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Rrrrr… Rrrrr… continuava a fare l’autista col suo clacson.
E non era un moto d’impazienza, ma il gesto di un ragazzino che si diverte a maneggiare uno strumento. La corriera si era fermata ai piedi della cascata e tutte le teste si erano alzate a guardare verso l’alto, là dove sapevano che c’era la tana di un francese.
Il veicolo, in realtà, era soltanto un camion fornito di panche. I posti erano tutti occupati. Un donnone che teneva sulle ginocchia due galline legate insieme si sbellicava dalle risa perché il suo vicino stava improvvisando in lingua maori qualcosa come:
Signor francese,
non è molto cortese
tenerci in queste attese…
E ci fu subito qualcuno che ripeté con voce di basso:
No, no, non è cortese…
Allora tutti in coro ripresero, con ritmo cadenzato:
No, no, non è cortese…
Poi la voce recitante proseguì la sua canzone con tono ispirato, mentre l’autista scandiva le strofe a colpi di clacson.
Rrrrr… Rrrrr…
È presto assai, signor
francese,
ma noi dobbiamo andare al mercato…
Su, dài, svegliati, signor francese…
Signor francese…
No, no, non è cortese…
Il giorno manteneva ancora intatta la sua freschezza. La laguna era pallida e si sentivano bisticciare i merli delle Molucche. La grassa indigena si rovesciava all’indietro per ridere di cuore con tutte le sue carni tremolanti e scandiva il tempo sbatacchiando le due galline:
Signor francese…
No, no, non è cortese…
Poi le risate aumentarono perché improvvisamente si vide arrivare nell’altro senso la carretta dalle ruote alte di un cinese, la quale fu costretta a fermarsi e ad aspettare che la corriera si muovesse.
Ma la corriera, per muoversi, doveva aspettare che Donadieu, lassù, si svegliasse…
Rrrrr… Rrrrr…
Il cinese, che aveva con sé una piccola tromba, ne trasse alcune note acute e tutti si misero a urlare a pieni polmoni:
Signor francese, no, no, non è…
Donadieu si era appena addormentato; socchiuse gli occhi e fu lì lì per richiuderli, perché non riusciva a distinguere il rumore che gli arrivava dalla strada da quello udito in sogno e da quello della cascata. Ma subito dopo si alzò, interdetto, fece qualche passo, girò intorno alla roccia e vide tutte quelle facce levate verso di lui.
Signor francese…
Alla vista dei suoi occhi gonfi di sonno e della sua espressione attonita, tutti scoppiarono a ridere. L’autista, che rideva anche lui, sventolò una lettera. Un ragazzetto la prese e s’inerpicò alla volta di Donadieu.
Rrrrr… Rrrrr…
Il cinese si scansò per lasciar passare la corriera, mentre Oscar rigirava per un po’ la lettera fra le mani e finalmente si decideva ad aprirla.
« … è pregato di presentarsi al più presto al posto di polizia di Vairao munito dei documenti militari… ».
La corriera si allontanava. Ora che il ritmo era stato dato, una voce continuava a improvvisare e le altre riprendevano in coro il ritornello.
Siamo venuti a portarti una
lettera,
un bigliettino dolce e gentile…
Ma tu dormivi, pazienza, pazienza…
Quando, un’ora dopo, la corriera arrivò al mercato di Papeete, cantavano ancora a squarciagola raccontando le avventure di quelli che non erano mai arrivati a forza di aspettare il « signor francese, tutt’altro che cortese »…
Faceva molto caldo, ma lui camminava a grandi passi regolari, riempiendosi gli occhi del paesaggio, certo, ma con l’animo più turbato del solito.
Aveva trascorso una notte agitata, anche a causa dei discorsi di Raphael e di Jo. Già normalmente stentava a prender sonno per via dei rumori, o dell’assenza di rumori, visto che i suoi nervi ne risentivano allo stesso modo.
A Great Hole City aveva dovuto combattere contro le vertigini ed era quasi riuscito a vincerle. Qui era una paura vaga, immotivata, che lo assaliva al calar delle tenebre.
Gli avevano assicurato, è vero, che nell’isola non c’erano serpenti né animali pericolosi. Tuttavia era pur sempre impressionante starsene distesi in quella capanna senza porta e sentire che, all’improvviso, tutto cominciava a vivere. Perché tutto viveva, fuori e dentro. C’erano animali che camminavano, forse cani, gatti o maiali selvatici, e lui udiva le loro zampe che sfioravano il terreno, capiva che le bestie si aggiravano lì intorno, attratte dal suo odore.
