Il duello di Rinaldo e di Ruggiero

È in un brutto momento che Ruggiero torna al campo d’Agramante in Arles. Come se non bastassero i vuoti che si sono aperti nelle schiere maomettane, dall’Africa arrivano cattive notizie che nessuno s’aspettava: Astolfo ha guidato attraverso il deserto un esercito di Nubiani e ha conquistato Biserta. Agramante raduna un consiglio di guerra: conviene che l’armata saracena lasci la Francia per salvare l’Africa, oppure resista e, approfittando dell’assenza d’Orlando, cerchi di sconfiggere Carlo nel suo territorio? Marsilio re di Spagna è di questo secondo avviso, ma il vecchio e saggio Sobrino, sicuro che in campo aperto i Mori avrebbero la peggio, fa un’altra proposta: definire la guerra con il confronto di due campioni, accordandosi con Carlo in modo che il re del campione soccombente resti tributario dell’altro. È alla valentia di Ruggiero che re Agramante può confidare la sua sorte: dal canto suo Carlo Magno, accettando le regole della sfida, sceglie Rinaldo come proprio campione.

Ecco dunque dove la vicenda, passo passo, ha portato Ruggiero e Bradamante: da eroi d’epopea e d’avventura quali erano, tutto era calcolato per promuoverli al rango d’eroi di tragedia classica, straziati da un conflitto interiore. Ruggiero, per essere degno dell’onore che il suo re gli fa eleggendolo a campione, deve cercar d’uccidere il fratello della donna che ama; non può né augurarsi di vincere né rassegnarsi alla viltà. Bradamante deve assistere muta e immobile a un duello mortale tra il fidanzato e il fratello, un duello che comunque vada finirà con un lutto crudele e renderà impossibili le nozze (XXXVIII, 71-72).

D’ogni fin che sortisca la contesa1,

a lei non può venirne altro che doglia.

Ch’abbia a morir Ruggiero in questa impresa,

pensar non vuol; che par che ’l cor le toglia2.

Quando anco3, per punir più d’una offesa,

la ruina di Francia Cristo voglia,

oltre che sarà morto il suo fratello,

seguirà un danno a lei più acerbo e fello:

che non potrà, se non con biasmo e scorno,

e nimicizia di tutta sua gente,

fare al marito4 suo mai più ritorno,

sì che lo sappia ognun publicamente,

come s’avea, pensando notte e giorno,

più volte disegnato ne la mente:

e tra lor era la promessa tale,

che ’l ritrarsi e il pentir più poco vale5.

Per fortuna le è vicina la Maga Melissa, che promette di ricorrere alle sue arti negromantiche per scongiurare la tragedia (77-81).

Non molto dopo, instrutto6 a schiera a schiera,

si vide uscir l’esercito pagano.

In mezzo armato e suntuoso7 v’era

di barbarica pompa il re africano;

e s’un baio corsier di chioma nera,

di fronte bianca, e di duo piè balzano8,

a par a par con lui venìa Ruggiero,

a cui servir non è Marsilio altiero9.

L’elmo, che dianzi con travaglio tanto

trasse di testa al re di Tartaria10,

l’elmo, che celebrato in maggior canto11

portò il troiano Ettòr mill’anni pria,

gli porta il re Marsilio a canto a canto12:

altri principi et altra baronia

s’hanno partite l’altr’arme fra loro,

ricche di gioie e ben fregiate d’oro.

Da l’altra parte fuor dei gran ripari

re Carlo uscì con la sua gente d’arme,

con gli ordini medesmi e modi pari

che terria se venisse al fatto d’arme.

Cingonlo intorno i suoi famosi pari13;

e Rinaldo è con lui con tutte l’arme,

fuor che l’elmo che fu del re Mambrino14,

che porta Ugier Danese15 paladino.

E di due azze16 ha il duca Namo l’una,

e l’altra Salamon re di Bretagna.

Carlo da un lato i suoi tutti raguna;

da l’altro son quei d’Africa e di Spagna.

