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Avrebbe potuto essere semplicemente lucido; ma non era così. La sua visione, quel giorno, era di un’acutezza stereoscopica. E se l’insieme si confondeva un po’, perdendosi nel sole e nell’afa, i singoli dettagli, in compenso, apparivano perfettamente messi a fuoco, come in certe tele di primitivi in cui, dallo scorcio di una finestra, si scopre un secondo quadro animato da personaggi microscopici.

Registrava ogni cosa, memorizzava ogni cosa. I cinesi si assomigliano tutti. Pure, avrebbe potuto riconoscere fra mille quello che, al mattino, gli aveva servito la cioccolata e le brioche. E ricordava gli orecchini del donnone che rideva sulla corriera: erano a forma di nontiscordardimé.

« Quanto le hanno fatto pagare di bevande? ».

Anche quelli avrebbe potuto riconoscerli, come pure la giovane donna vestita di bianco che era passata in macchina e si era voltata a guardarlo!

Inoltre avrebbe potuto fare un resoconto preciso, spietato, dell’udienza del mattino, con i gesti e gli atteggiamenti affettati di Isnard, gli andirivieni disinvolti di Jo, che era a proprio agio in tribunale come al Relais des Méridiens, e l’insostenibile peso degli sguardi di Lagre.

Perché Jo Beaudoin gli aveva dato del tu? Forse perché quel giorno si sentiva importante, o perché aveva capito che era arrivato il momento di poterlo fare?

« Vieni! Ma sì! Mangerai con noi… ».

Gli indigeni che prima stavano in fondo all’aula ora aspettavano fuori, e Donadieu passò oltre in compagnia di Tamatéa, di Hina e di Raphael, che si stiparono con lui nella macchina dell’avvocato.

Al Relais la sala era piena di clienti per lo più non abituali, passeggeri della nave che sarebbero ripartiti solo l’indomani. Ciò nonostante Raphael e Jo avevano un gran da fare a salutare gente, avvicinandosi agli uni, rivolgendo agli altri cenni amichevoli da lontano. E si capiva che i clienti, guardando Tamatéa, parlavano del processo del giorno.

« Avremmo fatto meglio ad andare a mangiare a bordo » borbottò Jo, stizzito. « È vero che là non avrei avuto il telefono… Cosa c’è da mangiare?… Ordinate, intanto!… Torno subito… ».

Il telefono era fissato alla parete della cucina, e dalla sala si sentiva tutto.

« Sì… Mi passi Candé… Sei tu?… Stanno per mettersi a tavola?… Hanno invitato anche te?… Sì, ti ascolto… ».

Un lungo silenzio. Adesso era Candé che parlava, all’altro capo del filo.

« …Va be’, ci proverò, ma non sarà facile… Sì, mi troverai qui… ».

Fu a quel punto che Donadieu cominciò a sdoppiarsi. Non solo registrava tutto, suoni, colori, gesti, espressioni dei volti e timbro delle voci, e non solo ogni particolare si inseriva ordinatamente al proprio posto nell’affresco brulicante di cui era parte essenziale, ma c’erano pure, come accade a volte in sogno, due Donadieu distinti che si osservavano l’un l’altro.

Era stato servito del pesce fritto accompagnato da una salsa molto piccante.

« Non ti annoiavi, laggiù? » chiese Tamatéa.

Notò che parlava al passato, come, fosse già deciso che lui non sarebbe più tornato alla cascata. Vide Jo tornare al tavolo con aria seccata e Raphael girarsi verso di lui.

« E allora? ».

« Si stanno mettendo a tavola. Il governatore ha invitato a pranzo Moutonnet e Isnard insieme all’ispettore delle Colonie… Mi aspettano per il caffè… ».

Uno dei due Donadieu continuava a mangiare di buon appetito mentre l’altro cominciava ad agitarsi, a tendere l’orecchio, a indignarsi. Ma era un Donadieu che nessuno vedeva e nessuno sentiva. Era il Donadieu che Donadieu avrebbe voluto essere.

« Il peggio » proseguì l’avvocato continuando imperterrito a mangiare « è che bisogna andare dalla vecchia… ».

Il Donadieu invisibile sentiva crescere in sé l’agitazione.

