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Le pattuglie volontarie trovano l’assassino

«La vita è per un decimo ciò che ti succede,

e per nove decimi la tua reazione.»

«Dorme?» Il pope Aleksander Koczuk fece capolino nella casetta bianca.

«Forse sì» rispose la vedova. «Ha informato il comandante Kula, batiuszka

Saszka annuì.

«Sta arrivando. Probabilmente ha di nuovo la macchina rotta.»

«Ho una paura tremenda» sussurrò la vedova.

«Non deve, signora Lidka. La ragazza è viva. Non è più in pericolo.»

«Ma quell’uomo... e lei con la mannaia... forse l’ha ucciso...»

«Era una cattiva persona. Malwina ha fatto quello che doveva. È Dio che ci guida, ognuno di noi porta la sua croce. E a tutto il resto poi ci penserà il signor Genek.»

«Cosa succederà adesso?»

«Ricorda quella volta cosa mi ha detto? Quella volta, quando ero ancora un altro uomo.» Il pope arrossì. «Grazie a lei ho capito perché sono un servo di Dio e qual è il mio compito. Ho preso molto a cuore le poche frasi che mi ha detto. Quella volta mi ha detto che la vita è meravigliosa proprio perché tutte le cose importanti avvengono quando meno ce lo aspettiamo. Per questo bisogna apprezzare il presente e trarre sagge conclusioni dal passato.»

«Ho detto così?» si meravigliò Lidia. «Davvero?»

«Sì.» Il batiuszka sorrise. «Lei è una donna molto saggia. Per questo credo che andrà tutto bene. A quanto pare anche Borys aveva bisogno di un’esperienza come questa. Per trarne le debite conclusioni. Non è cattivo. E spero che tutti ora crederanno alla sua innocenza. Non è stato lui a uccidere l’attrice. Prego per lui ogni giorno.»

«Malwina si sta svegliando» sussurrò la donna e corse accanto al letto. La ragazza alzò la testa. Si guardò intorno spaventata. Vide accanto a sé un bicchier d’acqua e ne buttò giù il contenuto tutto d’un fiato.

«Che ne è di lui?» chiese.

«Di chi?»

«Di quel pervertito! Schifoso assassino! Dio mio, ti ringrazio per quella mannaia!» gridò e saltò giù dal letto.

«Siediti. Qui sei al sicuro. Sta per arrivare il vicecommissario Kula» la tranquillizzò Lidia e le mise addosso una coperta.

«Cosa mi succederà? Perché sono qui? Quanto ho dormito?» La ragazza si mise a tempestarli di domande, guardando ora Lidia, ora il batiuszka.

«Una quarantina di minuti» rispose il pope.

Malwina si lasciò cadere sul cuscino. Dopo un momento però si alzò.

«Voglio confessarmi.»

Il pope Saszka la fece sedere di nuovo sul letto.

«Non è questo il momento di farlo, ragazza mia. E nemmeno il luogo giusto» disse gentilmente.

«Ma io l’ho colpito alla testa. È caduto» cominciò a dire, strozzando la parte finale delle parole. «Forse l’ho ucciso. Era credente. No, quella era sua madre. Lui non credeva in niente. Ma io volevo solo riprendermi la mia sciarpa. Diceva cose orribili. Avevo paura. Ho venduto poco formaggio. Non avevo soldi per l’autobus. Quella maledetta mannaia. Oh, scusate.» Si coprì la bocca con la mano. «Ho comprato quella mannaia. Non mi bastavano i soldi per l’autobus. Ma se non l’avessi avuta...»

In quel momento sentirono il borbottio del motore di un’auto, poi lo scatto del cancello che si apriva. I passi del poliziotto furono nascosti dall’abbaiare di Capo.

«Bravo, cagnetto. Sono dei vostri» disse con voce stentorea Eugeniusz Kula ed entrò nella proprietà.

Saszka e Lidia gli corsero incontro. Rimasero un po’ a sussurrare nella veranda, mentre il comandante si limitava ad annuire.

Mormorava solo ogni tanto «Sì, sì», mentre il batiuszka e la vedova gli raccontavano cos’era successo.

