INTRODUZIONE

La vita e le opere

Il padre, un «uomo nuovo»

Honoré Balzac nasce a Tours il 1° Pratile dell’anno VII (20 maggio 1799). Il padre, Bernard-François, è un funzionario della Repubblica: «direttore dei viveri» della 22a divisione militare. Autodidatta, ha alle spalle un’ascesa sociale costruita con energia, metodo e perseveranza: nato in una famiglia contadina, giovane di studio presso un notaio, a vent’anni, nel 1766, è «salito» a Parigi, deciso a conquistarsi una condizione borghese. Per prima cosa si è liberato del proprio cognome contadino (Balssa), e ha adottato quello dei Balzac d’Entragues, grandi proprietari della sua terra d’origine, il Tarn (nel 1802, funzionario dell’Impero, usurperà anche un de nobiliare). Entrato nell’amministrazione dei «beni della Corona», nel 1776 è stato nominato segretario del Consiglio del Re, mantenendo quella funzione fino allo scioglimento del consiglio nel 1794. Dopo il 1789 ha partecipato all’attività dei club rivoluzionari, ma nel 1791 è entrato al servizio del marchese di Moleville, ministro della Marina di Luigi XVI, in qualità di segretario particolare. Nel 1792, protetto dal banchiere Doumerc, è entrato nell’amministrazione della «sussistenza militare», dimostrando grandi capacità di organizzatore a Verdun e a Brest. Trasferito a Tours nel 1795, la sua ascesa sociale, che proseguirà ininterrotta fino al 1814, è stata premiata da un matrimonio vantaggioso; cinquantunenne, ha sposato una giovane parigina, Charlotte-Laure Sallambier, diciannovenne, figlia di agiati comme rcianti e provvista di una buona dote. Bernard-François Balzac è un «uomo nuovo», figlio del proprio tempo: la sua ascesa di provinciale è stata sorretta da certezze filosofiche e politiche: formatosi alla scuola dei «lumi» è un materialista privo di qualsiasi inclinazione religiosa o metafisica; senza alcuna nostalgia per il passato, crede profondamente nei valori della ragione e del progresso; politicamente moderato, è convinto che lo sviluppo economico e politico della società debba attuarsi attraverso riforme dall’alto che non indeboliscano lo Stato. Per questo, ostile alla democrazia in cui vede soltanto pericoli di disgregazione dell’«unità» sociale, alle drammatiche incertezze della Repubblica preferirà la forte organizzazione dell’Impero napoleonico (tra il 1807 e il 1814 pubblicherà cinque mémoires come personale contributo a una saggia amministrazione della società), e dopo il 1814 si schiererà senza esitazioni a fianco dell’«ordine» della Restaurazione. Positivo, ottimista, proiettato in avanti, «filosofo» (ha una propria teoria della longevità come risultato di una saggia gestione dell’energia individuale), Bernard-François Balzac nel 1799 è in piena ascesa. La ricchezza, accresciuta grazie al matrimonio, rappresenta una concreta conferma dei principi a cui ispira la sua vita.

La giovane moglie, Laure Sallambier, è la tipica «malmaritata»; al termine di un’educazione rigida e conformista, è stata data in moglie a un «buon partito»: col funzionario Bernard-François Balzac la famiglia Sallambier intrattiene importanti rapporti d’affari. «Consegnata» a un uomo molto più vecchio di lei, «deportata» in provincia, assolverà malvolentieri al suo ruolo di moglie e madre di famiglia. Bella, sensibile, colta (con inclinazioni religiose decisamente estranee agli interessi del marito), vittima di una condizione che considera ingiusta, tenterà comunque di vivere la propria vita; il suo quarto figlio, nel 1807, sarà il risultato di una relazione adulterina che non sarà stata la prima e non resterà l’ultima.

Appena nato, Honoré viene affidato a una balia, moglie di un gendarme, in un paese nei dintorni di Tours. Vi rimane per quattro anni; dal 1800 è in compagnia della sorella Laure, secondogenita. Nel 1803 nasce una seconda sorella, Laurence, e l’anno successivo Honoré viene affidato, come esterno, alla pensione Le Guay, a Tours (per le sorelle Laure e Laurence c’è la pensione Vauqueur), dove rimane fino ai sei anni.

Nel collegio di Vendôme

Nel 1807, nello stesso anno in cui nasce il fratello Henri, frutto di una relazione della madre con un aristocratico di Tours, Honoré entra come convittore nel collegio di Vendôme, rimanendovi fino al 1813. Questa volta l’esclusione dalla famiglia è totale. In una lettera del 1846 a Mme Hanska, Balzac dedicherà alla propria infanzia poche parole, rivelatrici di una ferita ancora aperta: «Non ho mai avuto madre [...] Appena messo al mondo, fui mandato a balia in casa di un gendarme, e ci rimasi fino all’età di quattro anni. Dai quattro ai sei anni vissi a mezza pensione; a sei anni e mezzo fui mandato a Vendôme, dove rimasi fino a quattordici anni, cioè fino al 1813; in quel periodo vidi mia madre solo due volte. Dai quattro ai sei anni la vedevo la domenica». Questa bruciante esperienza familiare, un «terribile fardello» (la negazione dell’amore materno, l’esclusione), svolgerà un ruolo decisivo nella formazione della personalità di Balzac, nella sua concezione del mondo. Quanti interrogativi ne nasceranno, sulla natura dell’amore, sulla famiglia, sul matrimonio, sui crimini che si consumano «legalmente» negli universi privati delle famiglie!

Il collegio di Vendôme: più che una caserma è un convento. È gestito dagli Oratoriani, un ordine che ha giurato fedeltà all’Imperatore. La vita vi scorre lentamente, silenziosa, scandita dallo studio e da edificanti attività ricreative. Qualche insegnante, secolarizzato, è aperto alle idee degli idéologues. Balzac è uno studente mediocre; a causa del suo scarso impegno, spesso viene punito e rinchiuso nella sua stanza o nella legnaia. Una nota dei suoi educatori nei primi anni di collegio lo descrive indifferente, taciturno, totalmente «originale», in definitiva asociale. Estraneo alla vita di collegio, è nella lettura che Balzac trova una via d’uscita. Esattamente come Louis Lambert, il protagonista dell’omonimo romanzo del 1832 in gran parte autobiografico («La sua sensibilità era delicatissima, e tutto il suo essere soffriva della coercizione della vita in comune» nel collegio di Vendôme), scopre nella biblioteca dell’istituto un intero universo; non si limita a «divorare» volumi di storia, filosofia, letteratura, ma assai presto si impone compiti ambiziosi: compone un poema in onore dello sventurato re Inca, e soprattutto raccoglie, intorno al 1813, appunti e considerazioni per quel Traité de la volonté (Trattato sulla volontà) di cui parlerà in Louis Lambert: un’opera di carattere enciclopedico e sistematico che scavi nel mistero delle «forze umane», origine unitaria dei sentimenti e dell’intelligenza. È una ricerca di assoluto, decisamente contrapposta alle miserie della vita di collegio, la cui «realtà» viene rifiutata. È anche un impegno estenuante, che mette a dura prova la resistenza di un adolescente che soffre di solitudine: Louis Lambert sarà sopraffatto dalla sua sete insaziabile di conoscenza, sarà ucciso dal pensiero che divora sé stesso; Balzac, nel 1813, si ammala di una misteriosa malattia che gli educatori di Vendôme definiscono «coma», e che Balzac attribuirà più tardi a una «congestione d’idee».

A causa di questo inspiegabile stato di prostrazione (scriverà la sorella: «Somigliava a quei sonnambuli che dormono a occhi aperti; non udiva la maggior parte delle domande che gli venivano rivolte, e non sapeva rispondere se bruscamente gli si chiedeva cosa pensasse o chi fosse»), Balzac viene ritirato dal collegio nell’aprile del 1813. È il padre a liberarlo dall’incubo. Rientrato in famiglia, la sua guarigione è questione di poche settimane. Rimarrà a Tours per più di un anno, vivendo per la prima volta una condizione familiare che ha intensamente desiderato. La madre gli è ostile; il suo affetto è riservato al figlio cadetto. Honoré la teme, la giudica; scopre che il fratello Henri è figlio di un adulterio. Soprattutto si rende conto che la vita sentimentale della madre, nonostante il suo severo moralismo, si svolge al di fuori del matrimonio e della famiglia; è una prima lezione sugli oscuri misteri delle «vite private». Con il padre il rapporto è sicuramente diverso, sia pure su un piano sostanzialmente intellettuale; il funzionario napoleonico, ormai all’apice della sua carriera, si è costruito un’identità di filosofo e scrittore (nel 1810 ha pubblicato una illuministica Histoire de la rage et moyen d’en préserver, comme autrefois, les hommes [Storia della rabbia e modo di preservarne, come in altri tempi, gli uomini] e sta raccogliendo materiali per un trattato antropologico sulla storia delle cerimonie cristiane). Gli studi di Honoré, che in questo periodo fa la conoscenza dell’ambiente borghese in cui è inserita la sua famiglia, riprendono in casa sotto la guida di precettori; il padre intende prepararlo per l’Ecole Polytechnique. Dal luglio del 1814 ripete, come esterno presso il collegio di Tours, il corso rimasto interrotto a Vendôme, e lo conclude superando gli esami nel mese di settembre.

Parigi

Due mesi dopo, a novembre, la famiglia si trasferisce a Parigi, nel quartiere del Marais: Bernard-François è stato nominato «direttore dei viveri» nella capitale. Non è una promozione; è in realtà la fine della carriera di un funzionario troppo compromesso con l’Impero e forse accusato di corruzione per certe operazioni finanziarie eccessivamente disinvolte. Qualche anno dopo, nel 1819, Bernard-François sarà costretto a ritirarsi dall’amministrazione, ricevendo una pensione che lo farà rinunciare al lusso esibito nel passato a Tours. Gli studi di Honoré proseguono presso il Lycée Charlemagne, di cui frequenta i corsi risiedendo prima presso la pensione Lepître (da cui viene ritirato nel settembre del 1815, forse per aver partecipato alle agitazioni studentesche a favore del ritorno di Napoleone, durante i Cento Giorni) e poi presso la pensione Ganser. Nel settembre del 1816 conclude gli studi superiori, ottenendo il baccalauréat. È la madre a decidere del futuro di Honoré: sarà notaio. Il tirocinio inizia nello studio legale dell’avvocato Guyonnet-Merville, dove Honoré rimane per due anni, passando nel 1818 allo studio del notaio Passez. Questo periodo di esperienza giuridica, applicata a vicende di vita quotidiana (testamenti, matrimoni, conflitti di interessi...), svolgerà un ruolo importante nella formazione di Balzac. Contemporaneamente segue i corsi della Facoltà di Diritto, a cui si è iscritto nel 1816 e di cui conseguirà il baccalauréat nel 1819.

«Notes philosophiques»

Secondo la testimonianza della sorella Laure, fin dal 1816 avrebbe seguito i corsi di filosofia tenuti alla Sorbonne da Villemain, Guizot e Cousin, passando molto del suo tempo nelle biblioteche parigine. È certo che in questi anni è soprattutto la filosofia a interessarlo. Le note che scrive nel 1817-1818, e che saranno pubblicate postume con il titolo di Notes philosophiques (Note filosofiche) costituiscono una traccia significativa delle sue letture, condotte con metodo: da Leibniz a Spinoza (di cui inizia a tradurre L’Etica), a Malebranche, Hobbes, Locke, alla lunga serie dei filosofi sensualisti e materialisti: Condillac, La Mettrie, Condorcet, Helvétius, d’Alembert, Cabanis... Di questi autori Balzac compie una lettura assolutamente personale, li discute, ci dialoga; sembra che sia alla ricerca di un proprio «sistema» filosofico. Organizza le sue riflessioni, le sue letture, intorno ad alcuni temi centrali: la religione, la natura umana, il rapporto tra le parole e le cose. Alcune note prendono uno sviluppo in direzione del saggio e del trattato; è cosi per una confutazione dell’immortalità dell’anima, condotta con argomentazioni materialistiche. Da autodidatta, Balzac si impadronisce di strumenti e metodi di pensiero con cui affrontare le molte domande che ha cominciato a porsi fin dal collegio di Vendôme. Le Notes philosophiques (che lo vedranno impegnato fino al 1822) ce lo mostrano nutrito del pensiero del XVIII secolo: è ateo, materialista, e crede nel progresso civile come liberazione individuale e collettiva dalla superstizione religiosa e dall’ignoranza. La sua prima formazione di «filosofo» deve molto alle idee che un altro autodidatta di casa Balzac, il padre, sta professando da tempo.

Nella primavera del 1819 Bernard-François Balzac va in pensione. Nell’impossibilità di mantenere il tenore di vita sostenuto finora, la famiglia Balzac lascia il quartiere residenziale del Marais e si trasferisce a Villeparisis, nella periferia parigina. Honoré non seguirà la famiglia. Ha deciso: farà lo scrittore. Vincendo la disapprovazione della madre e la perplessità del padre (al quale dichiara: «Ho volontà, energia e coraggio»), ottiene di lasciare lo studio del notaio Passez per mettere alla prova le proprie vere capacità. Gli viene concesso un anno di tempo: risiederà in una mansarda di rue Lesdiguières, nel quartiere Latino: agli amici di famiglia si dirà che Honoré è andato per un periodo da certi parenti di Albi. Le lettere che scrive alla sorella Laure dalla felice «clandestinità» della sua mansarda ce lo mostrano entusiasta («... la Nouvelle Héloïse per amante, La Fontaine per amico, Boileau per giudice, Racine per esempio, e il Pére Lachaise per passeggiare. Ah! potesse durare per sempre!»), totalmente impegnato nella sfida a se stesso, in cui ha coinvolto la famiglia. Fantastica sulle opere che scriverà: pensa a un romanzo, poi a un’opéra-comique dal titolo Le Corsaire (Il corsaro). La via del teatro gli sembra più ricca di prospettive, soprattutto finanziarie. Si immerge nella lettura dei classici («... Crébillon mi rassicura, Voltaire mi spaventa, Corneille mi appassiona, Racine mi fa cadere la penna di mano...»); a settembre sembra aver deciso: si cimenterà nel genere nobile della tragedia classica; pensa a un soggetto di storia romana, incentrato sulla figura di Silla. Ma poco dopo abbandona questo soggetto eccessivamente proiettato nel passato, e decide di costruire la sua opera, in versi, intorno a un soggetto moderno e ricco di implicazioni filosofiche: Cromwell e la sua spietata sete di potere (Villemain ha pubblicato l’anno prima una fortunata Storia di Cromwell). Sarà «il breviario dei popoli e dei re», scrive entusiasta alla sorella, confessandole tuttavia di incontrare incredibili difficoltà nella versificazione. Lavora alla sua tragedia per alcuni mesi: nell’aprile del 1820 è terminata. Balzac ne è fiero; anche in famiglia ne sono orgogliosi, ma si vuole una verifica della sua qualità. Il giudizio di un letterato accademico, Andrieux, a cui Cromwell viene letta nel mese di maggio, è categorico: «L’autore deve fare qualsiasi cosa tranne che della letteratura». Il giudizio di un attore, Lafon, sarà altrettanto negativo. In effetti questa prima prova letteraria, di Balzac non è niente più che un esercizio scolastico, ispirato soprattutto a Corneille, e la versificazione è decisamente mediocre.

«Sténie ou les erreurs philosophiques»

L’insuccesso spinge Balzac a impegnarsi su altri registri letterari: dalla primavera del 1820 sta lavorando a un romanzo, Sténie ou les erreurs philosophiques (Sténie o gli errori filosofici), direttamente ispirato alla Nouvelle Héloïse di Rousseau sia per la struttura narrativa (è un romanzo epistolare) che per l’intreccio e i caratteri dei personaggi. È la storia, ambientata a Tours, dell’amore puro e appassionato di un giovane ventenne, Jacob del Ryès, artista sensibile e geniale, per un’angelica amica d’infanzia, Sténie, che i genitori hanno destinato a un matrimonio d’interesse. Sull’esile intreccio sentimentale, che rimarrà incompiuto alla vigilia di un duello tra Jacob e il marito di Sténie, si innestano lunghe digressioni filosofiche: sulla materialità del pensiero, sulla non esistenza di Dio, sulla natura arbitraria del matrimonio e delle convenzioni sociali. Sono i temi delle Notes philosophiques, che Balzac per la prima volta tenta di immettere in una struttura narrativa. Jacob del Ryès è chiaramente una proiezione autobiografica dell’autore, e le sue appassionate considerazioni sul mondo e i rapporti umani esprimono la posizione ideologica di Balzac in questa fase di tirocinio non solo letterario: «Sì, non ho paura di dirlo, la sola presenza di una condizione sociale è un grande e magnifico crimine contro l’umanità. Questo crimine ricade pesantemente sui suoi aderenti, è la spada di Damocle continuamente sospesa, con la sola differenza che ferisce di continuo senza uccidere. Sventurato colui che acconsente al contratto sociale [...]».

