BILIARDO DARWINIANO

― Naturalmente il concetto informatore del primo Libro della Genesi è tutto sbagliato ― dissi. ― Prendiamo una sala da biliardo, per esempio.

Gli altri tre presero mentalmente una sala da biliardo. Ce ne stavamo seduti sugli sgangherati sgabelli girevoli nel laboratorio del dottor Trotter, ma era uno sforzo inutile quel nostro tentativo di trasformare i banchi in biliardi, gli scaffali in stecche, le bottiglie dei reagenti in biglie e disporre il tutto in bell'ordine sotto i nostri sguardi.

Thetier arrivò perfino ad alzare un dito, chiudendo gli occhi e mormorando: ― Sala da biliardo. ― Trotter, come al solito, non disse niente, ma si covava la sua seconda tazza di caffè, come sempre orribile: ma io ero l'ultimo arrivato nel gruppo e l'interno del mio apparato digerente non si era ancora abbastanza assuefatto.

― E adesso provate a pensare alla conclusione di una partita di carambola ― dissi. ― Dovete infilare tutte le biglie, salvo naturalmente la vostra, in una data buca...

― Un momento ― disse Thetier, sempre pignolo, ― non importa che buca sia, purché...

― Lascia perdere. Dunque, a partita finita, le biglie sono in diverse buche. Giusto? Ora supponiamo di entrare in una sala da biliardo a partita terminata, di modo che si possa vedere solo la posizione finale, e si cerchi di ricostruire il corso degli avvenimenti precedenti. Naturalmente ci sono svariate alternative.

― No, se si conoscono le regole del gioco ― disse Madend.

― Facciamo finta di esserne completamente all'oscuro ― dissi io. ― Si può concludere che le biglie siano state mandate in buca dal pallino, a sua volta colpito dalla stecca, e questo sarebbe quanto è realmente accaduto, però non è una spiegazione che possa venire spontaneamente. È più probabile che una persona non troppo esperta pensi che le biglie siano state mandate in buca a mano, o che siano sempre state nelle buche dove le abbiamo trovate.

― D'accordo ― disse Thetier, ― se vuoi rifarti alla Genesi, sosterrai per analogia che potremmo pensare che l'universo sia sempre esistito, o sia stato creato arbitrariamente così com'è adesso, o sia diventato tale in seguito all'evoluzione. E allora?

― Non è questa l'alternativa che volevo proporre ― dissi. ― Ammettiamo, come dato di fatto, che l'universo sia stato creato come atto volontario e prendiamo in considerazione soltanto i metodi con cui è stata effettuata la creazione. È facile supporre che Dio abbia detto "Sia fatta la luce", dopo di che vi fu luce, ma non è estetico.

― È semplice ― disse Madend. ― Secondo Occam Razor, quando esistono molte possibilità alternative bisogna scegliere la più semplice.

― E allora perché nella carambola non si mandano le biglie in buca con le mani? È più semplice, ma non è estetico. D'altro canto, se si parte dall'atomo primordiale...

― Come sarebbe a dire? ― chiese sommessamente Trotter.

― Be', chiamiamolo la massa-energia dell'universo compressa in una singola sfera in condizioni di minima entropia. Se doveste farla esplodere in modo che tutte le particelle che costituiscono la materia e i quanti di energia entrino in azione, reagiscano e interagiscano reciprocamente fra loro in modo predeterminato sì che venga a crearsi l'universo attuale, non vi pare che sarebbe un gesto molto più soddisfacente che non una semplice agitatina di mano accompagnata dal "Sia fatta la luce"?

― Secondo il tuo paragone ― disse Madend, ― sarebbe come far colpire dal boccino una delle biglie e mandarle tutte e quindici nelle buche prestabilite.

― Come programma è avvincente ― dissi io. ― Sì.

― C'è più poesia nel pensiero di un immane atto di volontà ― disse Madend.

