Il bancone di legno era drit o davanti a noi,

con una serie di sgabel i e uno specchio decorato

dietro.

Un uomo in camicia a scacchi stava spil ando birra

da un rubinet o con una lunga manopola. Aveva nei in

faccia e occhi nervosi, che si posarono su di noi nel

preciso istante in cui comparimmo sul a soglia.

Una dozzina di tavoli scompagnati riempiva lo

spazio sul a destra e poster incorniciati tappezzavano

le pareti. Gene Autry, John Wayne, Cisco Kid.

Wil ie Nelson gemeva da un jukebox al di là dei

tavoli; accanto un pianoforte meccanico con il

coperchio solcato di crepe, la cassa un cimitero di

bruciature di sigaret a.

L’idea originaria, immaginai, doveva essere quel a

di un saloon del selvaggio West, ma il posto

somigliava al massimo a una cadente birreria di

Yuma. Con una pessima il uminazione.

La metà dei tavoli e tut i gli sgabel i erano occupati.

La clientela era per lo più maschile, prevalentemente

La clientela era per lo più maschile, prevalentemente

proletaria. Le poche donne presenti erano senza

dubbio in cerca di clienti: acconciature vistose,

tatuaggi, abiti fat i apposta per met ere in mostra la

mercanzia.

Una cameriera con bustino rosso e jeans taglia

cinquantadue, stret i come un laccio emostatico, si

aggirava con un vassoio. I capel i erano color amma,

il trucco dozzinale ed eccessivo.

Ol ie accennò con il capo a una donna alta,

spigolosa, a sinistra del bancone. «A quanto pare la

nostra amica è il meglio che passa il convento,

stasera.»

Osservai Susan Forex. Capel i lunghi e biondi, blusa

con coulisse portata in modo da scoprire una spal a.

Microgonna in jeans, cintura a fascia e décol eté a

spil o con cinturino al e caviglie completavano il look.

Stava chiacchierando con un tipo basso e grassoccio

con stivali da cowboy e un enorme Stetson in testa.

Lui beveva birra, lei sorseggiava quel o che mi parve

whisky on the rocks.

Chinandosi il più vicino possibile per quanto gli

consentiva il cappel o, l’uomo le bisbigliò qualcosa

al ’orecchio. Lei gli passò un’unghia laccata di rosso

sul ’avambraccio. Risero.

At raversammo il locale, i sensi al ’erta in caso di

pericolo.

Il barista vigilava; il suo sguardo rimbalzava da noi

Il barista vigilava; il suo sguardo rimbalzava da noi

al a porta, al a cameriera, ai tavoli, al e sue

ordinazioni.

Altre paia di occhi si spostarono nel a nostra

direzione. Ma la maggior parte degli avventori rimase

indif erente.

«Ciao, Susan.»

La Forex si voltò sentendo pronunciare il suo nome.

Al a vista di Ol ie, il buonumore l’abbandonò di

colpo.

«Amici tuoi?» Stetson ci scrutò, un sorriset o etilico

gli divideva in due il viso carnoso.

«Fila!» La donna liquidò il potenziale cliente con un

movimento sdegnoso del polso.

«Cara, tu e io dobbiamo…»

Si girò a guardarlo. «Levati dal e pal e.»

A Stetson si accartocciò la faccia per lo

sbigot imento, poi s’indurì quando si rese conto di

essere stato scaricato.

«E al ora pagati tu il tuo drink, troia!»

Con quel ’uscita particolarmente sofisticata, si spinse

giù dal o sgabel o. In piedi e con tut o il cappel o

arrivava forse al a mia altezza.

Quando non fu più a portata d’orecchio, e non fu

di cile, con Stompin’ Tom Connors che ora cantava

di un sabato sera a Sudbury, il sergente parlò.

di un sabato sera a Sudbury, il sergente parlò.

«Non siamo qui per importunarti, Foxy.»

La donna alzò gli occhi al cielo e accaval ò le

gambe. Una cosa abbastanza spet acolare.

Il barman si avvicinò di un tot, posando lo sguardo

su qualunque cosa tranne noi.

Ol ie andò subito al punto. «Hai denunciato la

scomparsa di Annaliese Ruben.»

La Forex s’immobilizzò. Preparandosi a ricevere una

cat iva notizia? A mentire per proteggere l’amica?

«Tut o okay, Foxy?» Il barman parlò alzando la voce

giusto di quel tanto per farsi sentire sopra la musica.

«Tut o okay, Tof er.»

«Sicura?»

«È sicura.» Ol ie gli mostrò il distintivo.

To er indietreggiò. D’un trat o era inda aratissimo

a strofinare il bancone.

Da vicino, notai che i capel i del a Forex erano scuri

al a radice. I denti, benché ingial iti, erano regolari e

perfet amente dirit i, a suggerire un’infanzia

abbastanza agiata da garantirle un apparecchio. La

pel e era liscia, il makeup applicato con maestria. Con

quel a luce avrebbe potuto avere trenta come

cinquant’anni.

«Pensiamo che la Ruben abbia vissuto in Québec

negli ultimi tre anni» continuò Ol ie. «Ora pare sia

tornata a Edmonton.»

tornata a Edmonton.»

«Bene. La stronzet a non mi ha pagato l’ultimo mese

di af it o.»

Mentre il sergente la interrogava, osservai due

uomini seduti ad alcuni sgabel i di distanza. A

giudicare dal loro linguaggio del corpo sembrava

stessero origliando.

Uno era grosso, con capel i neri e ribel i, occhiet i

scuri simili a chicchi d’uva passa; l’altro più piccolo,

con polsiere di cuoio su braccia tatuate a motivi da

galeot o.

«Andiamo, Foxy. Tu sai dov’è.» Ol ie pareva

inconsapevole del ’interesse che la nostra

conversazione stava at irando. «Ti ha telefonato,

giusto? Ti ha chiesto un posto in cui nascondersi.»

«A me piace la pioggia di primavera. E a te,

sergente?»

«O ha chiamato Scar?»

«Chi?»

«Lo sai di chi sto parlando.»

La Forex riprese il suo drink, fece mulinare il

ghiaccio. Notai che le dita avevano tanto di manicure

e niente macchie di nicotina.

«Dammi una mano, Foxy.»

«Lei era troppo giovane per vivere in strada. L’ho

presa con me. Non signi ca che abbia comprato i

dirit i del a storia del a sua vita.»

presa con me. Non signi ca che abbia comprato i

dirit i del a storia del a sua vita.»

La risposta non quadrava con quanto riferito dal

medico del pronto soccorso di Saint-Hyacinthe.

«Credevo non fosse poi così giovane» dissi.

Gli occhi del a donna migrarono verso di me. Per un

at imo non disse nul a, poi: «Bel a giacca».

«Annaliese Ruben ha dichiarato di avere ventiset e

anni» insistet i.

«Quel a ragazza aveva a malapena l’età per

depilarsi le gambe. Avrebbe dovuto essere a scuola.

Ma capisco perché non ci volesse andare.»

«Perché?»

Sbuf ò. «L’hai vista?»

«Solo in fotografia.»

«Al ora saprai che non vincerà mai America’s Next

Top Model.» La spal a nuda si sol evò, ricadde. «I

ragazzi possono essere cat ivi.»

Colsi di sfuggita Occhi-d’uva-passa che dava di

gomito al compare. Il viso di un verdognolo freddo

sot o la luce di un neon a forma di rana con la scrit a

PARTY TIME!

«Dove viveva Annaliese prima di trasferirsi da te?»

Ol ie sembrava ancora ignaro dei due al bancone.

Non Ryan. Girò la testa impercet ibilmente a

sinistra. Io annui .

«Per chi mi hai preso» sbot ò la donna, «per la sua

«Per chi mi hai preso» sbot ò la donna, «per la sua

amica di Facebook?»

«Perché la Ruben avrebbe mentito sul ’età?» chiesi.

«Oddio.» La Forex mi guardò sgranando gli occhi.

«Perché una ragazzina in fuga mentirebbe sul ’età?»

Giusta osservazione. Domanda stupida.

«In fuga da cosa?» Ol ie balzò su quel a mezza

ammissione.

«Mi venga un accidente se lo so.» Il tono chiarì che

non avrebbe commesso altri passi falsi.

«Ci piacerebbe trovarla prima» proseguì il sergente.

«Prima che si rivolga a Scar.»

«Mi senti quando parlo? È rimasta da me solo

alcuni mesi. La conoscevo appena.»

«Ti importava abbastanza da denunciarne la

scomparsa.»

«Non volevo rogne.»

«Ti conosco, Foxy. Annaliese non è l’unica ragazza

che hai preso con te.»

«Già, sono caritatevole come Madre Teresa.»

«Monique Santofer.» La voce di Ol ie suonava più

gentile. «Quanti anni aveva?»

Altra alzata di spal e.

«Cosa le è successo?»

«L’ho trovata strafat a no agli occhi e l’ho sbat uta

fuori.»

fuori.»

«È la tua politica? Niente droga?»

«Mia la casa, mie le regole.»

«Riproviamo. Dove viveva la Ruben prima di venire

da te?»

«Buckingham Palace.»

«Ha lasciato qualcosa?»

«Un mucchio di spazzatura.»

«Ce l’hai ancora?»

La Forex annuì.

«Forse avremo bisogno di passare a trovarti.» Il tono

di Ol ie era di nuovo quel o del poliziot o duro. «Non

ti dispiacerà, vero?»

«Mi dispiacerà eccome.»

«La vita riserva solo delusioni.» Sorriso.

«Hai un mandato?»

«Posso ot enerne uno.»

«Al ora fal o.»

«Ci puoi scommet ere.»

Lei socchiuse gli occhi. «Dietro questa storia c’è più

di quanto dici.»

«Abbiamo un problema di dif idenza, qui…»

«Disse il gat o al topo.»

«Squit, squit.» Ol ie strizzò l’occhio.

Senti la mia faccia storcersi nel a stessa smor a

Senti la mia faccia storcersi nel a stessa smor a

del ’interrogata.

Il sergente prese un bigliet o da visita dal

portafoglio. «Chiamami se hai notizie del a Ruben.»

La donna vuotò il bicchiere e lo sbat é troppo

rumorosamente sul bancone. «Merda.»

«Sei la migliore, Foxy.»

«Sono solo troppo vecchia per questo schifo.»

Quindi agguantò la borsa e uscì trabal ando sui

tacchi vertiginosi.

Voltandomi a metà, bisbigliai a Ol ie: «Hai la foto

segnaletica del a Ruben?».

Con uno sguardo privo di espressione, si tolse di

tasca la fotografia e me la diede.

Andai drit a da Occhi-d’uva-passa e dal suo amico.

Ryan e il sergente restarono a guardare.

«Non ho potuto fare a meno di notare un certo

interesse per la nostra conversazione.» Mostrai

l’immagine. «Conoscete per caso questa ragazza?»

I due sguardi rimasero fissi sul e birre.

«Vedete quel signore laggiù? È un poliziot o. Uno di

quel i troppo zelanti. Ci gode a pizzicare la gente…

Sapete, nel caso abbiate qualcosa da nascondere.

Crede nel ’ef icacia del ’azione preventiva.»

Occhi-d’uva-passa ruotò sul o sgabel o, spedendo

un’onda anomala di odore corporeo nel a mia

direzione. Sventolai la stampata. Lui la osservò di

un’onda anomala di odore corporeo nel a mia

direzione. Sventolai la stampata. Lui la osservò di

sfuggita.

«Forse lavorava in zona» spiegai.

«Facendo cosa? Vendeva ghiaccioli? Sembra un

fot uto camioncino dei gelati.» Sghignazzò

compiaciuto al a propria bat uta. «Tu che ne pensi,

Harp?»

L’altro represse una risatina. «È il furgone

del ’Algida sputato.»

«Per caso la riconoscete?»

«Io non riconosco i ghiaccioli, li succhio.» Sorriso

viscido. «E tu? Ce l’hai uno stecco piantato nel a

guancia? Così posso avere una presa migliore!»

Occhi-d’uva-passa non aveva la minima idea di cosa

lo stava per travolgere. Sfrecciandomi accanto, Ryan

gli arpionò la gola con un braccio, poi, con mossa

fulminea, gli torse il gomito verso l’alto e al ’indietro.

Più l’uomo si divincolava, più lui serrava la presa.

Harp schizzò verso la porta.

Tof er si mosse nel a nostra direzione.

«Non prendiamo decisioni af ret ate» ammonì Ol ie.

To er tenne la posizione, i pugni piantati sui

fianchi.

Alcuni clienti si avviarono al ’uscita, altri si

gustarono la scena fingendo di guardare altrove.

Il sergente si avvicinò, ma senza intervenire.

Il sergente si avvicinò, ma senza intervenire.

«Mi stai spezzando il braccio.» Occhi-d’uva-passa era

paonazzo.

«Chiedi scusa al a signora.»

«È lei che…»

Ryan aumentò la torsione.

«Porca put ana, al diavolo!»

«Sto esaurendo la pazienza.» Il suo tono signi cava

pericolo.

«’Fanculo. Mi dispiace.»

Ryan lasciò la presa.

L’uomo si accasciò in avanti, massaggiandosi la

spal a destra con movimenti circolari.

«Nome?» chiese Ryan.

«Chi cazzo lo vuol…»

«Io.» Puro acciaio.

«Shelby Hoch.»

«Questo è un buon inizio, Shelby.»

Mi fece segno di mostrare la fotogra a. Esegui .

Ol ie continuava ad assistere in silenzio.

«Cominciamo da capo» disse il detective. «Conosci

questa donna?»

«L’ho vista in giro.»

«Quando?»

«Ieri sera.»

«Ieri sera.»

«Dove?»

Hoch indicò con il pol ice la cameriera in jeans e

bustino rosso al e sue spal e.

«Usciva da un motel con la grassona.»

11

Ci voltammo tut i e tre contemporaneamente.

La cameriera, in piedi tra i tavoli, ci stava ssando.

Il volto pal ido, le labbra rosso geranio. Come spesso

avviene agli animali di grossa taglia, la paura la rese

velocissima. Sbat é a terra il vassoio e si ondò in

direzione di un’uscita a destra del bancone.

Ol ie, Ryan e io ci lanciammo al ’inseguimento.

La porta dava su un vicolo. Quando l’oltrepassai, la

donna era piegata in due, a annata per la breve corsa.

I ruoli del poliziot o cat ivo e di quel o buono furono

subito assegnati: Ol ie la teneva saldamente per il

braccio robusto, Ryan le poneva un palmo rassicurante

sul a schiena.

Adesso la pioggia cadeva sul serio, tamburel ando

sui bidoni del ’immondizia e sul e casset e impilate di

bot iglie vuote lì accanto.

bot iglie vuote lì accanto.

Trasportato dal vento, un sacchet o di plastica

fradicio sbatacchiava contro il retro del ’edi cio,

gonfiandosi e appiat endosi sui mat oni bagnati.

Aspet ammo che la donna riprendesse ato. Al a

luce rosata di un lampione, il suo corpo appariva

pal ido, so ce di grasso da fastfood. Intimo nero

spuntava dal a vita dei jeans superstrizzati.

Al a ne si tirò su. Ancora ansando, pescò un

pacchet o di Marlboro da una tasca posteriore, lo

scosse ed estrasse una sigaret a con le labbra.

Ryan tolse la mano. «Sta bene?»

Lei s lò dei cerini dal cel ophane, ne accese uno,

facendo schermo con la mano, e aspirò il fumo nei

polmoni, senza mai alzare gli occhi.

«Perché sei scappata, tesoro?» Ol ie, il cat ivo. «Hai

qualcosa da nascondere? Qualcosa di cui dovremmo

essere al corrente?»

Lei espirò, emet endo un pennacchio argentato da

ogni narice.

«Sto parlando con te.»