«Falthurne»

Un tentativo letterario dello stesso periodo (Balzac è ancora nella mansarda di rue Lesdiguières, dove rimarrà fino al dicembre del 1820), il romanzo Falthurne, rivela preoccupazioni di ordine assai diverso. Balzac si avventura in un periodo storico riscoperto dalla moda del Medioevo, il basso Impero (la Storia del basso Impero di Gibbon è tradotta in questo stesso anno), e nello stesso tempo affronta un’altra componente essenziale delle sue curiosità filosofiche, che lo affascina fin dai tempi del collegio di Vendôme: il mistero delle forze occulte, le suggestioni del magnetismo (la fortuna di Mesmer risale proprio agli anni 1819-1820). Di Falthurne restano due frammenti, composti nel corso del 1820 ma che presentano caratteri molto diversi. Nel primo, presentato come «manoscritto dell’abate Savonati, tradotto dall’italiano dal signor Matricante», la scena è a Napoli nel X secolo; nella città, roccaforte dei bizantini, insieme con i rinforzi chiesti dal governatore per resistere agli attacchi normanni sbarcano due prigionieri, che il governatore ha l’ordine di giustiziare: un uomo e una bella donna dal nome misterioso di Falthurne. È lei la protagonista di questo «primo Falthurne»: educata in India dai bramini, è stata iniziata alla «Grande Scienza», ai poteri soprannaturali delle «forze sconosciute». È una maga, e con i suoi poteri compie prodigi inspiegabili. È la portavoce di un’altra realtà, più profonda e reale di quella apparente, e assolve alla sua missione di educare gli uomini a una «seconda vista». «Esistono nella natura delle forze sconosciute, e rapporti tra le sostanze in movimento che pochi uomini hanno saputo vedere. Contemporaneamente, nell’uomo esistono delle facoltà, dei fenomeni, dei godimenti che rimarranno a lungo ignorati. Dall’ultimo degli insetti, invisibile a quelli che noi non vediamo, fino alla forza immensa che fa muovere il mondo, esiste una catena di rapporti necessari che è possibile agire conoscendola». È questo tema filosofico il vero protagonista del «primo Falthurne», Balzac trasforma in materia narrativa pensieri e suggestioni che risalgono alla lettura di Leibniz (le «corrispondenze» all’interno dell’universo) e dei materialisti del XVIII secolo; il suo tentativo è di stabilire un rapporto tra quelle idee e una finzione romanzesca liberata (a differenza di Sténie) da rapporti contingenti con un reale quotidiano. Il secondo frammento di Falthurne, più esteso del primo, presenta caratteri assai diversi. Cambia l’intreccio, si riduce il ruolo della maga Falthurne, e assume maggiore importanza quello della seconda voce narrativa, Matricante, presunto traduttore del «manoscritto dell’abate Savonati»; alla greve narrazione «filosofica» e raziocinante del «primo Falthurne» subentra una narrazione maggiormente risolta nei contrasti tra toni diversi (dal comico, al burlesco, al serio), e decisamente aperta alle suggestioni del romanzo «nero», e soprattutto del romanzo «storico» scottiano (la traduzione francese di Ivanhoe è pubblicata nel maggio del 1820). Questo secondo frammento, non soltanto rivela l’influenza di nuovi modelli letterari sulla formazione di Balzac scrittore, ma anche un suo mutato rapporto con l’autorità dei modelli. In Cromwell e in Sténie si era ispirato all’autorevolezza e al prestigio di modelli «nobili» (la tragedia classica, il romanzo epistolare settecentesco); nel «secondo Falthurne» si apre al gusto del proprio tempo. Questo nuovo interesse nasce da un primo incontro con l’industria del romanzo a Parigi: alla fine del 1820 Balzac entra in rapporto con Auguste Le Poitevin de l’Egreville e Etienne Arago. Il primo, giornalista e spregiudicato faccendiere, è l’organizzatore di un «atelier» che sforna romanzi di consumo («neri», sentimentali, «gai», storici, di avventure...) destinati ai «cabinets de lecture», il secondo è uno dei tanti che scrivono romanzi per l’«atelier».

Lord R’Hoone

Negli ultimi mesi del 1820 le condizioni economiche della famiglia Balzac si sono aggravate; la pensione di Bernard-François impone austerità, e l’affitto della mansarda di rue Lesdiguières (investimento che non ha dato i risultati sperati) è la prima cosa a essere eliminata. Honoré rientra in famiglia, a Villeparisis, mantenendo tuttavia uno stretto rapporto con l’ambiente di Le Poitevin, e risiedendo spesso a Parigi, in un piccolo appartamento che la famiglia mantiene in città. Laure si è sposata. Laurence sarà data in moglie, l’anno successivo, a un nobile decaduto, e il suo matrimonio si risolverà in un disastro. Bernard-François passa le sue giornate raccogliendo appunti per una «storia dei cinesi». Honoré, che ha evitato il servizio militare grazie a un sorteggio fortunato, è più che mai deciso a insistere nella sua carriera di scrittore. Nel maggio del 1821 entra a far parte della «scuderia» di Le Poitevin; collaborerà con il «maestro» nella scrittura di una serie di romanzi. Il primo è un romanzo «nero», L’Héritière de Birague (L’ereditiera di Birague), una fosca storia di intrighi, delitti, ricatti e rimorsi, ambientata nella Francia degli inizi del XVII secolo; gli ingredienti del genere messo in auge da Ann Radcliffe ci sono tutti, anche se una marcata inclinazione all’ironia non è riscontrabile in altri romanzi prodotti nello stesso periodo dall’«atelier» Le Poitevin e a cui Balzac non partecipa (a proposito di questo romanzo, che sarà pubblicato nei gennaio del 1822 da «A. de Viellerglé e Lord R’Hoone», cioè da Le Poitevin e da Balzac che ha adottato come pseudonimo un anagramma del proprio nome, assegnandogli una suggestiva connotazione inglese, Balzac parlerà di «porcheria letteraria» in una lettera alla sorella Laure).

Il romanzo successivo, Jean-Louis ou La fille trouvée (Jean-Louis o La figlia trovata), scritto in collaborazione tra Le Poitevin e Lord R’Hoone (sarà pubblicato nel novembre del 1822), è un romanzo «gaio», nel genere in cui sono maestri Pigault-Lebrun e Ducray-Duminil. Ambientato a Parigi, alla vigilia della Rivoluzione, racconta, in un intreccio ricco di colpi di scena e personaggi prevedibili, l’amore del giovane figlio di un commerciante di carbone per una fanciulla che viene riconosciuta figlia di un duca; l’amore dei due, impedito dalla differenza di ceto sociale, diventa finalmente possibile grazie alla Rivoluzione. La comicità del romanzo, oltre a essere garantita dagli ingredienti tipici del genere, rivela un gusto tutto balzachiano (estraneo ai precedenti romanzi di Le Poitevin) per l’eccesso di ascendenza rabelasiana, il sarcasmo di Beaumarchais e la disinvolta ironia del Tristram Shandy di Sterne. Ne deriva un tono dominante di sarcastica irriverenza nei confronti della materia narrativa e dei valori che evoca (l’ingenua onestà dei popolani, l’«onore» degli aristocratici, gli stessi principi della Rivoluzione); in questo paesaggio di luoghi comuni, assume un rilievo particolare un piccolo intrigante senza scrupoli, Courottin, impiegato in uno studio notarile, che fa carriera e si arricchisce grazie alla Rivoluzione.

Clotilde de Lusignan ou le beau juif (Clotilde de Lusignan o il bell’ebreo), che sarà pubblicato nel luglio del 1822, è scritto interamente da Lord R’Hoone. È un romanzo storico, ispirato all’Ivanhoe di Scott, ambientato nella Provenza del XV secolo. Protagonista è il cavaliere Gaston, conte di Provenza, che soccorre Jean II, re di Cipro esiliato in Provenza dai veneziani e la sua bella figlia Clotilde, minacciati da spietati briganti. Tornei, feste, travestimenti, battaglie... L’intero universo scottiano viene ripercorso da Balzac, con una partecipazione che non ammette l’autoironia dei precedenti romanzi. Libero di organizzare il proprio romanzo, Balzac sperimenta le risorse di un genere che gli è familiare (i due frammenti di Falthurne sono recenti), assegnando alla finzione romanzesca il potere di sostenere un universo proprio, autonomo e autosufficiente. Ma al Balzac sempre più abile narratore si affianca il Balzac pensatore che ancora, nel 1822, sta raccogliendo le sue Notes philosophiques; così il racconto delle peripezie di Gaston, che saranno premiate dall’amore di Clotilde, si apre spesso a considerazioni che da tempo fanno parte della concezione del mondo di Balzac, come una teoria del pensiero («Il pensiero deteriora i nostri nervi e causa le nostre malattie e la nostra morte») che fa esporre a un personaggio secondario del romanzo, un medico il cui nome, Trousse, ricorda quello di Broussais, autore di un Traité de physiologie che Balzac, appassionato lettore di Lavater e Gall, sicuramente conosce.

Madame de Berny

Balzac non è soddisfatto delle sue prime prove letterarie, ma è certo convinto che quell’apprendistato nell’industria del romanzo costituisca un’esperienza preziosa. Per di più lo pagano, e quello che scrive viene stampato. Ma Lord R’Hoone è soltanto un aspetto della sua personalità. A fianco dell’attività di romanziere di consumo, rimane in tutta la complessità una scommessa esistenziale che va ben al di là della «scuderia» di Le Poitevin. In una lettera del 1822 alla sorella Laure scrive: «I miei due unici e sconfinati desideri, essere celebre ed essere amato, potranno mai esser appagati?». Non è celebre, ma dalla primavera di questo stesso anno comincia a essere amato. A Villeparisis, proprio accanto alla casa dei Balzac vive la famiglia di un anziano e malato magistrato, de Berny, ex funzionario dell’amministrazione dei «viveri»; sua moglie, Laure Hinner, ha un anno più di Madame Balzac, e come lei ha alle spalle una storia di «malmaritata». Cresciuta alla corte di Marie-Antoinette, figlia di un arpista e di una cameriera, è stata data in moglie a un uomo anziano; dal matrimonio sono nati sette figli, e un ottavo è nato da una sfortunata relazione adulterina. I Balzac frequentano saltuariamente i vicini di casa. Nel mese di marzo, Honoré si innamora di Madame de Berny; le scrive delle lettere infuocate; la signora resiste, si schermisce, ma infine cede. È l’inizio di una relazione appassionata che si protrarrà, con fasi alterne, fino alla morte della de Berny nel 1836. Balzac si abbandona senza riserve alla sua matura amante, ne ascolta estasiato i ricordi dell’«antica corte», la ama e la chiama «mamma». Madame Balzac si accorge assai presto della scandalosa relazione del figlio; e interviene allontanando Honoré da Villeparisis per qualche mese. Ma l’irreparabile è ormai accaduto, e l’amore tra Balzac e la sua «dilecta» non verrà impedito dai pregiudizi di una madre conformista.

Horace de Saint-Aubin

La relazione con Madame de Berny produce grandi cambiamenti nella personalità di Balzac; non solo è amato appassionatamente, ma nell’amante trova una vera amica, una donna adulta che lo inizia ai misteri della sensibilità femminile. Balzac si sente rafforzato, e incoraggiato ad «alzare il tiro» delle proprie ambizioni di scrittore. Nell’agosto 1822 si impegna con un nuovo editore (anche se continuerà sporadicamente a collaborare con l’«atelier» di Le Poitevin) per due nuovi romanzi ai quali sta lavorando da qualche mese: Le Centenaire ou les deux Beringheld (Il Centenario o i due Beringheld) e Le Vicaire des Ardennes (Il vicario delle Ardenne); li firmerà con il nuovo pseudonimo di Horace de Saint-Aubin, omaggio alla «dilecta» (Saint-Aubin è il cognome di un protettore della famiglia de Berny). Con questi due romanzi Balzac intende liberarsi da Lord R’Hoone. Le Centenaire, che sarà pubblicato nel novembre 1822, è un romanzo contemporaneo, che rivela una forte influenza di Melmoth ou l’homme errant (Melmoth o l’uomo errante), romanzo «nero» di Maturin che, tradotto in francese nel 1821, ha incontrato un grande successo. Il «centenario» è l’inquietante e mostruoso antenato di un generale napoleonico, Tullius Beringheld; il suo decrepito avo, vissuto nel XVI secolo, continua a esistere grazie al «fluido vitale» che, come un vampiro, sottrae ai viventi. I suoi poteri soprannaturali nascono da un patto diabolico che lo ha reso capace di penetrare i segreti della materia. L’intreccio ripropone le situazioni tipiche del romanzo «nero», fino all’incontro dei «due Beringheld»; il vecchio rapisce la fidanzata del nipote, per nutrirsi del suo fluido vitale, ma il nipote, attraverso sorprendenti peripezie, riuscirà a liberare l’amata. In una struttura narrativa che deve molto a Maturin per la tecnica del romanzo «à tiroirs», Balzac riaffronta la tematica dell’occulto già avvicinata nel «primo Falthurne». Il fluido vitale, i poteri eccezionali del centenario faustiano, rivelano gli interessi filosofici di Balzac per il mesmerismo e per i grandi sistemi che tentano di ordinare la complessità dell’universo, percepito come coesistenza di razionale e irrazionale, di quotidiano e straordinario, di visibile e invisibile. Il protagonista, Tullius Beringheld, è un personaggio forte, positivo, capace di confrontarsi con l’ignoto. È la proiezione di un Balzac che vuole misurarsi, attraverso la scrittura, con la conoscenza del reale in tutti i suoi aspetti, insoddisfatto delle certezze razionali della sua formazione illuministica.

«Le Vicaire des Ardennes»

Le Vicaire des Ardennes, anch’esso pubblicato nel novembre 1822, appartiene al genere del romanzo sentimentale, già sperimentato da Balzac con Sténie; ma rispetto a quella prima prova, in gran parte debitrice al Rousseau della Nouvelle Héloïse, presenta delle importanti novità. Innanzitutto nell’intreccio, ambientato nella Francia contemporanea: l’amore dei due protagonisti, Joseph e Mélanie, non è ostacolato da un matrimonio imposto per motivi d’interesse, come nel caso di Sténie, ma da un insormontabile tabù sociale e morale, l’incesto. Per sfuggire all’amore che prova per Mélanie, che crede sua sorella, Joseph, ignaro della propria vera identità essendo stato rapito alla sua famiglia in tenera età, si fa prete. Abile e affascinante predicatore, diventa oggetto delle amorevoli attenzioni di una nobildonna, Madame de Rosann, che altri non è che sua madre. Scampato a un nuovo, gravissimo, pericolo d’incesto, decide di amare Mélanie. Ma la sventurata e purissima fanciulla è stata rapita dal feroce pirata Argow, una forte figura di ribelle contro la società, e il romanzo si conclude con la tragica morte di Mélanie proprio mentre Joseph sta per essere liberato dalla sua condizione di prete. L’intreccio sentimentale viene dunque caricato di drammaticità, e affronta temi decisamente impegnativi e scabrosi (tanto che il romanzo sarà sequestrato un mese dopo la pubblicazione, su denuncia di un giornale cattolico e legittimista). In questo suo nuovo romanzo Balzac non si limita a riproporre le situazioni tipiche del genere, ma le interpreta alla luce di alcune idee forti che nascono dalla sua esperienza personale: il conflitto tra amore e convenzioni sociali, il fascino irresistibile della «donna di trent’anni» (la descrizione dell’innamoramento di Madame de Rosann per Joseph, che in realtà è suo figlio, deve molto al rapporto di Balzac con Madame de Berny e all’antico desiderio della madre), la non celata simpatia per chi si ribella alla società (le parole del byroniano Argow il pirata rivelano una sentita partecipazione del suo autore: «...sempre lavorare, comandati con durezza, senza consolazione, avvenire, pane e [bestemmia] cosa abbiamo fatto per meritare una sorte simile?»). Certo, le influenze dei modelli letterari sono numerose, da Rousseau a Bernardin de Saint-Pierre, a Chateaubriand, e Le Vicaire des Ardennes è ancora essenzialmente un’opera di laboratorio, anche se manifesta un evidente progresso tecnico e narrativo rispetto alle prove precedenti; eppure in quest’opera più che nelle altre Balzac assume pienamente il suo ruolo di narratore, costruendo senza esitazioni, senza la distanza dell’autoironia, un universo retto interamente da una finzione romanzesca che si vuole totale e autosufficiente, e in cui coesistano legittimamente il reale e l’inverosimile.

«Wann-Chlore»

Alla fine del 1822, la situazione di Balzac, dopo il momentaneo allontanamento da Madame de Berny, appare stabilizzata. La sua scandalosa relazione è ormai accettata; vive in famiglia contribuendo economicamente al proprio mantenimento e spesso si reca a Parigi. Il teatro lo tenta di nuovo, soprattutto per i profitti che può assicurare. Scrive un melodramma, Le Nègre (Il negro), rispettoso delle regole del genere, e lo propone al teatro della Gaîté, che tuttavia lo rifiuta. Abbozza altre pièces, e saltuariamente collabora con Le Poitevin per procurarsi del denaro. Compone anche dei versi, che lo lasciano del tutto insoddisfatto. Ma soprattutto lavora a due nuovi romanzi: Wann-Chlore, che sarà pubblicato soltanto nel 1825, e La dernière fée ou La nouvelle lampe merveilleuse (L’ultima Fata o La nuova lampada meravigliosa), di cui uscirà una prima edizione nel 1823, e una seconda, «corretta», nel 1824.1 due romanzi segnano un ulteriore progresso nell’itinerario sempre più personale di Balzac. Wann-Chlore è un dramma della «vita privata», ambientato nella Francia contemporanea: la gelosia di una madre, l’avvenente Madame d’Arneuse, per la bellezza della figlia, la purissima Eugénie. L’ingresso in scena di un giovane nobile, Horace Landon, sensibile, colto, raffinato, fa precipitare la situazione: la madre tenta di annegare la figlia, ma Horace la salva, se ne innamora e le chiede di sposarlo. Il malinconico Horace nasconde tuttavia un segreto: l’amore per l’angelica Chlore, naufragato per gli intrighi di un amico, Salviati, che ha convinto Horace di essere stato tradito dall’amata. La vita coniugale di Eugénie e Horace scorre felice, finché Salviati non confessa a Horace la propria perfidia: Chlore non lo aveva tradito. Horace si precipita da Chlore, a Tours, e l’incontro tra i due riaccende una passione sublime. Nascondendole il matrimonio con Eugénie, Horace sposa Chlore. Ma Eugénie raggiunge il marito a Tours e, come dama di compagnia, entra al servizio di Chlore. La situazione precipita per un intervento di Madame d’Arneuse: rivela tutto all’ignara Chlore, che ne muore di dolore. Il romanzo è certo melodrammatico, ma decisamente nuova è l’attenzione di Balzac per i caratteri dei suoi personaggi, soprattutto quello di Eugénie, analizzati nella verità dei sentimenti più complessi; l’intreccio, costruito con abilità e sicurezza, sfrutta ritmi e situazioni del romanzo sentimentale, ma affrontando, per la prima volta con tanta decisione, la complessità della vita quotidiana. Lo stesso tema dell’amore è sottratto alla sua genericità, e presentato nelle due varianti dell’amore semplice, familiare, di Eugénie, e dell’amore di Chlore, ricco di implicazioni mistiche e di allusioni ad altri piani di realtà, superiori. Lo stesso personaggio di Madame d’Arneuse è sottratto alle semplificazioni del melodramma: la sua oppressiva gelosia nei confronti della figlia, il suo dramma dell’invecchiamento, sono analizzati con attenzione e partecipazione personale; Balzac del resto conosce bene quel personaggio: è sua madre, che ha reso la vita impossibile alla figlia Laurence condannandola a una vita infelice.