«Malwinka, sei viva. Dio sia ringraziato!» Alla fine Kula entrò nella casetta e gridò alla ragazza seduta: «Santo cielo, fare l’autostop mentre c’è un assassino a piede libero! Non hai visto i manifesti? Com’è successo? Dov’è il corpo? Sbrigati a parlare, perché ho dato inizio alle operazioni di ricerca».

«Signor Genio!» La ragazza ripeté di nuovo la sua litania: «Venivo dal mercatino di Siemiatycze. I formaggi non si vendevano. Ho comprato una mannaia. Di quelle cinesi, con i simboletti. Ho chiesto un passaggio, mi ha preso la sciarpa. Ha svoltato nel bosco, voleva strozzarmi. L’ho colpito con tutte le mie forze con la mannaia. Lui ha stretto di più il cappio. Pensavo che ormai fosse finita. Ho visto la mia mamma morta e una nebbia. Tutto in una nebbia. Poi ho ripreso conoscenza. Era sdraiato lì accanto. Sangue dappertutto. Segni rossi sulla neve. Si stava trascinando verso l’auto. Ma aveva tutto il sangue negli occhi. L’ho preceduto. Sono salita in macchina, perché il motore era acceso. Non sono molto brava a guidare. Sono andata a sbattere contro un albero, ho sentito il colpo. Ho schiacciato l’acceleratore. Sono uscita sulla strada. Ma ho fatto solo un pezzettino di strada, perché di colpo l’auto si è rigirata. Ho scambiato il freno con l’acceleratore e ho battuto la testa contro il volante. Il vetro è andato in pezzi come una ragnatela. Sono scesa a piedi. Avevo paura che mi raggiungesse. Si muoveva, mentre me ne andavo, si muoveva... E poi ho avuto l’impressione che sparisse. Guardavo nello specchio retrovisore dentro l’auto. Era sparito. Pensavo che il cuore mi uscisse dal petto per la paura».

«Allora è vivo?» sussurrò Lidia.

Si guardarono tutti e tre. Il primo a scattare verso l’uscita fu Kula.

«Sbarrare la porta» gridò a Lidia e lei, obbediente, corse a girare la chiave nella serratura. «Malwinka, dov’è?» Afferrò la ragazza per le braccia e la scosse, gridando: «Dove ti ha trascinata?».

«In una piccola radura...» La ragazza era sul punto di svenire. «Là, signor Genio, si incontrano i ragazzi d’estate. Fanno i falò, cantano. Be’, e poi, sa, signore... vanno a fare l’amore... Vicino a casa di Nina Frank. In quel bosco.»

«Bisognava dirlo subito» gridò Kula. «C’è poco tempo. Prendetevi cura di lei. È orfana. È sola, poveretta» gridò alla vedova e al batiuszka.

Corse fuori dalla proprietà. Lungo la strada gridò a Czerwieński che era seduto nell’auto: «Chiamare le pattuglie di volontari. Che perlustrino il bosco. Prendere pistole, coltelli, forconi. L’assassino è ancora vivo, sanguina, lo troveremo grazie alle tracce. Organizzare l’agguato!».

Prese il trasmettitore per comunicare ai superiori quello che era successo, ma ci ripensò. Girò la chiave della volante. Il motore rispose subito al primo colpo.

«Non è andata in palla, slava Hospodi»a borbottò a denti stretti Kula e diede un’allegra pacca a Czerwieński, che stava già telefonando ai vari membri delle pattuglie volontarie.

Poi, superando senza esitazione il limite di velocità, si diressero a sirene spiegate verso la piccola radura di cui gli aveva parlato Meyer.

Da lì la casa dell’attrice si vedeva perfettamente. Vuota, buia come un castello fantasma, ricordò le parole dello psicologo.

«Prenderemo l’assassino da soli» decise Kula.

La neve scricchiolava sotto i loro piedi. Camminavano l’uno accanto all’altro come soldati in prima linea al fronte. Vestiti in tuta mimetica, pronti a tutto. Niente adunata, niente addestramento e nessuna noiosa lezione. Il comandante Kula aveva dato l’ordine di dividersi in gruppi di tre e di cercare. Chi aveva un telefono cellulare ebbe il compito di fare da leader del gruppo.