La punta del a sigaret a si arrossò di nuovo,

immergendo la faccia da clown in un morbido

bagliore arancione.

«Hai un problema di udito?»

Espirò ancora, poi, sempre con gli occhi bassi, but ò

il fiammifero.

Espirò ancora, poi, sempre con gli occhi bassi, but ò

il fiammifero.

«Okay, ora basta.» Il sergente si staccò le manet e

dal a cintura.

Il poliziot o buono levò un palmo a trat enerlo.

«Come si chiama, signora?»

«Phoenix.» Appena udibile.

«Posso chiederle il cognome?»

«Phoenix Mil er. Ma tut i mi conoscono solo come

Phoenix.»

«Una del e mie cit à preferite.»

«Già. Ho sentito che l’Arizona è molto bel a.»

«Sono il detective Ryan. Il mio rozzo amico, qui, è il

sergente Hasty.»

La Mil er bat é un colpet o sul a Marlboro con

l’unghia mordicchiata del pol ice. La cenere cadde e si

dissolse nel a pozza iridescente d’olio ai nostri piedi.

«Vorremmo porle un paio di domande.»

«Su cosa?»

«Un signore al bar dice di aver visto Annaliese

Ruben con lei ieri sera.»

«Shelby Hoch non è un signore. È una grandissima

testa di cazzo.»

«Grazie per l’approfondita analisi carat eriale.»

Ol ie, principe del sarcasmo. «Annaliese Ruben?»

«Perché la cercate?»

«Perché la cercate?»

«Sono il suo dentista e mi preoccupo del ’igiene

orale del a signora Ruben.»

«Non è vero!»

«Hoch sostiene di avervi viste uscire da un motel.

Dove sarebbe questo palazzo del piacere, gioia?»

Phoenix ssò la Marlboro come se potesse o rirle

consiglio. Le tremava tra le dita.

«La tua amica è ancora là?»

«Come faccio a saperlo?»

«Siete del o stesso giro…»

«Io ho smesso di bat ere.»

«Certo.» Ol ie sbu ò. «Hai smesso di calarti le

mutandine per venti sacchi e un po’ di roba.»

La bocca contornata di rosset o si aprì, ma non ne

uscì alcun suono. In quel a luce surreale, parve un

buco tondo e nero.

«Non ci interessa la sua vita privata» intervenne

Ryan. «Vogliamo solo trovare la Ruben.»

«Perché la state cercando? È nei guai?» Per la prima

volta Phoenix permise ai suoi occhi di incontrare

quel i di chi aveva di fronte.

«Vogliamo aiutarla.» Ryan sostenne lo sguardo del a

donna mentre aggirava la domanda.

«È solo una stupida ragazzina.»

«Che la dà via fuori dal Motel Spazzatura» disse

«Che la dà via fuori dal Motel Spazzatura» disse

Ol ie sarcastico.

«Te l’ho det o, non è così.»

«Com’è al ora?»

«Faccio le pulizie lì. Mi danno una stanza.»

Parlando, la Mil er continuava a guardare Ryan per

trovare un po’ di conforto.

«Abiti al motel?» chiese Ol ie.

Annuì.

«Quale?»

«Il Paradise Resort.»

«Sul a 111a?»

«Non mi met erete nei casini, vero? Ho bisogno di

quel a stanza.» Gli occhi del a donna correvano da

Ol ie a Ryan. «È un buon posto.»

«Annaliese è ancora lì?» domandò Ryan.

«Spero proprio di no. Le avevo det o che poteva

restare solo per una not e.»

«E il cane?» La domanda mi sfuggì di bocca prima

ancora che mi accorgessi di averla pensata. Era

un’ossessione!

Gli occhi carichi di mascara si spostarono su di me.

«Il signor Kalasnik, il proprietario, non consente di

tenere animali. Lei chi è?»

«Phoenix» intervenne Ryan, «come ha fat o la Ruben

a trovarla?»

a trovarla?»

«Lo sanno tut i che lavoro al Cowboy Lounge.»

«Perché si è rivolta a lei?»

«Non credo avesse molte alternative.»

«A chi altri potrebbe rivolgersi?»

«Non lo so.»

«Ha parenti a Edmonton?»

«Sono praticamente sicura che non sia di qui.»

«Di dov’è?» Ol ie.

«Non lo so.»

«Quando è arrivata a Edmonton?»

«Non lo so.»

«Lo ripeti spesso.»

«Non parlavamo del suo passato.»

«Però hai voluto salvarle le chiappe.»

«Mai det o questo.»

«Tu e Foxy siete proprio una bel a accoppiata.» Il

poliziot o cat ivo faceva del suo meglio per

punzecchiarla, sperando in una reazione esasperata

che fosse rivelatrice. «Santa Susan e Santa Phoenix.»

«Non sono certo una santa, ma l’ho visto succedere

troppe volte.» Phoenix scosse lentamente il capo. «Ne

ho n sopra i capel i di queste ragazzine che

dovrebbero pensare solo al ’algebra e ai brufoli… e

invece arrivano con l’autobus e niscono drit e sul a

strada.»

strada.»

Sapevo di cosa stava parlando. Ogni giorno

adolescenti di Spartanburg, Saint Jovite o Sacramento

approdano a Charlot e, a Montréal, a Los Angeles per

fare le model e o le rockstar, per sfuggire ad abusi,

povertà o semplicemente al a noia di casa. Ogni

giorno, i protet ori si fanno il giro del e stazioni in

cerca di zainet i e facce piene di speranza. Da

predatori quali sono, piombano su di loro o rendo

uno shooting fotogra co, un party, un pranzo al Taco

Bel .

E le ragazze per lo più niscono tossicodipendenti e

prostitute, i sogni hol ywoodiani trasformati in

infernali realtà di spacciatori e buchi quotidiani,

cel ulari del a polizia e protet ori.

Le più sfortunate arrivano al ’obitorio con i piedi in

avanti.

Ogni volta che ne vedo una impazzisco di rabbia,

ma con il tempo ho imparato ad accet arlo: per

quanto sdegno mi procuri un simile scempio, non

posso fermarlo. E tut avia non posso rimanere

indif erente. Mi addolora, lo farà sempre.

Tornai a concentrarmi su Phoenix.

«… passano tre anni. Mi dico che Annaliese è nita

uccisa da uno di quegli psicopatici che odiano le

donne oppure se n’è andata.» Si staccò un pezzet ino

di tabacco dal a lingua e lo scrol ò via, agitando il

dito. «E due giorni fa ricompare, con l’aspet o di una

dito. «E due giorni fa ricompare, con l’aspet o di una

appena investita da un treno, e mi chiede un posto in

cui dormire. Lasciarla per strada sarebbe stato come

get are carne cruda in pasto ai lupi. Se prenderla da

me è stato un crimine, arrestatemi.»

«È ancora al Paradise Resort?»

Alzò le spal e.

«Ad Annaliese serve un tipo d’aiuto che lei non le

può dare, Phoenix.» Ryan diede al concet o di sincerità

un nuovo significato.

«Il mio turno qui nisce al e due. Non posso

rinunciare al e mance.»

Il detective guardò Ol ie, il quale abbassò il mento.

«Ci dia solo il permesso di entrare nel a sua stanza»

disse, rivolto al a donna.

«E non porterete via niente?»

«Certo che no.»

«Al signor Kalasnik non piace il casino.»

«Non si accorgerà nemmeno del a nostra presenza,

glielo assicuro.»

Un clacson suonò, un altro gli rispose. Lungo il

vicolo, il sacchet o si liberò e salì descrivendo spirali

con un leggero schiocco.

Phoenix Mil er prese la sua decisione. Sganciò una

catenel a dal a bbia del a cintura, staccò una chiave e

la porse a Ryan.

la porse a Ryan.

«Numero 14. Drit o no in fondo. Questa lasciatela

pure in camera: io ne ho un’altra.»

«Grazie.» Al sorriso del detective mancava tanto così

per diventare pretesco.

«Non fatele del male.»

La Marlboro at errò sul ’asfalto bagnato in una

pioggia di scintil e. Phoenix la pestò con il tacco di

uno stivale.

Per anni Edmonton ha detenuto il triste primato del

più alto tasso di omicidi tra le grandi cit à del Canada.

Nel 2010 è slit ata al terzo posto. Percorrendo le vie

buie del capoluogo, mi domandai se quel calo di

rendimento avesse spinto i cit adini a met ere in

discussione il nomignolo u ciale di Cit à dei

Campioni.

En route verso il Paradise Resort, parlammo di

Susan Forex. O per lo meno ci provammo. Gli uomini

più che altro si beccarono a vicenda.

«È reticente» disse Ryan.

«Gesù. E perché mai dovrebbe?»

«Starà scrivendo le sue memorie. Uno spoiler

potrebbe rovinarle l’uscita del libro.»

«Si sta parando il culo» ribat é Ol ie.

«Ma è così semplice?» domandai.

«Cosa significa?»

«Cosa significa?»

Di preciso non lo sapevo nemmeno io. Ci pensai un

momento. Non fu d’aiuto.

«Susan Forex e Phoenix Mil er hanno tentato

entrambe di proteggere Annaliese Ruben» osservai.

«Forse ammiravano il suo cuore di mamma.» Il tono

di Ryan era acido.

«Anche le put ane odiano chi ammazza i bambini.»

Stesso concet o espresso in stile Ol ie.

«Al ora perché aiutarla?» ribat ei.

A questa domanda nessuno di noi era in grado di

rispondere.

«Puoi davvero ot enere un mandato per la casa del a

Forex?» chiesi al sergente.

Lui scosse il capo. «Le probabilità sono scarse.

Dovrei convincere un giudice che ritengo di poterci

trovare Annaliese Ruben, una fuggitiva ogget o di

indagini per reati gravi in Québec, e che non abbiamo

il tempo per ot enere un mandato dal a Bel e

Province.»

L’edi cio in cui abitava Phoenix Mil er era un a are

di due piani a forma di L, con passaggi esterni che

costeggiavano forse una trentina di stanze. Un’enorme

insegna proclamava PARADISE RESORT MOTEL in carat eri

alti un chilometro; una freccia lampeggiante

indirizzava i futuri clienti a una veranda coperta. Qui,

accanto al a porta degli u ci, c’erano lussuose oriere

indirizzava i futuri clienti a una veranda coperta. Qui,

accanto al a porta degli u ci, c’erano lussuose oriere

con dentro piante morte.

Evidentemente, il posto non era proprio il paradiso

promesso dal nome. TOPAIA SCHIFOSA sarebbe parso

molto più azzeccato.

Poche automobili e pick-up occupavano uno

spiazzo di cemento davanti al ’edi cio. Sul a sinistra,

oltre i veicoli, c’erano vari camper e un grosso

camion.

Nel a maggior parte dei motel si esiterebbe a dare il

via a un’incursione al ’una di not e. Il Paradise Resort

non poneva problemi: luci spente negli u ci, niente

sicurezza, non un’anima viva al ’orizzonte.

In auto calò il silenzio, mentre Ol ie costeggiava la

L. La camera 14 era al termine del braccio tangente

al a 111a, l’ingresso nascosto da una scala in ferro e

cemento che saliva al secondo piano. Nessun mezzo

era parcheggiato davanti al ’unità adiacente.

Ol ie spense i fari e, dopo essere entrato nel

posteggio del a 13, il motore.

Scendemmo dal a macchina e chiudemmo

silenziosamente le portiere.

Da un ristorante messicano dal ’altra parte di una

stradina secondaria, a una cinquantina di metri dal

motel arrivava del a musica. Il tra co sibilava in un

flusso continuo sul a Highway 16.

Ci avvicinammo in la indiana al a camera del a

Ci avvicinammo in la indiana al a camera del a

Mil er. Ol ie si posizionò a un lato del ’ingresso; Ryan

al ’altro, facendomi segno di appostarmi dietro di lui.

Non notai luci sot o la porta o le tende, né il

baluginio azzurro di un televisore acceso.

Ol ie bussò con le nocche per annunciare la nostra

presenza.

Nessuna risposta.

Bussò ancora.

Niente.

Bat é con la base del palmo.

Solo mariachi e il sibilo dei veicoli.

Ryan fece un passo avanti e inserì la chiave.

12

La stanza era buia e silenziosa.

Ci fermammo tut i e tre, tentando di cogliere i

segnali di una presenza umana. Il mio naso captò

disinfet ante e il deodorante per ambienti aroma

Pioggerel a sul prato che usavo anch’io a casa.

Accanto a me, senti Ryan tastare la parete. Scat ò

un interrut ore e una luce gial astra si di use dal a

plafoniera sul so t o, che fungeva da luogo di

sepoltura per inset i defunti.

La camera 14 era grosso modo del e dimensioni

del a mia vasca da bagno, con pareti color pesca e un

sot ile tappeto marrone disseminato di macchie e

bruciature di sigaret a.

Il mio sguardo la percorse in senso orario.

Al a nostra sinistra, una trabal ante scrivania reggeva

un vecchio televisore con l’antenna avvolta nel a

Al a nostra sinistra, una trabal ante scrivania reggeva

un vecchio televisore con l’antenna avvolta nel a

stagnola. Dietro la scrivania, su uno stender di metal o

al oggiava una col ezione di abiti di poco prezzo,

alcuni sul e grucce, altri ammucchiati sul e mensole

sot ostanti.

Il let o era di fronte al a porta, rifat o al a

perfezione, «impreziosito» da un coprilet o a motivi

oreali rossi e bianchi, probabilmente un saldo da

grande magazzino. Un piccolo plaid rosso ret angolare

era accuratamente piegato sopra ognuno dei due

cuscini.

Vicino al let o, una lampada di plastica rossa

sormontava un tavolino bianco anch’esso in plastica,

nel ’angolo. Sopra la testata, ssata al muro, una

stampa incorniciata raf igurava una ciotola di tulipani.

Sul a destra c’era una porta chiusa (il bagno,

presumevo) e accanto, nel ’altro angolo, un vano

incassato conteneva un microonde, un fornel et o

elet rico e un minifrigo.

Un set tavolo-e-due-sedie in plastica bianca era

posizionato sot o l’unica

nestra, a destra

del ’ingresso. Cactus in miniatura riempivano un vaso

in ceramica al centro del tavolo. Su ciascuna del e due

sedie era posato un cuscino rosso.

Mi si strinse il cuore. Benché l’arredamento fosse

misero e a buon mercato, una mano premurosa si era

sforzata di migliorare le cose: i cuscini e il coprilet o

coordinati, la lampada, i mobili in plastica, le

coordinati, la lampada, i mobili in plastica, le

piantine… Phoenix Mil er guadagnava a stento di che

campare, ma aveva fat o il possibile per vivacizzare

quel minuscolo ambiente deprimente.

«Annaliese Ruben?» chiamò Ol ie.

Niente.

«Signora Ruben?»

Nessuna risposta. Non un movimento.

Ryan e io ci piazzammo a un lato del a porta ancora

chiusa, Ol ie al ’altro. Il sergente al ungò una mano e

ruotò il pomel o.

Il bagno era angusto in modo impossibile, i sanitari

stipati in uno spazio poco più grande di un

ripostiglio: aprendo la porta si bloccava l’accesso al a

vasca da bagno.

Cosmetici e prodot i da toilet e erano disposti in fila

dietro al WC. Una camicia da not e rosa pendeva da un

gancio lì accanto. Asciugamani rossi e bianchi erano

appesi con cura a colori alterni su una sbarra ssata

al a parete. La tenda del a doccia in plastica era,

ovviamente, rossa.

Le mat onel e lucidissime, lo specchio e il lavandino

immacolati…

«Una signora ordinata.» Le parole di Ol ie

suonavano venate di disprezzo.

«Fa ciò che può per rendere questo posto una casa»

ribat ei.

«Fa ciò che può per rendere questo posto una casa»

ribat ei.

«Una bel a fatica in un cesso simile.»