« … perché quello che loro vorrebbero .è non vedersela davanti all’udienza… Trattandosi di un bianco, meglio evitare scene penose, che fanno sempre cattiva impressione sugli indigeni… ».

Diede un’occhiata distratta all’orologio che segnava già le due e ordinò arrosto con contorno, perché dall’Europa erano arrivate con la nave verdure di vario tipo.

« Dovresti telefonare all’Hôtel des Îles, » disse poi a Raphael « perché l’avvertano che andrò da lei… Ehi, Manière!… Non te ne hanno mandate di mele stavolta? ».

Tre cinesi servivano ai tavoli, piatti e bicchieri cozzavano e tintinnavano a ritmo accelerato… Pareva di essere in una trattoria di campagna la domenica di Pentecoste o il 15 agosto. Un giovanotto con delle lenti azzurrognole si avvicinò per fotografare Tamatéa, la quale sorrise. Il giovanotto ringraziò.

Raphael stava telefonando.

« Sì… Le dica che l’avvocato di suo marito sta per raggiungerla… No, no! Per il momento è meglio che non si muova… ».

Tornando al tavolo, Raphael annunciò:

« Sei fortunato! Stava giusto uscendo per andare in tribunale… ».

« Non avrebbe trovato nessuno… ».

Era ripugnante! Sì! Era una vergogna starsene là a mangiare con Tamatéa, Raphael e Jo, ascoltare e non dire niente. Perché allora, dato che era così indignato, Donadieu non reagiva? Perché si abbandonava a quella sorta di benessere fisico che lo impregnava tutto? Mangiava della carne e la assaporava. Sentiva l’odore di Tamatéa. Sapeva che avrebbero servito delle mele, già ne vedeva sugli altri tavoli.

E invece aveva ben chiaro quello che avrebbe dovuto fare, vedeva un altro Donadieu ergersi, pallido dallo sdegno, e gridare:

« È normale che, prima di emettere un verdetto, i giudici vadano a pranzo con il governatore e con l’ispettore delle Colonie per accordarsi con loro? È normale che l’avvocato della difesa vada a prendere il caffè con quei signori? E mi volete dire perché mai la presenza della signora Lagre, che chiamate “la vecchia”, venga giudicata indesiderabile? Quella povera donna ha attraversato gli oceani per accorrere in aiuto del marito. E voi fate in modo, con degli espedienti, di allontanarla dall’aula in cui si decide la sorte di quell’uomo… ».

« Se mi cercano dal tribunale, di’ che sono andato da lei » disse Jo, alzandosi da tavola e pulendosi le labbra con il tovagliolo.

Prese il caffè in piedi, poi diede un colpetto sulla spalla a Tamatéa.

« A fra poco! ».

Si sentì la macchina, fuori, che si metteva in moto. Tamatéa sospirò:

« Povera donna! ».

« Ho parlato di lei con il comandante della nave » raccontò Raphael. « Non ha fatto che piangere per tutta la traversata. E, dato che stava nel salone, sai che allegria per gli altri passeggeri! Era sempre lì nel suo angolino a tirar su col naso, ad asciugarsi gli occhi, a muovere le labbra come le vecchie che biascicano orazioni in chiesa. Poi, all’improvviso, le sfuggiva un gemito e correva sul ponte a piangere tutte le sue lacrime… ».

Donadieu voltò la testa dall’altra parte ma non si mosse. Eppure sentiva che, invece di starsene lì, avrebbe dovuto prendere un taxi nello stesso momento in cui Jo saliva sulla sua macchina. E trovarsi, adesso, all’Hôtel des Îles, e dire:

« Sono Donadieu figlio, signora, quello che ha fatto da padrino a uno dei suoi bambini, ricorda? Si dà il caso che io sia al corrente di tutti gli intrallazzi che stanno macchinando ai danni di suo marito. In questo momento, nel palazzo del governatore, si decide la sua sorte intorno a una tavola imbandita con cibi raffinati e bottiglie di ottimo vino. Anche il vostro avvocato vi tradisce, perché è atteso laggiù con gli altri, e ci sta andando di corsa. Lagre non sa niente. Non si difende. Tocca a lei difenderlo ed esigere un vero processo! ».