Nel mezzo non appar persona alcuna:

vòto riman gran spazio di campagna,

che per bando commune a chi vi sale,

eccetto ai duo guerrieri, è capitale17.

Poi che de l’arme la seconda eletta18

si diè al campion del populo pagano,

duo sacerdoti, l’un de l’una setta19,

l’altro de l’altra, uscîr coi libri in mano.

In quel del nostro è la vita perfetta

scritta di Cristo20; e l’altro è l’Alcorano21.

Con quel de l’Evangelio si fe’ inante

l’imperator, con l’altro il re Agramante.

I due campioni combattono appiedati, armati d’azza, che sarebbe un’asta con in cima una testa di martello. Ruggiero bada solo a difendersi, nel terrore di macchiarsi del sangue del futuro cognato; mentre Rinaldo, che non sa nulla dell’innamoramento della sorella, attacca con accanimento. I Saraceni, vedendo l’inferiorità del loro campione, si disperano; in quel momento ecco che un guerriero gigantesco accorre alla tribuna d’Agramante. È Rodomonte, tornato dal suo sdegnoso ritiro, che esorta il re a rompere i patti e a invadere il campo con le sue schiere; non c’è altra via di salvezza per loro; lui Rodomonte è pronto ad assumersi ogni responsabilità d’aver violato gli accordi. «Se Rodomonte è con noi, i rapporti di forze cambiano a nostro favore», pensa Agramante e irrompe con l’esercito spiegato. Decisione precipitata oltre che scorretta: perché quel che gli era sembrato Rodomonte in carne e ossa altro non era che un’apparizione evocata dalle magie di Melissa per trarlo in inganno e liberare Ruggiero e Bradamante dal loro conflitto interiore.

Nella zuffa, i Cristiani contrattaccano i nemici sleali con furore, e dove la battaglia è più fitta scattano appaiate le lance delle due micidiali cognate: Bradamante e Marfisa (XXXIX, 1-15).

L’affanno di Ruggier ben veramente

è sopra ogn’altro duro, acerbo e forte,

di cui22 travaglia il corpo, e più la mente,

poi che di due fuggir23 non può una morte;

o da Rinaldo, se di lui possente

fia meno, o se fia più, da la consorte24:

che se ’l fratel le uccide, sa ch’incorre

ne l’odio suo, che più che morte aborre25.

Rinaldo, che non ha simil pensiero,

in tutti i modi alla vittoria aspira:

mena de l’azza26 dispettoso e fiero;

quando alle braccia e quando al capo mira.

Volteggiando con l’asta il buon Ruggiero

ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;

e se percuote pur, disegna27 loco

ove possa a Rinaldo nuocer poco.

Alla più parte dei signor pagani

troppo par disegual esser la zuffa:

troppo è Ruggier pigro a menar le mani,

troppo Rinaldo il giovine ribuffa28.

Smarrito in faccia il re degli Africani

mira l’assalto, e ne sospira e sbuffa:

et accusa Sobrin, da cui procede

tutto l’error, che ’l mal consiglio diede.

Melissa in questo tempo, ch’era fonte

di quanto sappia incantatore o mago,

avea cangiata la feminil fronte29,

e del gran re d’Algier presa l’imago:

sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,

e parea armata di pelle di drago30;

e tal lo scudo e tal la spada al fianco

avea, quale usava egli, e nulla manco.

Spinse il demonio inanzi al mesto figlio

del re Troiano, in forma di cavallo31;

e con gran voce e con turbsto ciglio32

disse: – Signor, questo è pur troppo fallo33,

ch’un giovene inesperto a far periglio,

contra un sì forte e sì famoso Gallo

abbiate eletto in cosa di tal sorte,

che ’l regno e l’onor d’Africa n’importe34.

Non si lassi seguir35 questa battaglia,

che ne sarebbe in36 troppo detrimento.

Su Rodomonte sia, né ve ne caglia

l’avere il patto rotto e ’l giuramento37.

Dimostri ognun come sua spada taglia:

poi ch’io ci sono, ognun di voi val cento. –

Poté questo parlar sì in Agramante,

che senza più pensar si cacciò inante.