― Dipende se si considera la questione dal punto di vista matematico o da quello teologico ― dissi io. ― Per restare nel discorso, il primo Libro della Genesi potrebbe benissimo adattarsi allo schema del biliardo. Il Creatore potrebbe aver passato il tempo a calcolare tutte le varianti e tutti i rapporti necessari a formulare sei colossali equazioni. Ogni «giorno» è un'equazione. Dopo aver applicato l'impeto esplosivo iniziale, il Creatore ha «riposato» il settimo «giorno», e per «giorno» s'intende l'intervallo fra il principio e il quattromila e quattro avanti Cristo. Quest'intervallo, in cui si risolvono gli infiniti e complessi schemi delle biglie, non interessa, ovviamente, agli scrittori della Bibbia. Tutti quei miliardi di anni possono essere considerati unicamente come lo sviluppo del singolo atto della creazione.

― Stai postulando un universo teologico ― disse Trotter, ― un universo in cui è implicito uno scopo.

― Certamente ― dissi, ― e perché no? Un atto creativo consapevole privo di scopo sarebbe ridicolo. Inoltre, se cerchi di considerare l'intero corso dell'evoluzione come il cieco risultato di forze prive di scopo, ti troveresti alle prese con molti imbarazzanti problemi.

― Per esempio? ― chiese Madend.

― Per esempio ― dissi io, ― la scomparsa dei dinosauri.

― Cosa c'è di tanto difficile da capire in questo?

― Non esiste una sola ragione logica. Prova a dirmene una.

― La legge dei ritorni calanti ― disse Madend. ― I brontosauri erano troppo massicci, gli ci volevano gambe come tronchi per sorreggerli, e perciò stavano per la maggior parte del tempo a galleggiare nell'acqua. Ma dovevano anche continuare a mangiare per poter disporre delle calorie necessarie. E quando dico sempre, intendo che non potevano mai smettere. Quanto ai carnivori, avevano finito col costruirsi addosso corazze tali per offendere e difendersi nelle scorribande contro i loro simili, che avevano finito col diventare dei lentissimi carri armati che ansimavano sotto il peso di mezza tonnellata di ossa e scaglie. Quindi è semplice: arrivò il momento che non ce la fecero più.

― E va bene ― dissi, ― così però si estinsero quelli enormi. Ma, per la massima parte, i dinosauri erano piccole creature dai movimenti rapidi in cui non c'era sovrabbondanza né di massa né di corazza. Cosa ne è stato di loro?

― Riguardo a quelli piccoli, si è trattato di una questione di concorrenza. Se alcuni di quei rettili, evolvendosi, svilupparono capelli e sangue caldo, fu perché così potevano adattarsi meglio alle variazioni del clima. Non sarebbero stati costretti a evitare i raggi del sole né si sarebbero intorpiditi non appena la temperatura fosse scesa al di sotto dei ventiquattro gradi. Non avrebbero avuto bisogno di cadere in letargo durante l'inverno. Perciò persero la gara nella corsa al vettovagliamento.

― Questa risposta non mi soddisfa ― dissi. ― In primo luogo non credo che i diversi sauriani abbiano ceduto con tanta facilità. Dopo tutto resistettero qualcosa come trecento milioni di anni, il che, lo sai bene, significa duecentonovantotto milioni più di quanti ne abbia a suo credito la razza «homo». In secondo luogo, ancora oggi sussistono animali a sangue freddo, principalmente insetti e anfibi e...

― Capacità di riproduzione ― disse Thetier.

― ... e alcuni rettili. Serpenti, lucertole e tartarughe se la cavano mica male, direi. E già che siamo sull'argomento, cosa ne dite dell'oceano? I sauriani ci si adattarono sotto forma di ittiosauri e plesiosauri. Anche questi scomparvero, e non si svilupparono nuove forme di vita basate su presupposti evolutivi tali da competere con loro. Senza tema di essere smentito, posso affermare che la principale forma di vita oceanica sono i pesci, i quali sono anteriori agli ittiosauri. Come lo spiegate? I pesci sono anch'essi animali a sangue freddo e sono creature ancora più primitive. E nell'oceano non è questione di massa o di ritorni calanti, in quanto tutto il lavoro di sostegno lo fa l'acqua. La balena è più grande del più grande dinosauro che mai sia esistito... e c'è dell'altro. A che cosa serve parlare dell'inefficienza del sangue freddo e dire che al di sotto dei ventiquattro gradi centigradi gli animali a sangue freddo intorpidiscono? I pesci sguazzano giulivi a temperature costanti di due o tre gradi, e non mi direte che uno squalo ha l'aria di essere intorpidito.