«La dernière fée»

Con La dernière fée ou La nouvelle lampe merveilleuse Horace de Saint-Aubin introduce un registro ancora diverso; il romanzo si ispira al genere del racconto orientaleggiante, fantastico, e il titolo allude al fortunato Aladin ou La lampe merveilleuse dell’accademico Etienne. Un giovane, Abel, cresciuto libero e «secondo natura» nell’arcadico isolamento di uno sperduto villaggio francese, conduce una vita ignara della realtà del mondo; una fanciulla, Catherine, gli dedica il suo purissimo amore. Ma dell’ingenuo Abel s’innamora la duchessa di Somerset che, per conquistare il giovanetto, finge di essere una fata che ha il compito di iniziarlo alla vita svelandogli i misteri e le convenzioni del mondo. L’iniziazione si conclude con un matrimonio, mentre Catherine si suicida per disperazione. Nella seconda edizione del romanzo, pubblicata nel 1824, Balzac modificherà il finale: il matrimonio tra Abel e la duchessa sarà presto logorato dalla noia di una futile vita mondana e da un’inconciliabile differenza di ceto sociale; Abel ritroverà la pace nel suo villaggio di origine, amato da Catherine che è sopravvissuta al suicidio. Questo secondo finale ha il pregio di rendere più complesso l’intreccio del romanzo, ma anche di accentuarne il senso «rousseauiano»: il tema di fondo è infatti il conflitto tra l’amore e la «civiltà». La conclusione è «didattica» ; per la prima volta, Balzac utilizza un romanzo per dimostrare una tesi.

Il rifiuto delle convenzioni mondane da parte di Abel, in nome di valori «superiori» ed essenziali, non è soltanto un espediente romanzesco. È un motivo che Balzac sente particolarmente nel corso del 1824. La sua inclinazione per i misteri del soprannaturale, già emersa in Falthurne (al quale lavora di nuovo in questo periodo), lo porta a un primo incontro con lo spiritualismo cattolico. È stato un amico giurista, Jean Thomassy, cattolico e legittimista, a proporgli, già nel 1823, i valori di una cultura sostanzialmente estranea alla formazione di Balzac. L’appassionato lettore dei mistici «illuminati» (in primo luogo Saint-Martin), alla ricerca di una gnoseologia che unisca coerentemente il mondo fisico e quello spirituale, permettendo di coglierne le «corrispondenze» più segrete, trova nel cattolicesimo nuove suggestioni, con le quali si confronta. Thomassy, che esercita una notevole influenza sull’amico, lo convince a impegnarsi in un Traité de la prière (Trattato sulla preghiera) che sostanzialmente costituisca un’abiura del materialismo e del razionalismo illuministico; ne risultano poche pagine di sapore antropologico, che in realtà rivelano quanto profondamente Balzac sia legato alla propria formazione. Altri due scritti, due opuscoli politici che Balzac pubblica anonimi, Histoire impartiale des jésuites (Storia imparziale dei gesuiti) e Du droit d’aînesse (Sul diritto di pnmogenitura), rivelano l’influenza di Thomassy; Balzac vi espone alcune idee che entreranno a far parte della sua concezione politica della società: nei gesuiti ammira gli organizzatori tenaci, nell’abolizione del diritto di primogenitura da parte del codice napoleonico vede una pericolosa causa di disgregazione delle proprietà e quindi della società. Sono ancora intuizioni, assai parziali.

«Annette et le criminel»

Ma è ancora in un romanzo, (Annette e il criminale), firmato da Horace de Saint-Aubin, che i nuovi interessi di Balzac trovano la loro migliore espressione. In quello che sarà l’ultimo romanzo giovanile di Balzac ritorna un personaggio già incontrato nel Vicaire des Ardennes, Argow. Il pirata si è trasformato in un banchiere della Francia contemporanea, Maxendi, che ormai aspira soltanto a una rispettabile condizione borghese. L’incontro con Annette, una fanciulla profondamente spirituale, provoca la conversione di Argow ai valori del cattolicesimo. I due si sposano e conducono una vita dedita alle opere di carità. Ma l’espiazione di Argow e la vita esemplare della pia coppia vengono brutalmente interrotte dalla scoperta che dietro Maxendi si nasconde il pirata Argow, responsabile di tanti crimini. Processato, Argow dichiara il suo pentimento e reclama una giusta punizione; viene condannato a morte. Ma Annette non accetta il verdetto; con l’aiuto di un complice assalta la prigione e libera Argow, che tuttavia è deciso a espiare le sue colpe. La fuga è vana: catturato dai gendarmi, Argow sale sul patibolo e Annette muore sulla sua tomba. In Annette et le criminel, il più complesso dei romanzi giovanili di Balzac, l’intenzione «didattica» della Dernière fée si fa ancora più evidente: la vicenda è edificante, e la problematica del pentimento in nome di valori superiori è scavata a fondo. Restano forti ed evidenti le influenze del romanzo nero, ma si afferma senza incertezze un asse tematico centrale che condiziona lo sviluppo delle scene e i comportamenti dei personaggi. Ed è proprio nella costruzione dei personaggi che il romanzo registra le maggiori novità: il tormentato Maxendi e la spirituale Annette non sono più caratteri convenzionali ma tendono a diventare «tipi», sintesi generali di comportamenti collettivi. Nella loro identità, che non è esclusivamente letteraria né riconducibile immediatamente a modelli letterari, si incontrano più facilmente che in altri romanzi le preoccupazioni filosofiche di Balzac e la sperimentazione dei più diversi registri letterari, alla ricerca di un proprio linguaggio.

«Code des gens honnêtes»

Nel 1824 Balzac ha venticinque anni. Nonostante l’impegno con cui ha affrontato il mestiere di scrittore, e gli otto romanzi di Lord R’Hoone e Horace de Saint-Aubin, non è certo riuscito ad affermarsi. Eppure è deciso a insistere, anche se la prospettiva è tutt’altro che chiara. Dal luglio 1824 vive da solo, in un piccolo appartamento di rue de Tournon. Da autodidatta si è avventurato su una strada che richiede una maggiore esperienza della vita sociale. Madame de Berny l’ha iniziato all’amore, ma sulla società ha soltanto poche intuizioni contraddittorie. La società è nemica dei singoli, le convenzioni borghesi opprimono la vita quotidiana, ma un ordine sociale, coerente con l’ordine dell’universo, gli appare necessario. Politicamente è discepolo di Rousseau, ma nello stesso tempo subisce il fascino del legittimismo e riconosce al cattolicesimo una funzione positiva di controllo sociale. In questa situazione contraddittoria e per molti aspetti confusa viene a svolgere un ruolo determinante un giovane giornalista, Horace Raisson, che Balzac conosce fin dal 1823 e che nel corso del 1824 lo inizia alla «vera» società, costringendolo a scendere dall’universo astratto delle illusioni e delle intuizioni per misurarsi con i meccanismi concreti della società parigina. Raisson non è un faccendiere del sottobosco letterario come Le Poitevin. Più o meno coetaneo di Balzac, ha una grande esperienza della nascente industria culturale. È redattore del «Constitutionnel», la principale rivista dell’opposizione liberale; pubblica articoli di critica teatrale e letteraria su «Le Pilote», di cui è redattore, e sul «Diable boiteux»; nel dicembre del 1823 ha fondato il «Feuilleton littéraire». Inoltre dirige un atelier che produce un genere particolare di pubblicazioni: curiosi «codici» e «arti» (Codice della toletta, Codice della buona tavola, Arte di mettere la cravatta, di pagare i debiti, di non pranzare mai a casa propria...), brillanti e argute guide al «saper vivere» nella buona società, che stanno incontrando i favori dei lettori parigini. Agli autori dell’atelier viene chiesto soprattutto di specializzarsi nell’osservazione attenta della vita quotidiana, decifrandone i segni («Vedendo camminare un uomo», scrive Raisson nel Codice civile, «dirò di quale paese è, di quale condizione, in quale quartiere vive e quanto tempo ha dedicato alla sua toletta»), e di restituire il tutto attraverso una scrittura divertente e non impegnativa. Balzac è affascinato dalle lezioni di Raisson, e – abbandonando Horace de Saint-Aubin – entra con entusiasmo nel suo «atelier»: collabora al «Feuilleton littéraire» (nel gennaio 1824 recensisce un romanzo di Walter Scott) e scrive un Code des gens honnêtes ou L’Art de ne pas être dupé des fripons (Codice della gente perbene o L’arte di non essere imbrogliati dai bricconi), che sarà pubblicato anonimo nel 1825, e che in seguito Raisson si attribuirà. In uno stile decisamente diverso da quello dei romanzi precedenti, «facile» e umoristico, Balzac traccia un quadro vivace della Parigi più quotidiana, facendo ruotare situazioni e personaggi intorno al vero protagonista della vita sociale: il denaro («Il denaro – così inizia il “codice” – coi tempi che corrono dà il piacere, la considerazione, gli amici, il successo, il talento, persino lo spirito: questo dolce metallo deve dunque essere l’oggetto costante dell’amore e della cura dei mortali di ogni età e condizione»). Il «codice» ha una funzione pratica: istruire i lettori sul pericolo che corrono, in ogni momento, di essere derubati dai tanti «bricconi» che si aggirano per la città. E non si tratta soltanto dei ladri, ma anche dei tanti che derubano «legalmente»: gli avvocati, i notai, i bottegai... I vari personaggi sono descritti con un’attenzione realistica al dettaglio che rivela un interesse autentico di Balzac: il dettaglio è il segno concreto di una condizione, di un carattere; saperlo interpretare significa saper leggere la realtà nella sua complessità. E Balzac, che dal 1822 si appassiona alla fisiognomica di Lavater e alla frenologia di Gall, è particolarmente interessato alla decifrazione del reale, lo «spettacolo del mondo». La vita sociale diventa una nuova materia narrativa, un magazzino inesauribile di storie, osservazioni, considerazioni. Saputa vedere, la realtà apparentemente più banale può rivelare una ricchezza drammatica che la finzione romanzesca non sempre riesce a esprimere.

«Physiologie du mariage»

Questa scoperta è decisiva per il futuro di Balzac. Nel 1824 vi vede soprattutto un occasione di rinnovamento, ne intuisce le grandi risorse. E nel corso di questo stesso anno inizia una Physiologie du mariage (Fisiologia del matrimonio) di cui pubblicherà nel 1826 una prima versione seguita da una seconda nel 1829. Con quest’opera, che nel titolo si ricollega alla fortunata Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin, Balzac entra decisamente nel quotidiano della «vita privata». Nello stile umoristico già sperimentato nel Code des gens honnêtes Balzac analizza la condizione del matrimonio nella società contemporanea, attraversando ambienti sociali e situazioni familiari con l’occhio scrupoloso di uno scienziato della vita quotidiana che si propone di cogliere per via sperimentale le vere dinamiche dei fenomeni. L’esito della ricerca non consente equivoci: non solo il matrimonio è un’istituzione «contro natura» che condanna mogli e mariti all’adulterio, ma è anche una pericolosa causa di disgregazione delle società e di dissipazione delle energie individuali. La tesi, fondamentalmente rousseauiana, è dimostrata per verifica pratica e risolta attraverso una narrazione che raramente si disperde in digressioni filosofiche. In questo senso la prima versione della Physiologie du mariage rappresenta un tentativo di sintesi tra il «nuovo» dell’analisi sociale e motivi che da tempo si vanno consolidando nella concezione del mondo di Balzac, come quella teoria dell’energia e delle passioni sulla quale il creatore della Comédie humaine fonderà il suo universo, che inizia a svolgere la sua funzione di strumento gnoseologico per la decifrazione del mondo. La Physiologie du mariage, a cui Balzac lavorerà di nuovo nel 1929, è anche una grande esperienza di scrittura; le esitazioni e le difficoltà espressive dei romanzi di Lord R’Hoone e di Horace de Saint-Aubin sembrano decisamente superate in un linguaggio ormai libero di nutrirsi, e sempre più facilmente, delle sollecitazioni della vita quotidiana, sorretto da un punto di vista orientato filosoficamente, da una personale capacità di osservazione. Analizzando i comportamenti dei suoi personaggi (malmaritate, mariti traditi, amanti) Balzac tende a cogliere le vere «cause» degli «effetti» sociali. Il metodo dà i suoi frutti. Perché non applicarlo a un’impresa ambiziosa? Perché non tentare di comporre una serie di romanzi in cui si incontrino il dettaglio realistico, la storia e la filosofia? Sarebbe l’opera di quel «Walter Scott francese» che da tempo gli editori vanno cercando, e i critici letterari auspicano. Balzac si impegna nel nuovo progetto; gli trova un titolo, Histoire de France pittoresque (Storia pittoresca di Francia), e inizia a frequentare assiduamente le biblioteche parigine; lo attrae particolarmente il periodo delle lotte tra Borgognoni e Armagnacchi... si documenta, si disperde, si dispera. Alla fine del 1824 entra in una profonda depressione. È ossessionato dai fantasmi del fallimento. Non ha alcuna certezza. Si sente in un vicolo cieco. La sua tenacia, la sua energia, le sue «illusioni», girano vorticosamente a vuoto.

Balzac «uomo d’affari»

Nella primavera del 1825 Canel, l’editore di Wann-Chlore, gli propone una società: sfrutteranno insieme i profitti di un’impresa editoriale che si presenta più che decorosa, la pubblicazione delle opere complete di Molière e di La Fontaine; seguiranno Corneille, Racine... Per l’inesperto Balzac è un «affare» in cui impegnarsi con rinnovato entusiasmo: la sua nuova esperienza di editore non solo lo arricchirà ma gli permetterà di entrare dall’ingresso principale nell’ambiente culturale parigino. In realtà è solo l’inizio di un’esperienza disastrosa che lo condizionerà per tutta la vita. Neppure un anno dopo, la società dichiara fallimento; in base a un accordo di cui non sa valutare le conseguenze, Balzac rileva il magazzino dei volumi stampati e si accolla i debiti dell’impresa. È deciso a insistere nella sua nuova carriera di «uomo d’affari»: poiché ha capito che il vero profitto editoriale non nasce dalla commercializzazione dei prodotti ma dalla stampa, chiede un brevetto di tipografo (che ottiene nel giugno 1826) e, con la garanzia del padre, impianta una tipografia. Gli affari vanno male, e Balzac si trova presto nell’impossibilità di pagare gli operai e i fornitori. Reagisce alle difficoltà economiche con un nuovo tentativo: poiché la materia prima delle tipografie è costituita dai caratteri a stampa, rileva una fonderia già fallita. Pochi mesi ancora, e nell’estate del 1828 è la catastrofe. A ventinove anni Balzac è rovinato; carico di debiti, viene salvato dalla famiglia e da Madame de Berny. La lezione è stata brutale, e istruttiva: i meccanismi economici della realtà sociale hanno stritolato le ambizioni di un ingenuo giovane di provincia. Un’unica via d’uscita, a questo punto obbligata: scrivere, e darsi da fare in fretta per uscire da un periodo disastroso.

Gli anni 1825-1828 non sono stati dedicati, tuttavia, soltanto agli affari. Balzac non ha mai rinunciato alla propria vocazione di scrittore; e del resto le sue stesse imprese economiche erano pur sempre legate alla produzione letteraria. Almeno fino all’estate del 1826 ha continuato a raccogliere della documentazione per il progetto dell’Histoire de France pittoresque, concentrandosi per qualche mese sull’idea di dedicare uno dei primi romanzi della serie alla figura di Caterina de’ Medici. Dal 1825 ha inoltre un nuovo amico, il letterato Henri de Latouche che ha recensito positivamente Wann-Chlore. Rispetto a Le Poitevin e a Raisson, Latouche rappresenta un livello decisamente più elevato nella scala gerarchica dell’ambiente letterario parigino. È un intellettuale di prestigio; a lui si deve la scoperta della poesia di Chénier; è in relazione con i maggiori autori del momento, da Victor Hugo a George Sand. Attraverso l’amicizia con Latouche, Balzac riprenderà fiducia nelle proprie capacità e si confronterà con le tendenze culturali che vanno egemonizzando la scena parigina. Altri avvenimenti hanno inciso sulla vita privata di Balzac in questi anni difficili: il trasferimento della famiglia a Versailles (nel 1826 Villeparisis è stata abbandonata dopo che il padre, ottantenne, ha messo incinta una giovane contadina) ha avvicinato Balzac a un’affascinante e autoritaria aristocratica quarantenne, la duchessa d’Abrantès, che nel 1825 ha ceduto al suo assedio e da allora condivide con Madame de Berny le attenzioni amorose del giovane amante. È un’altra «iniziazione»; a differenza di Madame de Berny, la duchessa d’Abrantès è stata davvero una protagonista della vita di corte: è stata l’amante di Murat.

Nella primavera del 1828 Balzac trova nei Mémoires relatifs à la Révolution française (Memorie relative alla Rivoluzione francese), un’opera che si è procurato per l’Histoire de France pittoresque, un soggetto che lo convince immediatamente per la sua forza drammatica: la guerra in Vandea. Pensa di trarne un melodramma «contemporaneo», e abbozza due scene in cui costruisce il personaggio di una giovane parigina, ambiziosa e coraggiosa, a cui il ministro di polizia della Repubblica propone un’avventurosa missione nella Vandea insorta. Ma assai in fretta Balzac trasforma il progetto: ne farà un romanzo storico, il primo di quella serie di romanzi con cui intende ricostruire i «costumi nazionali» nel corso dei secoli. L’ambizione di candidarsi al ruolo di «Walter Scott francese» è ancora forte. E l’amico Latouche sta lavorando, in una prospettiva analoga, a un romanzo storico ambientato nel recente passato rivoluzionario, Fragoletta ou Naples et Paris en 1799 (Fragoletta o Napoli e Parigi nel 1799). Balzac si immerge nel lavoro; per documentarsi sui luoghi in cui ambienterà il romanzo, passa due mesi in Vandea, ospite del generale de Pommereul, un amico di famiglia. Vi incontra personaggi che hanno vissuto direttamente la guerra, e dalle due parti. Ma fin dall’inizio si preoccupa di non diventare «la scimmia di Walter Scott», come scriverà in una prefazione al romanzo che rimarrà inedita fino al 1931. Scott gli sarà maestro nella ricostruzione del grande scenario storico, nella descrizione delle passioni collettive dei «Blancs», gli «Chouans», i ribelli vandeani, e dei «Bleus», i soldati della Repubblica. Ma la potenza dello scenario storico sarà restituita con un’attenzione particolare ai «costumi», alla vita quotidiana della popolazione (e Balzac ha ben presenti le affascinanti descrizioni di Fenimore Cooper, che sta incontrando un grande successo in Francia proprio in questi anni), e soprattutto facendo svolgere un ruolo centrale all’amore. L’obiettivo di Balzac è costruire un romanzo storico di tipo nuovo, in cui la storia, i costumi e i sentimenti si incontrino in un avvincente quadro d’insieme.