Il creder d’aver seco il re d’Algieri

fece che si curò poco del patto;

e non avria di mille cavallieri

giunti in suo aiuto sì gran stima fatto.

Perciò lancie abbassar, spronar destrieri

di qua di là veduto fu in un tratto.

Melissa, poi che con sue finte larve38

la battaglia attaccò, subito sparve.

I duo campion che vedeno turbarsi39

contra ogni accordo, contra ogni promessa,

senza più l’un con l’altro travagliarsi,

anzi ogni ingiuria avendosi rimessa40,

fede si dan, né qua né là impacciarsi,

fin che la cosa non sia meglio espressa41,

chi stato sia che i patti ha rotto inante,

o ’l vecchio Carlo, o ’l giovene Agramante.

E replican con nuovi giuramenti

d’esser nimici a chi mancò di fede.

Sozzopra se ne van42 tutte le genti:

chi porta inanzi, e chi ritorna43 il piede.

Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti

in un atto medesimo44 si vede:

son tutti parimente al correr presti;

ma quei corrono inanzi, e indietro questi.

Come levrier che la fugace fera45

correre intorno et aggirarsi mira,

né può con gli altri cani andare in schiera,

che ’l cacciator lo tien, si strugge d’ira,

si tormenta, s’affligge e si dispera,

schiattisce46 indarno, e si dibatte e tira;

così sdegnosa infin allora stata

Marfisa era quel dì con la cognata47.

Fin a quell’ora avean quel di vedute

sì ricche prede48 in spazïoso piano;

e che fosser dal patto ritenute

di non poter seguirle49 e porvi mano50,

ramaricate s’erano e dolute,

e n’avean molto sospirato invano.

Or che i patti e le triegue vider rotte,

liete saltâr ne l’africane frotte.

Marfisa cacciò l’asta per lo petto

al primo che scontrò, due braccia dietro51:

poi trasse il brando, e in men che non l’ho detto,

spezzò quattro elmi, che sembrâr di vetro.

Bradamante non fe’ minore effetto;

ma l’asta d’or tenne diverso metro52:

tutti quei che toccò, per terra mise;

duo tanti53 fur, né però alcuno uccise.

Questo sì presso l’una all’altra fêro,

che testimonie54 se ne fur tra loro;

poi si scostaro, et a ferir si diero,

ove le trasse l’ira, il popul Moro.

Chi potrà conto aver d’ogni guerriero

ch’a terra mandi quella lancia d’oro?

o d’ogni testa che tronca o divisa55

sia da la orribil spada di Marfisa?

Come al soffiar de’ più benigni venti,

quando Apennin scuopre56 l’erbose spalle,

muovonsi a par duo turbidi torrenti

che nel cader fan poi diverso calle;

svellono i sassi e gli arbori eminenti57

da l’alte ripe, e portan ne la valle

le biade e i campi58; e quasi a gara fanno

a chi far può nel suo camin più danno:

così le due magnanime guerriere,

scorrendo il campo per diversa strada,

gran strage fan ne l’africane schiere,

l’una con l’asta, e l’altra con la spada.

Tiene Agramante a pena alle bandiere59

la gente sua, ch’in fuga non ne vada.

Invan domanda, invan volge la fronte;

né può saper che sia di Rodomonte.

Tra gli africani, re Marsilio e re Sobrino non vogliono aver a che fare con un re mancatore di parola e abbandonano Agramante. Egli è solo nella disfatta, inseguito da quelle due tigri agilissime e spietate che sono Marfisa e Bradamante sul campo di battaglia. Una sola via di salvezza gli resta, ed è la flotta: il re sconfitto salpa verso l’Africa (66-73).

Fu quasi il re Agramante abbandonato

nel pericol maggior di quella guerra;

che con molti pagani era tornato

Marsilio e ’l re Sobrin dentro alla terra60;

poi su l’armata61 è questo e quel montato,

che dubbio avean di non salvarsi in terra;

e duci e cavallier del popul Moro

molti seguito avean l’esempio loro.