Ma non si muoveva. Rimaneva seduto al suo posto, tra Raphael e Tamatéa, con la fronte imperlata di sudore, proprio sotto un ventilatore che ronzava, e che cosa faceva? Sceglieva la mela più bella! Dietro di lui, un inglese stava dicendo alla moglie:

« Mi hanno assicurato che non comincerà prima delle tre e mezzo… ».

E si trattava, ovviamente, dell’udienza pomeridiana.

Tamatéa parlava con la bocca piena:

« Hai visto la faccia della signora Isnard? Mi ha sempre girato le spalle, ma lo sapeva che io ero dietro di lei, e scommetto che faceva gli occhiacci al marito quando lui guardava dalla mia parte… ».

Fuori non c’era un alito di vento, non si muoveva una foglia. Nella sua magnificenza, lo scenario era di una tale staticità che ci si stupiva di sentir cantare un merlo delle Molucche, nascosto nel folto di un albero del corallo.

« Ho voglia di andarmi a sdraiare per una mezz’oretta » annunciò Tamatéa con un sospiro.

Aveva il vestito bagnato sotto le ascelle e in mezzo alla schiena. Si alzò, si stirò.

« Sali anche tu, Hina? ».

Restarono solo Raphael e Donadieu, il quale era lì, intorpidito dal pasto copioso, ma era anche all’Hôtel des Îles, ritto in piedi davanti a Jo Beaudoin.

« Lei è il difensore, vero? E allora ha il dovere di difendere! Come? Sta dicendo che Lagre ha ucciso un giovane, un ragazzo di venticinque anni? Non è una buona ragione per inscenare questa parodia di giustizia… ».

« Gli daranno dieci anni… » buttò là Raphael, accanto a lui, con voce indifferente.

Donadieu non rispose: sospirò, accettò il caffè che gli servivano e si sorprese ad ascoltare i passi delle due donne, al piano superiore, e poi il cigolio della rete metallica.

Dovevano essere tutte e due nude, sotto le strisce di luce che filtravano dalle persiane. Allungate di traverso sul letto con gli occhi chiusi, lasciavano riposare il corpo madido, e intanto la loro mente inseguiva sogni vaporosi come le nuvole estive. Forse, di tanto in tanto, buttavano lì qualche frase.

« Credi che rimarrà qui? ».

Era di lui, Donadieu, che si parlava. E Tamatéa rispondeva:

« Ma certo! ».

Che cosa ne sapeva, lei? Del resto, neanche lui lo sapeva, e adesso era intento ad ascoltare la conversazione che si svolgeva al tavolo vicino. Manière, in piedi, stava spiegando:

« Se partite subito, sarete di ritorno stasera verso le undici… Posso procurarvi una buona macchina, con un ottimo autista. E se volete dei chitarristi… ».

Intanto, all’Hôtel des Îles, Jo usante tutta la sua diplomazia a spese di quella povera donna!

Era entrato Candé, il capogabinetto, il quale, dopo aver dato la mano a Raphael, strinse quella di Donadieu.

« A proposito! Ho detto al governatore che lei era qui. La prega di pazientare qualche giorno, perché sarà molto impegnato con l’ispettore delle Colonie… ».

Perché venirgli a raccontare questo? Aveva forse chiesto qualcosa, lui? Aveva forse detto a qualcuno che intendeva restare a Papeete?

A cavalcioni di una sedia, Candé stava parlando con Raphael sottovoce, non tanto, però, da non farsi sentire da Donadieu.

« Oggi lasciamo perdere, per via della nave… Saranno tutti al La Fayette, per cui non è il caso… Ma domani vedi di mandare laggiù un paio di belle ragazze… Fra poco il governatore vi presenterà, te e Jo, e gli farete da ciceroni… ».

La persona in questione era l’ispettore delle Colonie, al quale si preparavano programmini ben studiati, nonché un po’ fasulli. E loro ne parlavano come della cosa più normale del mondo.

« E la piccola? ».

« Sempre da quelle buone suore » rispose Raphael.

Scambiarono qualche battuta su questa « piccola », ma Donadieu non riuscì a capire di chi si trattasse. Era un’indigena di tredici anni che Raphael aveva adocchiato in un villaggio, e non aveva trovato di meglio, per tenerla in caldo, che pagarle la retta dalle suore finché non fosse « matura » al punto giusto.

