L'UOMO CHE VENDEVA PELLI DI CONIGLIO
La pioggia, a quel livello di ostinazione e di violenza, non era più soltanto pioggia e il vento non più solo un vento gelido: era una congiura degli elementi, e Maigret, poco prima, sul marciapiede mal riparato della stazione di Niort, perseguitato da un inverno le cui convulsioni non finivano mai, aveva pensato a una bestia che non vuol morire e che si accanisce a mordere, sino alla fine.
Inutile cercare di proteggersi. L'acqua non cadeva solo dal cielo ma anche dalle grondaie, in grosse gocce fredde che scendevano sulle porte delle case, mentre i rivoli dei marciapiedi scorrevano come torrenti. Acqua dappertutto: sul viso, nel collo, nelle scarpe e persino nelle tasche dei vestiti, che non facevano in tempo ad asciugarsi tra un'uscita e l'altra.
I due uomini camminavano controvento, senza parlare, chini in avanti: il giudice avvolto nel suo vecchio impermeabile, le cui falde sbattevano come bandiere, e Maigret nel suo soprabito ormai pesante cento chili. Dopo pochi passi il tabacco si spense con uno sfrigolio nella pipa del commissario.
Qua e là si vedeva qualche finestra illuminata, ma erano poche. Superato il ponte, passarono davanti al Café de la Poste e si accorsero che erano spiati da dietro i vetri.
La porta si aprì non appena si furono allontanati, poi udirono dei passi, dei bisbiglii.
L'omicidio era avvenuto lì vicino. A Fontenay, nulla è mai veramente lontano e il più delle volte è inutile far uscire la macchina dal garage. Sulla destra iniziava una viuzza, che collegava rue de la République al Campo di Marte. Davanti alla terza o alla quarta casa, s'intravvedeva un gruppetto di persone ferme sul marciapiede, accanto ai fari di un'ambulanza. Qualcuno aveva una torcia elettrica in mano.
Un ometto si staccò dal gruppo, il commissario Féron, che fu lì lì per commettere la gaffe di rivolgersi a Maigret anziché a Chabot.
"Le ho telefonato subito dal Café de la Poste. Ho chiamato anche il procuratore."
Un uomo era disteso di traverso sul marciapiede, una mano penzolava nel rigagnolo d'acqua, tra le scarpe nere e il fondo dei pantaloni spiccava la pelle chiara: Gobillard, il morto, non portava i calzini. Il suo cappello giaceva a un metro da lui. Féron puntò la torcia elettrica sul cadavere e, mentre Maigret si chinava insieme al giudice, ci fu un lampo, uno scatto, poi la voce del giornalista dai capelli rossi:
"Ancora una, per favore. Si avvicini, signor Maigret."
Il commissario indietreggiò brontolando. Vicino alla vittima, due o tre persone lo stavano osservando. E, cinque o sei metri più in là, c'era un altro gruppetto, più numeroso, in cui si parlava a bassa voce.
Chabot, con tono nello stesso tempo ufficiale e ansioso, chiese:
"Chi l'ha trovato?"
Féron rispose indicando una delle figure più vicine:
"Il dottor Vernoux."
Un parente dell'uomo sul treno? Per quel che si poteva giudicare al buio, sembrava molto più giovane. Forse trentacinque anni. Era alto, con un lungo volto nervoso, e portava un paio di occhiali su cui scivolavano le gocce di pioggia.
Chabot e lui si strinsero la mano in modo meccanico, come persone che s'incontrano tutti i giorni e anche più volte al giorno.
Il dottore spiegò a mezza voce:
"Stavo andando a casa di un amico che abita dall'altra parte della piazza. Ho visto il corpo sul marciapiede. Mi sono chinato. Era già morto. Senza perder tempo mi sono precipitato al Café de la Poste e ho telefonato al commissario." .
Altre facce entravano, una dopo l'altra nel fascio di luce delle torce elettriche, la pioggia le aureolava.
"È laggiù, Jussieux?"
Stretta di mano. Si conoscevano tutti, come alunni di una stessa classe.
"Mi trovavo al caffè. Stavamo facendo un bridge e siamo accorsi..."
Il giudice si ricordò di Maigret, che si teneva in disparte, e presentò:
"Il dottore Jussieux, un amico. Il commissario Maigret..."
Jussieux spiegò:
"Stesso procedimento delle altre volte. Un colpo violento sul cranio. Questa volta l'arma è leggermente scivolata sulla destra. Gobillard è stato aggredito di fronte, e anche lui non ha tentato di proteggersi."
"Era ubriaco?"
"Deve solo chinarsi e annusare. Del resto, lo conosceva..."
Maigret ascoltava distratto. Lomel, il giornalista rosso che aveva appena scattato una seconda foto, cercava di attirarlo in disparte. Ciò che colpiva il commissario era difficilmente definibile.
Il meno numeroso dei due gruppi, quello che si teneva vicino al cadavere, sembrava essere formato soltanto da persone che si conoscevano bene tra loro e che appartenevano a uno stesso ambiente: il giudice, i due medici, gli uomini che fino a poco prima giocavano a bridge col dottor Jussieux, e che dovevano essere i notabili del luogo.
L'altro gruppetto, più in ombra, non manteneva lo stesso riserbo. Lasciava trapelare una certa ostilità. Si udirono anche alcuni sghignazzamenti.
Un'auto scura si fermò dietro l'ambulanza e ne uscì un uomo che, non appena riconobbe Maigret, s'immobilizzò.
"Lei qui, capo?"
Non sembrava entusiasta d'incontrare il commissario. Era Chabiron, un ispettore della Mobile da qualche anno in servizio a Poitiers.
"L'hanno chiamata?"
"Sono qui per caso."
"Quel che si dice "cadere a fagiolo", eh?"