― E allora come mai i dinosauri se ne andarono quatti quatti dalla Terra lasciandosi dietro le loro ossa? ― chiese incuriosito Madend.

― Faceva parte del progetto. Una volta che erano serviti allo scopo, non erano più necessari e sono stati eliminati.

― Come? In una catastrofe Velikovskiana provocata apposta? L'urto di una cometa? Il dito di Dio?

― No, naturalmente. Si sono estinti naturalmente, secondo il progetto prestabilito.

― Allora dovremmo essere in grado di scoprire quale fu la causa naturale e necessaria dell'estinzione.

― Non è detto. Può essersi trattato di qualche oscuro difetto nella biochimica dei sauri, di qualche carenza vitaminica venutasi a creare...

― Troppo complicato ― disse Thetier.

― Sembra complicato ― insistetti. ― Supponiamo che sia necessario mandare una determinata biglia in una determinata buca con quattro colpi indiretti. Voi stareste a cavillare sul percorso relativamente complicato della biglia? Un colpo diretto sarebbe meno complicato, ma non servirebbe allo scopo. E nonostante l'apparente complicazione, non per questo sarebbe più difficile per un bravo giocatore. Si tratterebbe pur sempre di una sola mossa della stecca, manovrata in modo diverso. Le proprietà normali delle materie elastiche e le leggi della conservazione della velocità farebbero poi il resto.

― A quanto mi sembra di capire ― disse Trotter, ― secondo te il corso dell'evoluzione rappresenta la via più semplice con cui si poteva progredire dal caos originario all'uomo.

― Esatto, non cade foglia che Dio non voglia, e neanche uno pterodattilo, quanto a questo.

― E da qui dove arriviamo?

― Da nessuna parte. L'evoluzione ha avuto termine con la comparsa dell'uomo. Le vecchie regole non valgono più.

― Davvero? ― disse Madend. ― Trascuri la continua interferenza delle variazioni e mutazioni ambientali.

― In un certo senso sì ― insistetti. ― Più l'uomo domina l'ambiente, più capisce il meccanismo delle mutazioni. Prima che l'uomo comparisse sulla scena, gli esseri viventi non potevano prevedere né salvaguardarsi dalle variazioni delle condizioni climatiche. Né erano in grado di capire il crescente pericolo delle nuove specie che si stavano sviluppando, prima che il pericolo fosse inevitabile. Ma prova a porti questa domanda: quale specie di organismo potrebbe sostituirci e in che modo riuscirebbe ad assolvere il compito?

― Possiamo partire dagli insetti ― disse Madend. ― Credo che si siano già messi all'opera.

― Però non ci hanno impedito di decuplicare la popolazione negli ultimi duecentocinquant'anni. Se l'uomo concentrasse i suoi sforzi nella lotta contro gli insetti invece di sprecare la maggior parte delle energie in altri tipi di lotta, i tuoi insetti non durerebbero molto. Non ho modo di provarlo, ma ne sono convinto.

― E i batteri, o meglio ancora i virus? ― disse Madend. ― Il virus dell'influenza del millenovecentodiciotto ha fatto un notevole lavoro, riuscendo a eliminare una buona percentuale dell'umanità.

― Certo ― dissi, ― circa l'uno per cento. Anche la Peste Nera del quattordicesimo secolo riuscì a eliminare solo un terzo della popolazione europea, e in un'epoca in cui la scienza medica era inesistente. Poteva diffondersi a suo piacimento, nelle più agghiaccianti condizioni di povertà medievale, nella sporcizia e nello squallore, e nonostante tutto, due terzi dell'umanità si rivelarono abbastanza forti da sopravvivere. No, sono certo che la malattia non riuscirebbe a farcela.

― E allora cosa ne diresti dell'uomo che, progredendo, si trasforma in superuomo ed elimina la specie precedente? ― suggerì Thetier.

― Mi pare proprio impossibile ― dissi io. ― L'unica parte dell'essere umano che vale qualcosa dal punto di vista della sua supremazia nel mondo è il sistema nervoso, e in particolare gli emisferi cerebrali, che costituiscono la parte più specializzata del suo organismo. E quindi siamo a un punto morto. Se il corso dell'evoluzione ha dimostrato qualcosa, è che, quando è venuto a stabilirsi un certo grado di specializzazione, questa lo fa a scapito dell'elasticità e si può raggiungere uno sviluppo ulteriore solo in direzione di una specializzazione maggiore.