Si svegliavano anche gli insetti rintanati nelle pareti della capanna, e ce n’erano perfino nel pagliericcio.
Donadieu sapeva di non correre rischi, ma non era capace di vincere l’apprensione, e solo molto tardi riusciva a prendere sonno, un sonno leggero che, intervallato da sogni, assomigliava piuttosto a un dormiveglia.
Ed ecco che quelli avevano tirato fuori il Cadavere-in-piedi, e lui non poteva toglierselo dalla mente. Perché gli avevano raccontato quella storia? Fino ad allora non aveva mai pensato che avrebbe potuto ammalarsi e agonizzare come l’ex capitano di goletta. Aveva assistito una sola volta a un’agonia, quella di un polacco tubercolotico, in casa della signora Goudekett, e gli erano stati accanto in tre, a quel poveraccio, che comunque ci aveva messo più di dieci ore a morire.
Il capitano, invece, era solo… Chissà perché si era alzato… Che cosa voleva prendere dal tavolo al quale era rimasto appoggiato? Quanto tempo, quanti sforzi gli erano occorsi per rizzarsi sulle gambe, e poi per aggrapparsi? Forse anche allora sulla strada era passata una corriera carica, come quella mattina, di allegri contadini che andavano al mercato e improvvisavano una canzone… Ed era passata anche il giorno dopo, e i giorni successivi, per intere settimane, mentre il cadavere continuava a rimanere in piedi…
Donadieu attraversò distrattamente la sottile striscia di sabbia che collega la penisola a Tahiti, poiché era stato convocato proprio nella penisola e il poliziotto che lo aspettava doveva essere senz’altro Nicou.
Non sapeva che cosa volessero da lui, eppure sperava confusamente in qualcosa, qualcosa come un cambiamento che gli venisse imposto dall’esterno.
Era stanco. Stanco di tutto e di niente. Mentre camminava, si sforzava di ricostruire il suo ultimo sogno. C’erano Raphael e Jo. L’azione doveva svolgersi in un tribunale, ed era lui, Donadieu, a essere giudicato. Non ricordava bene la scena, si ricordava solo dei due uomini che lo affiancavano standogli vicinissimi e gli parlavano quasi sulla faccia.
« Perché non hai voluto bere il vino? » incalzava Raphael, sarcastico e terrificante.
« Lo hai pur mangiato, il cosciotto! » insisteva Jo, che nel sogno, chissà mai perché, aveva dei baffi rossicci.
Dopo c’era un vuoto, quindi appariva Lagre che, in toga da avvocato, si alzava e, con gesto enfatico, indicava Tamatéa gridando:
« Perché ha ucciso questa donna? ».
Tamatéa annuiva con un cenno del capo, eppure Donadieu l’aveva uccisa, non c’era dubbio!
A quel punto, le grida degli indigeni l’avevano svegliato.
Continuava a camminare. Qualsiasi sforzo gli dava sollievo, e manteneva un passo regolare nonostante fosse in un bagno di sudore. Per recarsi al posto di polizia, oltre ai pantaloncini corti, che costituivano ormai il suo unico capo di abbigliamento, si era messo una camicia.
Esitava a confessarselo. Rifiutava di ammetterlo. E tuttavia, a mano a mano che si avvicinava al villaggio, il suo passo si faceva più precipitoso, lo sguardo cercava avidamente i muri bianchi, i tetti rossi… A un certo punto, il suo orecchio colse il canto familiare di un gallo e lui si girò a guardare due ragazzini che si rotolavano nella polvere.
A cinquanta metri dalla chiesa scorse, più festosa che mai nel sole, la bandiera tricolore e, sotto, la scritta « Posto di Polizia » che spiccava a, caratteri neri sul muro chiaro, ed erano gli stessi caratteri che si ritrovano in tutti i paesini francesi e sulle figurine di Epinal. Un cane rossiccio, molto brutto ma dallo sguardo assai mite, era sdraiato sulla soglia e, poiché la porta era socchiusa, Donadieu scavalcò la bestia, si addentrò in un corridoio semibuio e chiamò:
« C’è nessuno? ».
Allora avvenne qualcosa di strano, perché del tutto imprevisto. Sentì nettamente una voce femminile che canticchiava, e capì che la donna era in cucina e stava sbrigando delle faccende domestiche. Oscar non la vedeva, la cucina, ma ne respirava già l’atmosfera.
« C’è nessuno?… » ripeté.