Aprì l’armadiet o dei medicinali e cominciò a

rovistare. Quel gesto poco rispet oso mi irritò.

«Siamo venuti a cercare Annaliese Ruben. Non c’è.

Andiamo via.»

«Hai fret a?»

«La Mil er non ci interessa: non c’è motivo per

invadere la sua privacy.»

Mi rivolse un sorriso esasperato, ma dopo un istante

richiuse l’anta.

Mentre tornavo nel a stanza, senti che scostava da

una parte le tende del a doccia.

«E adesso?» gli chiesi, quando mi raggiunse.

Control ò il suo cel ulare e, apparentemente, non vi

trovò nul a d’interessante.

«Direi che possiamo farci qualche ora di sonno. Nel

frat empo met erò sot o sorveglianza questo posto e

Phoenix Mil er.»

«Qualcuno dovrebbe interrogare gli occupanti del e

altre camere e parlare con il proprietario» suggerì

Ryan.

«Oh! A questo non avevo pensato, detective.»

Ryan contrasse la mascel a, ma non replicò.

Ol ie si avvicinò al o stender, frugò tra gli abiti

appesi, smosse quel i piegati con la punta del piede,

appesi, smosse quel i piegati con la punta del piede,

poi si mise in ginocchio a guardare sot o il let o.

«Non control i dentro il microonde?» Ryan sbat é le

chiavi del a stanza sul a scrivania.

Il sergente ignorò il sarcasmo. «Andiamo.»

E uscimmo.

Al Best Western, Ryan lasciò il nome al a reception

e scomparve.

«Ti accompagno no in camera» annunciò Ol ie,

quando ebbi ritirato la mia chiave.

«No, grazie.»

«Insisto.»

«Lascia perdere.»

«È una cit à pericolosa.»

«Sono al ’interno di un hotel.»

Per tut a risposta, sol evò il manico del mio trol ey.

Al ungai una mano, ma lui lo inclinò in posizione di

traino e mi fece segno di procedere.

Seccata, mi avviai at raverso l’immensa hal ; le

rotel e cigolavano sul pavimento piastrel ato dietro di

me.Apri la serratura in un silenzio glaciale.

«Ci vediamo domat ina al e ot o» disse Ol ie.

«Chiama, se ci sono novità.»

«Chiama, se ci sono novità.»

«Sissignora.»

Non accennava a mol are il trol ey. Gli strappai di

mano l’impugnatura, arretrai di due passi e sbat ei la

porta.

La stanza era il model o classico del e stanze

d’albergo nordamericane: let o king-size, comò,

scrivania, sedia imbot ita. Lenzuola e tende

coordinate. A ciascuna parete era appesa una stampa

incorniciata.

Anche se il décor non avrebbe mai ispirato la

copertina di «Architectural Digest», il posto era anni

luce più su rispet o al Paradise Resort.

Non che facesse di erenza. Una rapida lavata di

faccia, una spazzolata ai denti ed ero KO.

Qualche minuto dopo, l’inno nazionale irlandese mi

svegliò di soprassalto. Tesi una mano verso il

comodino, ma i ragazzi continuarono a cantare anche

quando l’iPhone at errò sul a moquet e.

Annaspando nel buio, trovai il telefono e pigiai il

tasto di ricezione.

«Brennan» risposi cercando di sembrare sveglia.

Inutile, visto che era not e fonda.

«Spero di non averla svegliata…» Era una donna e

parlava francese. «Sono Simone Annoux.»

Il mio cervel o semicosciente frugò in cerca di quel

nome. Ne uscì a mani vuote.

nome. Ne uscì a mani vuote.

«Sezione DNA.»

«Ma certo! Simone. Che succede?»

Mentre inserivo il vivavoce, notai le cifre sul

display: le 6.20 (le 8.20 a Montréal). Avevo dormito

quasi quat ro ore. Mi sdraiai di nuovo e mi piazzai il

telefono sul pet o.

«Ci ha fat o avere dei campioni relativi a un caso di

morte infantile a Saint-Hyacinthe? Quando ne

abbiamo parlato, ha det o che voleva stabilire

l’identità?»

Simone è una donnina minuscola dai capel i color

carota, con occhiali spessi e la capacità di imporsi di

un moscerino. L’eccessiva timidezza la spinge a

formulare quasi tut e le sue af ermazioni con il tono di

una domanda. La trovo una cosa profondamente

irritante.

«Sì.»

«Abbiamo tentato un approccio un po’ controverso.

Non è un problema, spero?»

«Controverso?»

«Ho pensato che volesse esserne informata?»

«Cosa avete tentato, Simone?»

«Conosce l’ABG?»

«L’aeroporto Ben Gurion?»

«Ascendenza biogeografica.»

«Ascendenza biogeografica.»

«Tony Frudakis» ricordai.

«Sì, e altri. Per quanto, credo, il dot or Frudakis ha

abbandonato questo filone di ricerca?»

Nei primi anni Duemila, a Baton Rouge in

Louisiana, erano state uccise un certo numero di

donne. Sul a base di un pro lo fornito dal ’FBI e dal a

dichiarazione di un unico testimone oculare, gli

investigatori avevano orientato le ricerche su un

giovane maschio bianco. Senza successo. Non sapendo

quali pesci pigliare, si erano rivolti a un biologo

molecolare, Tony Frudakis.

Al ’epoca, il DNA prelevato dal a vit ima o dal a

scena di un crimine poteva essere utilizzato solo per

confrontarlo con i campioni contenuti nel CODIS, il

Combined DNA Index System, un database che conta

circa cinque milioni di pro li. Avendo un campione,

in assenza di indiziati, era possibile inserirlo nel a

banca dati per ricercare una corrispondenza.

I l CODIS, dunque, è utile per col egare sospet i

sconosciuti a individui già schedati, ma non è in grado

di predire l’ascendenza o le carat eristiche siche. E

non a caso. Quando il National DNA Advisory Board, la

Commissione consultiva nazionale sul DNA, ha

selezionato i marker genetici – le sequenze di DNA con

col ocazione nota sui cromosomi – da usare nel

sistema, ha escluso di proposito quel i associati a trat i

sici od origini geogra che, per non rischiare di

sistema, ha escluso di proposito quel i associati a trat i

sici od origini geogra che, per non rischiare di

o endere qualche gruppo etnico. No comment su un

ragionamento politico di tal genere.

Il DNAWitness, il test che Frudakis mise a punto e

usò nel caso di Baton Rouge, utilizzava invece una

serie di marker selezionati proprio perché fornivano

informazioni sul e carat eristiche siche. Alcuni si

trovano principalmente in individui con radici indo-

europee, altri per lo più in sogget i con un’ascendenza

africana, nativa americana o asiatica meridionale.

Al a task force creata in Louisiana per far luce sugli

omicidi, il biologo comunicò che l’esecutore degli

stessi era per l’ot antacinque per cento subsahariano e

per il quindici per cento nativo americano. Il serial

kil er di Baton Rouge, col egato dal DNA a set e

vit ime, risultò quindi essere un trentaquat renne di

origine africana di nome Derrick Todd Lee.

«… La distribuzione di questi marker genetici è stata

associata a vaste aree geogra che. Quindi, ascendenza

biogeogra ca e impiego dei marcatori sono

de nitivamente riconosciuti come un aspet o

importante nel a determinazione del a razza, ma

occorre tenere presente che la varietà di tali marker è

stata complicata, con il trascorrere dei mil enni, da

eventi storici, migrazioni eccetera.»

Mentre pensavo a Frudakis, la Annoux era entrata in

modalità conferenza. Quando trat ava argomenti

scientifici, non si captavano punti di domanda.

modalità conferenza. Quando trat ava argomenti

scientifici, non si captavano punti di domanda.

«La gente si sposta» commentai.

«Già. Secondo i paleontologi tut i gli esseri umani

moderni

discendono

da

popolazioni

che

abbandonarono l’Africa circa duecentomila anni fa.

Dapprima si stanziarono nel a Mezzaluna Fertile, poi,

gradualmente, alcuni gruppi si dispersero in ogni

direzione e, al a ne, alcuni varcarono lo Stret o di

Bering, per giungere in America. Con la distanza

venne l’isolamento riprodut ivo, che diede luogo al a

dif erenza tra i pool genetici.»

«Cosa c’entra tut o ciò con la bambina?» Era troppo

presto per discutere di biologia molecolare evolutiva.

«I marker del ’ABG possono essere usati per stabilire

quale percentuale del DNA di un individuo è condivisa

con africani, europei, asiatici o nativi americani. La

tecnica è stata impiegata in numerose indagini penali

di primaria importanza. Le spiego come funziona?»

«In breve.»

«Il test ricerca la presenza di 175 SNP det i, appunto,

marker informativi sul ’ascendenza o AIM. Mi segue?»

U n SNP, polimor smo a singolo nucleotide, è una

variazione di sequenza di DNA in cui cambia una

singola base tra i membri di una specie o tra

cromosomi accoppiati in un individuo. In termini

supersempli cati, signi ca che ci sono molteplici

forme di un «gene». Nel genoma umano sono stati

supersempli cati, signi ca che ci sono molteplici

forme di un «gene». Nel genoma umano sono stati

catalogati milioni di SNP; alcuni sono responsabili

del e malat ie, come gli eritrociti falciformi, altri sono

variazioni normali.

«Sì» dissi.

«Rispet o ad altre specie animali, la varietà genetica

esibita dal ’Homo sapiens è minuscola. Ciò perché i

nostri legami comuni sono assai recenti. Siamo

identici al 99,9 per cento, ma è quel piccolo 0,1 per

cento che ci rende unici.»

Il cel ulare emise una serie di bip. Guardai il

display: Ol ie. Di già? Benché curiosa, premet i Ignora.

«… secondo Frudakis, e altri concordano, circa l’uno

per cento di quel o 0,1 di erisce in funzione del a

nostra storia. Il suo metodo scava in questo 0,001 per

cento, al ne di trovare le di erenze carat eristiche

che determinano l’ascendenza genetica. Oggi, varie

società svolgono questo tipo di analisi, alcune a scopi

genealogici, altre al servizio del e indagini forensi. La

Sorenson Forensics ha un programma chiamato

LEADSM. Ci lavora una mia carissima amica…»

«Avete confrontato i marker genetici del a bambina

di Saint-Hyacinthe con quel i individuati in speci che

popolazioni di riferimento?» Ero impaziente di

concludere la telefonata per richiamare Ol ie.

«Sì? I risultati inducono a ritenere che sia per il 72

per cento indigena americana e per il 28 per cento

per cento indigena americana e per il 28 per cento

europea occidentale.»

Questo destò la mia at enzione.

«I genitori del a bambina sono aborigeni?»

«L’uno o l’altro si potrebbero classi care tali. La

razza è un aspet o assai complesso da…»

«Grazie infinite, Simone. Questo è davvero di grande

aiuto. Mi scusi, devo prendere un’altra telefonata.»

Chiusi la comunicazione e feci il numero di Ol ie.

Rispose al primo squil o.

«Sono Brennan. Hai chiamato?»

«Buongiorno, stel a splendente. Scusami se ti ho

svegliata.»

«Ero già sveglia.» Gli riferi del resoconto del a

Annoux. «L’approccio è un filo controverso.»

«Perché?»

«Profiling razziale del DNA?»

«Giusto. E così la Ruben è indiana.»

«Nativa americana. Lei, o il padre del a bambina.»

«O tut i e due.»

«Sì. Comunque, cosa volevi?»

«Ho buone notizie.»

«Avete rintracciato Annaliese?»

«Be’, non così buone. Ho ricevuto una chiamata da

Susan Forex. È scontentissima del a sua nuova

coinquilina e vuole farla sloggiare.»

Susan Forex. È scontentissima del a sua nuova

coinquilina e vuole farla sloggiare.»

«Perché non la sbat e semplicemente fuori?»

«La signorina rifiuta di muoversi.»

Al a fine af errai l’implicazione.

«Meglio di un mandato» dissi.

«Meglio di un mandato» ripeté lui.

13

Al a ne del Diciot esimo secolo, spronata dal a

concorrenza nel commercio del e pel icce, la Hudson’s

Bay Company si era espansa a ovest al ’interno del

territorio canadese, impiantando una serie di

avamposti lungo i umi principali. Uno fu costruito

sul North Saskatchewan, nel punto in cui sorge

l’odierna Edmonton. La cit à ebbe anche un ruolo

nel a corsa al ’oro del Klondike, nel ’ultima decade

del ’Ot ocento, e nel boom petrolifero seguito al a

Seconda guerra mondiale.

Oggi, Edmonton è la capitale del a provincia

del ’Alberta. Vanta un imponente palazzo del governo,

un’università, un conservatorio, un museo di storia

naturale e una miriade di parchi e giardini.

Queste at razioni richiamano migliaia di turisti, ma

nul a può competere con il suo immenso centro

nul a può competere con il suo immenso centro

commerciale.

Con oltre 560.000 metri quadrati e più di ot ocento

negozi, il West Edmonton Mal è il più grande di tut a

l’America Set entrionale, il quinto al mondo. Il

colosso, però, non è consacrato unicamente al o

shopping: l’area comprende anche un gigantesco

parco acquatico, un lago arti ciale, una pista di

pat inaggio,

due

minigolf,

ventuno

sale

cinematogra che, un parco dei divertimenti e altre

innumerevoli amenità.

Susan Forex viveva a un tiro di schioppo da lì.

Ol ie, Ryan e io parcheggiammo nel quartiere al e

7.45. Facemmo colazione in auto con ca è e

ciambel e comprati dal sergente. Quel e al a

marmel ata non erano di mio gusto e mi ondai senza

pudore sul e tre ricoperte di cioccolato.

Strafat a di zuccheri e di ca eina, diedi un’occhiata

intorno.

Le case erano addossate una al ’altra, alcune con

grandi verande sul davanti, altre con poco più di un

portichet o. Ciascuna aveva un’aiuola o qualche

arbusto a nascondere le fondamenta, e un fazzolet o di

prato che arrivava al marciapiede. Qua e là c’era una

biciclet a o un trat orino a pedali abbandonato

sul ’erba.

Ol ie accostò al cordolo, davanti a un’abitazione di

due piani rivestita di assicel e grigie e persiane nere. I

due piani rivestita di assicel e grigie e persiane nere. I

gradini d’ingresso erano sul a sinistra e una veranda

coperta costeggiava l’intera facciata.

«Molto stile Famiglia Brady» commentò il sergente.

Non potevo dargli torto. L’ambiente non era quel o

che ci si sarebbe aspet ati.

«La bel a signora ama staccare completamente dal

lavoro» aggiunse.

«Come tut i» replicò Ryan.

«Scommet o che i vicini non sospet ano nemmeno

cosa fa per campare.»

«Tu parli di lavoro con chi sta dal ’altra parte del a

siepe?» Il tono di Ryan era neutro.

«Io abito in un condominio.»

«Hai capito cosa intendo.»

«Il mio mestiere non è succhiare cazzi in un vicolo.»

«Mon dieu, ci mancava proprio un po’ di sano

moralismo.»

«Be’, magari la Forex organizza il picnic annuale del

quartiere.»

«Perché no?»

«Solo se si tiene di giorno, però.»

«I vantaggi del lavoro autonomo: gestire i propri

orari.»

«Una bel a immagine. Susan e la sua banda di

put ane che servono l’insalata di cavolo.»

put ane che servono l’insalata di cavolo.»

Quel bot a e risposta al vetriolo mi aveva stufata.

«Cosa sappiamo del a nuova inquilina?»

«Si chiama Aurora Devereaux. È nuova del a cit à e

finora è riuscita a non dare nel ’occhio.»

«Hai control ato il nome?» chiese Ryan.

Ol ie si mol ò una pacca sul a fronte. «Perché non ci

ho pensato?»