« Di’ un po’, non ti sembra che Jo la stia facendo lunga? Dev’essere alquanto coriacea, quella donna!… ».

« Non ha fatto che piangere per tutto il viaggio » ripeté Raphael.

Non era pigrizia, quella di Donadieu. E neanche timore. Non aveva paura di nessuno, lui! Eppure continuava a starsene lì invece di correre dalla signora Lagre ad aiutarla. Era solo con la fantasia che entrava insieme a lei nella sala dell’udienza e, sfidando il tribunale con lo sguardo, prendeva la parola e diceva…

Adesso che era passata l’ora di punta, Manière venne a sedersi al loro tavolo e, posando la mano sul ginocchio di Donadieu che trasalì, borbottò:

« Resta a dormire qui? ».

« Non lo so ».

« Di posto comunque ce n’è, dato che Hina e Tamatéa non rientreranno prima di domattina… ».

C’era un sogno che assomigliava a tutto questo, o meglio un incubo, uno di quelli che lo angosciavano in modo ricorrente… Un paesaggio strano, che lui non aveva mai visto ma che avrebbe riconosciuto se gli fosse capitato di vederlo… Spesso aveva pensato che, da qualche parte, quel paesaggio esisteva realmente… Vi arrivava con un canotto, ma subito dopo l’acqua non c’era più e lui stava in piedi su qualcosa di elastico, come di gomma, mentre la luce intorno non era né quella della luna né quella del sole… E lui doveva camminare… Sapeva di dover camminare a qualunque costo, ma non riusciva a staccare le gambe da terra… Erano bloccate, pesanti come piombo… Apriva la bocca… Gridava…

Quando era piccolo, sua madre a quel punto lo svegliava e lui domandava:

« Che cosa c’è? ».

« Niente!… Dormi, adesso… Hai di nuovo parlato nel sonno… ».

Dalla signora Goudekett, a Great Hole City, non lo svegliava nessuno, ma la mattina dopo la sua vicina di camera, la dattilografa, gli diceva:

« Stanotte ha gridato ancora, signor Donad. Dovrebbe tenersi più leggero, la sera ».

« Le chiedo scusa… ».

« Oh, non fa niente, tanto mi riaddormento subito… ».

Ora Manière stava domandando, in tono peraltro affermativo:

« Dieci anni? ».

Com’è che erano tutti al corrente? Ne parlavano come se la condanna a dieci anni fosse ineluttabile e in certo qual modo auspicabile.

« Sento la macchina di Jo… ».

E Donadieu restava inchiodato alla sedia come quando da bambino, nel letto, era paralizzato dagli incubi. Non reagiva. Guardava. Ascoltava. Tendeva l’orecchio ai rumori di sopra, e seppe così che Tamatéa si stava facendo la doccia.

« E allora? ».

Jo, che era molto accaldato, andò al banco e si versò un bicchiere di acqua gelata.

« Chissà cos’ha in mente di fare all'ultimo momento… Io gliel’ho detto che la sua presenza in aula potrebbe essere nefasta, ma non so se ha capito. Ha continuato a ripetere che non è possibile, che suo marito è stato vittima di un accesso di follia, che è il più mite, il più equilibrato degli uomini ».

Poi, di colpo:

« Qualcuno mi ha cercato da casa del governatore? ».

Come a un segnale convenuto, il telefono squillò e lui andò a rispondere.

« Sì! Vengo subito… Bene… ».

Tornò al tavolo.

« Io filo perché quelli mi stanno aspettando… Ci vediamo in tribunale! Bada che Tamatéa non arrivi in ritardo, perché deve testimoniare per prima. A fra poco! ».

E di nuovo si udì il ronzio del motore, lo stridere della frizione. Manière sbadigliò e aggiunse con un mugugno:

« Sono capaci di farmi aspettare un’ora o due… Per quello che ho da dire… ».

Con uno sforzo, senza muoversi, Donadieu articolò:

« Quasi quasi esco ».

.« Per andar dove? » ribatté Raphael. « Non vorrai metterti a girovagare per le strade con questo caldo! ».