« Che c’è? ».
Si udì il rumore di un oggetto che veniva messo giù, poi di una porta che si apriva… In uno sprazzo di sole apparve la figlia di Nicou, il seno rigoglioso sotto la camicetta, i capelli arruffati e le mani bagnate. In un primo momento la ragazza non riconobbe il visitatore, immerso com’era nella penombra.
« Avanti!… Che c’è?… Ah, è lei, signor Donadieu!… E io che… ».
Confusa, si asciugava le mani nel grembiule.
« Si accomodi!… Aspetti che le apro il salotto… ».
Poi, a voce più alta:
« Mamma! ».
« Sì… » gridò una voce in fondo al giardino, dove ci doveva essere un pollaio. « Che c’è? ».
« C’è il signor Donadieu… ».
« Vengo… ».
Le voci si incrociavano nell’aria limpida e sonora come cristallo. A sinistra si aprì una porta, e Donadieu entrò in un salotto dove le persiane lasciavano filtrare soltanto delle strisce parallele di luce e dove alcuni ritratti erano l’unica cosa viva che si intravedesse nella semioscurità.
« Scusi se sono in disordine… Ero in cucina… ».
Aveva attraversato due oceani insieme a lei senza accorgersi che aveva carni dorate dalle quali, mentre si muoveva, emanava un profumo leggero. Sotto la vestaglietta di cotone non portava quasi nulla, e si vedevano goccioline di sudore scivolare come perle fra le piccole ciocche sulla nuca.
« Prego, si accomodi! Che cosa posso offrirle? ».
« Un bicchier d’acqua… ».
« Non preferisce del vino? ».
Si dava da fare perché lui era il « signor Donadieu », ma non poteva evitare di lanciargli, incuriosita, degli sguardi furtivi, perché lui era anche « l’uomo della cascata ».
« Mio padre è andato in bicicletta al distretto vicino. Voleva vederlo? ».
Oscar era sicuro che, nella stanza accanto, la signora Nicou, bassa, grassa e muscolosa come un uomo, si stava lavando le mani e cambiando grembiule. Finalmente apparve, odorosa di sapone.
« Ma come! Non hai offerto un bicchiere di vino al signor Donadieu?… ».
« Sì che gliel’ho offerto, ma non ha voluto ».
« Lo sa che è dimagrito? ».
Non c’era più Tahiti, non c’era più il Pacifico. Potevano andare da qualsiasi parte, i Nicou, ma si sarebbero sempre portati dietro l’atmosfera Nicou, con il suo odore di bollito, di sapone e di cuoio lucidato, con la sua ospitalità alla buona ma piena di premure, i tegami di alluminio, il colabrodo, una pentola d’acqua su un angolo della stufa e il coltello per pelare le patate sulla tavola ricoperta di tela cerata a quadretti bianchi e azzurri…
« Sono qui perché ho ricevuto una convocazione ufficiale » spiegò, imbarazzato per il fatto di starsene lì in silenzio fra quelle due donne che lo guardavano e già non sapevano più di che cosa parlare.
« Ah sì, lo so! » rispose la ragazza. « È per il distretto militare. Tutti i francesi sono stati convocati… ».
Intanto la madre, aprendo la porta della cucina, dichiarava perentoria:
« Ci farà la cortesia di pranzare con noi! Sì, sì! Non c’è granché. La carne, qui, non è quella della Chiarente, ma le preparerò lo stesso qualcosa di buono. Ti occupi tu del signor Donadieu, Annie? Portalo a vedere il giardino… ».
Un giardino di cui i Nicou erano molto fieri proprio perché assomigliava a un qualunque orto dei dintorni di Surgères con, in più, qualche fiore tropicale particolarmente rigoglioso che non erano riusciti a eliminare.
« Ha fatto tutto papà… Quando siamo arrivati era quasi una giungla… Guardi i piselli, come sono già avanti… E fra quindici giorni avremo i meloni… ».
Per completare il quadro, in fondo a un vialetto, vicino alla siepe, c’era una baracca di legno con un’apertura a forma di cuore praticata nella porta!
Nicou rincasò ma, avvertito dalla moglie, andò a mettersi un po’ in ordine prima di presentarsi.
« Buongiorno, signor Donadieu… Questa volta non ha proprio potuto fare a meno di venirci a trovare, eh?… Quando l’autorità chiama… Ah! Ah! Eppure,, lei sta solo a mezza giornata di strada da qui. Che cosa fa dalla mattina alla sera? ».