― E non è questo che volevamo? ― disse Thetier.

― Può anche darsi, ma come ha detto Madend, la specializzazione finisce col raggiungere il punto dei cosiddetti ritorni calanti. Il parto è difficile e doloroso a causa delle dimensioni del cranio del neonato. È a causa della complessità della mentalità umana se la maturità emotiva e mentale è così in ritardo sulla maturità sessuale, nell'uomo. Con tutti i guai e le complicazioni che ne derivano. E infine è la delicatezza dell'attrezzatura mentale che rende nevrotiche quasi tutte le ragazze. Quando potremo avanzare senza incorrere in una catastrofe completa?

― Lo sviluppo potrebbe avvenire in direzione di una maggiore stabilità o di una maturità più precoce ― disse Madend, ― e non in quella di un'intensità superiore delle facoltà mentali.

― Può darsi, ma non ci sono indizi in questo senso. Diecimila anni fa esisteva l'uomo di Cro-Magnon, e alcuni interessanti dati dimostrano che l'uomo moderno è inferiore ad esso, non solo nel fisico, ma anche nelle capacità mentali.

― Dal punto di vista dell'evoluzione, diecimila anni non sono molti ― disse Trotter. ― Inoltre sussiste sempre la possibilità che altri animali sviluppino una forma di intelligenza, o qualcos'altro, magari migliore dell'intelligenza, se possibile.

― D'accordo ― disse Thetier. ― E come la mettiamo con quelle misteriose deficienze biochimiche come quelle a cui accennavi parlando dei dinosauri? Prendiamo per esempio la vitamina C. L'unico organismo incapace di fabbricarsela è quello dei porcellini d'India e dei primati, compreso l'uomo. Supponiamo che si prosegua nella direzione attuale e che si finisca con il dover dipendere completamente da fattori alimentari impossibili a procurare, oppure che l'apparente aumento della predisposizione dell'uomo al cancro continui ad aumentare. Cosa succederebbe?

― Questo non è un problema ― dissi. ― Il fatto che noi stiamo producendo artificialmente tutti i fattori alimentari noti non è che l'essenza della situazione attuale, e può darsi che un giorno si arrivi a seguire una dieta completamente sintetica. E non c'è motivo per dubitare che un giorno non si arrivi a curare o prevenire il cancro.

Trotter si alzò. Aveva terminato il caffè, ma teneva ancora la tazza in mano. ― D'accordo, allora secondo te saremmo a un punto morto. E se anche questo fosse stato calcolato nello schema originario? Il Creatore era disposto a lasciar passare trecento milioni di anni per permettere ai dinosauri di sviluppare un qualcosa che avrebbe affrettato la comparsa dell'uomo, così almeno mi pare che tu abbia detto; e allora, perché non avrebbe potuto escogitare un sistema secondo cui l'uomo potrebbe servirsi della propria intelligenza e del suo controllo sull'ambiente per preparare la mossa successiva del gioco? Mi pare che sarebbe uno schema molto divertente nella partita a biliardo.

Non sapendo cosa ribattere, chiesi: ― Come sarebbe a dire?

― Oh, stavo solo pensando che forse non è una coincidenza ― rispose lui sorridendo, ― e che si svilupperà una nuova razza e quella attuale si estinguerà per i troppi sforzi a cui sottopone i meccanismi cerebrali ― e si batté la tempia col dito.

― In che senso?

― Interrompimi, se sbaglio, ma la nucleonica e la cibernetica non stanno raggiungendo simultaneamente le stesse vette? Non stiamo inventando le bombe a idrogeno e contemporaneamente le macchine pensanti? Si tratta di una coincidenza o di una parte del proposito divino?

La conversazione finì lì, in quell'intervallo per il pranzo. L'avevo avviata con l'intenzione di fare una disquisizione logica, ma da quel momento non ho fatto che chiedermi se...

 

Titolo originale: Darwinian Poolroom (1950).

 

Biliardo darwiniano consiste in linea di massima in un dialogo fra alcune persone. Ho sempre avuto una gran voglia di scrivere racconti di questo tipo, forse perché molti di quelli che ho letto e mi sono piaciuti di più cominciano con la descrizione di un gruppetto di persone che stanno sedute intorno al fuoco di un caminetto in una notte tempestosa a raccontar storie, e uno poi comincia col dire: ― Proprio in una notte come questa, mi è successo...

