Fine di Rodomonte
Occorre affrettarsi a sciogliere tutti i nodi: Orlando è rinsavito, Carlo ha vinto la guerra, non resta che celebrare le nozze di Bradamante e Ruggiero. Già lui si è convertito al cristianesimo; già Rinaldo gli ha promesso la mano della sorella, quali altre complicazioni possono ormai succedere? Ne succedono, invece, e di così vaste da aprire quasi lo spazio d’un nuovo poema nel poema che sta per chiudersi. Il duca Amone, che non sapeva niente di Ruggiero, ha promesso la mano di sua figlia a Leone, figlio nientemeno che dell’imperatore di Grecia Costantino. Può il duca Amone mancare di parola? Ruggiero riesce solo a far rimandare d’un anno ogni decisione, e parte per i Balcani, con l’idea di spodestare Costantino e Leone dal trono d’Oriente.
A quel tempo i Greci erano in guerra contro i Bulgari. Ruggiero, in incognito, combatte dalla parte dei Bulgari, sconfigge i Greci e dà tali prove di valore che gli offrono la corona di Bulgaria. Il principe Leone al vedere in battaglia questo nemico così straordinario, viene preso da un’ammirazione per l’eroe sconosciuto che sconfina nell’idolatria.
L’imperatore Costantino, invece, riesce a far catturare a tradimento Ruggiero e lo imprigiona e tortura come quel pericoloso nemico ch’egli è. Ma il figlio Leone, che continua a idolatrare l’eroe sconosciuto, lo libera di nascosto e ne guadagna la perpetua riconoscenza.
È destino di Ruggiero d’esser amato dai nemici, e di cacciarsi in situazioni in cui non capisce più da che parte deve stare. Rieccolo in un dilemma tragico: il debito di gratitudine per il rivale gli strazia la coscienza.
Bradamante intanto, per sfuggire alla strettoia, convince Carlo Magno a indire un torneo. La guerriera concederà la sua mano solo al cavaliere che riuscirà a resisterle dall’alba al tramonto. Ella è sicura che le sarà facile buttar giù di sella Leone, cosicché Ruggiero vinca e se la sposi. La poverina non sa che Ruggiero ha stretto un patto di fedeltà con Leone, e che Leone, anziché presentarsi al torneo di persona, si farà sostituire dal cavaliere sconosciuto, travestito con l’armatura e le insegne del principe di Grecia. Dunque Ruggiero deve, per lealtà verso Leone, combattere contro la donna amata, e tenerle testa, di modo che essa finisca per sposarsi col rivale.
Così avviene: Leone viene creduto vincitore. Ma Marfisa, che non comprende come mai il fratello non si faccia vivo, riesce a imporre ancora una prova: siccome Ruggiero aveva chiesto la mano di Bradamante in precedenza, si attenda il ritorno di Ruggiero perché Leone si batta con lui. Leone accetta, pensando di far combattere in sua vece il cavaliere sconosciuto. Qui il conflitto interiore di Ruggiero deve pur trovare una soluzione: non potrà certo scendere in torneo contro se stesso.
Ma siamo tra personaggi così generosi che appena i drammi nascosti cominciano a fiammeggiare allo scoperto ci sarà certamente un’esplosione di magnanimità generale: Leone rinuncerà a Bradamante, e Ruggiero – eletto re di Bulgaria – sarà scoperto come vincitore legittimo della mano di Bradamante.
Vado avanti a raccontare così di corsa perché in mezzo a vicende tanto seriose m’è presa una gran nostalgia d’un personaggio che incarnava una dignità comica più forte di tutte le dignità tragiche; il poema sta per finire; che Ariosto se ne sia dimenticato? No, ecco che alla fine della festa di nozze, dopo nove giorni di banchetti, saltando fuori dalle spelonche dell’anfrattuoso poema, un cavaliere tutto bardato in nero si presenta davanti a Carlo Magno: è lui, Rodomonte, il più spavaldo, il più smodato, il più suscettibile, il più sfortunato, il più patetico di tutti i nostri eroi. Per scontare le umiliazioni che avevano ferito il suo orgoglio Rodomonte è rimasto nascosto per un anno e un mese e un giorno, e ora viene a sfidare Ruggiero, a cercar d’impedire che il poema si compia.
