Folle o lucido?

Sarebbe stata la fine per Lucky se fossero stati sulla Terra.

Lucky aveva percepito chiaramente nella voce dell'ingegnere la follia montare fino all'esasperazione. Si era messo in guardia, aspettandosi un crollo nervoso, un gesto inconsulto dettato dalla violenza che traspariva dalle parole ansimanti del giovane. Eppure non aveva previsto quell'improvvisa aggressione con il disintegratore.

Quando la mano di Mindes aveva repentinamente afferrato l'arma, Lucky si era buttato di lato. Sulla Terra quella reazione sarebbe stata troppo lenta.

Ma su Mercurio la situazione era diversa. Su quel pianeta la gravità era due quinti di quella terrestre e la spinta dei muscoli aveva lanciato il suo corpo insolitamente leggero, pur con la tuta che indossava, a buona distanza. Mindes, poco assuefatto alla bassa gravità, incespicò mentre si voltava di scatto, troppo in fretta perché il disintegratore potesse seguire la traiettoria di Lucky.

In tal modo il campo di energia andò a colpire il nudo terreno, a poche spanne dal corpo di Lucky, aprendo nella gelida roccia un cratere profondo almeno trenta centimetri.

Prima che Mindes potesse riprendere l'equilibrio e sparare di nuovo, Bigman lo aveva agganciato lanciandosi in un lungo, lento placcaggio eseguito con l'agilità naturale di un nativo di Marte abituatissimo alla bassa gravità.

Mindes finì a terra con un urlo acuto e poi tacque, forse perché con la caduta aveva perso i sensi, o forse come conseguenza della crisi emotiva.

Bigman comunque non prese in considerazione tali possibilità. «Fa la commedia» strepitò con gran passione. «Questo lurido scalzacani si finge morto.» Aveva strappato il disintegratore dalla mano inerte dell'ingegnere e adesso glielo puntava contro la testa.

«Non te lo sognare, Bigman» ordinò seccamente Lucky.

Bigman esitò. «Ma ha cercato di farti la pelle, Lucky!» Era ovvio che il piccolo marziano non sarebbe stato altrettanto furibondo se fosse stato lui stesso a essere minacciato. A ogni modo si tirò indietro.

Lucky, in ginocchio, stava esaminando il volto di Mindes attraverso la visiera, proiettando la luce del suo casco su quel volto contratto e pallido. Controllò la valvola di pressione per accertarsi che l'impatto o la caduta non l'avessero allentata, poi, afferrando per un polso e una caviglia la figura inerte, se la passò sulle spalle e si rialzò.

«Torniamo alla Cupola. Ho l'impressione che dovremo affrontare un problema un po' più spinoso di quanto non ritenga il Capo.»

Bigman emise un borbottio e, costretto dalla minuscola corporatura ad adottare un mezzo trotto rallentato dalla ridotta gravità, seguì dappresso le lunghe falcate di Lucky. Ma teneva ben imbracciato il disintegratore, modificandone via via la posizione così da potere, in caso di necessità, colpire Mindes senza fare alcun male all'amico.

Il Capo era Hector Conway, consigliere capo del Consiglio della Scienza. In momenti meno formali Lucky lo chiamava semplicemente zio Hector: Conway e Augustus Henree avevano praticamente adottato il piccolo Lucky dopo la morte dei genitori in seguito a un'aggressione piratesca nelle vicinanze dell'orbita di Venere.

Una settimana prima, in tono disinvolto, quasi gli stesse offrendo una vacanza, Conway aveva detto a Lucky: «Che ne diresti di un viaggetto su Mercurio?».

«Che c'è in ballo, zio Hector?» era stata la risposta di Lucky.

«Niente di particolare.» Ma Conway si era accigliato un poco. «Piccole questioni di politica, direi. Stiamo sostenendo un progetto piuttosto costoso su Mercurio, una di quelle ricerche che possono anche finire in nulla, capisci, ma che d'altra parte potrebbero dare risultati rivoluzionari. Una puntata al buio, come succede spesso in queste faccende.»

«Qualcosa di cui sono al corrente?»

«No, non credo. È recente. A ogni modo il senatore Swenson l'ha tirata fuori ad esempio di come il Consiglio butta al vento il denaro dei contribuenti. Conosci la solfa. Sta facendo pressioni perché si indaghi e si accerti. Uno dei suoi è stato spedito su Mercurio qualche mese fa.»