«Sei proprio una testa di cazzo.» Le parole del

detective erano puro ghiaccio.

Basta!

«Ragazzi, la mia pazienza ha un limite a voi ora

state esagerando.» Inceneri con lo sguardo prima uno,

seduto al volante, poi l’altro, sul sedile posteriore.

«Non so quale sia il vostro problema, ma avete

bisogno di abbassare un bel po’ la cresta tut i e due.»

Ol ie articolò senza suono la parola «ormoni».

Riusci a trat enermi dal ’impel ente desiderio di

mol argli uno schia o e riportai la conversazione su

Aurora Devereaux.

«È un’identità nuova di zecca, una tra tante. Il vero

nome del a signora è Norma Devlin, ventidue anni, di

Calgary, arrivata a Edmonton quat ro mesi fa. Il

dipartimento di polizia di Calgary ci ha riferito che la

sua fedina è piut osto sporca, ma per lo più si trat a di

reati minorili, dunque non accessibili senza un

mandato. Roba da niente: taccheggio, adescamento,

mandato. Roba da niente: taccheggio, adescamento,

disturbo del a quiete pubblica. Un sacco di libertà

vigilata, non un giorno di prigione.»

«Qualunque cosa la Devereaux abbia fat o per

scatenare le ire del a sua padrona di casa» dissi, «non

è stata prostituzione.»

«No.» Ol ie sganciò la cintura di sicurezza.

«Andiamo a sfrat arla.»

Susan Forex rispose al campanel o in tre secondi.

Indossava jeans e una camicet a azzurra di cotone

fuori dai pantaloni. Con i capel i raccolti e senza

makeup, dimostrava parecchi anni in più. E aveva

l’aria stanca. Sembrava anche aver appena

accompagnato il figlio agli al enamenti di calcio.

«Ce ne avete messo di tempo» commentò in un

bisbiglio.

«Buongiorno, Foxy. Noi stiamo bene, grazie. E tu?»

Gli occhi di lei scavalcarono Ol ie e perlustrarono

rapidamente la strada. Tenendo la porta spalancata, si

fece da parte.

«Ci stai invitando a entrare?» Il sergente voleva una

richiesta esplicita.

«Sì» sibilò.

«Tut i?»

«Sì.» Con un brusco gesto del a mano ci indicò di

seguirla.

Ol ie per primo, poi Ryan, poi la sot oscrit a e la

Ol ie per primo, poi Ryan, poi la sot oscrit a e la

donna si af ret ò a richiudere la porta.

Mi guardai intorno.

Eravamo in un salot o dal ’arredamento barocco, che

proseguiva con una sala da pranzo ammobiliata nel o

stesso stile, formando una L. Roba scura, scolpita,

simile a quel a che ricordavo a casa di mia nonna. La

moquet e era color muschio, il divano a strisce

acquamarina e verdi, le sedie dal o schienale alto di

una tonalità di turchese che non si sposava per niente

con il resto.

Al a nostra sinistra saliva una scalinata: due gradini,

un pianerot olo, poi curva a destra e su no al

secondo piano.

Le solite fotogra e di bebè, laureati e spose

tappezzavano il muro sopra la ringhiera.

Drit o davanti a noi c’era la cucina. In una

rientranza vidi un Mac con un foglio di calcolo aperto

sul o schermo; libri contabili e stampate riempivano il

piano di lavoro su entrambi i lati; raccoglitori

af ol avano una mensola.

Anche Ol ie osservava la postazione.

«Stai facendo le buste paga?» chiese.

«Tengo la contabilità a un paio di aziende. Tut o

perfet amente legale.»

«È questo che racconti ai vicini? Credono tu sia una

ragioniera?»

ragioniera?»

«Cosa racconto ai vicini non sono af ari tuoi.»

«Hai molti talenti, Foxy. Perché ridursi a fare la

prostituta?» Il sergente pareva sinceramente

incuriosito.

«Perché mi piace.» Sul a difensiva. «Ora, vorreste

sbat ere fuori quel a stronza da casa mia?»

«Dimmi perché la vuoi cacciare.»

«Perché? Te lo dico io perché. L’ho presa sot o il

mio tet o e lei ha tradito la mia fiducia.»

«Aurora Devereaux.»

«Sì. Le ho aperto la mia porta. E a una cifra

ridicola.»

«Non paga l’af it o?»

«Non è questo il motivo. Le regole erano chiare: se

vuoi stare da me, devi essere come Doris Day. Niente

uomini, niente alcol, niente droga.» Il volto si faceva

più rosso a ogni parola. «E lei come mi ha

ringraziato? Pippava coca tut e le sere. Fosse capitato

una volta sola, avrei potuto chiudere un occhio… tut i

commet iamo degli errori. Ma la signorina lassù è

tossica pesante. E viene a sni are qui, sot o il mio

tet o. O a bucarsi o dio solo sa cosa.»

Ol ie tentò di in lare una domanda, ma lei era un

fiume in piena.

«Torno dal Cowboy Lounge e sapete come la trovo?

Seduta a chiappe nude nel cortile sul retro.» Un

«Torno dal Cowboy Lounge e sapete come la trovo?

Seduta a chiappe nude nel cortile sul retro.» Un

palmo at errò sul cotone azzurro del a camicet a.

«Cantando! Al e fot utissime due di not e, si met e a

fare lo strip karaoke fuori da casa mia!»

«Cantando cosa?» domandò Ol ie.

«Eh?» Stanchezza e frustrazione cominciavano a

renderle la voce stridula.

«Mi chiedevo solo quale fosse il suo repertorio.»

La testa del a Forex si sporse in avanti,

evidenziando la tensione dei tendini del col o. «Che

diavolo di dif erenza fa?»

«Io vado sempre di Fat Bot omed girls.»

La donna but ò in aria le mani agitandole. «She

fucking hates me.»

Ol ie non colse. «Dovresti avere più pelo sul o

stomaco, Foxy.»

«Puddle of Mudd» dissi io.

Tre facce si voltarono contemporaneamente nel a

mia direzione.

«Sono di Kansas City. Credo che la canzone si

intitoli ef et ivamente She hates me.»

«Ma voi tre ci siete o ci fate?» La Forex sembrava

sul ’orlo di una crisi di nervi. «Ho una malata di

mente che si denuda sul mio prato e voi vi met ete a

giocare a “indovina il motivo”?»

Lanciai un’occhiata a Ryan. Benché distogliesse lo

Lanciai un’occhiata a Ryan. Benché distogliesse lo

sguardo, notai l’ombra di un sorriso increspargli le

labbra.

«Hai chiesto al a Devereaux di andarsene?» Di colpo

Ol ie era tornato a essere professionale.

«Subito dopo averle ordinato di coprire il suo

culone pal ido. Lei mi ha insultata, ha sbat uto la

porta del a sua stanza e si è chiusa dentro. Per questo

vi ho chiamati.»

«È ancora là?»

«La porta è chiusa.»

«Non hai una chiave di scorta?»

«Sì, ma non mi azzardo certo a entrare. La mia

faccia mi piace così.»

«Okay. Ecco cosa facciamo. Mentre noi sbat iamo

fuori la Devereaux, tu sparisci. Niente commenti,

niente interferenze, niente di niente.»

«Quel ’ingrata…»

«Vuoi che ce ne andiamo?» Ol ie si voltò verso la

porta.

«Okay, okay.» La Forex lo a errò per un braccio.

«La sua stanza è sul retro, sopra i garage.»

«È la stessa in cui dormiva Annaliese Ruben?»

«Sì, sì. Capito. Nessuno fa niente per niente.» Prese

una chiave dal casset o del tavolino a lato del divano e

la consegnò a Ol ie. «Non c’è nessun bisogno di

rivoltare il posto: le cose di Annaliese sono tut e in un

rivoltare il posto: le cose di Annaliese sono tut e in un

borsone dentro il guardaroba.»

Ci accompagnò in cucina, a una porta di servizio

che dava su un piccolo riquadro asfaltato e un

giardinet o ben tenuto.

«La Devereaux possiede un’arma da fuoco?» Erano

le prime parole che Ryan pronunciava da quando

eravamo entrati in casa.

«Non che io sappia. È contro le mie regole, ma che

cacchio… Sua altezza le ignora.»

Mentre uscivamo in la indiana, la Forex ci gridò

dietro: «Occhio! Se è in down sarà più velenosa di un

serpente».

Le auto accedevano ai garage da un vialet o

carrabile, i pedoni da una porticina sul lato di fronte

al a casa. Seguimmo un passaggio lastricato no a

quest’ultima.

Era aperta, perciò entrammo. L’interno puzzava di

olio e benzina, con un accenno di spazzatura

marcescente.

Una Honda Civic metal izzata occupava gran parte

del o spazio. I soliti utensili da giardino, bidoni per la

raccolta di erenziata e spazzatura ancheggiavano le

pareti.

Drit o davanti a noi, oltre un minuscolo deposito,

una rampa di scale portava al secondo piano.

Salimmo senza fare rumore.

Salimmo senza fare rumore.

Di sopra, ci piazzammo di nuovo ai lati del a porta,

quindi Ol ie bussò con le nocche.

«Signorina Devereaux?»

Nessuna risposta.

«Aurora Devereaux?»

«Va’ al diavolo.» Una voce at utita e biascicata.

«È la polizia. Apra.»

«Andatevene.»

«Non è proprio possibile.»

«Non sono vestita.»

«Aspet iamo.»

«Se volete guardarmi le tet e fanno venti dol ari.»

«Si vesta, la prego.»

«Avete un mandato?»

«Vorremmo mantenere la cosa su un piano

amichevole.»

«Senza un mandato, potete andare a ’fanculo.»

«Scelga lei. Parliamo qui o al a centrale.»

«Fot etevi.»

«Veramente quel a che si sta facendo fot ere è lei.

Un testimone ci dice che è dedita al a prostituzione.»

«È solo un grosso, fot uto…»

«… accordo» nì la frase Ol ie. «Non siamo qui per

questo.»

questo.»

«Ah sì? A cosa devo il piacere, al ora?»

«L’abbiamo sentita cantare, volevamo proporle un

contrat o discografico.»

Qualcosa colpì l’interno del a porta, poi cadde sul

pavimento. Seguì un rumore di vetri infranti.

Ol ie ci guardò, inarcando un sopracciglio.

«Sto per entrare» annunciò.

«Accomodati pure. Ho altre lampade.»

Ol ie inserì la chiave, la girò.

Niente ogget i volanti. Niente passi sul pavimento.

Il sergente si voltò sul anco, aprì la porta con il

palmo e avanzò, strisciandoci contro nché gli fu

possibile. Ryan e io ci appiat immo ancor di più

contro il muro.

Aurora Devereaux sedeva appoggiata ai cuscini in

mezzo a un caos di lenzuola spiegazzate.

Lot ai per nascondere lo shock che si dipinse sul

mio volto.

14

La Devereaux aveva incredibili occhi azzurri e

capel i di un biondo arti ciale, dal ’at accatura bassa

sul a fronte. Le sopracciglia scure erano molto arcuate

e convergevano a formare una zona pelosa sul ponte

del naso, che era piccolo e terminava con narici

al ’insù. Le labbra sot ili restavano dischiuse, rivelando

denti radi e storti.

Riconobbi quel a combinazione di trat i. Sindrome

di Cornelia de Lange, una malat ia genetica causata da

un’alterazione del cromosoma 5.

Inspiegabilmente, mi tornò in mente un nome cui

non pensavo da quat ro decenni. Nate a sei giorni di

distanza da due donne che vivevano entrambe a

Beverly, nel South Side di Chicago, Dorothy Herrmann

e io eravamo state inseparabili dal ’epoca dei primi

passi a quel a del mio trasferimento in North Carolina,

passi a quel a del mio trasferimento in North Carolina,

al ’età di ot o anni. Ci facevamo chiamare Rip e Rap.

Dorothy popola tut i i miei ricordi del a prima

infanzia.

La sorel a più piccola di lei, Barbara, aveva la CDLS.

Nel e vecchie foto compare sempre, tra noi ragazzini

del vicinato, con un maglione di Natale dal e maniche

troppo lunghe o vestita da pastorel a per Hal oween.

Il volto è sempre sorridente, la vergogna per i

lineamenti «strani» e i denti da zucca di Hal oween

ancora di là da venire.

Pessima tinta e carat eraccio a parte, Barbara

Herrmann avrebbe potuto essere la sorel a gemel a di

Aurora Devereaux. Se fosse sopravvissuta.

Ero al ’università quando seppi del suo suicidio.

Dorothy e io ci eravamo tenute in contat o, ma presa

dal mio egocentrico mondo di adolescente non avevo

mai colto i segni del a crescente depressione di sua

sorel a. O forse, volendo credere in una realtà facile e

rosea, avevo scelto inconsciamente di ignorarli.

Barbara era felice, sempre sorridente. Non c’era nul a

che non andasse.

Avrei potuto fare qualcosa? Visite, let ere, telefonate

avrebbero impedito la sua morte? No di certo, gli

stessi famigliari non ci erano riusciti. E tut avia mi era

rimasto dentro il rimorso per quel a mancanza di

sensibilità.

La Devereaux sedeva con le minuscole mani posate

La Devereaux sedeva con le minuscole mani posate

sul e ginocchia. Dal a lunghezza del tronco e del e

gambe, stimai che doveva essere alta più o meno

come una ragazzina del e medie.

Come Barbara Herrmann, alcuni individui a et i da

CDLS presentano facoltà mentali subnormali. A

giudicare dal o scambio di bat ute con Ol ie, dubitavo

fosse il caso del a Devereaux.

«Stiamo entrando.» La voce del sergente aveva perso

in parte il tono da duro. Dal ’espressione del suo volto

capivo che era rimasto scosso. Idem per Ryan, anche

se lui lo nascondeva meglio.

La giovane donna restò in silenzio a guardarci

entrare dal pianerot olo, aggirando la lampada in

frantumi sul e piastrel e.

La camera misurava circa tre metri per tre o poco

più. Oltre al divano let o, era arredata con un tavolo

di legno e due sedie, un casset one e mensole piene di

vestiti get ati al a rinfusa, borse, articoli da toilet e e

riviste. Il televisore at accato al a parete aveva un che

di ospedaliero.

Sul lato destro c’era una zona cucina composta da

minifrigo, lavandino e fornel o, disposti lungo la

parete. Le mat onel e erano le stesse del ’ingresso e

separavano così l’area pranzo da quel a giorno/not e,

rivestita di moquet e. Il lavandino e il minuscolo

piano di lavoro erano carichi di piat i sporchi e

utensili da cucina, barat oli aperti e resti di cibo da

utensili da cucina, barat oli aperti e resti di cibo da

asporto.

Dal cucinino, un breve corridoio portava a un

guardaroba e a un bagno. Le porte di entrambi erano

aperte, le luci accese.

Davanti a noi c’era un campo di bat aglia, con

vestiti, biancheria da let o, accessori per il trucco,

panni da lavare, scarpe e un mix inde nibile di altri

ogget i sparsi sui pavimenti, al ineati sul a mobilia o

appesi a casaccio a maniglie, portasciugamani, doccia.

Ol ie prese una vestaglia verde bril ante da una

sedia e la get ò sul let o. La ragazza la ignorò.

«Foxy non è contenta» cominciò il poliziot o.

«La put ana non lo è mai.»

«A quanto pare eri davvero sbal ata, stanot e.»

La Devereaux sol evò un palmo e una spal a nuda. E

al ora?

«Foxy ti vuole fuori.»

«Foxy vuole un sacco di cose.»

«Hai un contrat o d’af it o?»

«Sicuro: lo tengo nel a casset a di sicurezza insieme

al e planimetrie del e mie proprietà immobiliari.»

«Al ora, legalmente, non hai dirit o di stare qui.»

Lei rimase zit a.

«È ora di andare, Aurora.» Ol ie suonava quasi

compassionevole.

compassionevole.