«Le dernier Chouan»

Da queste intenzioni nasce Le dernier Chouan ou La Bretagne en 1800 (L’ultimo sciuano o La Bretagna nel 1800), il primo romanzo firmato «Honoré Balzac», pubblicato nella primavera del 1829. Ma si tratta davvero di un «romanzo storico»? In realtà la guerra di Vandea costituisce essenzialmente lo sfondo di una melodrammatica storia d’amore, che la logica della storia non ha saputo prevedere: tra i due protagonisti, il marchese di Montauran che guida gli «sciuani», e la bella e affascinante Marie de Vernueil inviata in Vandea dal ministro Fouché con il compito di sedurre e consegnare alla polizia il pericoloso capo dei ribelli, esplode un amore travolgente; sui due trasgressori si abbatterà la vendetta spietata dei giacobini. Le ragioni del cuore sono entrate in conflitto con le necessità della politica. Intorno al drammatico intreccio sentimentale che costituisce il vero centro del romanzo, Balzac si abbandona a un’interpretazione personale e originale delle forze in campo: i contadini bretoni, vittime della miseria e del sottosviluppo, ricordano per molti aspetti i fieri indiani di Cooper, e l’esercito repubblicano è già attraversato dalle contraddizioni della Francia post-rivoluzionaria (il futuro non appartiene ai soldati onesti e ingenui come il colonnello Hulot, ma agli intriganti come Fouché e il poliziotto Corentin). In «questa» storia, lacerata dai conflitti d’interesse, non c’è posto per l’amore. Ma la vera novità del Dernier Chouan è stilistica: Balzac attinge alle sue evidenti fonti letterarie (Scott, Cooper, ma anche Chateaubriand nella descrizione romantica di suggestivi paesaggi) non essendone condizionato; il «colore» unitario della narrazione è il risultato di una sintesi personale.

La seconda «Physiologie du mariage»

Le dernier Chouan, che nel 1846 Balzac inserirà nella Comèdie humaine con il titolo di Les Chouans, si rivela un insuccesso. Dopo tanti tentativi, c’è di che dubitare profondamente della «via del romanzo». In effetti questo nuovo insuccesso spinge Balzac in altre direzioni. La seconda versione della Physiologie du mariage, che Balzac pubblicherà nel dicembre del 1829, segna una svolta e, nello stesso tempo, una felice ricomposizione dei suoi molteplici interessi. Balzac riprende i temi della prima versione del 1824 (le considerazioni ispirate a Lavater, le statistiche sui matrimoni in Francia...), li rielabora, li approfondisce; ma soprattutto li «racconta», ampliando gli aneddoti e gli episodi, creando una sorta di mosaico di esperienze che progressivamente compone una concezione generale del matrimonio nella società borghese. Rispetto alla prima versione, il tono è sensibilmente cambiato: Balzac si sente a proprio agio nel condurre un’analisi sottile dei comportamenti umani. Grazie alle esperienze personali di questi anni ha maturato una conoscenza maggiore della sensibilità femminile e dei meccanismi economici che condizionano le «vite private». Non si limita più a fornire consigli di autodifesa ai mariti che corrono il rischio del «tradimento»; con il distacco di chi è sicuro di saper vedere, delinea uno spaccato della famiglia borghese, decifrandone i dettagli più minuti e riconducendoli a leggi generali: il matrimonio è causa di effetti comunque perniciosi sia per l’uomo che per la donna; nel matrimonio si consumano vanamente desideri e sentimenti, provocando insensate dispersioni dell’energia umana. Al Balzac «filosofo» si è ormai affiancato il Balzac narratore: questi due Balzac, già emersi contraddittoriamente nella produzione precedente e che coesisteranno nella produzione successiva, si incontrano nell’analisi e nella descrizione dei comportamenti più quotidiani. Ma questa descrizione «filosofica» non si esaurisce in se stessa; impone ben altri compiti. «Lo studio dei misteri del pensiero», scrive Balzac nelle ultime pagine della Physiologie du mariage, «la scoperta degli organi dell’animo umano, la geometria delle sue forze, i fenomeni della sua potenza, il riconoscimento della facoltà che sembra possedere di muoversi indipendentemente dal corpo, di trasferirsi ovunque voglia e di vedere senza l’aiuto degli organi corporei, infine le leggi della sua dinamica e quelle della sua influenza fisica, costituiranno il ruolo glorioso del prossimo secolo nel tesoro delle scienze umane». E annuncia un ambizioso, ma necessario, programma personale: «Queste considerazioni appartengono ad altre Etudes che pubblicheremo in seguito; alcuni dei nostri amici ne conoscono già una delle più importanti, la Pathologie de la vie sociale ou Méditations mathématiques, physiques, chimiques et transcendantes sur les manifestations de la pensée prise sous toutes les formes que produit l’état de société, soi par le vivre, le couvert, la démarche, etc.». Questa Patologia della vita sociale è già, nel 1829, l’embrione progettuale di quelle Etudes analytiques (Studi analitici) che costituiranno il vertice e la conclusione della Comédie humaine.

Il 1829 è per Balzac un anno fondamentale. Latouche lo introduce nell’ambiente letterario romantico. La duchessa d’Abrantès lo fa accogliere nei più prestigiosi «salons» parigini. La frequentazione di celebrità come Hugo e di aristocratici raffinati è estremamente stimolante. Il giovane provinciale, assai impacciato, timido e talvolta esuberante, affascinato dai segni del successo e della ricchezza, si aggira per i salotti e ne scruta con attenzione i personaggi. Impegnato dalla Physiologie du mariage, nel corso dell’anno scopre le risorse della novella: la prima, La Paix du ménage (La pace domestica), in poche pagine, intorno a un esilissimo intreccio (una festa da ballo, una dama sconosciuta, un lieto fine) ricostruisce con straordinaria efficacia il clima e i personaggi di un ambiente aristocratico nei primi anni dell’Impero. L’esperimento convince Balzac: la novella o il racconto permettono una concentrazione e una tensione che nel romanzo è difficile mantenere. Pensa a racconti concepiti come «scene della vita privata» di ambiente contemporaneo. La maison du chat-qui-pelote (La casa del gatto che gioca alla pelota), che scrive nel mese di ottobre, è già un capolavoro di sintesi: intorno alla storia di un matrimonio destinato al fallimento, viene ricostruito, quasi in miniatura, tutto un ambiente di piccoli commercianti parigini; la descrizione è «dinamica»: i comportamenti dei personaggi, le trasformazioni dei loro punti di vista e del loro modo di pensare sono seguiti «in divenire», nel loro rapporto con le trasformazioni delle condizioni di vita. Il racconto dimostra una tesi: ogni trasgressione alla «natura sociale» (in questo caso un matrimonio male assortito, tra due giovani che appartengono a ceti sociali troppo diversi) è destinata al fallimento. Balzac, che sta individuando nella vita sociale lo scenario principale della propria azione di scrittore, comincia a costruirsi un sistema interpretativo che risponda a esigenze di unitarietà e coerenza.

Balzac «autore alla moda»

La pubblicazione della Physiologie du mariage, nel dicembre del 1829, è un grande successo. Il «trattato», che entra con un tono disinvolto e irriverente nelle famiglie della borghesia parigina, incontra decisamente i favori del pubblico. Improvvisamente Balzac è un autore alla moda, e le riviste mondane («La Mode», «La Silhouette») ne ricercano la collaborazione. Partecipa con l’editore Emile de Girardin alla fondazione del «Feuilleton des journaux politiques», impegnandosi a tenere una rubrica di critica letteraria. Raccoglie nelle Scènes de la vie privée (Scene della vita privata) sei novelle, tra cui La Maison du chat-qui-pelote e La Paix du ménage, sostanzialmente ispirate ai temi «scandalosi» della Physiologie du mariage. Firma contratti (per opere che non farà) con editori che ora gli dimostrano tutto il loro interesse. Nel giro di pochi mesi si carica di impegni, sui quali chiede sistematicamente anticipi. Si riavvicina anche al teatro: nell’aprile del 1830 propone a Eugène Sue di scrivere insieme un Don Juan. Cambia anche il proprio tenore di vita, assumendo l’aspetto di un «dandy» un po’ troppo provinciale che fa sfoggio di un lusso eccessivo. In omaggio al proprio personaggio scrive un Traité de la vie elegante (Trattato sulla vita elegante), che pubblica su «La Mode» nell’ottobre 1830. Il «trattato», scritto nel tono brillante e disinvolto della Physiologie du mariage, è un documento prezioso sulla situazione e le intenzioni di Balzac in questo momento di grande rilancio di tutta la sua attività. Poiché, scrive, la rivoluzione del 1789 ha eliminato le caste, in quella «democrazia di ricchi» che è diventata la società esistono ormai soltanto delle «condizioni», delle «specie sociali», la cui diversità si distingue attraverso dei segni: «Anche se oggi siamo tutti vestiti più o meno allo stesso modo, è facile per l’osservatore riconoscere in una folla, in un’assemblea, a teatro, al passeggio, l’uomo del Marais, il proletario, il proprietario, il consumatore e il produttore, l’avvocato e il militare, l’uomo che parla e l’uomo che agisce». Infatti: «Attraverso i nostri costumi noi imprimiamo il nostro pensiero su tutto ciò che ci circonda e ci appartiene. Il nostro atteggiamento, i nostri modi, il nostro abbigliamento, i nostri equipaggi, i nostri mobili, sono tutti delle traduzioni materiali del pensiero». Addestriamoci dunque, conclude Balzac, nell’arte di decifrare i segni che distinguono le diverse «specie umane», e comportiamoci di conseguenza. L’idea non è nuova in Balzac, ma mai come ora è stata definita con tanta chiarezza. La società è un universo in cui agiscono «specie umane», nei cui confronti è necessaria un’osservazione di ordine scientifico e antropologico. Da questa concezione organicistica della realtà sociale nascerà il sistema della Comédie humaine. Ma il successo che Balzac respira finalmente a pieni polmoni ha anche delle contropartite. L’ambiente giornalistico e letterario non è tenero con i nuovi «concorrenti». L’esuberante invadenza di Balzac gli procura i primi nemici. La sua versatilità provoca sorrisi di compassione. E poi, in fondo, che ha mai fatto di davvero importante questo scrittore tuttofare? È una nuova iniziazione alla durezza della vita sociale.

1830: «Lettres sur Paris»

La rivoluzione del luglio 1830 trova in Balzac un sostenitore. Convinto che apra nuove ed esaltanti prospettive ai «giovani talenti», si impegna – da liberale – nel giornalismo politico; scrive per «Le Voleur» una serie di Lettres sur Paris (Lettere su Parigi), in cui rende conto delle diverse formazioni politiche; collabora ad altre riviste con numerosi articoli politici. Ma il fervore liberale di Balzac dura pochi mesi. Riconoscendo i veri interessi che la «rivoluzione» ha messo in gioco, giunge a non vedervi altro che un gigantesco imbroglio. Nel mese di ottobre, in una lettera all’amica Zulma Carraud, chiude con le proprie illusioni liberali: «La Francia deve essere una monarchia costituzionale, deve avere una famiglia reale ereditaria, una Camera dei pari straordinariamente potente, che rappresenti la proprietà, con tutte le garanzie possibili di eredità e dei privilegi la cui natura non deve essere discussa, inoltre una seconda assemblea elettiva che rappresenti tutti gli interessi della massa intermedia che separa le alte posizioni sociali da ciò che io chiamo il popolo. L’insieme delle leggi e il loro spirito deve tendere a cercare di illuminare il più possibile il popolo, la gente che non ha niente, gli operai, i proletari, ecc. allo scopo di far raggiungere a più uomini possibile quella condizione di agio che distingue la massa intermedia. Il popolo dev’essere lasciato sotto il giogo più potente; i suoi individui devono poter trovare luce, aiuto, ricchezza e protezione; nessun’idea, nessuna forma, nessuna transazione devono renderlo turbolento. La più grande libertà possibile alla classe agiata: poiché essa possiede, ha qualcosa da conservare, e tutto da perdere, non può mai essere licenziosa. Al governo, la maggiore forza possibile. Governo, ricchi e borghesi hanno interesse a rendere felice la classe infima e a ingrandire la classe media sulla quale si fonda la vera potenza degli Stati. Qualora i ricchi, le fortune ereditarie della Camera alta, corrotti dai loro costumi, provochino degli abusi, essi sono inseparabili dall’esistenza della società intera. Ecco il mio piano, il mio pensiero... Non abbandonerò mai questo sistema». È il programma dei legittimisti moderati che fanno riferimento a Bonald. Balzac vi aderisce senza riserve. La lettera a Zulma Carraud è una perentoria presa d’atto della realtà della società francese. Ogni altra prospettiva politica, pensa Balzac, è illusoria. Ed è su questa nuova posizione che continuerà a scrivere, fino al marzo del 1831, le sue Lettres sur Paris.

I numerosi racconti che Balzac scrive tra la primavera del 1830 e l’estate del 1831 (e che pubblica su riviste come la «Revue de Paris» e la «Revue des deux mondes») rivelano una precisa direzione di ricerca: l’analisi di passioni estreme. Casi clinici come in Àdieu (Addio), misteriosi come in Le Réquisitionnaire (una morte a distanza, per telepatia), aberranti come in Sarrasine, atroci come in El Verdugo. Non è soltanto uno sfruttamento della moda del fantastico hoffmaniano. L’abilità di narrazione di cui Balzac si sente ormai padrone gli consente di affrontare, in rapidi quadri narrativi di grande tensione, quelle suggestioni filosofiche che affondano radici profonde nella sua formazione materialistica. Il pensiero è energia. Le passioni concentrano tirannicamente l’energia, muovendo e travolgendo gli uomini. L’energia del pensiero partecipa del flusso energetico dell’universo, che percorre la realtà visibile e l’ignoto che la lambisce. Sono intuizioni che Balzac va componendo in una teoria generale dell’universo, e che presto applicherà alla realtà sociale.

«La peau de chagrin»

Su questa strada è un nuovo romanzo, La peau de chagrin (La pelle di zigrino), a farlo avanzare. Lo scrive negli ultimi mesi del 1830. È una grande sintesi delle idee e dell’esperienza sociale e letteraria di Balzac, in cui l’autore, per la prima volta, si mette in gioco totalmente. Il protagonista, il giovane marchese Raphaël de Valentin, orfano e povero, ambizioso, incapace di affrontare la vita (come Balzac a Vendôme, si è impegnato invano in una Teoria della volontà al di sopra delle sue forze), ha ormai deciso di farla finita con una vita fallimentare e disperante: si ucciderà. Entrato casualmente nel magazzino di un vecchio antiquario, tra i molti oggetti che attraggono la sua curiosità trova una misteriosa pelle di zigrino, un talismano che ha la magica proprietà di realizzare i desideri di chi lo possiede. Ma a ogni desiderio esaudito, lo avverte l’antiquario, la pelle si ritrarrà, e con essa la durata della sua vita: «Il vostro suicidio non è che ritardato». Raphael accetta il patto. Ora è libero di realizzare tutte le sue ambizioni, e si abbandona a una vita di dissipazione in una Parigi dominata dal denaro, dall’egoismo e dalle convenzioni sociali, consumando progressivamente la pelle di zigrino e la propria vita. Un ultimo desiderio, questa volta puro, ucciderà Raphaël al fianco di Pauline, la donna amata e troppo a lungo sacrificata a un’insana ambizione. Il messaggio del romanzo è complesso, ma due motivi emergono con chiarezza: una radicale denuncia della società come ingranaggio illusorio e distruttivo (e in questo Balzac partecipa del clima di delusione e scetticismo seguito alla rivoluzione del 1830), e la certezza che la vita umana sia immersa in un «flusso energetico», ignoto, che la condiziona: le passioni (una forma del pensiero, come la volontà e le idee) sono distruttive in quanto producono una concentrazione energetica eccessiva che travolge la consapevolezza, la capacità di vedere.

La peau de chagrin, pubblicato nel gennaio del 1831, è un nuovo successo editoriale. Il pubblico parigino riconosce in Balzac un grande scrittore; i critici sono meno generosi, ma l’editore ha saputo lavorare intorno al prodotto. Balzac, inebriato, esibisce con orgoglio i segni della sua affermazione sociale. Conduce una vita lussuosa, al di sopra delle sue possibilità; per far fronte ai debiti, nuovi e antichi, moltiplica i contratti di collaborazione con riviste ed editori. La notte, si rinchiude in casa, e lavora. Tra la pubblicazione della Peau de chagrin e la fine del 1832 scriverà un racconto ogni quindici giorni; e poi gli articoli, e i progetti per un’infinità di romanzi che intende scrivere e per i quali firma contratti con gli editori. È un ritmo febbricitante e frenetico che Balzac sarà costretto a mantenere per molti anni, rimanendone costantemente travolto. Un ingranaggio che lo distruggerà. Continua a sfruttare il filone del «racconto filosofico», sui temi dominanti dei misteri inquietanti della realtà quotidiana e, soprattutto, del funzionamento del pensiero. Nell’ottobre del 1831 pubblica tre volumi di Romans et contes philosophiques: facendoli seguire alla ristampa della Peau de chagrin, a cui assegna un ruolo di «iniziazione» al proprio universo filosofico, ordina dodici racconti, già stampati in rivista o inediti, componendo un mosaico di situazioni atroci, paradossali, estreme; tra gli altri, Les proscrits (I proscritti) e Le chef-d’œuvre inconnu (Il capolavoro sconosciuto), sulla passione della conoscenza umana, sulla «ricerca dell’assoluto».