Gli dava del tu. A volte del lei, quando si ricordava che Donadieu era figlio di un ricco armatore.

« Credi che si metterà male? » chiese poi Manière a Raphael, alludendo a certe faccende poco pulite che spiegavano l’arrivo dell’ispettore delle Colonie.

« Non c’è nessun pericolo! » tagliò corto il capogabinetto. « L’ho visto solo per pochi minuti, ma ho già capito come andrà a finire. Gli hanno messo a disposizione la villa dell’inglese… ».

Era la più bella villa di Tahiti, costruita originariamente per una ricca signora inglese.

« … e là nessuno andrà mai a dormire prima dell’alba, ci metto la mano sul fuoco… ».

Nel suo sogno, Donadieu non riusciva a muoversi, ma lì, nella realtà, si alzò. Anche se, una volta in piedi, se ne stette immobile a fissare gli altri con un certo imbarazzo.

« Dove va? ».

« Non lo so ».

E aggiunse, come per giustificarsi:

« Non è ora? Il presidente ha detto alle tre… ».

« Il che significa le quattro o le quattro e mezzo, tanto più che sono tutti dal governatore ».

Era sempre lì in piedi, grande e grosso, con i suoi calzoncini verdastri, le gambe pelose e la camicia non stirata.

« Va’ su a dire alle ragazze che comincino a vestirsi ».

Li disprezzava tutti, e ancorarli più disprezzava se stesso. Sapeva di non essere al suo posto. Non riusciva a smettere di pensare alla signora Lagre.

Perché saliva con passo pesante quella scala che gli ricordava i suoi primi giorni a Tahiti? Aprì una porta, trovò una camera vuota, ne aprì lin’altra e sentì la risata di Tamatéa. In un angolo della stanza, infatti, Hina era intenta ad abluzioni piuttosto intime. Si girò, vide Donadieu e alla risata dell’amica rispose:

« Se ti credi che mi metto .vergogna! Per me, può anche restare… ».

E lui restò! Non sapeva perché, ma restò!

« Raphael vi manda a dire di cominciare a prepararvi » fece.

C’era odore di donna e di sudore. Hina era completamente nuda. Tamatéa aveva una vestaglia spiegazzata.

« Chi c’è, giù? ».

« Raphael… Manière… E il capogabinetto ».

« Non mi piace, quello » dichiarò Tamatéa. « È un viscido ».

Hina si stava asciugando, e fasce orizzontali di sole striavano la sua pelle scura. Donadieu arrossì nel notare che era tutta depilata, e poco dopo vide sul tavolo un rasoio.

« Che cosa facevi, laggiù, tutto il giorno? ».

« Dove? ».

« E dove vuoi che sia? Nella capanna! ».

« Niente. Pescavo. Mi preparavo da mangiare. Mettevo un po’ in ordine… ».

Ecco che, senza rendersene conto, anche lui parlava al passato.

« Ci sei rimasto un bel po’ » constatò Tamatéa. « In genere tornano prima, appena si accorgono che non si può vivere così. Ma tu, l’ho detto anche a Raphael, devi essere un tipo orgoglioso. È vero che hai lasciato una famiglia ricca per andare a fare l’operaio in America? ».

« È vero ».

« Ma che idea! ».

Fuori passava della gente, turisti che non volevano perdere tempo con la siesta, poiché la nave faceva scalo solo per ventiquattr’ore.

« Vieni al La Fayette, stasera? ».

« No! ».

« Mi sa che non sei capace di ballare… ».

« Non mi piace… ».

« E che cosa ti piace? ».

Lui non rispose. Non aveva niente da dire. Era sempre invischiato nel suo incubo come un insetto nella carta moschicida. E si rendeva conto che aveva mentito a se stesso anche quella mattina, quando aveva lasciato laggiù la valigia e lo zaino proponendosi di tornare.