La Devereaux a errò un inalatore spray di plastica

dal comodino. Alzò il mento, quindi si somministrò

l’antistaminico in una narice e poi nel ’altra.

Aspet ando la ne del a rumorosa operazione,

registrai altri det agli.

Il luogo era privo di ogget i personali. Niente foto,

calamite sul frigo, cianfrusaglie decorative o portavasi

in macramé.

Oltre al ’antistaminico, sul comodino c’erano una

boccet a vuota di Pepto-Bismol e una montagnet a di

fazzolet ini appal ot olati. Ricordando un altro

sintomo del a CDLS, il re usso gastroesofageo, che può

rendere sgradevole l’assunzione di cibo, provai un

moto di compassione per quel a donna dal ’aspet o

infantile.

Mentre la Devereaux si so ava il naso con

un’accuratezza encomiabile, mi spostai con la massima

discrezione verso il corridoio, per dare un’occhiata più

da vicino al guardaroba. Il movimento non sfuggì

al ’ostile ospite.

«Dove diavolo va, quel a?»

«Non ti preoccupare» disse Ol ie.

«Non ti preoccupare un cazzo. Non mi piace che

degli estranei si met ano a curiosare nel a mia

biancheria.»

«La signora Forex ha lasciato un borsone

nel ’armadio» spiegai. «Abbiamo il permesso di

«La signora Forex ha lasciato un borsone

nel ’armadio» spiegai. «Abbiamo il permesso di

aprirlo.»

Gli occhi azzurri al neon mi si piantarono addosso.

Le ciglia erano arricciate, forse le più lunghe che

avessi mai visto.

«La signora Forex» – pronunciato con un tono di

puro e semplice scherno – «ha l’acume di un panino

al salame.»

«Con te è stata gentile.»

Le pesanti sopracciglia s’impennarono per la

sorpresa. «Si chiama così? Gentilezza? Sono solo il suo

ultimo caso pietoso.»

«Caso pietoso?»

«Gente minorata da accogliere in casa per

migliorarle la vita.»

«Annaliese Ruben era una minorata?» La mia

compassione cominciava a cedere il passo

al ’antipatia.

«Di certo non era Miss America.» Sbu ò, un brut o

suono, umido di antistamina.

«La conoscevi?»

«Ne ho sentito parlare.»

«Dov’è il borsone?» Domanda secca. Ol ie stava

perdendo la pazienza.

«Non ne ho idea.»

«Fai uno sforzo, Aurora.»

«Fai uno sforzo, Aurora.»

«Se non avete un mandato, potete anche andare a

farvi fot ere.»

«Sto facendo appel o al tuo lato buono, ragazzina.»

«Io non ho un lato buono.»

«Bene. Tentiamo per un’altra via. Una padrona di

casa ha denunciato la presenza di sostanze il egali

nel a sua proprietà. Che ne diresti se perquisissimo

questo posto, a cominciare da qui?»

Raccolse una borsa dal pavimento accanto al let o:

era color metal o, con tante frange da imbarazzare una

cantante country.

La Devereaux si sporse in avanti e tese un braccio.

«Dammela!»

Ol ie tenne la borsa appena fuori dal a sua portata.

«Bastardo.»

Sorridendo, il sergente la fece oscil are avanti e

indietro come un pendolo.

«Bastardo!»

Le indicò la vestaglia.

«Giratevi!»

Ryan e io ci girammo. Ol ie no.

Senti il fruscio del a sto a, poi il tonfo tintinnante

del a borsa che at errava sul let o.

«Eccel ente.»

Udendo il commento, Ryan e io ci voltammo di

Udendo il commento, Ryan e io ci voltammo di

nuovo.

La Devereaux sedeva di lato, le gambe dal ginocchio

in giù oltre il bordo del materasso, i piedi non

arrivavano al a moquet e. Indossava la vestaglia e

aveva in faccia il solito broncio.

Ol ie ripeté la domanda. «Dov’è il borsone?»

«Sul ripiano del guardaroba.»

«Se non sbaglio hai le valigie da fare…»

«Preferirei mangiare merda di cane che passare un

giorno di più in questo cesso.»

Stringendosi la borsa al pet o, la ragazza si spostò

avanti con il sedere e saltò giù dal let o. A errando un

paio di slip e un top, marciò no in bagno e sbat é la

porta.

Ryan, Ol ie e io le andammo dietro.

Il guardaroba era una cabina-armadio in miniatura,

con una lunga sbarra al ’altezza del a mia testa ssata

a una parete, e due più corte sul ’altra. Gli abiti, i top

e le gonne appesi erano quasi tut i di colori vivaci,

con ogni sorta di decorazione.

Il pavimento era coperto da un ammasso di scarpe e

panni sporchi che arrivava al e caviglie. Un odore

dolciastro di sudore invadeva il piccolo spazio.

Sopra le sbarre c’era un unico ripiano a L, stipato al

limite del a capacità. Rotoli di carta igienica e di

panno-carta da cucina, scatole da scarpe, una

limite del a capacità. Rotoli di carta igienica e di

panno-carta da cucina, scatole da scarpe, una

stampante, un frul atore, un ventilatore, vaschet e di

plastica dal contenuto indecifrabile.

Avvistai il borsone. Era in poliestere verde oliva,

con manici neri e una tasca sul davanti.

Guardando l’ammasso di indumenti appesi – chic

quanto uno stock di capi WalMart ad alto rischio

d’in ammabilità – ne spinsi un po’ da una parte: una

scalet a a tre gradini era appoggiata al a parete di

fondo. Mentre la prendevo, i miei occhi registrarono

una sagoma sul muro, seminascosta da una grossa

valigia.

Il polso mi accelerò.

Più tardi.

Posizionai la scalet a e, con l’assistenza di Ryan, ci

sali .

Tre strat oni e la borsa venne fuori. A giudicare dal

peso non doveva contenere molto.

La passai a Ryan, il quale a sua volta la passò a

Ol ie, e tornammo nel a stanza. Il rumore del ’acqua

corrente, oltre la porta del bagno, segnalava che la

Devereaux era ancora dedita al a toilet e del mat ino.

Ol ie mi fece segno di procedere. Separai le

maniglie e apri la lampo.

Al ’interno del borsone c’erano quat ro ogget i: un

paio di occhiali da sole di plastica a buon mercato con

una lente rot a, una sfera di neve con dentro un panda

paio di occhiali da sole di plastica a buon mercato con

una lente rot a, una sfera di neve con dentro un panda

e alcune farfal e, un rasoio Bic arrugginito, un sandalo

suola-bat istrada forse risalente al ’epoca di

Woodstock.

«Ora ce l’abbiamo davvero in pugno!»

Ryan e io guardammo Ol ie.

«Tornerà di certo a recuperare roba così preziosa.»

Nessuno rise al a bat uta.

«Nel a tasca sul davanti?» suggerì Ryan.

Apri la zip. Era vuota.

Ce ne stavamo lì, ammutoliti per la delusione,

quando si spalancò la porta del bagno. Ci voltammo.

I capel i del a Devereaux erano pet inati e ssati

con lo spray in un’acconciatura bionda; il volto pareva

la tavolozza di Gauguin: verde e lavanda sul e

palpebre, rosa sul e guance, rosso vivo sul e labbra. Se

la sua situazione non fosse stata così triste, avrei

potuto trovarla comica. Pareva una concorrente di

Lit le Miss America.

Ignorandoci, arrivò al ’altro capo del a stanza, si

mise in ginocchio e tirò fuori una valigia da sot o il

let o. Con movimenti rabbiosi cominciò a sbat erci

dentro abiti presi dal e mensole e dal pavimento,

senza nemmeno piegarli: un look senza grinze non era

tra le sue priorità.

A voce bassa, dissi a Ol ie e Ryan ciò che avevo

visto nel guardaroba.

A voce bassa, dissi a Ol ie e Ryan ciò che avevo

visto nel guardaroba.

«Il pannel o è rimovibile?» chiese il secondo.

«Credo di sì.»

«Forse dietro ci sono le tubature del bagno.»

«Stai pensando a un altro bambino morto?»

L’espressione di Ol ie era cupa.

Il mio sguardo migrò sul a Devereaux. Stava

svuotando un casset o del comò e non sembrava

prestarci at enzione.

Annui .

Senza una parola, tornammo al a cabina-armadio.

Ol ie e io restammo a guardare, mentre Ryan cercava

di spostare la valigia.

Il pannel o misurava circa trenta centimetri di lato

ed era fissato al a parete con chiodi ai quat ro angoli.

I miei occhi perlustrarono l’interno e at errarono su

un paio di scarpe con i tacchi a spil o. Ne presi una e

la passai a Ryan.

Lui appoggiò la punta del tacco al bordo del

pannel o e tirò, facendo leva. I chiodi uscirono dal a

loro sede quasi senza opporre resistenza.

E mi ritrovai di nuovo a Saint-Hyacinthe. Trat enni

il respiro, mentre Ryan in lava le dita e spingeva

verso il basso, staccando completamente il pannel o.

L’apertura si spalancava davanti a noi, nera e

sinistra.

sinistra.

Ol ie aveva una pila tascabile e la porse a Ryan, che

l’accese puntando il raggio nel buio. Come previsto, il

minuscolo ovale luminoso si posò su alcuni tubi.

Erano scuri e avvolti da materiale isolante.

Tenevo gli occhi ssi sul ’ovale, poi il mio sguardo

risalì lentamente lungo il condot o di ventilazione,

oltrepassò la angia, piegò a sinistra percorrendo un

tubo orizzontale.

Dei colpi nel corridoio mi suggerirono che la

Devereaux stava vuotando casset i e ante del a cucina.

Dei colpi nel e orecchie mi segnalarono che il mio

bat ito stava impazzendo.

L’ovale bianco tornò indietro, proseguì sul a destra,

quindi cominciò a esplorare in basso.

Passarono secondi. Secoli.

Ed eccolo lì, pigiato nel ’ansa di un sifone a U.

Lo stomaco mi si serrò.

L’asciugamano era azzurro, con una piccola

applicazione su un lato. Era arrotolato stret o, la parte

rigonfia diret a verso di noi.

«Chiamiamo il medico legale?» chiese Ryan.

Ol ie scosse il capo. «Veri chiamo. Non voglio farlo

venire per un falso al arme.»

Una voce nel a mia testa respingeva la brutale

realtà di quel ’input visivo. No, Dio, no!

Ryan posò la torcia sul pavimento e scat ò una serie

Ryan posò la torcia sul pavimento e scat ò una serie

di immagini con il suo iPhone. Control ò il risultato.

«Fat o.»

Mentre scostavo abiti con il piede per fare spazio

sul pavimento, in lò le braccia nel buco ed estrasse il

fagot o.

Ci guardammo.

Mi inginocchiai e trassi un respiro profondo per

cercare di ritrovare la calma.

La sto a era deteriorata e si lacerava facilmente. Gli

strati aderivano l’uno al ’altro, sigil ati da liquidi

essiccati e rappresi molto tempo prima. Le dita mi

tremavano, mentre tentavo di penetrare in profondità

senza causare danni. Un silenzio di tomba calò sul

mondo intorno a me, ogni suono at utito dal e

emozioni che mi vorticavano dentro.

Poi la spugna cedet e. Srotolai l’involto.

Le ossa erano piccole e brune, raccolte intorno a un

cranio frammentato.

«Gesù Cristo!»

Alzai gli occhi.

Il viso di Ol ie era sbiancato. Mi ricordai che lui non

aveva visto gli altri neonati morti.

Con tut a la delicatezza possibile, riavvolsi

l’asciugamano.

«E fanno quat ro. Di cui siamo a conoscenza.» Ryan

«E fanno quat ro. Di cui siamo a conoscenza.» Ryan

stava perlustrando un’ultima volta l’apertura con la

pila.

«Quel a troia assassina si è lasciata dietro una scia di

bambini morti dal Québec al ’Alberta! E noi non

riusciamo a trovare il suo maledet o culo?»

In ammate dal ’odio, le parole del sergente gli

vennero fuori a volume troppo alto.

Ryan si rimise in piedi. «La troveremo.»

Mi alzai anch’io e appoggiai una mano sul braccio

di Ol ie per placarlo.

«Chiamo l’uf icio del medico legale» dissi.

15

Al e 13.30 Ryan e io eravamo «in tenuta» a un

tavolo d’acciaio inox con il dot or Dirwe Okeke, uno

dei neoassunti del ’u cio del medico legale

del ’Alberta. Okeke aveva già sbrigato i preliminari –

foto, raggi X, misurazioni, osservazioni descrit ive –, e

io avevo spolverato un poco le ossa con il pennel o e

le avevo disposte anatomicamente.

Più che un patologo, il dot ore pareva una prima

linea difensiva del a Edmonton High: uno e

ot antanove per centodieci chili buoni. E i genitori

del a squadra avversaria non avrebbero preteso il

certi cato di nascita: dimostrava al massimo diciot o

anni.

Quando avevo telefonato al ’u cio dal a casa di

Susan Forex, una receptionist gli aveva passato la

comunicazione e lui mi aveva ascoltata senza

comunicazione e lui mi aveva ascoltata senza

interrompere mentre mi presentavo e il ustravo la

vicenda dei bambini morti nel Québec e di quel o

appena ritrovato.

Come prevedibile, aveva preferito visionare di

persona la scena del crimine. Era arrivato su una

Escalade con il sedile anteriore at rezzato per

trasportare una balena. Due tecnici seguivano a bordo

di un furgone.

Al a vista di Okeke, la Devereaux si era trasformata

nel a personi cazione del a docilità. Non potevo darle

torto: rispet o a lei, così minuta e pal ida, il buon

dot ore, immenso e scuro, sembrava appartenere a

un’altra specie. L’imponenza del giovane medico

riempiva interamente lo spazio ridot o del a stanza.

Lui aveva posto alcune domande, osservando in

silenzio le minuscole spoglie, poi aveva interrogato la

ragazza, che giurava di non saperne niente, di non

avere mai incontrato la Ruben né avuto motivo di

staccare il pannel o dal muro.

Anche la Forex era al ’oscuro di tut o, o così

sosteneva. L’espressione sconvolta del viso sembrava

comprovare la sua sincerità.

Ol ie aveva at eso che la Devereaux nisse di stipare

nel a seconda valigia i luccicanti e et i personali

presenti nel guardaroba, quindi l’aveva accompagnata

a una casa-rifugio per donne. Sospet avo che il gesto

fosse det ato solo parzialmente dal a commiserazione

fosse det ato solo parzialmente dal a commiserazione

e in larga misura dal desiderio di evitare ulteriori

contat i ravvicinati con le ossa del neonato.

Ryan, Okeke e io avevamo guardato i tecnici

al argare l’apertura con un seghet o elet rico e cercare

al ’interno del a parete. A parte un nido di scarafaggi

terrorizzati, non era emerso alcunché.

Lasciandoli a fotografare la scena e compiere i

rilievi, Okeke aveva trasportato i resti con la Escalade.

Ryan e io eravamo andati con lui al ’u cio del

medico legale, sul a 116a. Lungo il tragit o, il dot ore

ci aveva det o di venire dal Kenya e aver studiato

medicina nel Regno Unito. Nient’altro: non era un

tipo di molte parole.

Ed eccoci qua.

Come nel caso del bambino ritrovato nel sot otet o

di Saint-Hyacinthe, il neonato era ridot o al solo

scheletro, con brandel i di tessuto essiccato qua e là. In

mancanza di carne che lo tenesse insieme, il cranio si

era disgregato: le singole ossa giacevano ora disposte

come in una figura del ’atlante di anatomia.

«Prego, proceda.» La voce di Okeke era profonda,

con una lieve cadenza del Masai Mara rimodel ata da

anni di scuole britanniche.