Madame de Castries

Nel marzo del 1831 una nuova «ispiratrice» è entrata nella vita di Balzac: la marchesa de Castries. Trentacinquenne, quasi inferma, è una vera aristocratica. Ha dimostrato interesse per gli scritti e le idee di Balzac, che ne è rimasto profondamente lusingato. Dal fascino della nobiltà all’innamoramento il passo è stato breve. La relazione con la marchesa de Castries (che comunque si sottrarrà all’impeto amoroso di Balzac, durante un viaggio a Ginevra, nell’ottobre del 1832, lasciandolo ferito nell’onore e indebitato) svolge un ruolo non secondario nell’adesione di Balzac al legittimismo: è l’esito di un’evoluzione politica che per Balzac è iniziata nei mesi successivi alla rivoluzione del 1830, ma che viene dichiarata pubblicamente tra la fine del 1831 e la primavera del 1832. Balzac collabora a una raccolta monarchica, «L’Emeraude», con un racconto sull’esilio di Carlo X, Le Départ (La partenza), e nel marzo 1832 inizia la sua collaborazione alla rivista legittimista «Le Rénovateur», nata nell’ambiente della marchesa de Castries; Balzac vi pubblica un Essai sur la situation du parti royaliste (Saggio sulla situazione del partito realista) in cui oppone ai conflitti d’interesse che lacerano e indeboliscono la società borghese post-rivoluzionaria la rivendicazione di un «ordine» forte e stabile, fondato sui valori eterni della monarchia. Sono «nobili» illusioni a cui Balzac rimarrà fedele, e che tuttavia reggeranno male il confronto con la realtà politica. Ma il 1832 è soprattutto, per Balzac, un anno di febbrile attività in tutte le direzioni del suo universo di scrittore. Due piste principali: gli «studi filosofici» e le «scene della vita privata».

«Louis Lambert»

Tra i «racconti filosofici», la Notice biographique sur Louis Lambert (Notizia biografica su Louis Lambert), pubblicata nell’ottobre 1832, costituisce una sintesi importante delle riflessioni di Balzac sulla natura del pensiero e sui rapporti tra il mondo fisico e quello «metafisico». L’opera è in parte autobiografica: Louis Lambert, adolescente sensibile e geniale, protetto da una nobile dama (Madame de Staël) che ha saputo riconoscere in lui i segni di un talento precoce, cresce nella reclusione del collegio di Vendôme; la sua sete di sapere lo porta a consumare le sue giornate in estenuanti letture di ogni genere. Affascinato da Leibniz e Swedenborg, costruisce un proprio sistema interpretativo del mondo fondato sul conflitto insanabile tra «uomo interiore», dotato di una «doppia vista» che permette di indagare gli abissi dell’ignoto e di percepire le misteriose «corrispondenze» dell’universo, e «uomo esteriore», costretto a subire i condizionamenti della realtà fisica. La sua ricerca coraggiosa, ossessionata dalla passione di conoscere il vero funzionamento del pensiero umano, incontra l’incomprensione dell’angusto ambiente del collegio; quel Traité de la volonté nel quale tenta, segretamente, di definire il proprio sistema, viene scoperto e distrutto. Uscito dal collegio, il suo rapporto con la realtà esterna, una Parigi del tutto estranea alle sue preoccupazioni filosofiche, si rivela disastroso; è un disadattato, prigioniero di un universo mistico che lo condanna alla solitudine e alla miseria. Tornato al paese di origine, l’amore improvviso e violento per una ricca ereditiera, Pauline de Villenoix, capace di comprenderlo, travolge la sua ormai estenuata sensibilità; alla vigilia delle nozze, Louis Lambert impazzisce e muore. Il «veggente» è stato ucciso dal proprio pensiero, che non ha saputo dominare. Il pensiero, le passioni estreme, uccidono; eppure l’affermazione dell’«uomo interiore» sull’«uomo esteriore», fino alle estreme conseguenze, è una nobile sfida ai limiti della condizione umana. Su questo tema, la riflessione di Balzac ha incontrato una «verità» che rimarrà centrale nella sua concezione della vita. I protagonisti di tanti romanzi della maturità saranno prigionieri di grandi passioni, di «monomanie» che li distruggeranno. Una Lettre à Charles Nodier (Lettera a Charles Nodier) che Balzac pubblica sulla «Revue de Paris» nell’ottobre 1832, immediatamente dopo la pubblicazione della Notice biographique sur Louis Lambert, testimonia il grado di certezza teorica raggiunto da Balzac sulla questione. È un documento prezioso: i riferimenti a Swedenborg, che Balzac conosce fin dal 1822-1823, a Leibniz e Spinoza, che conosce dal periodo di Vendôme, sono espliciti. Ne risulta una visione organica dell’universo, in cui coesistono, percorsi da un’unica forza vitale, i diversi piani di un unica complessa realtà.

«Le curé de Tours»; «Le colonel Chabert»

Questa concezione fortemente unitaria costituirà la base teorica dell’architettura della Comédie humaine. Tra le «scene della vita privata», accanto a racconti che continuano a indagare i temi del matrimonio e dell’adulterio, nella linea aperta dalla Physiologie du mariage, racconti come Le Curé de Tours (Il curato di Tours) e Le colonel Chabert (Il colonnello Chabert) rivelano una nuova attenzione ai meccanismi sociali della vita quotidiana. Le Curé de Tours: l’ingenua e semplice esistenza dell’abate Birotteau è travolta dagli intrighi dell’ambizioso abate Troubert; un processo, con i suoi cavilli incomprensibili per il candido Birotteau, renderà legale un’ingiusta esclusione. Le colonel Chabert: un eroico colonnello dell’Impero, dato per morto alla battaglia di Eylau, riesce a tornare in Francia dopo un’odissea durata dieci anni; ma la moglie, che ha ereditato i beni di Chabert e si è sposata con un conte della Restaurazione, non intende rinunciare alla sua nuova condizione, e si rifiuta di riconoscere il marito; ridotto in miseria e considerato pazzo dalle persone a cui chiede aiuto, Chabert ricorre alla giustizia. Inizia così una penosa sequela di trattative, che confermano il mostruoso egoismo della moglie. Chabert, disgustato, rinuncia a tutto e diventa un vagabondo senza nome. La lezione del dramma è riassunta dalle parole di un testimone: «Esistono nella nostra società tre uomini, il prete, il medico e l’uomo di legge, che non possono stimare il mondo. Essi vanno vestiti di nero forse perché portano il lutto di tutte le virtù e di tutte le illusioni». I conflitti d’interesse, l’egoismo spietato, sono i veri protagonisti dei due racconti; la loro forza è invincibile e condanna alla sconfitta chiunque agisca sulla base di valori diversi. Birotteau e Chabert sono due ingenui; non c’è posto per loro in una società in cui tutto, dalla legge alle passioni, è asservito al denaro e alle ambizioni di potere. Stilisticamente, questi due racconti, che anticipano per tanti aspetti i grandi romanzi della maturità di Balzac, si distinguono dalle Scènes de la vie privée per una straordinaria coerenza interna: idee, linguaggi, comportamenti dei personaggi, gli ambienti in cui agiscono, i dettagli più minuti, tutto si corrisponde; questo sforzo di sintesi in una visione unitaria che comprenda la realtà nei suoi molteplici aspetti, e che la «veda» secondo i diversi punti di vista dei personaggi, deve molto alla concezione filosofica ed «energetica» di Balzac. Un frammento di vita quotidiana, un personaggio, un dettaglio, possono rivelare, a chi sa vedere, abissi immensi. Anche questa, nella poetica di Balzac, è ormai una conquista acquisita.

«Contes drolatiques»

La sperimentazione delle risorse del racconto, nel corso del 1832, segue anche altre direzioni: i racconti «neri», di cui Balzac ha pubblicato una raccolta (Contes bruns) all’inizio dell’anno, e soprattutto i Contes drolatiques (Sollazzevoli historie) di cui pubblica una prima raccolta (altre ne seguiranno) nel mese di aprile. Sono «esercizi di stile», in un francese di colore cinquecentesco: divertimenti salaci, ispirati a Rabelais, che in poche pagine, intorno a intrecci elementari, ricostruiscono episodi di gusto medievale. I piaceri dell’erudizione e dell’immaginazione vi trovano un libero, umoristico, sfogo. Bassa cucina? In parte, sì. Balzac deve fare fronte ai numerosi contratti in cui si è impegnato. Rischio di dispersione? Sicuramente. E Balzac ne è consapevole, se non altro per la fatica che il suo ritmo di lavoro comporta. Ormai lavora contemporaneamente a testi diversi; interviene sistematicamente sulle bozze dei testi già composti, con aggiunte e trasformazioni spesso radicali che non incontrano certo il favore degli editori. Anche la sua vita mondana è frenetica. Non altrettanto la sua vita sentimentale: il secco rifiuto che gli è stato opposto dalla duchessa de Castries lo ha lasciato ferito e risentito; la comprensione e l’amore di Madame de Berny, sempre disponibile, lo ha consolato solo in parte. È anche vero che dalla primavera del 1832 intrattiene un’avvincente corrispondenza con una nobildonna polacca, Eve Hanska, che gli dichiara una profonda stima; le lettere della misteriosa «straniera» lo fanno sperare in una nuova, appassionante, relazione intellettuale e amorosa.

«Le médecin de campagne»

Il 1833 è l’anno della svolta decisiva verso il «romanzo di costume». Questa scelta dipende innanzitutto dalla situazione del mercato editoriale: il racconto breve sta attraversando un periodo di crisi per un eccesso di produzione. Ma coincide anche con una precisa direzione della poetica di Balzac: scavare nelle «vite private» per comporre «scene» sempre più vaste e complesse, che costituiscano veri e propri spaccati della società francese contemporanea. Ed è alla società come mosaico di ambienti sociali diversi che Balzac pensa. Per affermare concretamente questa intenzione, dopo tante «scene» di ambiente urbano si impegna in un primo romanzo di ambiente rurale: Le médecin de campagne (Il medico di campagna). All’origine del romanzo, che Balzac scrive tra gli ultimi mesi del 1832 e il gennaio 1833 (sarà pubblicato nel settembre di quest’anno), ci sono anche ambizioni di ordine politico: Balzac è attratto dall’idea di essere eletto deputato nelle file del partito legittimista, nel collegio rurale di Chinon. Scrive così un romanzo politico, edificante, su un’esperienza di utopico «buon governo» in un povero villaggio contadino nei dintorni di Grenoble. Ne è protagonista il dottor Benassis che, dopo una vita dissipata e segnata dalle delusioni, si è ritirato nel villaggio, dedicandosi cristianamente al prossimo. Attraverso il suo impegno riformatore, in dieci anni ha trasformato il villaggio in una fiorente e civile comunità (la scuola, il municipio, due fabbriche), anche se lo sviluppo delle condizioni di vita secondo il modello capitalistico ha dato origine a comportamenti egoistici e a una nuova emarginazione dei più poveri. Il tono della narrazione è davvero edificante, didattico, e il paternalismo di Benassis è quello del Balzac politico che alle conseguenze negative del capitalismo oppone una nostalgia rousseauiana per una condizione contadina ispirata a valori di accettazione e remissività. Eppure, al di qua dell’intento didattico, la ricostruzione, in miniatura, dell’universo del villaggio, la descrizione dei suoi interni e dei «costumi» contadini, producono pagine intense ed efficaci. Ma non è questa la «cifra» a cui Balzac ha abituato i suoi lettori.

Al pubblico parigino Le médecin de campagne non piacerà; è un romanzo moralistico, privo di azione drammatica e povero d’immaginazione. Da Balzac si pretende di essere stupiti. E fin dalla primavera del 1833 Balzac si pone proprio l’obiettivo di stupire i suoi lettori attraverso delle storie «forti». In un momento di grande fortuna del romanzo d’appendice melodrammatico e «nero», e di grande fascino delle misteriose sette segrete (è di Nodier, in questo periodo, la popolare Storia delle società segrete), Balzac attinge alla propria esperienza di narratore «nero» ambientando avvincenti intrecci nella realtà sociale contemporanea.

«Histoire des Treize»

È la trilogia romanzesca dell’Histoire des Treize (Storia dei Tredici), inaugurata da Ferragus e La duchesse de Langeais (La duchessa di Langeais), pubblicati tra marzo e maggio, e che sarà completata nel 1834 con La fille aux yeux d’or (La ragazza dagli occhi d’oro). La prefazione a Ferragus, inizialmente pubblicato sulla «Revue de Paris» nel marzo 1833, promette grandi emozioni: «Si sono incontrati, all’epoca dell’Impero e nella città di Parigi tredici uomini similmente presi dalla stessa passione, tutti dotati di un carattere abbastanza energico da rimanere fedeli alla stessa idea, abbastanza onesti fra di loro da non tradirsi in nessun modo, nemmeno quando i loro interessi risultassero opposti, abbastanza profondamente diplomatici da dissimulare i legami sacri che li univano, abbastanza forti da mettersi al di sopra di tutte le leggi, abbastanza audaci da affrontare ogni impresa, e abbastanza fortunati da essere quasi sempre riusciti nei loro disegni; uomini che avevano corso i più grossi pericoli, ma tacevano le loro sconfitte; erano inaccessibili alla paura, e non avevano tremato né davanti al principe, né davanti al carnefice, né davanti all’innocenza; si erano tutti accettati, così com’erano, senza tener conto dei pregiudizi sociali; criminali senza dubbio, ma certamente notevoli per qualcuna delle qualità che fanno grandi gli uomini, e che si trovano solo fra gli uomini d’eccezione. Infine, perché non manchi nulla all’oscura e misteriosa poesia di questa storia, quei tredici uomini sono rimasti sconosciuti, benché tutti abbiano realizzato le più bizzarre idee che suggerisce all’immaginazione il misterioso potere che la legge attribuisce ai vari Manfred, Faust, Melmoth; e tutti oggi sono uomini finiti, o per lo meno dispersi. Essi sono tranquillamente rientrati sotto il giogo delle leggi civili, così come Morgan, l’Achille dei pirati, da predone che era si fece tranquillo colono, e si godette senza rimorsi, al lume del focolare domestico, i milioni raccolti nel sangue, al rosso bagliore degli incendi. Dopo la morte di Napoleone, un caso che l’autore deve ancora tacere ha sciolto i legami di questa vita segreta, strana, quanto può esserlo il più nero dei romanzi di Ann Radcliffe». La novità, per i lettori e per lo stesso Balzac, è nell’ambientazione della misteriosa vicenda: la Parigi contemporanea; è in uno scenario assolutamente quotidiano che agisce, con leggi proprie, attraverso «persone fuori del comune», una seconda realtà, invisibile ma potentemente presente. Non si tratta di una dimensione separata in un proprio universo fantastico, percepibile attraverso l’immaginazione : le due realtà sono compenetrate a tal punto che ogni dettaglio quotidiano, ogni anonimo personaggio, possono nascondere presenze inquietanti. Parigi, la vera protagonista dell’Histoire des Treize, diventa il regno del mistero quotidiano. Le melodrammatiche vicende di Ferragus, un ex forzato che per difendere l’onorabilità borghese della figlia commette una serie di delitti, rimanendone infine travolto, della Duchesse de Langeais, sul rapimento di una monaca dietro cui si nasconde un’amante crudele, della Fille aux yeux d’or, sul tema scandaloso dell’amore lesbico, devono certo molto ai romanzi giovanili di Balzac, ma nello stesso tempo, oltre a rivelare un dominio maturo della tecnica narrativa, segnano un ulteriore importante progresso nello scavo delle «vite private», ormai pienamente inserite nel più ampio contesto sociale.

Il prologo del terzo romanzo, scritto nella primavera del 1834, delinea addirittura un profilo sociologico della società parigina: un «inferno» in cui tutto si consuma in nome della ricerca del denaro e del piacere: «A Parigi nessun sentimento resiste all’evidenza delle cose, che spingono a una lotta che travolge ogni passione: l’amore non è che desiderio, l’odio velleità; l’unico parente è il biglietto da mille franchi, l’unico amico il Monte di Pietà. [...] Tutto vi si tollera, il governo e la ghigliottina, la religione e il colera. Chi domina dunque in questo paese senza leggi morali, senza fede, senza sentimento, ma dal quale partono e in cui si riversano tutti i sentimenti, tutte le fedi, tutte le leggi morali? L’oro e il piacere! Lasciatevi guidare da queste due parole e percorrete questa grande gabbia di stucco, questo nero alveare, seguendo i meandri dell’ossessione che tutto agita, solleva, affatica». In un’affannata ricerca dell’oro e del piacere si consuma l’esistenza di tutte le classi, dalle più povere alle più agiate; è un ingranaggio infernale («questo inferno che avrà forse un giorno il suo Dante») che provoca conflitti d’interesse, crimini legali, e soprattutto una «terribile dispersione di forza intellettuale». Nessuno è immune dal veleno sociale, dal «movimento ascensionale» del denaro («Tutte le classi inferiori si abbassano davanti ai ricchi e ne spiano i gusti per poterti sfruttare»). Il contagio è collettivo: «[...] Piccoli, Medi, Grandi corrono; saltano e si divincolano, frustati dalla spietata dea che è la Necessità: necessità di denaro, di gloria, di piaceri». Il movimento è incessante e frenetico, e vive di accesi contrasti: «Parigi è il paese dei contrasti. Se i sentimenti veritieri vi allignano raramente, pure anche qui si possono incontrare nobili amicizie e devozioni senza limite. In questo campo di battaglia degli interessi e delle passioni, in mezzo a questa società in marcia in cui trionfa l’egoismo e ognuno deve difendersi da solo, sembra che i sentimenti, quando si mostrano, si compiacciano a essere, quasi per contrasto, interi e sublimi». Questa visione spietata del funzionamento della società borghese, teorizzata nell’introduzione della Fille aux yeux d’or, Balzac ha cominciato a illustrarla, un anno prima, nel primo grande romanzo della maturità, Eugénie Grandet.