Non era vero! Lo sapeva benissimo che non sarebbe tornato! Non per nulla aveva preso con sé la fotografia di suo padre…

Non voleva più tornarci, alla cascata, a nessun costo. Non voleva più trovarsi solo, la sera, in quella capanna, con le bestie che si aggiravano intorno, con la paura del buio, della solitudine, del vuoto…

Aveva lottato a lungo, e tutte le sue energie si erano esaurite. Fin dal primo giorno, questa era la verità, aveva capito che la cosa era impossibile, che la tanto decantata vita naturale non esisteva, che la sua solitudine altro non era che una solitudine da barbone, che c’erano, là come dappertutto, delle regole da seguire, e che alla fin fine, con tutto il suo eroismo, lui non faceva che giocare al boy-scout a pochi chilometri da un centro abitato.

Si udirono dei passi sulla scala. Raphael aprì la porta e domandò:

« Allora? Che cosa state combinando, qui? È quasi ora… ».

« Due minuti e siamo pronte » rispose Tamatéa.

Con aria distratta, Raphael si era avvicinato a Hina e l’aveva accarezzata. Per un attimo parve esitare, indeciso sul da farsi… Poi, data un’occhiata all’orologio, disse a Donadieu:

« Aspettaci giù, d’accordo? ».

Tamatéa restò. Rimasero in camera tutti e tre. Erano quasi le quattro; Manière, che aveva saltato la siesta, cascava dal sonno. Candé si alzò per uscire.

« Che cosa fanno, lassù? » domandò.

Poi, davanti all’imbarazzo di Donadieu:

« Diavolo di un Raphael! ».

La sala era stracolma fin dalle tre. E fin dalle tre uomini e donne sudavano copiosamente, accalcati gli uni sugli altri, mentre in un ufficio attiguo Lagre aspettava seduto su una sedia tra un poliziotto e un indigeno che batteva a macchina.

Si sentiva il ronzio delle mosche. I soldati dormivano, stesi qua e là sull’erba del prato. Ogni tanto arrivavano dei turisti privi di lasciapassare. Dopo una breve discussione, e dopo aver messo mano al portafogli, venivano lasciati entrare nel recinto riservato.

Passavano delle automobili e tutti speravano che si sarebbero fermate e ne sarebbero finalmente scesi giudici e avvocati. Alle quattro, però, non c’era ancora nessuno, e le mosche imperversavano sempre di più, attratte dall’odore grasso della pelle.

Donadieu arrivò, insieme a Manière e alle due donne, con la macchina di Raphael, il quale strinse la mano alla guardia. Dopo aver dato un’occhiata alla sala dei testimoni, dove c’erano solo un cinese e due indigeni dall’aspetto insignificante, tutti preferirono aspettare nel corridoio, dove faceva meno caldo.

« Ci hanno tenuto i posti? » domandò Raphael.

« Sì. Ci ha pensato l’avvocato Beaudoin ».

Erano là da cinque minuti quando arrivò una grossa automobile munita di bandierine e ne scesero Isnard, il procuratore Moutonnet, Candé e Jo, che si catapultò verso gli amici emanando zaffate di acquavite e di sigaro.

« E allora? » domandò Raphael.

« Dieci anni! Prendete posto, ragazzi. Cominciamo subito… ».

Ma era preoccupato. Mentre si infilava la toga lanciò un’occhiata verso il corridoio, dove temeva di veder spuntare la signora Lagre.

« Venga… » disse Raphael a Donadieu. « Gli altri ci raggiungeranno dopo aver testimoniato. Jo ha fatto tenere i posti per tutti… ».

La signora Isnard era sempre in prima fila, come al mattino. C’era una panca vuota, e Donadieu si ritrovò nell’angolo, a meno di due metri dall’imputato.

« La Corte! ».

E Isnard, i giudici a latere e Moutonnet entrarono con passo deciso e con l’aria frettolosa di chi si accinge a sbrigare una noiosa formalità.

« L’udienza è aperta… » annunciò Isnard togliendosi il tocco.

E Donadieu pensò che anche lui, come tutti gli altri, doveva avere addosso l’odore dell’acquavite e dei sigari offerti dal governatore.

« Fate entrare il primo testimone ».

Si udirono dei rumori all’esterno e ci fu un pigia pigia al di là della porta sulla quale si appuntarono gli sguardi del pubblico. Per un attimo tutti parvero trattenere il respiro. Alla fine entrò una guardia, imbarazzatissima, che, in risposta allo sguardo interrogativo di Isnard, gli si avvicinò e gli disse qualcosa sottovoce. Questi si girò verso i due giudici a latere, abbozzò un gesto di impotenza, e da come si muovevano le sue labbra si capì che diceva:

« Pazienza! Fatela entrare… ».