«Il senatore Swenson? Ah, capisco.» Lucky annuì. Niente di nuovo, in questo. Negli ultimi decenni il Consiglio della Scienza aveva lentamente acquistato una posizione primaria nella lotta contro i pericoli che potevano derivare alla Terra sia dall'interno sia dall'esterno del sistema solare. In quell'epoca di civilizzazione galattica, con l'umanità che si era diffusa sui pianeti di tutte le stelle della Via Lattea, solo gli scienziati potevano solidamente affrontare i problemi dell'uomo. E anzi solo i membri del Consiglio, dotati di una preparazione specifica, erano all'altezza del compito.

Eppure c'erano elementi del governo della Terra che diffidavano del crescente potere del Consiglio della Scienza, e altri che sfruttavano tali sospetti per perseguire le loro mire ambiziose. Il senatore Swenson era nelle prime file di questo secondo gruppo. I suoi attacchi, solitamente diretti contro le «rovinose» spese volute dal Consiglio per finanziare varie ricerche, stavano dandogli buona notorietà.

«Chi è l'incaricato del progetto su Mercurio? Lo conosco?» si informò Lucky.

«L'abbiamo chiamato Progetto Luce, tanto per la cronaca. E il responsabile è un ingegnere, Scott Mindes. Ragazzo in gamba, ma non il tipo capace di manovrare una storia del genere. La cosa più imbarazzante è che, da quando Swenson ha cominciato a fare maretta in proposito, il Progetto Luce è andato a sbattere contro tutta una serie di inconvenienti.»

«Se vuoi, ci do un'occhiata, zio Hector.»

«Sì, sarei d'accordo. Gli incidenti e i guasti non sono gravi, di questo sono convinto, ma non vogliamo che Swenson ci metta in una posizione ambigua. Vedi un po' come si sono messe le cose e tieni d'occhio il suo uomo: si chiama Urteil, ed è ritenuto molto abile e pericoloso.»

La cosa era partita così: una piccola indagine tanto per prevenire complicazioni politiche. Niente di più.

Lucky era arrivato nella zona del polo nord di Mercurio senza aspettarsi nulla di più. E in capo a due ore si era trovato di fronte a un disintegratore puntato contro di lui.

"Qui c'è sotto parecchio di più di un semplice giochetto politico" rifletté Lucky mentre tornava verso la Cupola reggendo sulle spalle il corpo di Mindes.

Il dottor Karl Gardoma uscì dalla stanzetta d'ospedale e fissò aggrondato Lucky e Bigman, mentre si asciugava le mani con del morbido plastosorb che poi gettò nell'eliminatore. Il suo viso olivastro, quasi scuro, era preoccupato, accigliato. Perfino i capelli, tagliati cortissimi, folti e irti sul capo, contribuivano ad accentuare la sua aria preoccupata.

«Allora, dottore?» chiese Lucky.

«Adesso è sotto l'effetto dei sedativi. Al risveglio si sarà perfettamente rimesso, ma non so se potrà ricordare chiaramente l'accaduto.»

«Aveva già avuto crisi del genere?»

«No, da quando è arrivato su Mercurio, signor Starr. Non sono al corrente di quanto sia accaduto prima, ma negli ultimi mesi Mindes è stato sicuramente sotto grave stress.»

«Come mai?»

«Si sente responsabile degli incidenti che hanno ostacolato il progresso del Progetto Luce.»

«E lo è?»

«No, certo che no. Ma si può capire quel che prova: è convinto che tutti gli diano la colpa. Il Progetto Luce è di importanza vitale e richiede molti sforzi e notevoli investimenti di denaro. Mindes deve dirigere dieci tecnici che hanno tutti cinque o dieci anni più di lui, e gli sono state affidate attrezzature molto ingenti.»

«Come mai è un elemento così giovane?»

Il dottore ebbe un sorrisetto storto: a dispetto dell'espressione un po' torva, i denti candidi e regolari gli davano un aspetto piacevole, simpatico.

«Signor Starr, l'ottica subeterica è una branca recentissima. Solo i ragazzi appena laureati ne sanno qualcosa.»

«A sentirla si direbbe che anche lei se ne intenda abbastanza.»