«Eugénie Grandet»

Inizialmente concepito come novella per l’«Europe littéraire», è una «scena della vita di provincia». Lavorandovi tra l’estate e l’autunno del 1833, Balzac dilata progressivamente lo spazio della narrazione; il soggetto lo convince, e nello stesso tempo si sente sostenuto da una conoscenza personale della vita di provincia, già evocata in numerosi racconti. Ciò che appare sull’«Europe littéraire» non è più una novella nel genere del Curé de Tours, ma il primo capitolo di un romanzo che sarà pubblicato nel dicembre dello stesso anno, in un volume che inaugura una serie di Etudes de mœurs au XIXe siede (Studi di costumi del XIX secolo); un vantaggioso contratto firmato nel mese di ottobre con l’editore Béchet stabilisce che la serie comprenderà dodici volumi suddivisi in Scènes de la vie privée (Scene della vita privata), Scènes de la vie de province (Scene della vita di provincia) e Scènes de la vie parisienne (Scene della vita parigina). Alla firma di questo contratto, con cui Balzac si impegna a dare vita a un sistema narrativo che componga un mosaico della vita sociale contemporanea, non è estranea la composizione di Eugénie Grandet; e alla composizione di Eugénie Grandet non sono estranee le vicende sentimentali di Balzac. «La storia è vera», annuncia Balzac alla sorella Laure, sorpreso di trovarsi tanto a proprio agio nella restituzione del clima malinconico della vita di provincia, che ha segnato profondamente la sua adolescenza; il fatto è che ora sente di avere occhi per vedere «tutta intera la storia della Francia» nei più banali dettagli, per riconoscerne i drammi di «ordinaria famiglia» senza doversi costringere a complicati sforzi d’immaginazione. La realtà è molto più drammatica dei melodrammi «neri».

L’intreccio di Eugénie Grandet è sostanzialmente privo di colpi di scena «romanzeschi». Due protagonisti: Felix Grandet, un ex commerciante di botti che ha saputo arricchirsi attraverso spregiudicate speculazioni e che incrementa l’ingente patrimonio con l’usura e una politica familiare di esasperata avarizia, e sua figlia Eugénie, fanciulla sottomessa, di animo nobile e sensibile, estranea all’ossessiva avidità del padre. L’arrivo da Parigi del cugino Charles (suo padre, fratello di Felix Grandet, si è suicidato per debiti) turba l’equilibrio familiare; sensibile alla sfortuna di Charles, Eugénie se ne innamora e, per aiutarlo a rifarsi una fortuna, gli fa dono del proprio «tesoro», le monete d’oro che nel corso degli anni, nelle grandi occasioni, il padre le ha affidato religiosamente. Charles parte alla volta dell’India, e per Eugénie, convinta che il cugino ricambi il suo amore, inizia l’interminabile attesa del suo ritorno, e un lungo periodo di reclusione nella propria stanza non appena il terribile Felix Grandet viene a sapere che la figlia non ha più il suo «oro» («“Non hai più il tuo oro!” gridò Grandet rizzandosi sulle gambe come un cavallo che senta sparare il cannone a dieci passi di distanza»). Il padre si riconcilia con Eugénie alla morte della moglie; teme infatti che la figlia possa pretendere la sua parte di eredità. Eugénie, fedele al proprio sogno d’amore, continua ad aspettare il ritorno di Charles. Ormai ottantenne, Grandet muore, lasciando a Eugénie il patrimonio; spirando nel tentativo di impadronirsi del crocifisso dorato che il prete gli avvicina alle labbra, il vecchio avido impartisce l’ultimo ordine alla figlia: «Abbi cura di tutto! Me ne renderai conto laggiù», dimostrando con quest’ultima parola che il cristianesimo deve essere la religione degli avari. Ormai Eugénie è libera di realizzare il sogno d’amore a cui è sempre rimasta fedele. Ma l’amato Charles, che torna a Parigi trasformato da una vita d’avventuriero che lo ha reso avido e spietato, in tutto simile allo zio, congeda la trepidante Eugènie con una lettera in cui le annuncia il suo matrimonio con una nobildonna. Rassegnata, Eugénie acconsente a sposare un anziano pretendente (ma a condizione che sia un «matrimonio bianco»), che la lascia vedova a trentasei anni. Vivrà in solitudine, impiegando il patrimonio in opere di beneficenza. I due protagonisti del romanzo sono entrambi prigionieri di una passione: Grandet, dell’avarizia; Eugénie, di un sogno d’amore. Sono due «tipi»: in loro si concentrano le caratteristiche dell’avaro e della malinconica fanciulla di buona famiglia. Ma soprattutto sono due «tipi» straordinariamente moderni: Grandet non è una maschera ispirata all’Arpagone di Molière; la sua avarizia non ha connotazioni esclusivamente morali, è invece un dato sociale. L’esasperata avidità di Grandet è la passione di uno speculatore di genio, un figlio della borghesia in ascesa che ha compreso che il denaro è una merce; Grandet non tesaurizza, ma investe. In questo è un personaggio «tipico» della società capitalistica francese. Anche Eugénie è immediatamente familiare ai lettori di Balzac: la passività, le esauste malinconie, sono un segno inconfondibile della condizione di tante giovani donne recluse nelle famiglie borghesi. Ma Eugénie è portatrice di un’alternativa alla logica disperante di Grandet, ed è nella coesistenza di due diverse concezioni del mondo che si consuma, scandito da un tempo che scorre lento e immutabile, il dramma quotidiano di Eugénie Grandet.

Madame Hanska

Il romanzo, si è detto, deve molto alle vicende sentimentali di Balzac. Il personaggio di Eugénie ha, all’origine, un modello reale: la «Maria» a cui Balzac dedicherà il romanzo, una «povera, semplice e deliziosa borghese» (così la definisce in una lettera alla sorella Laure) con cui Balzac ha una relazione. Da quest’amore semplice (Maria Daminois, sposata du Fresnay, è un’ordinaria «madre di famiglia» della provincia francese) nascerà una figlia adulterina che Balzac ricorderà nel proprio testamento. L’amore ingenuo e delicato di Eugénie per il cugino Charles è una proiezione dell’amore di Maria per Balzac. Alla semplicità di questa relazione che non durerà a lungo si sovrappone, nell’autunno del 1833, una nuova relazione amorosa che sarà tutt’altro che «semplice»: nel mese di settembre Balzac incontra, a Neuchâtel, la misteriosa «straniera» con cui da molti mesi intrattiene una fitta corrispondenza. La baronessa Hanska ha un carattere forte e autoritario, «un’espressione austera e lasciva»; è una grande aristocratica, religiosa e moralista. Trentenne, sposata a un generale, ricco possidente, molto più anziano di lei, rappresenta per Balzac un mondo affascinante. La conquista non è facile, e le sue difficoltà non fanno che accrescere l’interesse di Balzac: un bacio furtivo ottenuto in occasione del primo incontro accende una passione irresistibile. Balzac si incontra di nuovo con Eve Hanska negli ultimi giorni di dicembre, a Ginevra; come dono di Natale, l’innamorato consegna all’amata il manoscritto di Eugénie Grandet, con la sua conclusione edificante. Le preoccupazioni religiose della baronessa Hanska sono l’oggetto principale delle loro conversazioni, che si protraggono per tutto il mese di gennaio; ne nasce un nuovo progetto: un racconto dedicato al loro amore sublime, Séraphita, una storia «angelica» che segni il trionfo dello spirito sulla carne. Il 26 gennaio, «giorno indimenticabile», segna, invece, il trionfo della carne sullo spirito. E Balzac riparte da Ginevra, più forte che mai, ormai sicuro dell’amore della sua prestigiosa dama, unito a lei da un legame che lo accompagnerà fino alla morte.

«La recherche de l’Absolu»

La pubblicazione di Eugénie Grandet in un volume delle Etudes de mœurs au XIXe siede si è risolta in un successo editoriale. Grande successo di pubblico e, per la prima volta nella carriera letteraria di Balzac, anche di critica. Riconosciuto finalmente come grande scrittore, accolto con interesse nei più prestigiosi salotti parigini, Balzac intensifica il suo ritmo di lavoro. Si impegna in un romanzo che, nel genere di Eugénie Grandet, ne rovesci la situazione, affiancando a una storia di «avarizia» una storia di «dilapidazione». Ma La recherche de l’Absolu (La ricerca dell’assoluto) sarà qualcosa di più di Eugénie Grandet o dell’Illustre Gaudissart (L’illustre Gaudissart), un commesso viaggiatore di cui Balzac ha narrato le disavventure quotidiane (il romanzo è stato pubblicato contemporaneamente a Eugénie Grandet) nella Francia delle delusioni seguite alla rivoluzione del 1830. In realtà con La recherche de l’Absolu Balzac immette in una «scena della vita privata» le preoccupazioni di ordine filosofico che costituiscono il centro della sua poetica. Posseduto dall’idea fissa di scoprire sperimentalmente il principio dell’unità della materia, Balthasar Claes, nobile fiammingo, sacrifica il patrimonio, la vita familiare, la sua stessa esistenza a interminabili e vane ricerche alchimistiche. La sua tragica vicenda è una nuova dimostrazione di quella teoria delle passioni che Balzac ha illustrato nella Peau de chagrin e in Louis Lambert. Ma non si tratta soltanto di una «contaminazione» filosofica di un registro narrativo che ha dato i suoi frutti. È piuttosto un ulteriore scavo nello spessore della vita quotidiana, negli abissi della personalità umana indagati fino ai limiti estremi della follia. Il pensiero uccide chi ne è posseduto, e travolge drammaticamente le condizioni materiali della sua esistenza. Il tema non è nuovo in Balzac; è nuovo tuttavia il fortissimo rilievo del protagonista del dramma in un ambiente sociale quotidiano eppure profondamente segnato dalla sua straordinaria follia. I comportamenti, gli oggetti e le idee si corrispondono in un universo tenacemente coerente. La «realtà» si carica di significati simbolici e inquietanti, immersa in una dimensione temporale che sovrasta la lenta preparazione del dramma, le sue «crisi», il suo scioglimento. È il tempo a vincere sulla vita quotidiana e sulla «cronaca» sociale. La recherche de l’Absolu, pubblicato nel settembre 1834 in un volume delle Scènes de la vie privée, all’interno delle Etudes de mœurs au XIXe siècle, è accolto male dai critici; la vicenda paradossale di Balthasar Claes è considerata «irreale», ingenuamente fantasiosa. Tra i critici, Sainte-Beuve comincia a riservare a Balzac le attenzioni della sua penna avvelenata.

«Le père Goriot»

Balzac, che ha imparato per necessità a tenere conto della fortuna editoriale delle proprie opere (ne tengono certamente conto i suoi editori), sta lavorando a un nuovo soggetto, una storia «vera», da cui pensa di trarre una novella. Come è già accaduto per Eugénie Grandet, la novella assume presto la fisionomia di un romanzo, Le père Goriot (Papà Goriot), a cui Balzac dedicherà molti mesi di lavoro. Le lettere che Balzac scrive alla Hanska non lasciano dubbi sul suo crescente coinvolgimento per la «rappresentazione di un sentimento talmente grande che niente lo esaurisce, né le vessazioni, né le ferite, né l’ingiustizia; un uomo che è padre come un santo, un martire, è cristiano». Nelle lettere di qualche mese dopo, il tema principale è diventato un altro: «Le père Goriot è una bella opera, ma mostruosamente triste. Per completare il quadro, era necessario mostrare la fogna morale di Parigi, e tutto ciò produce l’effetto di una piaga disgustosa». L’originario soggetto del romanzo («Un brav’uomo; pensione borghese; 600 franchi di rendita; si è privato di tutto per le figlie che possiedono entrambe una rendita di 50.000 franchi, e muore come un cane») diventa in pochi mesi un crudele spaccato della giungla sociale parigina: il sentimento paterno di Goriot non viene travolto soltanto dagli effetti distruttivi di una passione maniacale, ma anche dalle regole di una società che ha sacrificato gli uomini al denaro. In una società del genere non c’è posto per i sentimenti disinteressati. Non solo: un uomo che non ne ha capito il meccanismo e al denaro antepone le ragioni del cuore, è un povero imbecille, destinato a morire come un cane. La squallida pensione borghese in cui si consuma il dramma di Goriot diventa una microsocietà in cui si incontrano altre storie personali, tutte determinate dalla dura legge del denaro: Rastignac, il giovane studente di provincia venuto a Parigi con ambizioni di affermazione sociale; Vautrin, l’ex galeotto che ha capito perfettamente come funziona il mondo e si impegna a sfruttarne le occasioni; le figlie di Goriot che vengono a trovare il padre con il solo obiettivo di derubarlo; la sordida Madame Vauqueur, che valuta i suoi pensionanti dai soldi che hanno in tasca... Il dramma non è più limitato ai singoli destini personali; il dramma è sociale, e concede una sola alternativa: «o una stupida obbedienza o la rivolta», come insegna Vautrin all’inesperto Rastignac. E «ribellarsi» significa rinunciare a ogni ingenuo sentimentalismo, per dedicarsi alla pratica della sopraffazione, muovendosi con abilità tra le maglie del Codice penale.

Le père Goriot, la cui pubblicazione in rivista e poi in volume, tra la fine del 1834 e il marzo 1835, viene accolta con entusiasmo dal pubblico e dalla critica, costituisce una decisiva conquista della drammaturgia di Balzac. Questa potente sintesi della poetica balzachiana assegna alla narrazione una sua cifra ormai inconfondibile: un «realismo» che non si limita a descrivere minuziosamente una situazione, ma ne pone in rilievo i movimenti più interni, esasperandoli, rendendoli drammaticamente evidenti. Nelle sue descrizioni, Balzac decifra i segni del reale, ne interpreta i complessi rapporti con le «cause» (le idee, le ossessioni, le passioni) e con gli «effetti» (i comportamenti, le condizioni). Ma non solo per questo carattere di piena maturità Le père Goriot rappresenta una chiave di volta nella produzione di Balzac; è con questo romanzo che Balzac raggiunge definitivamente la consapevolezza del carattere unitario della propria opera multiforme. Scopre di essere, in realtà, l’autore di un’unica grande impresa, di cui i romanzi e i racconti scritti finora non costituiscono altro che i tasselli di un mosaico in corso di elaborazione, che i romanzi futuri completeranno. La tecnica del «ritorno dei personaggi», che permetterà di seguire l’evoluzione dei personaggi in momenti diversi della loro vita, è una prima conseguenza di quest’intuizione; ed è proprio in Le père Goriot che vediamo riapparire, per esempio, quella contessa di Restaud il cui dramma era stato narrato in un racconto del 1830, Gobseck. Tra qualche anno incontreremo di nuovo Rastignac in Illusions perdues. I personaggi «ritornano» perché Balzac, nel 1834, si sente padrone di un universo filosofico e narrativo che ormai chiede soltanto di essere narrato. In una lettera che scrive alla Hanska nell’ottobre 1834, nella fase finale del lavoro su Le père Goriot, Balzac comincia a disegnare la grandiosa architettura del suo universo.

Il progetto delle «Etudes sociales»

Entro il 1838, scrive, raccoglierà le proprie opere, quelle già pubblicate e quelle ancora da scrivere, in un insieme di Etudes sociales (Studi sociali), suddivisi in Etudes de mœurs («rappresenteranno tutti gli effetti sociali senza dimenticare nessuna situazione della vita, nessuna fisionomia, nessun carattere di uomo o di donna, nessun modo di vivere, nessuna professione, nessun ambiente sociale, nessun villaggio francese, e niente che abbia a che fare con l’infanzia, la vecchiaia, la maturità, la politica, la giustizia, la guerra»), Etudes philosophiques («infatti dopo gli effetti verranno le cause», «nelle Etudes de mœurs si tratta di individualità tipizzate, mentre nelle Etudes philosophiques si tratta dei tipi individualizzati») e infine Etudes analytiques (Studi analitici): infatti «dopo gli effetti e le cause devono essere ricercati i principi. I costumi sono lo spettacolo, le cause sono le quinte e le macchine teatrali. I principi, è l’autore; man mano che l’opera conquista, in spirale, le altezze del pensiero, essa si concentra e si condensa». Così, continua Balzac, «l’uomo, la società, l’umanità, saranno descritti, giudicati, analizzati senza ripetizioni, in un’opera che sarà una sorta di Mille e una notte dell’Occidente». Ma la missione del demiurgo non sarà ancora compiuta: «Creata la poesia, la dimostrazione di un intero sistema, ne istituirò la scienza nell’Essai sur les forces humaines (Saggio sulle forze umane). E, sui basamenti di questo palazzo, io, bambino e burlone, avrò tracciato l’immenso arabesco dei Cent Contes drolatiques (Cento sollazzevoli historie)». Il sistema a cui pensa Balzac, che nel 1842 lo definirà nella struttura della Comédie humaine, non è soltanto una geniale creazione letteraria; soprattutto è uno strumento che gli permetterà di comporre in un insieme unitario temi e registri narrativi di cui avverte la diversità, ma della cui coesistenza contraddittoria è tenacemente convinto: le passioni, gli interessi economici, il male e il bene, il «basso» e l’«alto», la vita quotidiana e i misteri soprannaturali, il noto e l’ignoto, fanno parte di quell’unico, grande mistero, che è la «vita».

Il sistema che Balzac ha esposto, nell’ottobre 1834, nella sua lettera a Madame Hanska, trova un’immediata illustrazione teorica nell’introduzione che Felix Davin scrive (in stretta collaborazione con lo stesso Balzac) per una riedizione dei romanzi e racconti filosofici sotto il nuovo titolo complessivo di Etudes philosophiques (dicembre 1834). Davin vi ripercorre l’itinerario intellettuale e letterario di Balzac, dai precoci interessi filosofici alla creazione di un’opera fortemente unitaria che ambisce a produrre una «sorta di speculum mundi», attraverso un percorso ascensionale: dalle Etudes de mœurs (suddivise in Scènes de la vie privée che corrispondono alla fase della giovinezza e mostrano errori commessi soprattutto per inesperienza del mondo, Scènes de la vie de province, che descrivono le passioni della maturità, Scènes de la vie parisienne i cui personaggi rimangono «spezzati dal gioco degli interessi, infranti dagli ingranaggi di un mondo meccanico», e infine Scènes de la vie de campagne e Scènes de la vie politique) alle Etudes philosophiques e alle Etudes analytiques. Intenzionato a seguire, d’ora in poi, un ordine preciso nella costruzione del suo sistema, tra 1835 e 1836 Balzac interviene su opere già pubblicate negli anni precedenti e scrive numerose opere nuove: una nuova edizione di Louis Lambert, La fille aux yeux d’or (La ragazza dagli occhi d’oro) che completa L’histoire des Treize, il romanzo «mistico» Le lys dans la vallèe (Il giglio nella valle), la «scena di vita privata» Le contrat de mariage (Il contratto di matrimonio), Le livre mystique (Il libro mistico) in cui raccoglie Les proscrits (I proscritti), Louis Lambert e Séraphita, il racconto La Messe de l’athée (La Messa dell’ateo), la novella L’interdiction (L’interdizione), La vieille fille (La zitella) con cui Balzac inaugura nel 1836 il nuovo genere del «roman-feuilleton»... È una produzione multiforme ed eterogenea, apparentemente disordinata, nella quale Balzac affronta i temi dominanti della sua poetica, ormai padrone dei diversi registri narrativi (dall’arte della « drammatizzazione» delle condizioni sociali alla capacità di indagare i misteri fisiologici del pensiero umano). Contemporaneamente deve far fronte alle necessità materiali della sua condizione di scrittore di successo, carico di impegni (sempre pronto a firmare nuovi contratti, e a disattenderli) e soprattutto di debiti; per mantenere la propria posizione, spende più di quanto non guadagni (e l’austera Madame Hanska lo rimprovera per i suoi «atteggiamenti da Lucullo»).