Quando Donadieu riuscì a liberarsi erano già le tre. Avevano pranzato in cucina, dove c’era una tappezzeria che imitava le piastrelle di Delft. La signora Nicou faceva la spola fra la sedia e i fornelli continuando a ripetere:
« Non occupatevi di me. Sono abituata a mangiare dopo gli altri… ».
Quanto a Nicou, un paio di volte almeno aveva guardato prima Donadieu e poi sua figlia, e non era difficile capire a che stesse pensando.
« Non deve preoccuparsi… Abbiamo avuto l’ordine da Parigi di controllare la posizione militare di tutti… Ci fumiamo un sigaro?… Ah già, dimenticavo che lei non fuma… E neppure beve!… È uno strano ragazzo, non c’è che dire… ».
Manteneva un tono rispettoso, ma Oscar avvertiva una sfumatura, un’ombra di confidenza più accentuata che sulla nave.
« Non si è ancora stancato di starsene lassù tutto solo? Ma forse non è poi così solo, eh?… Non voglio che mi sveli i suoi segreti… ».
E Annie che arrossiva, come a comando! E la signora Nicou che esclamava con voce falsamente severa:
« Ma vuoi lasciarlo in pace? Il signor Donadieu è abbastanza grande da sapere quello che fa… ».
« Però, se me lo permette, voglio darle un consiglio che potrebbe tornarle utile… Io sono soltanto un semplice brigadiere, ma vedo e sento tante cose… Lei, signor Donadieu, appartiene a una famiglia come ce ne sono poche… Eppure, dia retta a me… Al giorno d’oggi il mondo cambia… Non c’è quasi più niente di sicuro, è tutto uno scombussolamento… Ma una cosa non cambia, una sola: la pubblica amministrazione!… E alla fine c’è sempre la pensione, vale a dire la certezza che, qualunque cosa succeda, si potrà concludere decentemente la propria esistenza… ».
Oscar non aveva protestato. Aveva risposto con un gesto vago e, cosa ancor più ridicola, aveva visto balenare una scintilla di speranza negli occhi ingenui di Annie.
Non avrebbe saputo dire come fosse arrivato a capirlo, ma alla fine del pasto era sicuro che Nicou e la moglie, guardando lui e la figlia, pensavano:
« Perché no? ».
Adesso, mentre lui camminava a grandi passi lungo la strada, le due donne stavano probabilmente parlottando fra loro, e Annie arrossiva e balbettava:
« Credi?… ».
Era profondamente stanco, fisicamente e moralmente. Così stanco che per un momento pensò che la casa dei Nicou assomigliava un po’ alla pensione della signora Goudekett, dove era stato felice.
Anche laggiù si respirava quella affabilità greve, quella bontà a fior di pelle, e soprattutto quella tranquillità data dalla certezza che il mondo esterno non poteva venire a turbare il tepore di una cucina, di una sala da pranzo, dove a nessuno sarebbe venuto in mente di cambiare di posto a un mobile o a un quadro.
Raggiunta di nuovo la striscia di sabbia che collega la penisola all’isola, si fermò. Una piroga solitaria galleggiava nel sole e, concentrando “l’attenzione, si riusciva a distinguere la testa di un uomo che emergeva dall’acqua.
L’indigeno era nudo e teneva un arpione fra i denti. Faceva la posta ai pesci nell’acqua trasparente, e a un tratto sparì, inseguendone uno a gran velocità fino al suo nascondiglio, in una grotta di coralli.
Per non meno di due minuti la piroga restò sola a galleggiare sull’acqua, poi la testa squarciò la superficie della laguna, e apparve un torso, con un braccio che tendeva un pesce guizzante in cima all’arpione e lo gettava nella barca.
Donadieu si rimise in cammino. Avrebbe voluto…
Per questo era venuto: per costringere i pesci a guizzar via inseguiti, per tornare a essere un animale in armonia con la natura, per vivere come una sorta di dio pagano.
Sentiva ancora in bocca il sapore della pietanza casalinga servita dalla signora Nicou, a base di cipolla. Rivedeva gli sguardi timidi e pure così indecenti di Annie.
Perché non c’era scampo: tutta quella situazione era indecente! Ancora un po’ e li avrebbero spinti ad andare a passeggiare in un luogo deserto, mentre padre e madre si sarebbero scambiati occhiate di soddisfazione!
« La chiami pure Annie… Suona così strano sentirla chiamare signorina… ».
Così aveva detto il brigadiere! Che, al momento del commiato, non aveva potuto fare a meno di dare confidenzialmente dei colpetti sulla spalla di Donadieu.