«Solo per quanto me ne ha spiegato Mindes. Siamo arrivati su Mercurio con la stessa astronave, capisce, e mi ha pienamente convinto circa le prospettive che il progetto garantisce. Lei ne è al corrente?»

«No. Per nulla.»

«Be', ecco, ha a che fare con l'iperspazio, quella zona di spazio che resta al di fuori dei limiti normali a noi noti, dove le leggi naturali, così come noi le conosciamo, non valgono più. Ad esempio: nello spazio normale è impossibile spostarsi a una velocità superiore a quella della luce, per cui occorrerebbero almeno quattro anni per raggiungere la stella più vicina. Attraverso l'iperspazio, invece, qualsiasi velocità è possibile...» Il medico si interruppe con un sorrisetto di scusa. «Ma sono cose che lei sa benissimo, certo.»

«Più o meno tutti sanno che la scoperta del volo iperspaziale ci ha dato possibilità insperate, ma che mi sa dire del Progetto Luce?» chiese Lucky.

«Ecco, nello spazio normale la luce viaggia nel vuoto lungo linee rette e può essere curvata solo da notevoli forze gravitazionali. Nell'iperspazio, per contro, può venire curvata con grande facilità, come fosse un filo di cotone. La si può convergere, disperdere o ripiegare su se stessa. Almeno così sostengono le teorie dell'iperottica.»

«Scott Mindes è qui per verificare queste teorie, ne concludo.»

«Giusto.»

«E perché qui?» domandò Lucky. «Voglio dire, perché proprio su Mercurio?»

«Perché in tutto il sistema solare non c'è un'altra superficie planetaria con una pari concentrazione di luce su un'area altrettanto vasta. Gli effetti che Mindes sta studiando trovano qui il campo di verifica più idoneo. Sarebbe cento volte più costoso realizzare un analogo progetto sulla Terra, e i risultati sarebbero cento volte più incerti. Così almeno mi ha spiegato Mindes.»

«Solo che adesso si verificano degli incidenti.»

«Non si tratta di incidenti» sbuffò il dottor Gardoma. «E bisogna metterci fine, signor Starr. Sa cosa significherebbe la riuscita del Progetto Luce?» Respirò a fondo, preso dall'idea. «La Terra non sarebbe più schiava del Sole. Le stazioni spaziali che gravitano attorno al nostro pianeta potrebbero raccogliere la luce solare, farla viaggiare attraverso l'iperspazio e diffonderla uniformemente sulla Terra. La calura del deserto e il gelo polare scomparirebbero. Le stagioni verrebbero predisposte secondo le nostre esigenze. Controllando la distribuzione dell'irradiazione controlleremmo il clima. Potremmo avere un giorno perpetuo e una notte lunga quanto meglio ci aggrada là dove lo volessimo. La Terra diventerebbe un paradiso ad aria condizionata.»

«Occorrerebbe tempo, immagino.»

«Sì, e parecchio, ma questo è l'inizio... Senta, forse è una domanda fuori luogo, ma lei non è quel David Starr che ha risolto la faccenda degli avvelenamenti alimentari su Marte?»

«Cosa glielo fa pensare?» La voce di Lucky era un po' tesa, e la fronte corrugata.

«Sono un medico, alla fin fine. All'inizio pareva che si trattasse di un morbo epidemico, e me ne sono interessato a fondo. Si parlava molto di un giovane membro del Consiglio che aveva avuto una parte di primo piano nel risolvere il mistero, e sono emersi alcuni nomi.»

«Lasciamo perdere questo discorso.»

Lucky era seccato, come sempre, all'idea di avere acquisito una certa fama. Prima Mindes, adesso Gardoma.

«Ma se lei è quello Starr, voglio sperare che si trovi qui per mettere fine a questi cosiddetti incidenti.»

Lucky non raccolse l'osservazione.

«Quando potremo parlare con Scott Mindes, dottore?»

«Non prima di dodici ore.»

«Sarà lucido?»

«Ne sono convinto.»

Una nuova voce, fonda e baritonale intervenne. «Davvero, Gardoma? Lo afferma perché sa che il nostro bravo Mindes non è mai stato men che lucido?»

Il dottor Gardoma si volse di scatto e non tentò di mascherare la profonda avversione per l'intruso. «Che ci fa qui, Urteil?»