«Dovete avere gli occhi davanti e dietro» li ammonì. «L’assassino può essere aggressivo, può avere un’arma. Voglio averlo vivo o morto!»

I volontari si sparsero in tutte le direzioni. Se a volo d’uccello si fossero unite le sagome umane, simili ora a minuscoli puntolini, ne sarebbe uscita la figura di una stella marina con al centro la radura accanto alla casa dell’attrice uccisa appena un mese fa. Ora tutti si sentivano come i protagonisti di un film western. Avevano una missione, si esponevano a un pericolo mortale. Nessuno diceva niente, nessuno si lamentava. Perlustravano il bosco con il cuore in gola.

«È debole, ha perso molto sangue. Cercate le tracce» insisteva il comandante ma, inutile dirlo, tutti tremavano di paura.

Kula non ebbe difficoltà a trovare il punto in cui la coraggiosa lattaia aveva attaccato il suo carnefice con la mannaia cinese del mercato. Al lato della radura spiccava una grande macchia marrone. Accanto c’erano la borsa a quadri, la sciarpa rossa della ragazza e un cavo da antenna. Il comandante fece portare tutti gli oggetti nella volante. Avvolse con cura nella pellicola il pezzo di cavo di plastica ritrovato.

«Abbiamo l’arma del delitto» disse rivolgendosi a Czerwieński e si mise a seguire personalmente le tracce di sangue, che lo portarono fino a un deposito di legname. Qui le tracce finivano e, benché Kula si aggirasse lì intorno da più di un quarto d’ora, dovette constatare che lì vicino non ce n’erano altre. “Strano” pensò.

Sedette al posto di guida e solo a questo punto informò il comando regionale.

«Stiamo cercando l’assassino. La donna aggredita è al sicuro» concluse in tono ufficiale.

Mezz’ora dopo, quando era già alla stazione di polizia, lo informarono che lungo la strada era stato ritrovato un veicolo sfasciato. Era un furgoncino bianco. Un Mercedes che aveva diciassette anni. La targa era stata appena identificata nel database. Kula sorrise sotto i baffi.

“Hubert, come hai fatto a indovinare?” si rivolse mentalmente al profiler.

Compose il suo numero, ma dopo due squilli rimise giù. “Ti informerò quando l’avremo trovato.”

Guardò fuori dal finestrino, stava scendendo la sera. Tra poco non si sarebbe più visto niente. “L’assassino si nasconde nel buio” pensò inquieto. Non riusciva a stare fermo. Odiava l’inattività e la pazienza non era una delle sue doti più spiccate. Avrebbe preferito restare con i volontari e continuare a cercare. Agire, agire. Tuttavia non poteva lasciare incustodita la stazione di polizia e tantomeno chiuderla a quattro mandate.

Ormai era buio pesto e Kula, irritato, continuava ad aspettare che arrivasse il Pelato o un altro detective della Regionale. Fissava la porta.

Ma cosa stavano aspettando! Qui si trattava di vita o di morte!

Prese le chiavi, chiuse la porta d’ingresso e tornò nel bosco.

I volontari si erano riuniti nella piccola radura e fissavano la casa tetra di Nina Frank. Le ricerche non avevano dato nessun risultato. L’assassino si era volatilizzato. Niente corpo, niente sangue e nemmeno una persona viva. Cetnarek e Czerwieński si stavano chiedendo cosa fare. Come dirlo a Kula? Alla fine avrebbero dovuto pur raccontarglielo, ma nessuno voleva prendersi la responsabilità e neanche decidere. Per questo furono tutti contenti quando di colpo videro stagliarsi nell’oscurità la figura del capo in persona.

«Non sarà mica sparito sottoterra! Muoversi!» Kula gridava ai costernati membri delle pattuglie volontarie. «Dobbiamo trovarlo!» Porse a ognuno di loro una torcia.

E lui stesso si avvicinò alla macchia scura ripetendo: «Strano, strano... Czerwieński, prestami un po’ la torcia».