Ancora una volta le lance volano via in una girandola di schegge, ancora una volta le prove di forza straordinarie degli eroi sono paragonate alle quotidiane fatiche degli uomini: i giganteschi lavori per arginare il Po o i crolli nelle miniere d’oro d’Ungheria e di Spagna. Rodomonte che racchiude in sé lo spirito sfaccettato del poema, la sua sonora baldanza, la sua melanconia, la sua inesausta riserva di energie, s’accomiata avvitandosi in una lenta spirale verso il buio Acheronte del silenzio (XLVI, 101-40).
L’ultimo dì1, ne l’ora che ’l solenne
convito era a gran festa2 incominciato;
che3 Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra4 le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e ’l destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
Quest’era il re d’Algier5, che per lo scorno
che gli fe’ sopra il ponte la donzella6,
giurato avea di non porsi arme intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Così a quel tempo solean per se stessi7
punirsi i cavallier di tali eccessi8.
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo9;
per non disdirsi, non più l’arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso10.
Ma poi che tutto l’anno e tutto ’l mese
vede finito, e tutto ’l giorno appresso,
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or ne vien quivi di Francia.
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenzia,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta11,
e de tanti signor l’alta presenzia.
Maraviglioso12 e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenzia.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò che ’l guerrier dir vuole.
Poi che fu a Carlo et a Ruggiero a fronte,
con alta voce et orgoglioso grido:
– Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo’, prima che ’l sol tramonte,
provar ch’al tuo signor sei stato infido13;
e che14 non merti, che sei traditore,
fra questi cavallieri alcuno onore.
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perché essendo cristian non pòi negarla15;
pur per farla apparere anco più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n’accetto;
e a tutte16 manterrò17 quel ch’io t’ho detto. –
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenzia rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu’altro fosse,
che traditor volesse nominarlo18;
che sempre col suo re così portosse,
che giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch’era apparecchiato sostenere
che verso lui19 fe’ sempre il suo dovere:
e ch’a difender la sua causa era atto,
senza tôrre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch’assai n’avrebbe e forse troppo d’uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e ’l figlio bianco e ’l bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s’eran20 per la difesa di Ruggiero;
mostrando ch’essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: – State in riposo21;
che per me fôran22 queste scuse sozze23. –
L’arme che tolse al Tartaro24 famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze25.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto l’altro arnese26.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese27.
Feron d’intorno far subito piazza28
Rinaldo, Namo et Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni29 sempre apparecchiato.
Donne e donzelle30 con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da’ granosi31 paschi ai nidi caccia
rabbia de’ venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e ’l nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a’ campi strage e danno:
timide32 stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale33.
Così a tutta la plebe e alla più parte
dei cavallieri e dei baron34 parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch’in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n’avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior danno altronde35 ebbe quel regno.
Tremava, più ch’a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch’ella credesse
che ’l Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l’onore36
a chi l’ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non può senza sospetto;
che di temere, amando, ha degno effetto37.
Oh quanto volentier sopra sé tolta
l’impresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata più che certa!
Avria eletto a38 morir più d’una volta,
se può più d’una morte esser sofferta,
più tosto che patir che ’l suo consorte
si ponesse a pericol de la morte.
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l’impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar39 coi ferri bassi40.
Le lancie all’incontrar parver di gielo41;
i tronchi, augelli a salir42 verso il cielo.
La lancia del pagan, che venne a côrre43
lo scudo a mezzo, fe’ debole effetto:
tanto l’acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli andò allo scudo44, e gliele45 passò netto;
tutto che fosse appresso46 un palmo grosso,
dentro e di fuor d’acciaro, e in mezzo d’osso.