Alla fine del 1835 si è impegnato in una nuova avventura finanziaria. Convinto di fare «un affare», ha rilevato la rivista legittimista «La Chronique de Paris». Euforico, ha scritto alla Hanska: «Voglio il potere in Francia e l’avrò». Dopo appena sei mesi, la catastrofe. Nuovi debiti, nuovi creditori, nuovi contratti, liti con gli editori, e ritmi di lavoro sempre più massacranti. Un meccanismo infernale da cui Balzac non riuscirà mai a liberarsi. Nel novembre 1836, un contratto particolarmente vantaggioso gli permette di «respirare»: tre speculatori parigini si associano per un’edizione delle opere complete di Balzac, garantendogli un forte anticipo e consistenti diritti d’autore. In una situazione che si presenta più stabile, Balzac tenta di concentrarsi di nuovo sulla costruzione del suo sistema narrativo. Ma non è semplice. Le conseguenze del fallimento della «Chronique de Paris» sono pesanti. Perseguitato dai creditori, Balzac si allontana da Parigi, concedendosi un viaggio in Italia, tra il febbraio e il maggio del 1837, ma al suo ritorno ritrova una situazione finanziaria drammatica. Costretto a nascondersi, alla fine di giugno evita di stretta misura la prigione per debiti. La sua credibilità è compromessa. Gli editori si sono stancati delle sue ripetute inadempienze. Eppure, nonostante l’assedio delle difficoltà economiche, nel mese di settembre s’impegna nell’acquisto di una proprietà, «Les Jardies», a Sèvres.

«Illusions perdues»

A questo anno tormentato appartengono nuove illustrazioni della teoria delle passioni che uccidono (Gambara, Massimilla Doni) e opere che entrano decisamente nel vivo dei rapporti sociali, come la prima parte di Illusions perdues (Illusioni perdute), Les employés (Gli impiegati) e Histoire de la grandeur et décadence de César Birotteau (Storia dell’ascesa e decadenza di Cesar Birotteau). La prima parte di Illusions perdues, Les deux poètes (I due poeti), è l’inizio di un ciclo romanzesco che si protrarrà fino 1843, comprendendo Un grand homme de province à Paris (Un grand’uomo di provincia a Parigi, 1839) e Les souffrances d’un inventeur (Le sofferenze di un inventore, 1843), trovando un ulteriore sviluppo nel ciclo romanzesco di Splendeurs et misères des courtisanes (Splendori e miserie delle cortigiane, 1839-1847). Protagonista dei due cicli è Lucien de Rubempré, un giovane provinciale, ambizioso e inesperto, le cui «illusioni», sostenute da un animo fondamentalmente nobile e incapace di dedicarsi all’arte della sopraffazione, si infrangeranno contro la spietata società parigina. Una sorte assai diversa sarà riservata a personaggi che, al contrario di Rubempré, faranno proprie le regole della società borghese: il Rastignac di Le père Goriot, superate le incertezze iniziali, impegnerà tutta la sua energia in una carriera sociale che ne farà un uomo ricco e potente; quanto all’ex galeotto Vautrin, anch’esso già incontrato in Le père Goriot, al termine di una gloriosa carriera di criminale sarà ministro di polizia. La prima parte di Illusions perdues, pubblicata nel febbraio 1837 tra le Scènes de la vie de province delle Etudes de mœurs, contiene le premesse dei due cicli romanzeschi; il tema della ambiziose illusioni di un provinciale è intimamente legato all’esperienza diretta di Balzac: è la storia del suo difficile rapporto con la realtà sociale.

In Les employés Balzac analizza l’universo separato della burocrazia, attraverso la «commedia» dei furbeschi intrighi di due capiufficio che si contendono un posto di capodivisione. L’intento di Balzac è decisamente sociologico, e la natura dell’intreccio e dei suoi angusti personaggi non lascia grande spazio alle risorse dell’immaginazione. Ben altro respiro ha l’Histoire de la grandeur et décadence de César Birotteau: la storia dell’ascesa e della miserevole rovina di un rispettabile commerciante di profumi, ritrova i toni epici di Le père Goriot. Il patetico Birotteau è rovinato dalla sua «probità», dalla sua estraneità ai nuovi valori della speculazione. È inevitabile che la sua ricchezza, accumulata onestamente, passi nelle mani di spregiudicati affaristi. Ed è proprio ai meccanismi economici che regolano la società borghese che Balzac, ormai convinto di averne compreso il funzionamento, dedica una novella, La Maison Nucingen (La Casa Nucingen), che scrive contemporaneamente a César Birotteau e che sarà pubblicata nell’ottobre 1838. Questa volta entra nel cuore del sistema sociale: la Borsa, il mondo dell’alta finanza. Su questa scena l’unico vero protagonista è il denaro, che di speculazione in speculazione rende sempre più ricchi e potenti i suoi irresistibili eroi (il banchiere Nucingen è uno di loro), travolgendo i concorrenti più deboli e mandando in rovina un esercito di piccoli risparmiatori. Lo spettacolo è talmente imponente, «imperiale», assoluto, definitivo, da non lasciare più alcun margine ai problemi di coscienza. A Rastignac (eccolo di nuovo, amante della moglie di Nucingen) non resta che la decifrazione attenta, nemmeno scettica, realistica, della «natura» finanziaria, l’unica realtà. La giungla sociale che in Le père Goriot costituiva una minaccia per una natura umana ancora concepita da Balzac in termini rousseauiani, e la cui percezione apriva conflitti nelle coscienze di tanti personaggi, ora si impone in tutta la sua forza. Non è più una minaccia che incombe; è la realtà quotidiana. L’economia detta la sua legge nei diversi ambienti sociali, condiziona le esistenze individuali, determina i comportamenti.

Questa consapevolezza nasce anche dall’esperienza personale di Balzac. Il successo l’ha imprigionato in un ruolo di forzato della penna; i suoi romanzi sono merci; la sua casa è una fabbrica assediata dagli editori e dai creditori; le fughe non servono; il suo rapporto con gli altri è mediato dal denaro. Il denaro, odiato e amato, è il vero protagonista della sua vita. I suoi maldestri tentativi di «fare affari» rivelano, oltre a una fondamentale incapacità commerciale, il desiderio di partecipare al banchetto capitalistico, soprattutto per allentare la morsa dei debiti. Nella primavera del 1838, avendo saputo che in Sardegna ci sono miniere d’argento mai più sfruttate dal tempo dei romani, si precipita sul posto, ma arriva troppo tardi; alcuni veri affaristi l’hanno preceduto. Nello stesso anno, trasferitosi nella proprietà di «Les Jardies» pensa di organizzare una piantagione di ananas; travolto dall’immaginazione, si entusiasma, farnetica, coinvolge Théophile Gautier nella ricerca di un negozio a Montmartre in cui vendere gli ananas. Ogni volta, gli insuccessi delle sue fantasticherie economiche lo riconducono alla dura realtà del suo mestiere, confortato da qualche fugace relazione amorosa e dalla presenza epistolare della severa Madame Hanska (che rivedrà soltanto nel 1843). Comincia ad avere problemi anche a causa delle opere che pubblica. Le sue analisi sempre più spietate del funzionamento della società borghese creano sospetti (l’editore Girardin si è rifiutato di accogliere La Maison Nucingen su «La Presse»); molti critici, tra cui Sainte-Beuve, oppongono alle nuove opere «pessimistiche» di Balzac il tono melodrammatico, più accettabile, di Eugénie Grandet. Per i lettori borghesi di Balzac, liberali o legittimisti che siano, è duro accettare l’idea che ogni ruolo sociale di rilievo grondi malvagità e ingiustizie. Ma questa è la realtà, risponde Balzac, e prosegue nella propria opera di «naturalista», posseduto dal demone della totalità.

«Splendeurs et misères des courtisanes»

Nel corso del 1838, la costruzione del sistema registra un ulteriore avanzamento: La Torpille (La Torpedine) inizia il ciclo di Splendeurs et misères des courtisanes; Un grand homme de province à Paris (Un giovane di provincia a Parigi) porta avanti il ciclo di Illusioni perdues, descrivendo la «formazione» di Lucien de Rubempré nell’ambiente feroce del giornalismo parigino; il romanzo Le cabinet des antiques (Il gabinetto delle antichità) si ricollega al tema delle «illusioni perdute», questa volta affrontato in un ambiente di antica nobiltà condannata dai tempi alla rovina.

La pubblicazione di Un grand homme de province à Paris è accolta con dichiarata ostilità dai critici e dai recensori; Balzac, dall’interno di un meccanismo che conosce bene perché gli deve la sua fortuna letteraria (e le sue catene), ha svelato le miserie della produzione culturale e dei suoi «operatori» più o meno abili, più o meno servili, più o meno rapaci. Da questo momento dovrà veramente difendersi dagli intrighi della corporazione. Cominciano col dire che non solo è eccessivo e fantasioso nelle sue descrizioni della società francese, ma per di più scrive «male»; quanto alle sue idee politiche, che confusione! Non è liberale, si dice legittimista, ma la sua critica non risparmia niente. Le prime vendette colpiscono Balzac in un «punto debole», il suo antico interesse (anche economico) per il teatro: alcuni tentativi del 1840, tra cui Vautrin e Mercadet, non raggiungeranno la scena; contro Vautrin, il «signore del Male» di Le père Goriot, è intervenuta anche la censura. Non hanno un esito migliore alcuni suoi impegni di ordine politico: nel 1839 tenta inutilmente di salvare dalla ghigliottina un amico, il notaio Peytel, uxoricida, e lo accusano di aver voluto inventare un nuovo «affaire Calas» per farsi della pubblicità; nominato presidente della «Societé des gens de lettres» nel 1839, dopo appena sei mesi viene sostituito da Hugo; nel 1840 rileva la «Revue Parisienne» con l’intenzione di descrivervi «la commedia del governo» e degli «affari pubblici», e di svilupparvi una critica letteraria libera da condizionamenti, ma la rivista non vivrà oltre il terzo numero (Balzac farà in tempo a pubblicarvi un’acutissima recensione della Chartreuse de Parme di Stendhal). Sul piano personale, ancora difficoltà; nel 1840 Balzac è costretto a svendere la proprietà di «Les Jardies» per calmare i creditori più scatenati, e si trasferisce a Passy, in un appartamento provvisto di una doppia uscita. Per farsi ricevere, gli amici devono pronunciare una parola d’ordine. La nuova sistemazione presenta altri vantaggi: un’affettuosa governante, Louise Breugnot, lo accudisce e gli riserva un tranquillo amore domestico.

In una lettera del maggio 1840 a Madame Hanska, Balzac espone il suo attuale programma di lavoro: «Mi resteranno da fare le Scènes de la vie politique e le Scènes de la vie militaire, due sezioni molto lunghe e difficili, mi serviranno almeno sei anni di lavoro per venirne a capo». La serie delle «scene della vita politica» è inaugurata dal romanzo Une ténebreuse affaire (Un affare tenebroso), che sarà pubblicato nei primi mesi del 1841; un episodio realmente accaduto nel 1800, nel periodo del Consolato, viene ricostruito non solo nella sua dinamica di esemplare intrigo della «grande politica», ma soprattutto nell’esperienza e nei diversi punti di vista dei personaggi, che tendono ad assumere ognuno una personale connotazione simbolica. Un intrigo politico diventa il dramma «tenebroso» di un periodo storico. Ma con Les deux frères, prima parte del romanzo La Rabouilleuse (1841-1842), e con Ursule Mirouët, pubblicati nello stesso anno, Balzac torna alle «scene della vita di provincia», ai tenebrosi affari delle eredità, delle invidie, dei piccoli grandi crimini familiari, e dell’inconciliabilità tra i sentimenti puri (nella delicata sensibilità di Ursule rivive quella di Eugénie Grandet e di tanti altri personaggi femminili) e le regole della malavita sociale.

«La Comédie humaine»

Nel settembre 1841 Balzac fa ancora una volta il «punto della situazione» in una lettera a Madame Hanska: «Devo riempire i quadri, mancano molte cose nelle Scènes de la vie de province e parisienne. Quanto alle Scènes de la vie politique, militaire e de campagne, ne mancano i due terzi e devo aver finito tutto in sette anni, altrimenti non riuscirò mai a fare La Comédie humaine (è questo il titolo della mia storia della società rappresentata in azione)». Il 2 ottobre, Balzac firma il contratto più importante, non solo economicamente, della sua vita; tre editori, Hetzel, Dubochet e Furne, si sono associati per raccogliere tutte le opere di Balzac, passate e future, sotto il titolo generale di La Comédie humaine. Il sistema narrativo che Balzac ha costruito per successive approssimazioni può ora diventare una grande, definitiva realtà.

Il 1842 è un anno decisivo. A gennaio Balzac viene informato della morte del barone Wenceslas Hanski, marito di Madame Hanska; da questo momento sarà posseduto da un’unica «idea fissa»: sposare la baronessa, che al contrario si dimostrerà reticente e tutt’altro che entusiasta. Quest’idea fissa, una «mania» degna di Grandet e Goriot, diventerà la causa principale delle sue angosce e dei suoi tormenti, consumerà la sua accesa sensibilità e umilierà spesso la sua ambizione di entrare a far parte, di diritto, del mondo affascinante dell’aristocrazia. Altre ambizioni registrano un bruciante fallimento nei primi mesi dell’anno: un nuovo tentativo teatrale, Les Ressources de Quinola (Le risorse di Quinola), dramma dell’incomprensione riservata a un uomo di genio, raggiunge la scena ma si risolve in un disastro, anche finanziario. A Balzac non resta che impegnarsi, come un forzato, nella realizzazione della Comédie humaine. Hetzel gli chiede insistentemente di mettere ordine nel suo progetto, e di renderne esplicite le ragioni e le linee di sviluppo. Nel luglio 1842 l’Avant-Propos alla Comédie humaine costituisce una straordinaria sintesi della poetica di Balzac, creatore di un «sistema della natura» dedicato alle «specie sociali» del XIX secolo: un’antropologia dell’uomo contemporaneo. «La prima idea della Comédie humaine», scrive Balzac, «si mosse in me agli inizi come un sogno, uno tra quei progetti impossibili che si accarezzano e si lasciano volare via: una chimera che sorride, rivela il suo volto di donna, e apre immediatamente le ali sollevandosi nel cielo fantastico. Ma la chimera, come un’infinità di chimere, si trasforma ora in realtà, esprimendo doveri e ingiunzioni, una sua tirannia cui occorre cedere. Quest’idea nacque da un confronto tra l’Umanità e l’Animalità. [...] Le differenze tra un soldato, un operaio, un amministratore, un avvocato, un fannullone, uno scienziato, un uomo di stato, un commerciante, un marinaio, un poeta, un povero, un prete sono, sebbene più difficili da afferrare, notevoli quanto quelle che distinguono il lupo, il leone, l’asino, il corvo, il pescecane, il bue marino, la pecora eccetera. Sono dunque esistite, e sempre esisteranno, delle Specie Sociali come esistono delle Specie Zoologiche. Se Buffon ha fatto un magnifico lavoro, cercando di rappresentare in un libro l’insieme della zoologia, non si poteva provare a fare qualcosa del genere per quel che riguardava la Società? Ma la Natura ha posto, per le varietà animali, confini cui la Società non può sottostare. Quando Buffon raffigurava il leone, liquidava la leonessa con qualche frase appena; mentre nella Società, una data donna non si trova sempre a essere la copia femminile di un dato maschio. Possono esserci due esseri perfettamente dissimili in un’unione coniugale. La moglie di un mercante è talvolta degna di essere la consorte di un principe, e quella d’un principe spesso non vale quella d’un artigiano. Lo Stato Sociale presenta bizzarrie che la Natura non si permette, poiché lo Stato Sociale è Natura più Società. [...] Inoltre, Buffon ha trovato una vita eccessivamente semplice tra gli animali. L’animale possiede pochi mobili, non ha né arti né scienze, mentre l’uomo, per una legge che dobbiamo ricercare, tende a rappresentare i suoi costumi, il suo pensiero e la sua vita in tutto ciò che annette ai propri bisogni. Sebbene Leuwenhoek, Swammerdam, Spallanzani, Réamour, Charles Bonnet, Müller, Haller e altri pazienti zoologi abbiano dimostrato quanto siano interessanti i costumi degli animali, le abitudini di ciascun animale sono, almeno ai nostri occhi, costantemente simili in ogni tempo; mentre le abitudini, l’abbigliamento, il linguaggio, le abitazioni di un principe, di un banchiere, di un artista, di un borghese, di un prete e di un povero sono assolutamente dissimili e cambiano secondo le civiltà. Così l’opera da fare doveva possedere una triplice forma: gli uomini, le donne, le cose, cioè le persone e la rappresentazione materiale che esse danno del loro pensiero; infine, l’uomo e la vita. [...] Ma come rendere interessante il dramma che, con i suoi tremila o quattromila personaggi, una Società rappresenta? Come piacere contemporaneamente al poeta, al filosofo e alle masse che vogliono la poesia e la filosofia tradotte in immagini avvincenti? Comprendevo l’importanza e la poesia di questa storia del cuore umano, ma non scorgevo alcuno strumento di realizzazione; infatti, fino alla nostra epoca, i più celebri narratori avevano disperso il loro talento nella creazione di uno o due personaggi tipici, rappresentando un aspetto della vita. Fu alla luce di questo pensiero che lessi le opere di Walter Scott. [...]». Balzac ricostruisce il proprio itinerario, che dalle intuizioni filosofiche degli anni giovanili l’ha portato a essere il «segretario» della società francese, capace di decifrarne i segni, di riconoscerne i movimenti più nascosti. «Non era un compito semplice raffigurare le duemila o tremila figure caratteristiche di un’epoca. [...] Questo gran numero di figure, di caratteri, questa moltitudine di esistenze, esigevano dei quadri e, mi si perdoni l’espressione, delle gallerie. Perciò le divisioni così naturali, già note, della mia opera in Scènes de la vie privée, de province, parisienne, politique, militaire et de campagne» che costituiranno le Études de mœurs («la storia generale della società»). «Questa è la base, piena di figure, piena di commedie e di tragedie sulla quale si innalzano le Etudes philosophiques [...]», sovrastate a loro volta dalle Etudes analytiques «sulle quali non dirò niente perché ne è stata pubblicata la sola Physiologie du mariage. Di qui a qualche tempo pubblicherò altre due opere di questo genere. Prima la Pathologie de la vie sociale, poi l’Anatomie des corps enseignants e la Monographie de la Vertu». Le ultime parole dell’Avant-Propos: «L’immensità di un piano che comprende contemporaneamente la storia e la critica della Società, l’analisi dei suoi mali e la discussione dei suoi principi, mi autorizza, credo, a dare alla mia opera il titolo con il quale appare: LA COMÉDIE HUMAINE. È ambizioso? È giusto? Terminata l’opera, sarà il pubblico a decidere».