Jo si era precipitato fuori e rientrò tenendo per il braccio la signora Lagre, che non piangeva ma aveva il volto livido e si guardava intorno con aria angosciata. Lui cercava di calmarla parlandole all’orecchio; poi la fece sedere quasi con forza tra Raphael e Donadieu, rivolgendo loro un’occhiata che voleva dire:

« Tenetela d’occhio! ».

« Fate entrare il primo testimone » ripeté Isnard con un tono studiatamente severo.

La signora Lagre, alla quale Jo aveva probabilmente raccomandato di tacere, si guardala intorno; infine scorse il marito, che teneva la testa nascosta fra le braccia.

« Ferdinand! » gridò alzandosi in piedi.

Raphael cercava di obbligarla a rimettersi seduta. Il presidente batté un tagliacarte sul tavolo.

« Sono costretto a pregarla di restare in silenzio, signora. Mi rendo conto di quanto sia penosa la sua situazione, ma la giustizia deve fare il suo corso e non tollererò incidenti di sorta durante l’udienza ».

La signora Isnard si girò a guardare con curiosità la moglie dell’imputato, la quale cedette alle energiche pressioni di Raphael, che dopo essere riuscito a farla sedere le sussurrò:

« Se interromperà ancora, la faranno uscire dall’aula… ».

« Che mi permettano di parlargli, allora » replicò lei piangendo, con il volto sfigurato da una smorfia che le dava un’aria grottesca. « Perché non posso parlargli? Nessuno lo conosce come lo conosco io… ».

« Silenzio! Il primo teste è… ».

« Tamatéa… » suggerì Jo.

Era lei che gli indigeni aspettavano, accalcati in fondo alla sala al di là della balaustra, e ci fu un ondeggiare di folla seguito da un richiamo all’ordine del presidente.

« Ripeto che non ammetterò intemperanze di alcun genere, da qualsiasi parte provengano! ».

Lo disse guardando la signora Lagre, come per farle capire che quelle parole erano dirette soprattutto a lei. E la povera donna piangeva, mentre Raphael la teneva ferma sulla sedia - Raphael che, mezz’ora prima, nella camera di Hina e Tamatéa…

Ma adesso quést’ultima veniva avanti con aria dignitosa.

« Alzi la mano. Giuri di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Dica: “Lo giuro!” ».

« Lo giuro! ».

Donadieu, che non staccava gli occhi da Lagre, lo vide sollevare la testa di un centimetro, quel tanto che bastava a guardare da sopra il braccio. Fissava la moglie, e quando lei se ne accorse gridò, suo malgrado:

« Ferdinand! ».

Allora lui si scoprì tutto il volto e poco mancò che Donadieu scoppiasse in singhiozzi: era la prima volta che vedeva piangere un uomo, un uomo maturo, il cui volto rude adesso era tutto bagnato di lacrime e alterato dalle smorfie della sofferenza.

« Ferdinand!… ».

« Signora, sarò costretto a… ».

Jo corse verso di lei.

« L’avevo avvertita. Stia calma, o abbandono la difesa… ».

« Ma… ».

« Si faccia forza per un’ora. Dopo, le farò avere un colloquio ».

« Ma… ».

« Silenzio! ».

Gli occhi di Lagre. Occhi bovini sormontati da sopracciglia grigie, che non si staccavano da quella donna dal ridicolo cappellino. Donadieu, trovandosi per così dire nel loro campo visivo, intercettava suo malgrado i muti messaggi destinati alla signora Lagre. E credeva di capire quel terribile silenzio, quell’immobilità più terribile ancora. Stringeva le mani l’una contro l’altra, tanto forte da farle sanguinare. E accanto a lui, ora che la minaccia di Jo aveva sortito il suo effetto, c’erano solo lacrime che fluivano ininterrottamente come da un rubinetto e, ogni tanto, un piccolo singhiozzo soffocato.

« Signorina Tamatéa, la prego di rispondere alle mie domande in tutta franchezza. Lei è stata per molto tempo l’amante dell’imputato… ».