E se non che47 la lancia non sostenne
il grave scontro, e mancò48 al primo assalto,
e rotta in scheggie e in tronchi aver le penne
parve per l’aria, tanto volò in alto;
l’osbergo apria49 (sì furïosa venne),
se fosse stato adamantino smalto50,
e finia la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
Con briglia e sproni i cavallieri instando51,
risalir52 feron subito i destrieri;
e donde53 gittâr l’aste, preso il brando,
si tornaro a ferir crudeli e fieri:
di qua di là con maestria girando
gli animosi cavalli atti54 e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar55 dove il ferro era più raro56.
Non si trovò lo scoglio del serpente57,
che fu sì duro, al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né ’l solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l’usate arme58, quando fu perdente
contra la donna di Dordona59 al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi60,
come di sopra avervi detto parmi.
Egli avea un’altra assai buona armatura,
non come era la prima già perfetta:
ma né questa né quella né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fattura61,
né finezza d’acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là sì ben lavora,
ch’al pagan l’arme in più d’un loco fora.
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan l’arme, e non poter schivare62
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor63 si mosse,
ch’a mezzo il verno64 il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su l’elmo di Ruggiero a due man fere.
Con quella estrema forza che65 percuote
la machina66 ch’in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi67:
giova l’elmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.
Ruggiero andò due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a rïaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, et al crudel pagano
disarmata lasciò di sé la mano.
Rodomonte per questo non s’arresta,
ma s’aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sono il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra68,
che de l’arcion lo svelle, e caccia in terra.
Non fu in terra sì tosto, che risorse,
via più che d’ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell’onta,
stringe la spada, e col pagan s’affronta.
Quel69 gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare70, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira71;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira72;
e di due punte73 fe’ sentirgli angoscia,
l’una nel fianco, e l’altra ne la coscia.
Rodomonte, ch’in mano ancor tenea
il pome e l’elsa de la spada rotta,
Ruggier su l’elmo in guisa percotea74,
che lo potea75 stordire all’altra botta76.
Ma Ruggier ch’a ragion77 vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta78,
aggiungendo alla destra l’altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
Sua forza o sua destrezza vuol che79 cada
il pagan sì, ch’a Ruggier resti al paro80:
vo’ dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro81.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa82 lasciar venirsi adosso
un corpo così grande e così grosso.
E insanguinargli83 pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l’altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L’elsa e ’l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.
Ne la guancia84 de l’elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar85, ma il piè gli falla86,
che per la coscia offesa era impotente:
e ’l volersi affrettar più del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto87
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sì curto88,
che con la mano in terra anco lo caccia89.
Ma tanto fa il pagan, che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sì, che l’abbraccia:
l’uno e l’altro s’aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme90.
Di forza a Rodomonte una gran parte91
la coscia e ’l fianco aperto92 aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte93;
e donde94 il sangue uscir vede più sciolto95,
e dove più ferito il pagan vede,
puon96 braccia e petto, e l’uno e l’altro piede.
Rodomonte pien d’ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende97.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra98.
Tanto le prese99 andò mutando il franco100
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse101:
calcògli102 il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all’altro attraversògli e spinse103;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tornollo104.
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse105; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c’ha la Fortuna per la fronte106,
perché levarsi il Saracin non possa,
l’una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l’altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
Come talvolta, ove si cava l’oro
là tra’ Pannoni107 o ne le mine ibere108,
se improvisa ruina109 su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere110,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto111 a pena, onde uscire, adito avere:
così fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch’in terra messo112.
Alla vista113 de l’elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch’avea già tratto;
e che si renda, minacciando, tenta114,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
Come mastin sotto il feroce alano115
che fissi116 i denti ne la gola gli abbia,
molto s’affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano117,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla118 al pagano ogni pensiero
d’uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi119 col braccio migliore120;
e con la destra man che ’l pugnal tiene,
che trasse anch’egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene121:
ma il giovene s’accorse de l’errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
E due e tre volte ne l’orribil fronte,
alzando, più ch’alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose122, e si levò d’impaccio123.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.