«Al ’epoca del a morte, il bambino era almeno al

set imo mese di gestazione.»

«Non a termine?»

«Forse. Se così fosse, rientrava in un basso

«Forse. Se così fosse, rientrava in un basso

percentile, stando al e dimensioni. Comunque, il feto

era decisamente vitale.»

Mentre fornivo misure e osservazioni, Okeke

scarabocchiava appunti. La cartel et a a clip pareva un

giocat olo in quel e sue manone.

«Sesso?»

«Non posso stabilirlo sul a base del e ossa.»

Il giovane annuì, e il cuoio capel uto sopra la nuca

s’increspò per poi ridistendersi.

«Traumi?»

«Assenti. Niente frat ure o segni di violenza fisica.»

Altri appunti.

«Causa del decesso?»

«Ossa e raggi X non evidenziano malnutrizione,

malat ia o deformità.» Pensai al a carta igienica

appal ot olata in gola al bambino del a panca.

«Assenza d’intrusioni e corpi estranei.»

«Quanto al ’ascendenza?»

«Gli zigomi erano forse piut osto ampi, ma è

di cile stabilirlo in presenza di ossa non articolate. E

un incisivo superiore centrale sembra leggermente a

pala.»

«A suggerire quel o che un tempo si de niva “tipo

razziale mongoloide”.»

«Esat o.» Gli dissi di Simone, dei risultati al test del

«Esat o.» Gli dissi di Simone, dei risultati al test del

DNA del a bambina di Saint-Hyacinthe.

«Quindi questo neonato potrebbe essere di

ascendenza aborigena?»

«Sì, presumendo che sia fratel o o fratel astro del a

bimba sot oposta al test.»

«Esiste la possibilità che i neonati non siano tut i

figli del a stessa madre?»

Guardai Ryan. Anche Okeke lo guardò.

«Non abbiamo prove» rispose il detective. «Non

ancora. Ma riteniamo che Annaliese Ruben abbia

partorito tut i e quat ro i bambini.»

«Perché una madre ucciderebbe i suoi figli?»

Oh, già: il ragazzo era un novel ino.

«Succede.»

Gli occhi scuri del dot ore s’incupirono. «Dov’è lei,

ora?»

«La stiamo cercando» rispose Ryan.

Stava per porre un’altra domanda, quando un

telefono si mise a squil are.

«Scusatemi.»

In due passi raggiunse il tavolo accanto al lavandino

in fondo al a sala autopsia. A me ce ne sarebbero

voluti almeno cinque.

Si s lò un guanto, premet e un tasto e alzò il

ricevitore. «Sì, Lorna.»

ricevitore. «Sì, Lorna.»

Pausa.

«Preferisco non parlare con nessuno in questo

momento.»

Lorna, forse la receptionist che aveva inoltrato

anche la mia chiamata, ribat é qualcosa.

«Chi è il signore?»

Altra pausa prolungata.

«E dove ha ot enuto queste informazioni, il signor

White?»

Mentre ascoltava la risposta, gli occhi di Okeke si

spostarono su di me.

«Me lo passi.»

Lei lo fece.

«Dot or Okeke.»

La voce di White era più potente di quel a di Lorna.

Un borbot io nasale fuoriuscì dal ricevitore.

«Non posso fornirle questa informazione, signore.»

Il borbot io seguente terminò con una nota acuta,

lasciando intendere un’altra domanda.

«Spiacente, è confidenziale.»

Impaziente di proseguire l’analisi, arrivai al banco

di lavoro per tentare di distendere l’asciugamano che

aveva contenuto il corpicino. Mi sentivo come la

protagonista del lm Ricomincio da capo: un déjà-vu

del a sala quat ro di Montréal. Stesso prudente tira e

del a sala quat ro di Montréal. Stesso prudente tira e

mol a, stessa paura di danneggiare una prova.

Ignorai il resto del a conversazione e mi concentrai

sul mio compito. Un mil imetro dopo l’altro, i liquidi

rappresi cedet ero e le pieghe si scol arono.

Le risposte di Okeke, in sot ofondo, si facevano

sempre più stringate. Continuai ad appianare grinze.

Al a ne, l’asciugamano appariva quasi del tut o

disteso se non per un angolino ancora appiccicato.

Tirai con delicatezza e, con il rumore di una striscia di

velcro che si stacca, le bre cedet ero. Adagiai anche

l’ultimo lembo.

Sì, Ricomincio da capo. Questa volta però la mia

scoperta non fu un sacchet ino di sabbia e pietruzze

verdi.

Incol ato al ’interno del ’angolo c’era un pezzet o di

carta. Tentai di liberarne un bordo con la punta del

dito guantato. Inutile. Quel ’a are era appiccicato al

tessuto di spugna.

Regolai la lampada essibile e mi chinai per

guardare da vicino. C’erano dei carat eri, maiuscoli,

neri, su fondo azzurro e, sopra la scrit a, un margine

bianco.

Girai l’asciugamano per tentare di dare un senso al

messaggio. LA MONFWI.

Stavo passando in rassegna i possibili signi cati,

aggiungendo let ere al ’inizio e al a ne, quando un

aggiungendo let ere al ’inizio e al a ne, quando un

commento mi fece alzare la testa di scat o.

«Mi hanno riferito che chiamava con informazioni

su Annaliese Ruben.»

Ryan guardò verso di me. Le sue sopracciglia si

inarcarono leggermente. Le mie pure.

Okeke at ese il tempo di un altro borbot io.

«Posso chiederle perché è interessato, signore?»

La voce si lanciò in una lunga spiegazione. Il

medico non lo lasciò finire.

«Lei è un reporter, signor White?»

Altri borbot i . Questa volta Okeke lo interruppe

sbat endogli il telefono in faccia.

Tentò di prendere un appunto sul a cartel et a,

scosse la penna, poi la lanciò sul banco di lavoro.

Quel a rimbalzò a terra e lui non accennò a

recuperarla.

«Un giornalista?» indovinai.

«Un certo signor White, se quel o è il suo vero

nome.»

«Per chi lavora?»

«Non ha importanza.» Il medico agitò la cartel et a

verso le tristi, piccole spoglie. «Come ha saputo di

questo bambino? O degli altri?»

«Sapeva anche dei casi del Québec?» Non potei

nascondere lo sbigot imento.

«Sì.»

nascondere lo sbigot imento.

«Sì.»

Venni trapassata da parte a parte da un’occhiata

furente, intimidatoria.

«Di sicuro non ha avuto informazioni né da me né

da Ryan» ribat ei secca. L’accusa implicita in quel o

sguardo mi irritava.

«La dot oressa Brennan e io non parliamo mai con

la stampa del e indagini in corso.»

Okeke fulminò Ryan. «Eppure quest’uomo sapeva.»

«Qualunque drit a sul bambino gli sarà venuta dal a

Devereaux o dal a Forex.» Il detective parlava con

voce monotona e sommessa. «O magari da uno dei

vostri tecnici, anche se questo non spiega la fuga di

notizie sul Québec.»

Ol ie era al corrente di tut o, pensai. Ma non lo

dissi.

«Perché un membro del mio sta dovrebbe fare una

cosa simile?»

«Per soldi» rispose Ryan sfregando il pol ice sui

polpastrel i del e dita unite. «Qualcuno telefona a

White, sostiene di avere informazioni di prima mano

su una donna che si sta lasciando dietro una scia di

bambini morti da un capo al ’altro del Canada; lo

scoop, dice, andrà al miglior o erente. Pensando che

la storia possa essere fondata, White decide di

pagare.»

Okeke scosse la testa disgustato. «Non riesco a

Okeke scosse la testa disgustato. «Non riesco a

comprendere questa curiosità morbosa per i crimini

più e erati e sensazionali. Come la storia dei bambini

nel e scatole del burro. Un libro e persino un lm.

Perché?»

Si riferiva al celebre caso del a Ideal Maternity

Home, un istituto del a Nuova Scozia per donne

gravide non sposate, gestito tra il 1928 e il 1945 da

Wil iam Peach Young, ministro non ordinato degli

avventisti del set imo giorno e chiropratico, e da sua

moglie Lila Gladys, ostetrica. Dopo anni passati –

u cialmente – a far nascere bambini e a trovar loro

una famiglia, le molteplici accuse di pro t i il eciti e

l’alto tasso di mortalità infantile riscontrato nel a casa

indussero la polizia ad aprire un’inchiesta.

L’indagine rivelò che gli Young avevano ucciso i

neonati «invendibili», nutrendoli solo con melassa e

acqua. Deformità, malat ia, o carnagione «scura»

signi cavano scarse probabilità di adozione, pro t i

persi, e dunque la condanna a morire di fame.

I cadaveri venivano seppel iti nel a proprietà in

piccole scatole di legno usate per i prodot i caseari

(da cui But erbox Babies con cui le vit ime sono

passate al a storia), talvolta get ati in mare o bruciati

nel a caldaia del a Ideal Maternity Home. Le stime

at estano tra i quat ro e i seicento neonati morti.

«Voglio sapere chi è il responsabile.» La rabbia

faceva pulsare una vena sul a tempia del dot or

faceva pulsare una vena sul a tempia del dot or

Okeke.

«Anche noi» dissi.

«Informerete il sergente del a RCMP presente sul a

scena?»

«Certo.»

Un rubinet o gocciolante produsse un plic plic

sommesso nel lavandino di acciaio inox. Okeke fece il

giro del tavolo e raccolse la penna.

«Ho trovato qualcosa nel ’asciugamano» annunciai.

I due uomini mi seguirono al banco di lavoro, si

chinarono e osservarono il messaggio troncato.

«Manca l’inizio del a prima parola» mostrai. «E la

fine del a seconda.»

«Non necessariamente.»

Stavo per chiedere a Ryan cosa intendesse dire,

quando il mio iPhone o rì un’altra esecuzione

del ’inno nazionale irlandese.

Ol ie.

Mi s lai un guanto e premet i il tasto di ricezione.

Ryan e Okeke seguitarono a fissare il pezzet o di carta.

«Dove sei?» chiese il sergente.

«Ancora dal medico legale.»

«Le ossa ti hanno rivelato qualcosa?»

«Che la Ruben non si sentiva portata per la

maternità. Ci sono novità?»

maternità. Ci sono novità?»

«Dopo aver accompagnato la Devereaux al a Win

House, un’esperienza che non auguro a nessuno, sono

passato al a centrale per vedere se c’erano notizie. Ho

trovato un messaggio da parte di un certo agente

Leccapiedi.»

«Questo tizio si chiama davvero così?»

«Lo vuoi sentire o no?»

«Ti met o in vivavoce. C’è Ryan con me.»

Premet i il tasto e tenni stupidamente gli occhi ssi

sul telefono.

«… ragazzone si perda qualcosa. Comunque, ho

trasmesso la foto del a Ruben, chiedendo ai nostri

uomini di mostrarla in giro. Leccapiedi l’ha fat o.»

La ricezione era pessima, la voce di Ol ie andava e

veniva. Alzai lo sguardo per vedere se Ryan stesse

ascoltando e lo vidi che digitava qualcosa sul suo

iPhone.

«Un control ore al a stazione dei Greyhound si è

ricordato di una donna somigliante al a Ruben che

tentava di comprare un bigliet o per Hay River.»

«Quando?»

«Ieri.»

«Dov’è Hay River?»

«Sponda sud del Grande lago degli schiavi.»

«Nei Territori del Nord-Ovest?»

«Nei Territori del Nord-Ovest?»

«Dieci in geografia.»

«Era sicuro si trat asse del a Ruben?»

«No, ma senti questa. Al ’inizio ha ri utato di

venderle il bigliet o a causa del cane.»

«La donna aveva un cane?» Il mio cuore saltò un

bat ito.

«Già. La Greyhound non accet a animali a bordo,

con l’unica eccezione per quel i che accompagnano i

non vedenti.»

«Quindi non è salita sul ’autobus?»

«Al a ne il tizio si è impietosito e l’ha lasciata

passare.»

Ri et ei un momento. Era sensato: i Territori del

Nord-Ovest ospitano una vasta comunità dené. Stavo

per dirlo, quando Ryan mi sorprese.

«So dov’è andata.»

16

Okeke e io lo guardammo con palese scet icismo.

«Sta tentando di arrivare a Yel owknife.»

«Cosa sta dicendo?»

Ignorando Ol ie al ’altro capo del a linea, feci segno

a Ryan con la mano libera di spiegarsi.

«L’ultima serie di carat eri forma una parola

completa.»

Esaminai di nuovo il pezzet o di carta.

«Monfwi è un col egio elet orale per il parlamento

dei Territori del Nord-Ovest.»

«E tu come lo sai?» gli chiesi.

«Due anni fa ho arrestato un ragazzo di Monfwi che

spacciava crack fuori dal a stazione del a

metropolitana di Guy-Concordia, a Montréal. Il

teppistel o però aveva degli appoggi. Venti minuti

teppistel o però aveva degli appoggi. Venti minuti

dopo che gli avevo concesso di chiamare paparino, ho

ricevuto una telefonata dal suo MLA.» Member of

legislative assembly, rappresentante parlamentare.

«Cosa sta dicendo?»

Ignorando il crepitio che usciva dal mio cel ulare,

Ryan lesse dal display del suo iPhone.

«Il distret o di Monfwi comprende Behchoko,

Gamèti, Wekweèti e Whatì.»

«Comunità dené.»

«Il popolo dei tlicho, per la precisione. Ci sono

cinque gruppi principali tra i dené: i chipewyan, che

vivono a est del Grande lago degli schiavi; gli

yel owknives, a nord; gli slavey, lungo il ume

Mackenzie, a sud-ovest; i tlicho tra il Grande lago

degli schiavi e il Grande lago degli orsi; e gli sahtú,

nel a parte centrale del territorio.»

«Dieci in etnografia.» Parafrasando Ol ie.

«Google.» Ryan agitò il cel ulare. «Non si può non

amarlo.»

Tornai a concentrarmi sul fogliet o.

«Pensi che LA sia la parte finale del a sigla MLA?»

«Il pezzet o di carta si è probabilmente strappato da

una pubblicazione del a circoscrizione elet orale. I

politici le mandano agli elet ori per far credere che si

stanno guadagnando la paga. Quei fogliacci sono tut i

uguali.»

uguali.»

«Il distret o di Monfwi è vicino a Yel owknife?»

Ryan annuì. «E a Yel owknife ha sede il

parlamento.»

«Ciò non significa che la Ruben sia andata lì.»

«Cosa diavolo state dicendo?» Ol ie si stava

spazientendo.

«Ti richiamo.» Chiusi la comunicazione.

«Ho control ato gli itinerari degli autobus.» Ryan

agitò di nuovo l’iPhone. «Per arrivare a Yel owknife

da Edmonton, si prende il Greyhound per Hay River,

poi una corriera locale.»

«Non c’è un diret o?»

Scosse il capo.

«Oltre a Yel owknife, dove altro si può andare da

Hay River?»

«Non in molti posti.»

Ri et ei un momento. Tut o col imava. La Ruben

era, con ogni probabilità, almeno in parte aborigena.

Ralph

Trees

aveva

a ermato

che

la

Roberts/Rogers/Rodriguez parlava inglese con un

accento particolare. Phoenix Mil er sosteneva che

Annaliese non fosse di Edmonton. Una donna a lei

somigliante aveva preso un autobus per Hay River.

Con un cane. E Trees aveva confermato che la

Roberts/Rogers/Rodriguez ne avesse uno. C’era una

ciotola per cani nel ’appartamento di Saint-Hyacinthe.

Roberts/Rogers/Rodriguez ne avesse uno. C’era una

ciotola per cani nel ’appartamento di Saint-Hyacinthe.

Un frammento, forse di una pubblicazione del a

circoscrizione elet orale di Monfwi, era rimasto

impacchet ato con il bambino trovato a casa di Susan

Forex.

E poi non avevamo altro.