E il presidente, non era forse stato anche lui l’amante di Tamatéa? ».

« Poteva considerarsi la sua amante ufficiale? Cerchi di capire la domanda. Si tratta di sapere se ci sono stati fra voi dei rapporti fugaci, occasionali, o se il vostro legame era più regolare… ».

La signora Lagre non capiva. Forse non ascoltava neppure… Guardava il marito che se ne stava là,, curvo, immobile come una‘bestia in gabbia.

« Per esempio, vorrei che dicesse alla Corte se lei era regolarmente mantenuta dall’imputato… O, se preferisce, se lui poteva credersi in diritto di esigere da lei un’assoluta fedeltà… ».

Molto probabilmente la signora Isnard non staccava gli occhi dal marito, e quell’interrogatorio avrebbe certo dato luogo, in seguito, a una scenata coniugale.

« Non saprei… ».

Ci fu uno scoppio di risa involontario in fondo alla sala, fra il pubblico, e Tamatéa si voltò con l’aria di dire:

« Vorrei vedere voi al mio posto! ».

« Silenzio! Le ripropongo la domanda in altri termini… L’imputato era al corrente del fatto che lei aveva degli altri amanti? ».

« Non lo so ».

« Poteva, in assoluta buona fede, ritenere che lei non lo tradisse? ».

Tamatéa si girò verso Jo per chiedergli consiglio. Cominciava a confondersi.

« Forse sì, lo credeva… ».

E Donadieu continuava a immaginare un altro Donadieu, un altro se stesso che si alzava, calmo, pallido, con i suoi capelli tagliati alla bell’e meglio, la camicia spiegazzata, il corpo abbronzato da mesi di vita solitaria, un Donadieu che, con un gesto solenne e la voce roca e possente, diceva:

« Smettetela, signori miei, di fare questa commedia… Lei, signor presidente, sa benissimo che… ».

E invece se ne stava lì immobile, seduto al suo posto, così vicino alla signora Lagre da poter avvertire i suoi sussulti ogni volta che lei singhiozzava. E a tratti aveva la netta sensazione che lo sguardo di Lagre si posasse, grave, proprio su di lui. Formavano un triangolo, erano confusi in una stessa emozione, e lui non osava neppure tergersi il sudore che gli colava sulla fronte.

La verità era che tutti e tre, Lagre, sua moglie e Donadieu, appartenevano alla stessa razza: erano tre ingenui, tre sprovveduti, che non osavano, che non sapevano, e se ne stavano là come animali ciechi…

Gli altri recitavano la loro parte. Isnard cercava di conservare la sua dignità interrogando Tamatéa, quando tutti in quell’aula sapevano che ne era stato l’amante, e che sua moglie, una certa sera, si era accapigliata con la giovane indigena.

« Dieci anni! » avevano deciso a pranzo.

« Dieci anni! » prevedevano tutti sin dal giorno prima.

« Dieci anni… Vedrete! » aveva sospirato Manière.

E Jo, quando era andato a prendere il caffè dal governatore, aveva aderito alla proposta.

« E va bene, dieci anni! ».

Avrebbe chiesto una condanna a dieci anni e tutto si sarebbe aggiustato così! A partire dalla sera stessa, nessuno ne avrebbe più parlato. La vita sarebbe ricominciata e la gente avrebbe detto:

« Non è andata poi troppo male… ».

« A parte l’apparizione della “vecchia”… ».

E Donadieu chinò la testa, turbato dallo sguardo di Lagre che sembrava posarsi su di lui quanto sulla moglie, e si vergognava di essere arrivato in macchina con Tamatéa e Raphael, si vergognava di…

Di sapere che di lì a poco, alla conclusione del processo, sarebbe sceso insieme agli altri giù per la scala di ferro e si sarebbe ritrovato seduto in loro compagnia al bancone del Relais des Méridiens.

« … Insomma, » ricapitolò il presidente Isnard, cui non dispiaceva affatto l’idea di vendicarsi e di far contenta sua moglie « lei ammette ché il suo genere di vita è tale da non permettere a un uomo di essere geloso… ».

Fra un singhiozzo e l’altro, la signora Lagre domandò timidamente a Raphael:

« Ma che cosa stanno dicendo? ».