Pure Agramante la pugna sostiene;

e quando finalmente più non puote,

volta le spalle, e la via dritta tiene

alle porte62 non troppo indi remote.

Rabican dietro in gran fretta gli viene,

che Bradamante stimola e percuote:

d’ucciderlo era disïosa molto;

che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.

Il medesmo desir Marfisa avea,

per far del padre suo tarda vendetta63;

e con gli sproni, quanto più potea,

facea il destrier sentir ch’ella avea fretta.

Ma né l’una né l’altra vi giungea

sì a tempo, che la via fosse intercetta64

al re d’entrar ne la città serrata,

et indi poi salvarsi in su l’armata65.

Come due belle e generose parde66

che fuor del lascio67 sien di pari uscite,

poscia ch’i cervi o le capre68 gagliarde

indarno aver si veggano seguite,

vergognandosi quasi, che fur tarde,

sdegnose se ne tornano e pentite;

così tornâr le due donzelle, quando

videro il pagan salvo, sospirando.

Non però si fermâr; ma ne la frotta

degli altri che fuggivano cacciârsi,

di qua di là facendo ad ogni botta

molti cader senza mai più levarsi.

A mal partito era la gente rotta,

che per fuggir69 non potea ancor salvarsi;

ch’Agramante avea fatto per suo scampo

chiuder la porta ch’uscia verso il campo,

e fatto sopra il Rodano tagliare

i ponti tutti. Ah sfortunata plebe,

che dove del tiranno utile appare,

sempre è in conto di pecore e di zebe70!

Chi s’affoga nel fiume e chi nel mare,

chi sanguinose fa di sé le glebe.

Molti perîr, pochi restâr prigioni;

che pochi a farsi taglia erano buoni71.

De la gran moltitudine ch’uccisa

fu da ogni parte72 in questa ultima guerra

(ben che la cosa non fu ugual divisa;

ch’assai più andâr dei Saracin sotterra

per man di Bradamante e di Marfisa),

se ne vede ancor segno in quella terra;

che presso ad Arli, ove il Rodano stagna,

piena di sepolture è la campagna73.

Fatto avea intanto il re Agramante sciorre74,

e ritirar in alto75 i legni gravi,

lasciando alcuni, e i più leggieri, a tôrre

quei che volean salvarsi in su le navi.

Vi ste’ duo dì per chi fuggia raccorre,

e perché venti76 eran contrari e pravi:

fece lor dar le vele77 il terzo giorno;

ch’in Africa credea di far ritorno.

Naviga per tre giorni, e una gran squadra di galee cristiane gli sbarra il passo. Una nube di frecce subissa la nave d’Agramante, poi una valanga di sassi lanciati da catapulte; e le falariche incendiarie fanno il resto (83-85).

D’alto cader sente gran sassi e gravi

da machine78 cacciati e da tormenti;

e prore e poppe fraccassar de navi,

et aprire79 usci80 al mar larghi e patenti81;

e ’l maggior danno è de l’incendi pravi,

a nascer presti, ad ammorzarsi lenti.

La sfortunata ciurma si vuol tôrre

del gran periglio, e via più ognor vi corre.

Altri che ’l ferro e l’inimico caccia82,

nel mar si getta, e vi s’affoga e resta:

altri che muove a tempo piedi e braccia,

va per salvarsi o in quella barca o in questa;

ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,

e la man, per salir troppo molesta,

fa restare attaccata ne la sponda:

ritorna il resto a far sanguigna l’onda83.

Altri84 che spera in mar salvar la vita,

o perderlavi almen con minor pena,

poi che notando non ritrova aita,

e mancar sente l’animo e la lena,

alla vorace fiamma c’ha fuggita,

la tema di annegarsi anco rimena:

s’abbraccia a un legno ch’arde, e per timore

c’ha di due morte85, in ambe se ne muore.

Ma da dov’era uscita questa flotta cristiana che nessuno sapeva che esistesse? L’aveva fatta sorgere per incantesimo Astolfo, gettando in mare una manciata di ramoscelli e foglioline...