« E torni spesso a trovarci, mi raccomando! Non faccia complimenti! Per lei c’è sempre un posto a tavola! Non va bene che se ne stia troppo a lungo senza vedere anima viva, creda a me! ».
Oscar avrebbe voluto mettersi a piangere, come un bambino infelice. Intravedeva già in lontananza la montagna dove c’era la sua tana e che, controluce, appariva tutta nera.
Di lì a poco il pescatore con l’arpione sarebbe tornato alla sua capanna di legno e, dopo essersi vestito di bianco, si sarebbe messo a tavola per mangiare il suo pesce ascoltando un disco sul grammofono. Poi, seduto sulla soglia, avrebbe guardato scendere la notte mentre sulla strada polverosa ruzzavano dei cani.
Donadieu si sentiva le gambe pesanti e avanzava più lentamente. Vide di nuovo la corriera del mattino, e c’erano quasi tutti gli stessi passeggeri, che lo riconobbero e scandirono, in uno scoppio gioioso:
… No, no, non è cortese, signor francese…
Questa volta era salito a bordo anche un chitarrista, e le ragazze si erano messe sui capelli delle corone di fiori. Era sempre una festa andare a Papeete e ritornarne con tanti pacchetti pieni di cose meravigliose.
… No, no, non è cortese, signor…
In quel momento Nicou, con le bretelle calate, si dava probabilmente da fare in giardino con la vanga, fumando la sua pipa con avide boccate. Annie lavava i piatti, e Donadieu era quasi sicuro che canticchiava un’arietta sentimentale pensando a lui.
Ma lui non ci avrebbe più messo piede, laggiù, a meno di un’altra convocazione ufficiale! Continuando a camminare, ritrovò il fantasma dell’Uomo-in-piedi, e risentì il mormorio della cascala che gli sembrò uggioso come un ritornello sempre uguale.
Aveva così poca voglia di salire alla sua capanna che sedette in riva alla laguna. Poteva fare a meno di pescare, quella sera, perché aveva già mangiato abbastanza. Tutt’al più, prima di addormentarsi, avrebbe bevuto il latte di una noce di cocco.
Il sole stava tramontando dietro a Moréa, l’isola che si estendeva di fronte a Tahiti e che Donadieu aveva tutto il giorno davanti agli occhi. Una volta gli era capitato di pensare che forse laggiù…
Ma era un miraggio. Sapeva benissimo che anche a Moréa c’erano villaggi, automobili, e un brigadiere come Nicou. Sapeva perfino che gli indigeni avevano formato una squadra di rugby.
Chissà se l’americana sempre mezza nuda stava ancora all’Hôtel des Îles… Ormai era arrivata la stagione dei turisti. I piccoli bungalow dovevano essere pieni di gente che faceva il bagno in pareo e la sera imparava a suonare la chitarra.
E al Relais des Méridiens…
Continuava a tornarci sopra, nonostante tutto. Da più di un’ora cercava disperatamente di non pensarci. Quando, a quattordici anni, andava a confessarsi, sussurrava in fretta:
« … Ho avuto pensieri impuri, padre… ».
Oggi, il Relais des Méridiens faceva parte di quei pensieri impuri. A causa non tanto di Tamatéa quanto di un’altra tentazione, molto più pericolosa, quella di sedersi in un angolo della sala dove ronzava il ventilatore, ascoltare i rumori e le voci, chiamare il cinese e ordinargli da bere, e poi, svogliatamente, le gambe intorpidite, salire, con passo fiacco e aprire una porta, trovare un letto di ferro, le persiane chiuse e gli odori di giù che arrivavano a ondate e si mischiavano a quello delle donne…
« … ’giorno! » mormorava Raphael entrando e stringendo mollemente la mano a quelli che stavano lì.
Poi, non avendo granché da dirsi, tutti tacevano e si versavano da bere. Alla fine Raphael domandava con un sospiro:
« E Jo? ».
« È al Circolo… ».
« Ah!… ».
Anche da lì si vedeva il sole tramontare su Moorea, ma non aveva importanza perché, dopo, non c’era la solitudine in mezzo al frusciare degli animali, non c’era il fantasma del capitano che veniva ad appoggiarsi al tavolo con i lineamenti contratti da un’agonia solitaria.
« A proposito, Donadieu è andato fino alla penisola ».
« A fare cosa? ».
« Per il controllo dei documenti militari ».