Il racconto in questione è stato profondamente influenzato dal fatto che allora insegnavo alla Facoltà di Medicina. All'ora del pranzo avvenivano spesso lunghe discussioni con membri di altre facoltà, specialmente con Burnham S. Walker, preside della Facoltà di biochimica, William C. Boyd di immunochimica, e Matthew A. Derow di microbiologia (adesso sono tutti in pensione, ma, almeno per quanto ne so io, sono ancora vivi.)

Tutti e tre, e in particolar modo Boyd, erano dei patiti di fantascienza, e fu Boyd il primo a proporre il mio nome per la modesta funzione di incaricato (per quello che allora a me sembrava uno stipendio lautamente fantastico di cinquemila dollari all'anno, e per ogni anno.)

Scrissi poi un testo di biochimica in collaborazione con Walker e Boyd, intitolato Biochemistry and Human Metabolism (William & Wolkins, 1952.) Nel 1954 ne uscì una seconda edizione e una terza nel 1957, e ogni edizione fu un fallimento. Un altro testo, in collaborazione con Alker e un'infermiera che non faceva parte della scuola, scritto per le allieve infermiere, lo intitolammo Chemistry and Human Health (McGraw-Hill, 1956). Fu un fallimento ancora più clamoroso.

Ma nonostante il fallimento, la stesura del primo di questi due testi mi introdusse ai piaceri di scrivere qualcosa di diverso dalla fantascienza; e da quel giorno, sia io sia la mia carriera di scrittore non siamo stati più gli stessi.

Era nelle mie intenzioni scrivere un'intera serie di racconti dialogati tipo Biliardo darwiniano ma ne fui dissuaso (per fortuna, forse) sia dal fatto che interpretai erroneamente il modo poco entusiasta con cui Horace l'accettò, sia dal commento che fece il dottor Walker dopo che l'ebbe letto. Laconico come sempre, disse: ― Le nostre chiacchierate sono migliori.

Ma niente è perduto. Sarebbe venuto il giorno in cui avrei avuto ancora un'ispirazione e questa mi fu data dalle conversazioni durante i pranzi al "Trap Door Spider", un singolare club di cui sono socio. Tenendo sempre presente Biliardo darwiniano, avevo scritto tutta una serie di racconti del mistero sotto forma di dialogo nel corso di un pranzo. Molti di questi racconti sono apparsi in diversi numeri della rivista Ellery Queen's Mystery Magazine, a cominciare dal gennaio 1972. Dodici li ho riuniti nel volume Largo ai vedovi neri (Tales of the Black Widowers). Attualmente ne ho completati altri dodici che usciranno col titolo More Tales of the Black Widowers.

[Il primo volume è stato pubblicato nel 1980 da Rizzoli editore, il secondo con il titolo Il club dei vedovi neri, da Mondadori nel 1984.]

 

 

 

Nell'Asimov Story ho alluso al fatto che c'erano undici racconti che non ero mai riuscito a vendere. Inoltre, aggiungevo che quegli undici racconti non esistevano più e che erano destinati a rimanere per sempre nel Limbo.

E invece l'Università di Boston raccoglie i miei scritti con un'assiduità e una costanza degne di miglior causa, e da quando ha cominciato, nel 1966, ho consegnato pile e pile di manoscritti senza prendermi la briga di esaminarli prima.

Ma quella briga se l'è presa un giovane ammiratore. A quanto risulta l'Università di Boston permette che si esaminino le sue raccolte letterarie a scopo di ricerca, e il giovane ammiratore di cui sopra, presentatosi come storico della letteratura - così almeno credo - riuscì ad avere accesso alle mie carte. Ecco come avvenne che gli capitò fra le mani lo sbiadito manoscritto di Big Game (Caccia grossa), un racconto brevissimo di un migliaio di parole, che in Asimov Story indicavo come undicesimo e ultimo dei racconti che mi erano stati rifiutati ed erano poi andati perduti.

Avendo letto Asimov Story, il giovanotto seppe dare alla scoperta il suo giusto valore. Si affrettò a riprodurlo e me ne mandò una copia. E io lo feci immediatamente stampare. È apparso in L'alba del domani.