La volontà di costruire un sistema narrativo, un «mosaico» che rispecchi la condizione dell’uomo contemporaneo in tutte le sue implicazioni sociali, «naturali» e filosofiche, non è certo nuova in Balzac; abbiamo visto come il demone della «totalità» e del «sistema» unitario affondi radici profonde nella sua formazione illuministica e «illuminata». Tuttavia, nell’Avant-Propos del 1842 l’intuizione dell’intima «corrispondenza» tra ogni elemento del mosaico che Balzac è venuto componendo nel corso degli anni si è ormai trasformata in consapevolezza. Balzac non ha dubbi che il suo universo, ricreato attraverso il realismo visionario della sua «doppia vista», esista realmente e viva di vita propria. Balzac se ne sente responsabile. E, in quanto Creatore della sua società, che è più «vera» della società reale, si pone il problema di proteggerla da ogni pericolo di disgregazione e «dispersione energetica». Questo è il significato delle dichiarazioni politiche dell’Avant-Propos; sono le dichiarazioni di un demiurgo preoccupato di garantire l’integrità del proprio universo: «L’uomo non è né buono né cattivo, e nasce con degli istinti e delle inclinazioni; la Società, invece di corromperlo come ha preteso Rousseau, lo perfeziona, lo rende migliore; ma contemporaneamente l’interesse sviluppa le sue cattive tendenze. Il Cristianesimo, e soprattutto il Cattolicesimo, essendo – come ho detto nel Médecin de campagne – un sistema completo di repressione delle inclinazioni depravate dell’uomo, è l’elemento principale dell’Ordine Sociale. [...] Io scrivo alla luce di due Verità eterne: la Religione, la Monarchia, due necessità proclamate dagli avvenimenti contemporanei, e verso le quali ogni scrittore di buon senso deve cercare di ricondurre il nostro paese». Il cattolicesimo e la monarchia, «verità eterne», garantiscono la durata e la coesione della società creata da Balzac: di fronte alla realtà della giungla capitalistica che esaspera le tendenze perverse dell’uomo e disgrega il corpo sociale, i principi di ordine reclamati da Balzac appartengono alla sfera fantastica dell’utopia e dell’immaginazione. La produzione dell’ultimo Balzac sarà un’efficace testimonianza sul naufragio di ogni utopia più o meno nobile.

La Comédie humaine impegna Balzac in un grande lavoro di revisione e organizzazione dei testi pubblicati, e di progettazione delle opere ancora mancanti. Si fa dei programmi, che puntualmente disattende; lavora contemporaneamente a opere diverse, come del resto ha sempre fatto, curando con particolare attenzione le connessioni tra le singole opere e il disegno generale. Si preoccupa che la collocazione delle singole opere nell’architettura della Comédie humaine contribuisca a rendere dinamico il quadro generale. Il «ritorno dei personaggi» pone non pochi problemi, non sempre risolubili. Un lavoro estenuante. Nel corso del 1842 pubblica, tra l’altro, i romanzi Albert Savarus (protagonista e intreccio sono una trasposizione del difficile rapporto tra Balzac e Madame Hanska) e Un début dans la vie (Un inizio nella vita), amare «scena della vita privata», e poi la conclusione dei Mémoires de deux jeunes mariées (Memorie di due giovani spose), la seconda parte di La Rabouilleuse: Un ménage de garçon en province (Casa da scapolo), l’inizio dell’Envers de l’histoire contemporaine (Il rovescio della storia contemporanea). Intanto continua a lavorare ai due cicli romanzeschi che considera fondamentali nello sviluppo della Comédie humaine, Illusions perdues e Splendeurs et misères des courtisanes, di cui pubblicherà nel 1843 Esther ou les amours d’un vieux banquier (Esther o gli amori di un vecchio banchiere) e David Séchard. Un viaggio in Russia, nell’estate del 1843, rallenta un ritmo frenetico di lavoro che comincia a produrre i suoi guasti. Balzac passa alcuni mesi a Pietroburgo con Madame Hanska; alle insistenti richieste di matrimonio, la baronessa temporeggia. Rientrato a Parigi, Balzac manifesta dei disturbi nervosi: «meningite cronica» dovuta al lavoro eccessivo, diagnostica il dottor Nacquart. È l’inizio di un inarrestabile declino fisico che condizionerà pesantemente il costruttore della Comédie humaine. È la riprova delle convinzioni di Balzac sulla fisiologia del pensiero umano: i suoi eccessi uccidono. Prigioniero del proprio sistema narrativo, Balzac è deciso a completarne i quadri mancanti, con l’atteggiamento del «naturalista».

«Les petits bourgeois»; «Les paysans»

In Les petits bourgeois (I piccolo-borghesi), a cui lavora tra la fine del 1843 e l’inizio dell’anno successivo, conduce (e lascia incompiuta) una vera e propria analisi «zoologica» della piccola borghesia parigina dopo la rivoluzione del 1830. Nel corso del 1844, in Les paysans (I contadini) tenta un’operazione analoga, che rimarrà incompiuta come la precedente. Eppure non è l’analisi sociologica delle «specie umane» il suo registro più congeniale, come dimostra, nello stesso 1844, la facilità con cui Balzac scrive, in omaggio alla Hanska, l’idilliaca storia «a lieto fine» di Modeste Mignon (Modesta Mignon), nella linea delle «scene della vita privata».

Nel 1845 Balzac si concede un lungo viaggio attraverso l’Europa, in compagnia di Madame Hanska, di sua figlia e di suo genero. È costretto a recitare la parte dell’amante «clandestino», e il genero della Hanska gli è decisamente insopportabile. Ma perlomeno è vicino alla sua baronessa. È un anno di pausa, per quanto riguarda la produzione letteraria. Rientrato a Parigi dopo un’assenza durata sei mesi, ritrova i soliti problemi: gli editori che pretendono, i creditori che perseguitano. Ora anche la madre, di cui Balzac è debitore dal 1828, esige i suoi crediti. È il solito assedio, a cui Balzac ha sempre reagito attraverso il lavoro. Ma ora è stanco, e infastidito. L’ambiente letterario parigino, con le sue invidie e denigrazioni, è un’ulteriore causa di depressione. Nel dicembre scrive a Madame Hanska: «La Comédie humaine, non me ne occupo più». Si sente solo, debole. Il matrimonio con la Hanska, ostacolato da sempre nuove complicazioni, gli sembra l’unica condizione per continuare a vivere e a lavorare. Anche il 1846 è sostanzialmente dedicato a viaggi per l’Europa in compagnia di Madame Hanska; ma è anche un anno di progetti e di realizzazione di nuove opere.

«La cousine Bette»; «Le cousin Pons»

Nell’estate Balzac scrive il romanzo La cousine Bette (La cugina Bette), nel quale riaffronta, costruendo una spietata «scena» contemporanea, il tema forte della sua produzione maggiore: l’analisi delle conseguenze di una passione devastante (l’invidia della «parente povera» Bette, i suoi terribili intrighi familiari). Il romanzo è premiato da un successo editoriale del tutto inaspettato. Sostenuto dalla fama riconquistata, nel 1847 Balzac affianca a La cousine Bette il romanzo Le cousin Pons (Il cugino Pons), di cui è protagonista un altro «parente povero», debole, emarginato, patetico, definitivamente sconfitto. Pubblica la seconda parte di L’envers de l’histoire contemporaine, e riesce a concludere il ciclo di Splendeurs et misères des courtisanes, con il pensionamento di Vautrin, tormentato dal suicidio di Lucien de Rubempré. Sono le ultime opere di Balzac, anche se negli anni successivi tenterà di scrivere ancora, con angosciose difficoltà.

Il 1848

Tra il settembre del 1847 e il gennaio del 1848 è in Ucraina, ospite di Madame Hanska. Rientra a Parigi in tempo per assistere alla rivoluzione di febbraio. Gli operai armati che chiedono «di lavorare meno ed essere pagati di più» lo inorridiscono. Soprattutto è seriamente preoccupato per le conseguenze dell’«anarchia» sulla sorte dei propri libri. Scrive a Madame Hanska: «Approvo i carceri duri (in italiano nel testo) dell’Austria e la Siberia, e i modi del potere assoluto». Aspirante proprietario terriero, si sente in pericolo: «Innanzitutto, bisogna salvare la pelle». Ma nei mesi successivi si rende conto che in fondo non è accaduto niente di irreparabile, e si pone il problema di inserirsi nel nuovo clima politico. Pensa di presentarsi all’Assemblea Costituente, si candida all’Académie Francaise (che non lo accoglie). Pensa anche di ritentare la via del teatro, e ripropone un vecchio progetto, Mercadet, con il nuovo titolo di Le Faiseur. La Comédie Française accetta la pièce, ma poi la rifiuta. È l’ultima delusione parigina di Balzac. Nel settembre del 1848 parte per l’Ucraina. Le sue condizioni di salute sono peggiorate; ha frequenti, crisi cardiache. Il matrimonio con la Hanska incontra nuove difficoltà; lo Zar lo concede a condizione che la baronessa Hanska rinunci alle sue proprietà. Finalmente, il 14 marzo del 1850, la fine di un’ossessione: Madame Hanska sposa un uomo ormai distrutto. Alla fine di aprile gli sposi sono a Parigi. Balzac è costretto a passare le sue giornate su una poltrona. I medici gli danno pochi mesi di vita. Nel mese di luglio, un attacco di peritonite. Muore il 18 agosto al termine di una lunga agonia.

«La pelle di zigrino»

Il “romanzo filosofico” nasce inizialmente come racconto fantastico. In uno dei numerosi testi che pubblica negli ultimi mesi del 1830, Litanies romantiques (Litanie romantiche, «La Mode», 9 dicembre), Balzac accenna a un ricco mecenate parigino che si sarebbe offerto di acquistare il suo «celebre racconto fantastico La peau de chagrin». È il primo riferimento all’opera. La testimonianza di un giovane giornalista, Berthoud, collaboratore della «Mode» e amico di Balzac, conferma l’originario carattere “fantastico” del romanzo; secondo Berthoud, all’inizio Balzac pensa alla disavventura grottesca di un giovane materialista convinto, Raphaël, che muore di paura, vittima della propria credulità. Un vecchio ebreo ha infatti voluto raggirarlo, convincendolo dei poteri soprannaturali di una pelle di zigrino che si è ristretta per ragioni assolutamente naturali. Nello stesso periodo Balzac pubblica sulla «Caricature» (16 dicembre) un breve testo, Le dernier Napoléon (L’ultimo Napoleone): è il rapido ritratto di un giovane disperato che, dopo aver perduto l’ultima moneta d’oro a un tavolo da gioco, si dirige verso la Senna deciso a suicidarsi. La città che fa da sfondo alla tragedia di questo “ultimo Napoleone” è la Parigi delle sorti magnifiche e progressive aperte dalla Rivoluzione borghese di luglio; su questa realtà moderna si infrangono le speranze e le illusioni di una giovane vita.

È dunque nel dicembre 1830 che il tema “fantastico”, hoffmanniano, della magica pelle di zigrino si incontra nel febbrile laboratorio balzachiano con l’amara consapevolezza dei meccanismi spietati della vita moderna, nel clima euforico della Francia dei banchieri e degli industriali seguito alle generose giornate di luglio: la vicenda grottesca dell’ingenuo Raphaël, convertito al fantastico e vittima della propria credulità, diventa il romanzo tragico di un giovane disperato che nella Parigi del 1830 consuma lentamente il proprio suicidio. E il nuovo personaggio del giovane marchese Raphaël de Valentin diventa rapidamente una proiezione dello stesso Balzac, un personaggio sostanzialmente autobiografico.

Il 17 gennaio 1831 Balzac firma un contratto che lo impegna a consegnare il manoscritto entro il 15 febbraio: l’opera dovrà essere pubblicata in due volumi, per un totale di circa 350 pagine. Alla fine di gennaio è lo stesso Balzac ad occuparsi della campagna di promozione del romanzo, e annuncia: «L’autore della Physiologie du mariage sta per pubblicare un libro intitolato La peau de chagrin». Il 7 febbraio scrive le prime pagine; alla vigilia del 15 febbraio, data di consegna prevista dal contratto, è nel pieno del lavoro ma ha scritto soltanto un centinaio di pagine. In preda all’angoscia, incalzato da altre scadenze (le assidue collaborazioni alla «Revue de Paris»), si allontana da Parigi per dedicarsi esclusivamente al romanzo. Il 7 marzo, da Saint-Cyr, scrive all’impaziente editore Gosselin: «Lavoro senza sosta, senza distrazioni, per finire e consegnarvi La peau de chagrin. Stasera concludo la prima parte, quella che mi preoccupa di più e dalla quale dipende l’intero libro. Superata questa dura prova, il resto andrà avanti da solo». In effetti, una volta costruito l’impianto narrativo e presentati i personaggi principali, il lavoro procede con maggiore facilità, concludendosi nel mese di maggio. È allora che due capitoli del romanzo vengono anticipati su riviste con i titoli Une débauche (Il racconto dell’orgia presso il banchiere, «La Revue des Deux Mondes», 15 maggio 1831) e Le suicide d’un poète (Incontro con Fedora, «Revue de Paris», 29 maggio 1831). Il capito- lo pubblicato sulla «Revue des Deux Mondes» è preceduto da una nota editoriale di Balzac in cui viene annunciata la pubblicazione ormai imminente del romanzo: «Attesa con impazienza, l’opera originale nella quale il nostro collaboratore ha, si dice, meravigliosamente unito la raffigurazione della società moderna, la sua mancanza di valori, il suo lusso, le sue passioni, alle più elevate idee morali e filosofiche, apparirà entro pochi giorni (il 15 giugno). È noto che La peau de chagrin ha già ottenuto notevoli successi nei salotti di Parigi».

Balzac, perfettamente consapevole dei meccanismi che regolano il mercato editoriale parigino, promuove con cura l’uscita del romanzo, creando – attraverso ripetuti annunci e anticipazioni – l’attesa nei confronti di un’opera che è profondamente legata alla vita parigina contemporanea: un romanzo che affronta le questioni più concrete e più impegnative della vita moderna. Ed è in questa chiave che La peau de chagrin viene accolta dal pubblico e dai critici nell’agosto 1831. Pubblicato un anno dopo la Rivoluzione di luglio, il romanzo costituisce uno dei primi segni di ripresa letteraria dopo la crisi «rivoluzionaria». Come non coglierne il messaggio intimamente politico e filosofico, scandalosamente pessimistico? Nuovo René, il Raphaël della Peau de chagrin (‘zigrino’ ma anche ‘dolore’) impersona il “mal di vivere” di una generazione delusa da una rivoluzione mancata, sfiduciata e senza speranze da coltivare, costretta a subire le regole di una società di ricchi e di banchieri, di borghesi arroganti e di servi abbrutiti, che non è tenera con i sentimenti elevati ed esclude gli “ultimi Napoleone”.

Ma il messaggio di Balzac è ancora più avvelenato. La sua concezione materialistica dell’energia universale che agisce l’esistenza come un destino, e consuma la vita inesorabilmente attraverso il pensiero, i desideri, la volontà, avvolge il lettore in dilemmi inquietanti. È meglio sopravvivere senza passioni, senza piaceri, senza pensieri, oppure vivere intensamente, esaurendo il proprio capitale energetico? È meglio subire una società ispirata ai valori dell’egoismo (la società di cui è simbolo Fedora), oppure esistere in solitudine, in rapporto diretto con l’energia cosmica e la morte? La tragica storia di Raphaël, la sua lenta agonia, non dà risposte. La peau de chagrin è quindi un libro “nero”, amaro, disperante. Per questo viene attaccato dai critici “positivi” della borghesia soddisfatta, e invece apprezzato da menti più libere, come Montalambert sull’«Avenir» e Deschamps sulla «Revue des Deux Mondes».

Nel percorso creativo di Balzac La peau de chagrin è un “nodo” fondamentale, che investe sia la condotta narrativa sia quella esistenziale. Nel personaggio di Raphaël confluiscono infatti il passato e il presente di Balzac, con riferimenti autobiografici anche espliciti (Raphaël, come Balzac, ha tentato di scrivere un Traité de la volonté, trattato della volontà, ed entrambi subiscono il ricatto ossessivo della passione di vivere e del denaro): quell’autobiografia che Balzac tenta, da anni, di scrivere, nelle pagine della Peau de chagrin comincia a delinearsi, per svilupparsi di lì a poco in Louis Lambert (1832). Ma soprattutto il romanzo svolge, anche grazie al suo successo editoriale, un ruolo di passaggio tra gli anni della formazione di Balzac e il grande disegno della Comédie humaine, segnando il punto d’arrivo delle inclinazioni fantastiche e filosofiche dei primi testi e l’inizio del realismo visionario della maturità.

LANFRANCO BINNI