Così avrebbero detto di lì a poco, o all’indomani. Poi sarebbero passati ad altro perché l’argomento non interessava a nessuno.
Era venuto un gran caldo. Da un paio di giorni c’era minaccia di temporale. Raphael, che tornava da uno dei suoi giri, si lasciò cadere su una sedia in un angolo della sala, dove Tamatéa si stava passando lo smalto sulle unghie dei piedi.
« A proposito, lo sai dove l’hanno incontrato, il tuo selvaggio? ».
Il « selvaggio » era Donadieu, e da quando Tamatéa aveva confidato a Hina di aver fatto l’amore con lui, tutti la prendevano un po’ in giro.
« Una volta è arrivato fino alle prime case di Punaauia, ma non è entrato nel villaggio… ».
« Si vede che doveva comprare qualcosa dal Cinese! » ribatté lei.
« No, non è andato dal Cinese e non ha parlato con nessuno. Girava là attorno come un bambino davanti a una pasticceria… ».
« E se parlassimo d’altro? » esclamò Tamatéa, sempre china sulle sue unghie.
« Aspetta almeno che abbia detto tutto. Un altro giorno è arrivato di nuovo fino a Punaauia, ma stavolta ha attraversato il villaggio e ha fatto dietrofront ».
« E a te che te ne importa? ».
« Il capo l’ha incontrato e Donadieu l’ha salutato . da lontano con aria imbarazzata ».
« E allora? ».
« Allora te lo dico io! È venuto giù una terza volta, è arrivato a cinque chilometri da Papeète… Lo capisci o no? Si sta avvicinando piano piano. Va e viene, e ogni volta fa qualche passo in più… La prossima volta arriverà fino alle porte della città… ».
« Si direbbe che la cosa ti faccia piacere… ».
« Quanto sei scema! ».
« Sì che ti fa piacere… E ti fa anche rabbia… ».
« Faresti meglio a chiudere quella bocca ».
« Sei tale e quale Jo. Come se vi avesse fatto qualcosa… ».
« Non mi ha fatto niente, ma mi diverte l’idea di vederlo tornare con la coda tra le gambe. E tornerà! Tempo una settimana e sarà qui, in una vera camera da letto. Scommettiamo?… ».
« Che cosa? ».
« Una bottiglia di champagne! Scommetto una bottiglia che verrà a bere l’aperitivo come tutti e andrà a letto con Hina… ».
« Perché proprio con Hina? ».
« E perché sempre con te? Una volta con Hina, una volta con Angèle, una volta con un’altra, così come capita, senza pensarci su, tanto per passare il tempo… ».
« Credi che siano tutti come te? ».
« Scommettiamo? ».
« No! » fece lei, imbronciata, passando all’altro piede.
Manière, che era rimasto in silenzio, tirò un sospiro di sollievo, contento di potersi immergere di nuovo nei suoi pensieri, e borbottò:
« Credi che ci sarà molta gente al porto? ».
Aspettavano l’arrivo di una nave. Era ora! Dopo sei settimane, si cominciava a provare un senso di vuoto, di noia.
« Ci sarà comunque l’ispettore delle Colonie » rispose Raphael. « C’è maretta nell’aria… ».
Qualcuno, infatti, aveva mosso delle accuse al governatore, e il governatore aveva risposto con altre accuse al Consiglio comunale…
Intanto, al Circolo coloniale, Jo dichiarava, alzandosi:
« Cosa volete che faccia? Sosterrò la tesi della infermità mentale! E in tribunale leggerò il verbale degli interrogatori… ».
Moutonnet si sentiva alquanto rassicurato all’idea che avrebbe potuto, con la dovuta discrezione, chiedere consiglio all’ispettore delle Colonie, e Isnard, nell’attesa che tutti se ne fossero andati, lanciava ogni tanto un’occhiata allusiva alla signora Bon, che stava pensando a tutt’altro.
« Il dottor Cosson dice che è ammalato di cuore » osservò a ogni buon conto Moutonnet.
« E allora? ».
« Non so… Mi limito a ripetere quello che mi hanno detto… Insomma, che potrebbe capitargli qualcosa prima che la faccenda si concluda… Quanto le devo, signora? ».
« È già pagato… ».
« Ancora! ».
Isnard tamburellava sul tavolo con la punta delle dita mentre, sulla porta, il procuratore e l’avvocato si scambiavano convenevoli.
« Dopo di lei… ».
« Ma la prego! ».
A bordo della nave francese i passeggeri cominciavano a chiudere i bauli e a pagare il conto del bar.