Richiamai Ol ie.

Yel owknife si trova circa mil ecinquecento

chilometri a nord di Edmonton. In auto si viaggia in

direzione nord no al Sessantesimo paral elo,

entrando nei Territori del Nord-Ovest vicino a

Enterprise, poi in direzione ovest no a Fort

Providence, dove si prende il traghet o sul ume

Mackenzie. Si costeggia quindi una vasta riserva

dedicata ai bisonti, schivando bovini in cerca di libertà

che vagano sul a carreggiata. A Behchoko si piega

nuovamente a sud-est verso la sponda set entrionale

del Grande lago degli schiavi.

Ci vogliono circa diciot o ore. Quasi tut i i siti sul a

viabilità raccomandano di viaggiare di giorno. E di

portarsi una buona scorta di repel ente per inset i.

In inverno, invece, si dovevano a rontare le strade

ghiacciate.

Col cavolo che mi sarei sorbita una tirata simile. No.

Non io.

Come nel caso degli autobus, anche gli spostamenti

Come nel caso degli autobus, anche gli spostamenti

in aereo non of rivano molte opzioni.

Ol ie ci prenotò un volo Canadian North in partenza

al e 20.30. La notizia cat iva era che non saremmo

at errati a Yel owknife n dopo le 22. Quel a buona

era che avremmo avuto davanti un bel po’ di ore

prima del mat ino.

Ol ie trascorse il resto del pomeriggio e l’inizio

del a serata a reinterrogare il control ore del

Greyhound e a fare telefonate a Hay River,

Yel owknife e altri posti che non avevo mai sentito

nominare. Ronnie Scarborough, il protet ore, era

nalmente riapparso e Ol ie l’aveva invitato per una

chiacchierata. Ryan e io li avremmo raggiunti al e sei.

Usando una lista fornita dal sergente, passammo il

pomeriggio a fare il giro dei bar e degli hotel

predilet i dal e ragazze di vita di Edmonton. Alcuni di

quei locali facevano sembrare il Cowboy Lounge

decisamente chic.

Mostrammo la foto di Annaliese Ruben: qualcuno la

conosceva o l’aveva vista? Chiedemmo anche del tizio

danaroso con cui si sarebbe dovuta incontrare la sera

in cui aveva levato le tende in direzione del Québec.

Scoprimmo due cose: nei bassifondi tre anni

superano di gran lunga il limite del a memoria di

chiunque; e noi due eravamo graditi come

un’infestazione di scarafaggi.

Giunti al a sede centrale del a RCMP, constatammo

Giunti al a sede centrale del a RCMP, constatammo

che Ol ie aveva ot enuto quanto noi. Vale a dire zero.

E ciò lo rendeva particolarmente scontroso.

Ronnie «Scar» Scarborough se ne stava a scaldare la

sedia in una stanza per gli interrogatori. E ciò rendeva

lui particolarmente scontroso.

Ol ie ritenne fosse meglio condurre l’interrogatorio

da solo. Ci avviammo al a postazione di monitoraggio

a distanza.

Sul o schermo, vedemmo il sergente entrare in una

cel et a minuscola, prendere posto di fronte a un tizio

che pareva uscito da un lm sui ma osi. Era asciut o e

scat ante come un furet o, con la pel e but erata

dal ’acne, gli occhi infossati e un naso adunco sopra

un labbro superiore sfregiato da una cicatrice. Catene

d’oro al col o e al polso. Giacca grigia lucida su T-shirt

nera aderente che lasciava intravedere i peli del pet o.

Scarpe nere a punta.

La sola cosa fuori tema era il tatuaggio che gli

copriva la nuca e i lati del col o. Sembrava un uccel o

stilizzato fuggito da un totem.

Scarborough sedeva a gambe tese, con le caviglie

incrociate, il braccio destro appoggiato sul o schienale

del a sedia accanto.

«Come but a, Scar?»

Gli occhi del ’uomo si spostarono su Ol ie.

«Bel a magliet a. Fa piacere vederti così sicuro del

«Bel a magliet a. Fa piacere vederti così sicuro del

tuo sex appeal.»

«Perché cazzo sono qui?»

«Ho pensato che potevamo discutere le tue future

possibilità di carriera.»

«Voglio chiamare il mio avvocato.»

«Non sei in arresto.»

Scar balzò in piedi. «Al ora me ne vado.»

«Siediti.»

Rimase alzato, una smor a di disprezzo gli

deformava i trat i.

Ol ie sbat é una copia del a foto segnaletica di

Annaliese Ruben su un tavolo, la girò verso Scar. Gli

occhi da roditore restarono fissi sul sergente.

«Guardala, stronzo.»

Abbassò gli occhi solo per un istante, ma non disse

nul a.

«Sai chi è?»

«Di’ a tua sorel a che per il momento non do

appuntamenti.»

«Annaliese Ruben. Secondo le mie fonti eri il suo

magnaccia.»

«Se fossi in te non darei ret a al e voci infondate.»

«È sul a lista del Proget o KARE. Pensiamo che

potrebbe essere morta.» Quasi vero, per lo meno la

prima parte.

potrebbe essere morta.» Quasi vero, per lo meno la

prima parte.

«La vita può essere brutale.»

«Ecco come stanno le cose. Poiché non sappiamo se

la Ruben sia viva o no, abbiamo pensato di curiosare

un po’ tra le sue frequentazioni più recenti.»

Scar si esibì in una magistrale alzata a spal a

singola.

«… a cominciare dal suo protet ore.»

Altra alzata. Stessa spal a.

«Con tanto di mandato per l’acquisizione dei

tabulati telefonici del sogget o.»

«Non potete farlo.»

«Invece sì.» Ol ie trapanò la stampata con un dito.

Con un sospiro teatrale, Scar si lasciò cadere sul a

sedia e diede un’occhiata al ’immagine. «Okay. Sì.

Forse è la tipa grassa che girava un po’ di tempo fa.»

«Incredibile come lavora il cervel o umano.»

«L’avevo dimenticato. Sono stato molto preso

ultimamente.»

«L’organizzazione dei chierichet i e tut o il resto.»

«Proprio così.»

«O magari hai perlustrato le stazioni degli autobus

in cerca di carne fresca. Capisci cosa voglio dire?»

Questa volta il movimento ascensionale del a spal a

parve un po’ meno spavaldo.

«Forse dovremmo parlare con la tua forza lavoro.

parve un po’ meno spavaldo.

«Forse dovremmo parlare con la tua forza lavoro.

Control are qualche documento. Vedere quante

candeline so eranno le ragazze sul a prossima torta.

Quanti anni aveva la Ruben quando l’hai messa a

bat ere?»

La bocca di Scar si arricciò in un mezzo ghigno

viscido. «Non è andata così.»

«Com’è andata al ora?»

«Ho tentato di aiutarla.»

«Certo. Eri il suo mentore.»

Lui scosse il capo. «Sei davvero stupido! Brancoli

nel buio. Sei del tut o fuori strada.»

«Sei il padre dei bambini?»

«La Ruben non aveva figli.»

«Sì, invece. Ne aveva.»

«Per me è una novità.»

«L’hai aiutata a ucciderli?»

«Sei fuori di testa.»

Più lo guardavo, più trovavo il viscido individuo

repel ente.

«Dov’è?»

«Non vedo quel a troia da tre anni.»

«Davvero?»

«Sì-ì.»

«Perché?»

«Perché?»

«Se n’è andata.»

«Con chi?»

«Con Tom Cruise. Come cazzo faccio a saperlo?»

«Ti fa rabbia che se la sia squagliata così?»

«Siamo in un Paese libero.»

«La Ruben ti faceva da corriere, Scar? È questo? Ti

ha lasciato con un buco nel a rete di distribuzione?»

«La stupida vacca non era capace nemmeno di

sof iarsi il naso.»

«O è per i soldi persi? Una put ana in meno che ti

paga per il dirit o di fare pompini in qualche vicolo?»

«Quel a era una balena. Non valeva una tazza di

piscio.»

«L’hai fat a fuori? Ti è servita per dare un esempio

a qualcuno?»

«Sei completamente suonato, amico!»

Cogliendo un cedimento nel a sua spacconaggine,

Ol ie rispose con il silenzio.

«Senti, spero non le sia successo niente di male. Mi

piacerebbe potervi dare una mano, ma…»

Ol ie si sporse in avanti e incrociò le braccia.

«Dimmi ciò che sai di lei.»

La richiesta parve confondere l’interrogato.

«Annaliese è francofona? Anglofona? Aborigena?»

«Parlava inglese.»

«Annaliese è francofona? Anglofona? Aborigena?»

«Parlava inglese.»

«Di dov’è?»

Quando Scar scosse il capo, notai che aveva il

labbro imperlato di sudore.

«Chi frequentava?»

«Ho sentito che viveva con una tipa di nome Foxy.»

«Se avesse lasciato Edmonton, dove sarebbe

andata?»

Scar alzò le mani e gli occhi al cielo.

«Con quale mezzo avrebbe viaggiato?»

«Gesù, amico. Te lo ripeto ancora una volta: non lo

so. Non mi intromet o mai nel a vita personale del e

ragazze.»

Quel a fu la goccia. La mia rabbia ruppe gli argini.

«Quel segaiolo bastardo adesca le ragazzine con la

droga e le fa prostituire per pagarsi le dosi, le

maltrat a, le sfrut a economicamente, ma non si

intromet e nel a loro vita personale?»

Ryan a errò la mano che stavo puntando al o

schermo. Per un at imo i nostri occhi s’incontrarono.

Lui fu il primo a distogliere i suoi. Mi divincolai e

lasciai cadere il braccio lungo il fianco.

Andò avanti così per un po’: Ol ie poneva domande,

Scar insisteva nel dire di non sapere niente, io tentavo

di reprimere l’impulso a ccare una mano nel

monitor e strangolare quel piccolo stronzo.

monitor e strangolare quel piccolo stronzo.

Al e set e, il sergente pronunciò la vecchia bat uta

sul non lasciare la cit à; poi, bruscamente, si alzò e

lasciò la stanza.

Scar gli tirò dietro una sequenza di improperi.

Prima che lo schermo si spegnesse, gli lanciò

un’ultima stoccata.

«Brancoli nel buio! Non ti troveresti nemmeno il

buco del culo.»

Parlammo poco durante la corsa al ’aeroporto, il

check-in e la breve at esa al gate. Per un colpo di

fortuna, l’imbarco avvenne in orario. E un qualche dio

burlone pensò bene di appiopparmi il sedile accanto

a Ol ie.

Stavamo al acciando le cinture e spegnendo i

cel ulari quando dagli altoparlanti giunse la voce del

pilota. Capi subito che non aveva buone notizie.

Problema tecnico. Ritardo di trenta minuti.

«Gesù santo! Capita mai, per sbaglio, che un aereo

decol i in orario?» esclamò il sergente Hasty.

Ogni mia risposta sarebbe stata pleonastica, quindi

non ne diedi alcuna.

«Se non è il tempo, è un guasto, o un membro

del ’equipaggio che non risulta a bordo o chissà

cos’altro.»

Senza sforzarmi particolarmente di apparire

Senza sforzarmi particolarmente di apparire

discreta, apri il mio romanzo di Ian Rankin e

cominciai a leggere. Il sergente non colse il segnale.

«Scar è un vero fenomeno, eh?»

I miei occhi rimasero incol ati al libro.

«Pensiamo stia tentando di espandersi, di piazzare il

prodot o verso nord, nei territori.»

Voltai una pagina. Maledizione. Mi stava facendo

perdere il filo con Rebus.

«Il bastardo è più furbo di quanto sembra. Tiene

sempre una distanza strategica tra sé e la strada. Non

si riesce mai ad accusarlo di qualcosa.»

Già.

Ol ie smise di parlare al mio orecchio destro.

Passarono vari minuti, durante i quali sfogliò

l’opuscolo con le istruzioni di sicurezza e la rivista di

bordo. Poi, con un sospiro teatrale, rimise entrambi

nel a tasca del o schienale davanti a lui.

«Scar sa più di quanto ammet a sul a Ruben.»

E ot enne la mia at enzione. Chiusi il libro e mi

voltai.

«Perché?»

«Ricordi come si è guadagnato quel nome?»

«Ha sfregiato una ragazza.»

«Pare sia andato a riacciu arla no a Saskatoon.

Voleva dare un avvertimento.»

Voleva dare un avvertimento.»

«A chi?»

«A chiunque stesse pensando di lasciare le sue

dipendenze.»

«La Ruben se n’è andata da Edmonton tre anni fa.

Perché aspet are tanto?»

«Montréal è grande. E lontana. Annaliese ha

cambiato nome e se n’è rimasta ben nascosta: così è

riuscita a sfuggire al radar del magnaccia. Ora è di

nuovo nel a sua zona. E c’è un altro particolare di cui

non ti ho parlato.»

At esi.

«Scar è di Yel owknife.»

«Come lo sai?»

«Tentiamo di inchiodare il bastardo da anni. Lo

sappiamo.»

«Potrebbe met ersi sul e tracce del a Ruben?»

«Corre voce che stia cercando di inserirsi nel tra co

di stupefacenti, lassù. Per farlo ha bisogno di far

vedere che non scherza.»

Un vuoto gelido mi invase le viscere. Mi appoggiai

al o schienale e chiusi gli occhi.

Perché tanta apprensione? Paura per la sorte del a

Ruben? Con ogni probabilità, quel a donna aveva

ucciso i suoi bambini, abbandonando il loro corpo

senza voltarsi indietro.

senza voltarsi indietro.

Oppure no? Era stata davvero una sua scelta? Lo

aveva fat o qualcun altro oppure l’avevano costret a a

farlo? A Montréal non poteva essere Scar. E al ora chi?

La stessa persona che la stava aiutando anche adesso?

Era tut o così insensato.

La Forex e Scar avevano dichiarato entrambi che la

Ruben non era una cima. E tut avia era arrivata no in

Québec e aveva vissuto in incognito per tre anni.

Aveva saputo nascondere le gravidanze, partorito da

sola e ucciso almeno quat ro neonati. Era riuscita a

eludere la task force del Proget o KARE. E continuava a

eludere i mounties e la polizia provinciale del

Québec.

Come? Una complessa rete di supporto? Un solo

complice? L’abilità che ti viene dal a strada? Una

fortuna sfacciata?

Mi rivolsi a Ol ie. «Scar ha det o che brancolavi nel

buio. Cosa intendeva?»

«Fa lo smargiasso.»

«Come parli forbito.»

«Ho scaricato un’applicazione sul mio telefono e

ogni giorno mi appare una parola nuova.»

«Non ti è mai apparso “brancolare”?» Mimai

virgolet e nel ’aria. Non era divertente.

«Fa solo il duro. Non vuole certo che io met a il suo

culo sot o la lente d’ingrandimento.»

culo sot o la lente d’ingrandimento.»

«Ha usato quel ’espressione due volte.»

«Forse dovrei mandargli il link del ’applicazione.»

Il volo decol ò. Al e 22.10. Non conoscemmo mai la

natura del misterioso «problema tecnico».

Del ’aeroporto di Yel owknife ricordo solo un orso

polare impagliato a presidiare la zona ritiro bagagli. E

un sacco di vuoto.

Fuori dal terminal un mix di pioggia e neve

scendeva di traverso. Dannatamente gelido.

Un certo sergente Rainwater ci accompagnò in cit à.

Ryan e io sedemmo dietro.

Dai brandel i di conversazione, dedussi che

Rainwater aveva svolto le indagini richieste da Ol ie: il

tipo di cose che avevamo tentato a Edmonton – far

vedere in giro la foto segnaletica, chiedere del a

Ruben – essenzialmente con gli stessi risultati.

Arrivammo al ’Explorer Hotel subito dopo

mezzanot e. La mia mente riuscì giusto a registrare la

posizione in col ina, il lungo vialet o serpeggiante e

l’inukshuk di due metri e mezzo che incombeva

sul ’ingresso principale.