«Tengo semplicemente gli occhi e le orecchie aperti, anche se probabilmente lei preferirebbe che me li tappassi» rispose l'altro.

Lucky e Bigman stavano osservandolo con curiosità. Era un tipo massiccio, non molto alto ma muscoloso, con ampie spalle, le guance mostravano l'ombra azzurrina della barba, e si coglieva nel complesso un'aria sgradevolmente superbiosa.

«Faccia quel che le pare con i suoi occhi e le sue orecchie, ma non nel mio studio se non le spiace.»

«E perché no?» ribatté Urteil. «Lei è un medico, e i pazienti hanno tutti i diritti di presentarsi qui. Io potrei essere un paziente.»

«Che disturbi accusa?»

«E questi due? Cosa li affligge? Carenza ormonale, direi» commentò posando pigramente lo sguardo su Bigman Jones.

Seguì un lungo momento di silenzio sospeso in cui Bigman si fece mortalmente pallido e poi parve gonfiarsi. Si alzò lentamente, gli occhi dilatati e fissi, mentre le sue labbra si muovevano formando le parole «carenza ormonale» quasi volesse convincersi di averle effettivamente sentite pronunciare, per quanto inverosimile.

Poi, rapida come un cobra che si avventa, la sua figura alta neppure un metro e sessanta ma tutta muscoli ben saldi si lanciò contro l'uomo massiccio che gli stava di fronte sogghignando.

Ma Lucky fu più svelto e lo agguantò per le spalle. «Tranquillo, Bigman.»

Il piccolo marziano si divincolò furiosamente. «L'hai sentito, Lucky! L'hai sentito!»

«Non ora, Bigman.»

La risata di Urteil fu una serie di secchi latrati. «Lascialo andare, amico. Posso schiacciare questo moscerino con un solo dito.»

Bigman emise un ululato e si contorse nella stretta di Lucky.

«Io non aggiungerei altro, Urteil, altrimenti potrebbe trovarsi in un guaio da cui neanche il suo amico senatore potrebbe cavarla.»

I suoi occhi erano diventati di ghiaccio e la voce era acciaio puro.

Per un breve attimo Urteil affrontò lo sguardo di Lucky, poi abbassò gli occhi borbottando che era solo uno scherzo. Il respiro affannoso di Bigman si calmò un poco e quando Lucky lasciò lentamente la stretta, il marziano tornò a sedere, ancora fremente di una rabbia quasi incontrollabile.

Il dottor Gardoma, che aveva assistito con una certa dose di tensione, si rivolse a Lucky: «Lei conosce Urteil, signor Starr?».

«Di fama. È Jonathan Urteil, investigatore itinerante del senatore Swenson.»

«Be', chiamiamolo pure così» mormorò il dottore.

«Anch'io conosco lei, David Starr, Lucky Starr, o comunque si faccia chiamare» dichiarò Urteil. «Il giovane asso itinerante del Consiglio della Scienza. Avvelenamenti su Marte. Pirati degli asteroidi. Telepatia venusiana. Giusto, l'elenco?»

«Giusto» confermò Lucky con voce atona.

Urteil ebbe un sogghigno trionfante. «Non sono molte le cose che l'ufficio del senatore non sappia circa il Consiglio della Scienza. E non c'è molto che io non sappia di quanto sta succedendo qui. So ad esempio dell'attentato alla sua vita, e proprio per questo sono qui.»

«Perché?»

«Per metterla in guardia. Darle un piccolo consiglio amichevole. Immagino che il nostro bravo dottore qui presente le abbia spiegato che Mindes è un'ottima persona. Vittima di una crisi momentanea dovuta a un forte stress protratto, le avrà detto di sicuro. Grandi amici, loro due.»

«Ho detto semplicemente...» cominciò Gardoma.

«Lasci dire a me» interruppe l'altro. «E io dico che Scott Mindes è innocuo più o meno quanto un asteroide di due tonnellate che fila diritto contro un'astronave. Non era in un accesso di momentanea follia quando le ha puntato addosso quel disintegratore. Sapeva benissimo quel che stava facendo. Ha tentato di ucciderla a sangue freddo, Starr, e se non sta bene in guardia, la prossima volta ci riuscirà. Perché può scommetterci gli stivaloni del suo amico marziano che Mindes ci riproverà.»