Dopo un po’ si vide la piccola luce tonda correre freneticamente avanti e indietro intorno alle gocce di sangue, nere in quella luce, ormai assorbite dalla neve. I volontari, invece di andare verso il bosco buio, fissavano ottusamente Kula che esaminava quesi segni.

Di colpo Czerwieński fece un balzo verso i tronchi tagliati, accatastati l’uno sull’altro. Ne prese uno e cercò di sollevarlo.

«Cosa fai, figliolo! Ti verrà un’ernia» gridò Kula.

«Signor comandante» cominciò a spiegare febbrilmente l’agente. «Questi qui da una parte sono coperti di ghiaccio. Ma dall’altra parte?»

«No» ammise Kula.

«Gli altri sono tutti coperti di ghiaccio. Tutti quelli che sono a destra. Ma i tronchi dalla parte sinistra sono ghiacciati solo parzialmente» si mise a spiegare, mentre i volontari lo fissavano, senza capire nulla.

«Cosa vuol dire?» sussurravano tra di loro e alzavano le spalle.

Fu Kula il primo a cogliere il senso di quello che intendeva Czerwieński. Si avvicinò di corsa all’agente e afferrò l’altra estremità del massiccio tronco d’albero.

«Sollevate!» gridò agli altri, disorientati. Quattordici uomini gonfiarono i muscoli. Spostarono faticosamente sette tronchi, grugnendo e ansimando. Quando ebbero terminato questo lavoro, sotto i loro occhi apparve una mano.

L’uomo era sulla schiena, le mani allargate a croce. La mannaia gli spuntava dalla testa. Non era stato il colpo di Malwina a causarne la morte, però, ma i tronchi che erano crollati quando la lattaia, mentre scappava, li aveva colpiti facendo marcia indietro. Tutti fissarono il volto del cadavere. Anche se era massacrato, spappolato dal peso del legno, era ancora riconoscibile. E anche i suoi vestiti. Nessuno nei dintorni si vestiva così. Lo conoscevano bene tutti, nessuno escluso. Andava a casa di ognuno di loro almeno una volta al mese. Installava impianti satellitari e ne faceva la manutenzione. Era l’unico tecnico specializzato nella zona.

«Egon Kończak» dichiarò Czerwieński. «Il mio vicino. Gli ho prestato la videocamera. Me l’ha restituita senza neanche un graffio.»

«Abitava al Czarna Woda» aggiunse Cetnarek. «Doveva passare da me oggi, perché mio padre senza volere aveva spostato l’antenna satellitare. Mi ha detto che oggi sarebbe tornato a casa. Finalmente sua madre gli avrebbe preparato un pranzo come si deve.»

«Era un tipo così tranquillo» gemette Sakowicz. «Così preciso.»

«Conosceva tutte le serie tv. L’ho sentito parlare della monaca con Gala, sei mesi fa. Era stato il primo a sapere che Nina Frank sarebbe venuta ad abitare qui. Ce lo ha detto lui» ricordò Kula, e tutti lo guardarono come un pazzo. Cosa c’entrava?

Il comandante si ricordò di colpo che la stazione di polizia era vuota e che senza dubbio il Pelato era in arrivo. Si sarebbe arrabbiato se non avesse trovato nessuno. Ordinò agli agenti di aspettare e lasciò liberi i volontari, anche se questi non volevano affatto tornare a casa. Salì sulla volante e partì in fretta.

Fece in tempo. Davanti all’entrata non c’era nessuno. Era convinto che il Pelato fosse andato a ficcarsi in qualche mucchio di neve lungo la strada. Stava già per prendere il taccuino e telefonare a Meyer, quando sentì un’auto che si avvicinava. Si sporse dal finestrino. Vide il Pelato in compagnia di alcuni assistenti, che lo circondavano come cani fedeli. Bastò la vista dell’ufficiale a irritarlo. Per la rabbia accese una sigaretta e fece un bel tiro. Gli giunse alle orecchie la voce del commissario Czupryna: «Non preoccuparti, ci penso io».

a. In antico slavo ecclesiastico: Gloria, Signore. [N.d.T.]