Al a reception, grazie a Dio, ce la sbrigammo in

fret a e Ol ie, grazie a Dio, non si mostrò interessato a

of rire di nuovo il servizio scorta fino in camera.

La mia stanza era al quarto piano. Let o king-size,

minibar con microonde, schermo TV ultrapiat o e vista

minibar con microonde, schermo TV ultrapiat o e vista

su uno specchio d’acqua. Il mat ino seguente avrei

chiesto il nome di quel lago.

Appoggiai l’iPhone al a radiosveglia e impostai un

rumore di onde sugli scogli al posto del solito

scampanio. Il sonno mi rapì in meno di cinque

minuti.

17

La bambina tese le mani, le dita spalancate, i

piccoli arti tremanti, implorando aiuto. Il mio aiuto.

Cercai di correre, ma i piedi mi sprofondavano

sempre più nel a sabbia.

Zoom sul a bambina, seduta nel ’acqua bassa su una

immensa spiaggia nera. Al e sue spal e, sopra un mare

mosso, minacciose nubi purpuree cariche di pioggia

oscuravano il cielo.

Sot o i miei occhi, i nembi s lacciati che le

circondavano il capo s’ispessirono, formando una

corona di riccioli biondi. I trat i si de nirono in

un’immagine familiare. Le iridi passarono dal ’azzurro

al verde.

Katy!

Cercai di chiamarla. Ancora e ancora.

Dal a mia gola non usciva alcun suono.

Cercai di chiamarla. Ancora e ancora.

Dal a mia gola non usciva alcun suono.

Disperata, mi sforzai di raggiungere mia figlia.

Le mie gambe erano di piombo.

L’acqua ora le arrivava al ventre.

La marea stava salendo!

Il cuore mi bat eva al ’impazzata. Tentai di correre

con tut e le forze.

La distanza tra noi continuava ad aumentare.

Una gura si materializzò sul a spiaggia. Indistinta.

Non riuscivo a vedere il volto e nemmeno il sesso era

chiaro.

Tentai di chiamare.

La figura non si mosse.

Ci misi tut a l’energia possibile.

I miei sforzi erano vani.

L’acqua ora copriva il pet o di Katy.

Gridai ancora; lacrime mi rigavano le guance.

La scena ondeggiava come un miraggio.

L’acqua salì al mento del a bambina.

Tesi ogni fibra del mio corpo.

Urlai.

La scena si dissolse. Svanì come una manciata di

coriandoli nel a nebbia.

Bat ei le palpebre, confusa.

Bat ei le palpebre, confusa.

Sedevo rigida nel let o, il cuore martel ava ancora

nel pet o, il corpo madido di sudore, le mani che

stringevano le lenzuola.

La radiosveglia segnava le 5.42. Un grigio

precursore del ’alba il uminava le nestre, su cui

avevo dimenticato di tirare le tende cinque ore prima.

Fuori, la pioggia mista a neve era cessata, ma

l’ovale d’acqua senza nome appariva ghiacciato e

scuro. Nel a stanza, l’aria era gelida.

Rilassai le dita e mi tirai la trapunta fino al mento.

Solo un sogno.

Solo un sogno.

Ripetuto più volte quel mantra, tentai la mia solita

decostruzione postincubo. In genere non richiede

grandi capacità psicanalitiche; il mio inconscio non è

poi tanto creativo: di solito si limita a risputare fuori

un mix di eventi recenti.

Bimba in pericolo. Non ci voleva certo il dot or

Freud.

Katy. Non sentivo mia figlia da una set imana.

La spiaggia. L’iPhone stava ancora emet endo i

piacevoli suoni del mare.

La gura indistinta. Questo avrebbe richiesto

qualche riflessione in più.

Perché Annaliese Ruben aveva ucciso i suoi

bambini? Perché Ronnie Scarborough la minacciava?

bambini? Perché Ronnie Scarborough la minacciava?

Perché Ryan aveva dato questa svolta al a nostra

relazione?

Perché mia madre mi aveva tolto il pannolino

troppo presto?

Chi può saperlo?

Scostai di colpo le coperte e raggiunsi la mia valigia

correndo in punta di piedi. In lai jeans, una maglia a

maniche lunghe, la felpa grigia con il cappuccio,

calzini e scarpe da ginnastica. In giugno. Benvenuti

nel e regioni subartiche. O nel a tundra. O dove cavolo

eravamo.

Acqua sul viso. Rapida lavata ai denti. Capel i

raccolti in una coda.

L’orologio segnava le sei. Pregando che la sala da

pranzo del ’hotel fosse aperta, mi avviai di sot o.

Gaudio! Servivano le uova. O si preparavano a farlo.

Una donna stava disponendo il vassoio d’acciaio inox

su una fila di tavoli appaiati lungo tut a la parete.

Sentendo i miei passi, si voltò accennando a un

tavolino da due vicino al e nestre. Il nome sul a sua

targhet a identificativa era Nel ie.

Aveva i capel i neri che le ricadevano sul a schiena

in una treccia. La camicet a di cotone e il gonnel one

rosso vestivano un corpo piut osto tarchiato.

Mi sedet i dove mi veniva indicato e cercai il menu.

Non trovandolo, mi appoggiai al o schienale e mi

Non trovandolo, mi appoggiai al o schienale e mi

guardai intorno.

Nel ie e io non eravamo le uniche mat iniere. Due

uomini occupavano un tavolo accanto a un caminet o

circolare con cappa in rame, ora spento. Entrambi

indossavano jeans e camicie a quadri, e le loro barbe

imploravano una sistemata.

Nel ie svanì, riapparve pochi istanti dopo portando

una ca et iera d’acciaio e una tazza in porcel ana

spessa. Riempì di nuovo i mug a Bunyan il boscaiolo e

socio, poi venne da me.

«Scusi. Il bu et apre soltanto a partire dal e set e.»

Sol evò la ca et iera con espressione interrogativa. Gli

zigomi larghi e la pel e color rame suggerivano

un’ascendenza aborigena.

«Sì, grazie.»

Riempì la tazza e me la mise davanti. «Qualcosa

posso rimediargliela, se non ha gusti troppo

sofisticati.»

«Uova e toast andrebbero benissimo.»

«Strapazzate?»

«Sicuro.»

Si al ontanò senza fret a.

Sorseggiai il ca è abbastanza forte da tenere in

piedi il cucchiaino.

Il mio sguardo migrò verso la nestra. Oltre il vetro

si stendeva una sorta di scenario zen: cumuli di massi

si stendeva una sorta di scenario zen: cumuli di massi

tondeggianti, piante contorte che spuntavano tra

ciot oli sparsi al a rinfusa, tubi di gomma che

serpeggiavano al suolo. Non riuscivo a capire se era

un proget o in via di realizzazione o in stato di

abbandono totale.

Ai margini del giardino roccioso, due grossi merli

volteggiavano bassi sopra un boschet o di pini di

altezza surreale. Mentre seguivo con gli occhi i lenti

cerchi che disegnavano in cielo, la mia mente si

sorprese a rievocare il sogno di poco prima.

Perché Katy non aveva chiamato?

Verificai la copertura di rete del mio iPhone.

Quat ro tacche. Ma niente messaggi in segreteria o

SMS da parte di mia figlia.

Control ai la posta elet ronica. Avevo ricevuto

ventiquat ro e-mail da quando avevo lasciato

Edmonton. Per lo più le ignorai o cancel ai: noti che

di scadenze, rimedi per l’al ungamento del pene,

pubblicità di farmaci, prodot i cosmetici, vil e

vacanze. Proposte di lucrosi investimenti al ’estero.

Pete aveva mandato due righe per comunicarmi che

Birdie stava bene e molestava Boyd, il chow-chow del

mio ex marito.

Mia sorel a Harry mi raccontava di frequentare al

momento un astronauta in pensione. Di nome Orange

Curtain. Tenda Arancione? Sperai ardentemente che ci

fosse lo zampino del corret ore automatico.

Curtain. Tenda Arancione? Sperai ardentemente che ci

fosse lo zampino del corret ore automatico.

Katy mi aveva inoltrato il link per la festa di addio

al nubilato di un’amica. Okay. Stava bene. Era solo

molto impegnata.

Ol ie aveva inviato un messaggio privo di testo e

con un al egato. L’ogget o diceva: Salvare su cel .

Curiosa, scaricai il documento e lo apri .

Apparve la foto segnaletica di Annaliese Ruben,

scansionata e ingrandita. Benché la risoluzione non

fosse del e migliori, il volto era riconoscibile.

Buona idea, sergente Hasty, la mia copia cartacea

era ormai piut osto malridot a.

Osservai l’immagine. Capel i scuri. Guance tonde.

Carat eristiche che si potevano incontrare per le vie di

Dublino come di Dal as o Dresda.

«Spero non sia una di quel e tipe vegetariane.» Ero

talmente concentrata sul a Ruben che non mi ero

accorta di Nel ie. «Ci ho messo su un po’ di bacon.»

«Il bacon va benissimo.» Posai il telefono e levai i

gomiti dal tavolo.

Lei mi parcheggiò il piat o davanti. Oltre al e uova

con il bacon, conteneva toast, frit el e di patate e un

a arino marrone la cui provenienza non mi era molto

chiara.

«Desidera altro?» mi chiese.

Feci di no con la testa.

Nel ie si sfilò il conto dal a fascia del gonnel one.

Feci di no con la testa.

Nel ie si sfilò il conto dal a fascia del gonnel one.

«Ancora caf è?»

«Sì, grazie.»

Mentre al ungava il braccio verso la tazza, le cadde

l’occhio sul mio cel ulare con il volto del a Ruben

ancora visibile sul o schermo.

Sussultò come se avesse preso la scossa. Il ca è

fuoriuscì dal a tazza e nì sul a tovaglia. Con un

singulto, la donna si raddrizzò e indietreggiò di un

passo.

Alzai lo sguardo.

Le sue labbra erano serrate, gli occhi ri utavano di

incontrare i miei.

L’aveva turbata la fotogra a? O me l’ero solo

immaginato?

«Mi scusi» farfugliò. «Vado a prendere uno straccio.»

«Non si disturbi.» Sol evai l’iPhone per ripulirlo

dagli schizzi con il tovagliolo. «Non ha idea di come

maltrat o questo povero telefono.»

La sua bocca rimase sigil ata.

Lanciai un’occhiata al display con tut a la

noncuranza di cui ero capace. «Questa ragazza forse è

nata a Yel owknife.» Alzai il cel ulare perché la

vedesse bene.

Lei tenne ostinatamente gli occhi ssi sul a punta

del e scarpe.

del e scarpe.

«Il suo nome è Annaliese Ruben.»

Nessuna risposta.

«La conosce?»

Niente.

«Pare sia tornata di recente in cit à. Da Edmonton.»

«Ora devo andare a lavorare.»

«È importante che io la trovi.»

«Devo nire di apparecchiare il bu et prima di

terminare il mio turno.»

«Potrei aiutarla a risolvere un problema.»

Dal ’altra parte del a sala, Bunyan il boscaiolo &

company si alzarono. Lo sguardo del a cameriera li

seguì fin fuori dal a porta.

Trascorsero alcuni secondi.

Ero certa che Nel ie sapesse chi era la Ruben, forse

persino dove fosse. E stavo per insistere un’ultima

volta quando lei chiese: «Quale genere di problema?».

«Mi dispiace. Non vorrei tradire una confidenza…»

Gli occhi di Nel ie si levarono nalmente a

incontrare i miei. Tentava di decifrare i miei pensieri,

lo sentivo.

«Si trat a di Horace Tyne?»

«Lei cosa sa di Tyne?» Fingendo di aver capito a chi

si riferisse.

«Cosa ne sa lei!» Accidenti, colta in flagrante!

«Cosa ne sa lei!» Accidenti, colta in flagrante!

Calma, Brennan. Non la spaventare.

«Senta, Nel ie. So che non ha alcuna ragione per

darsi di me, ma sto davvero tentando di aiutare

Annaliese. Non ho intenzione di farle del male.»

«È del a polizia?»

«No.»

Il suo viso si richiuse ermeticamente, come lo

sportel o di uno spaccio di alcolici clandestino

al ’epoca del Proibizionismo.

Stupida. L’albergo è piccolo, la gente mormora.

Nel ie aveva di sicuro sentito qualcosa su Ol ie e Ryan.

«Ma viaggio con due poliziot i.» Cercai di rimediare

al passo falso.

«Perché sono qui?»

«Crediamo che Annaliese possa trovarsi in

dif icoltà.»

«E i poliziot i vogliono salvarla…»

«Sì.»

Senza una parola, Nel ie girò sui tacchi e uscì.

Mentre mangiavo le uova ormai fredde passai in

rassegna i progressi del a mat inata. Mi ero lasciata

terrorizzare da un incubo, tentando poi un’analisi

dilet antesca dei contenuti; mi ero tradita su Annaliese

Ruben; mi ero giocata una possibile fonte informata

dei suoi spostamenti.

dei suoi spostamenti.

Ma almeno avevo un nome. Horace Tyne.

Fantastico. Ryan, probabilmente, mi avrebbe

proposto per l’ammissione al ’esame di detective.

Tastai l’ogget o marrone. A un certo punto del a sua

esistenza doveva essere stato un vegetale.

Apparve un’altra cameriera che, in un confuso

acciot olio di stoviglie e tintinnio di posate, riprese a

predisporre le colazioni.

A errai la tazza per nire l’ultimo goccio di ca è,

ma il braccio mi si fermò a mezz’aria.

Nel ie aveva det o che era compito suo

apparecchiare il bu et: solo al ora sarebbe stata libera

di andarsene.

Al ora dov’era?

Dopo aver scarabocchiato nome e numero di

camera sul bigliet o del conto, mi ondai nel a hal .

Ed eccola che usciva in fret a e furia dal a porta

principale.

Chiamare Ryan? Ol ie?

La donna stava per scomparire al a vista lungo il

vialet o circolare.

Mi precipitai al ’inseguimento.

18

Una bruma mat utina, densa come il sugo di carne

con il lardo di mia nonna, mulinava al a luce

del ’insegna del ’hotel.

Anche se il sole non aveva mai ceduto del tut o il

posto al cielo not urno, doveva ancora organizzarsi

per la nuova alba.

In parole povere, la visibilità era penosa.

Nel ie era imbacuccata in un piumino grigio che si

mimetizzava con la nebbia, ma la gonna rosso vivo era

facile da individuare.

Mentre lasciavo la veranda coperta, la macchia di

colore – del a tonalità scarlat a di una fet a di bacon –

stava sparendo dietro la curva del vialet o.

Mi a ret ai lungo il sentiero. Dubitavo che si

sarebbe accorta di essere pedinata, ma mi tenni

comunque sul lato interno per non farmi vedere.

sarebbe accorta di essere pedinata, ma mi tenni

comunque sul lato interno per non farmi vedere.

Ero arrivata più o meno a metà strada, quando la

mia preda svanì. Al ungai il passo. Ai piedi del a

col ina, guardai a sinistra e poi a destra. La gonna

rossa sventolava lungo il Veterans Memorial Drive, a

quel ’ora praticamente deserto.

Svoltai, rimpiangendo la mia decisione di uscire

senza qualcosa di pesante. Il ato si condensava a ogni

respiro.

Il centro di Yel owknife ha l’aspet o e l’atmosfera di

un set cinematogra co trasportato lì su un camion e

montato in fret a. Pensate a Un medico tra gli orsi, ma

moltiplicate il numero di bar, ristoranti, negozi, u ci

non meglio definiti e palazzi governativi.

Segui Nel ie no al a 50a Strada, camminando il

più velocemente possibile per scaldarmi, ma non

tanto da annul are la distanza tra noi. Cosa non