Anche lui sogghignava.
"Stavo perlustrando la città con la mia macchina. Per questo hanno fatto fatica a trovarmi. Di chi si tratta?"
Féron, il commissario di polizia, spiegò:
"Un certo Gobillard, uno che una o due volte alla settimana faceva il giro di Fontenay per racimolare le pelli di coniglio. Comprava anche le pelli di bue e di montone al mattatoio comunale. Aveva un carretto, un vecchio cavallo e abitava in una catapecchia fuori città. Passava la maggior parte del tempo a pescare vicino al ponte e usava esche disgustose: midollo, budella di pollo, sangue coagulato.
Chabiron doveva essere un pescatore:
"E i pesci abboccavano?"
"Era l'unico a prenderli. La sera passava da un'osteria all'altra, bevendo in ognuna un quarto di rosso finché non faceva il pieno."
"Stramberie?"
"Mai..."
"Sposato?"
"Viveva da solo, insieme al suo cavallo e a un mucchio di gatti."
Chabiron si rivolse a Maigret:
"Cosa ne pensa, capo?"
"Niente."
"Tre in una settimana: mica male per una cittadina come questa."
"Cosa ne facciamo?" chiese Féron al giudice.
"Penso sia inutile aspettare il procuratore. Non era in casa?"
"No. Sua moglie sta cercando di avvisarlo per telefono."
"Credo si possa trasportare il corpo all'obitorio."
Si girò verso il dottor Vernoux:
"Non ha visto né udito niente?"
"Niente. Camminavo di fretta, con le mani in tasca. Sono quasi inciampato su di lui."
"Suo padre è in casa?"
"È rientrato stasera da Niort. Quando sono uscito stava cenando."
Maigret capì che era il figlio del Vernoux de Courçon con cui aveva fatto il viaggio in treno.
"Potete portarlo via."
Il giornalista non lasciava Maigret.
"Si occuperà lei del caso, allora?"
"No di certo."
"Nemmeno in veste privata?"
"No."
"Non la incuriosisce?"
"No."
"Pensa anche lei che si tratti di un pazzo?"
Chabot e il dottor Vernoux, che avevano sentito, si guardarono. Avevano sempre quell'aria di appartenere a uno stesso clan, di conoscersi così bene che le parole non eran più necessarie.
Era naturale. È così dappertutto. Raramente, però, Maigret aveva avuto così forte la sensazione di una specie di setta. Evidentemente, i pochi notabili della piccola città si conoscevano tutti e, per forza di cose, s'incontravano più volte al giorno, non fosse che per strada.
Poi venivano gli altri. Quelli, per esempio, che si tenevano in disparte e che non sembravano per nulla contenti.
Senza che il commissario gli chiedesse nulla, Chabiron spiegò:
"Eravamo venuti in due. Lavras ha dovuto ripartire stamattina perché sua moglie sta per avere un bambino. Faccio quel che posso. Considero il caso sotto ogni aspetto. Ma prima di far parlare quelli lì..."
Era il primo gruppo, quello dei notabili, che indicò con una mossa del mento. La sua simpatia andava visibilmente agli altri.
"Il commissario Féron fa il possibile anche lui. Dispone solo di quattro agenti. Hanno lavorato tutto il giorno. Quanti ne ha in pattuglia, adesso, Féron?"
"Tre."
A conferma di ciò, un uomo in bicicletta con indosso la divisa si fermò sul bordo del marciapiede e si scrollò la pioggia dalle spalle.
"Niente?"
"Ho controllato i dati delle sei persone che ho incontrato. Le darò la lista. Tutti avevano un buon motivo per trovarsi fuori di casa."
"Vieni un momento a casa mia?" chiese Chabot a Maigret.
Esitò. Accettò perché desiderava bere qualcosa per scaldarsi e temeva di non trovar più nulla in albergo.
"Faccio la strada con voi" disse il dottor Vernoux. "O vi disturbo?"
"Affatto."
Questa volta avevano il vento di spalle e potevano parlare. L'ambulanza si era allontanata col cadavere di Gobillard e si vedeva ancora il suo lampeggiare rosso verso piazza Viète.
"Non vi ho ancora presentato. Vernoux è il figlio di Hubert Vernoux, che hai conosciuto in treno. Ha studiato medicina ma non pratica la professione e si occupa soprattutto di certe ricerche."
"Ricerche...!" protestò vagamente il medico.
"Ha lavorato per due anni come interno al Sainte-Anne, è appassionato di psichiatria e due o tre volte alla settimana si reca all'ospedale psichiatrico di Niort."
"Ritiene che questi tre delitti siano opera di un pazzo?" chiese Maigret, più che altro per educazione.
Ciò che Chabot aveva appena detto non gli rendeva affatto Vernoux più simpatico, perché non stimava molto i dilettanti.
"È più che probabile, quasi sicuro."
"C'è qualche pazzo a Fontenay?"
"Come dappertutto, ma il più delle volte li si scopre solo al momento della crisi."
"Immagino che non potrebbe trattarsi di una donna..."
"Perché?"
"Per via della forza con cui, ogni volta, sono stati inferti i colpi. Non deve essere facile uccidere, in tre occasioni diverse, a quel modo, senza mai sbagliare."
"Primo, alcune donne sono robuste come uomini. Secondo, se si tratta di pazzi..."
Erano già arrivati.
"Niente da dire, Vernoux?"
"Per il momento, no."
"La vedrò domani?"
"Quasi di certo."
Chabot cercò la chiave in tasca. Nel corridoio, lui e Maigret scrollarono i vestiti per farne cadere la pioggia e subito infangarono il pavimento. Le due donne, la madre e la governante, li stavano aspettando in un salottino poco rischiarato che dava sulla strada.
"Puoi andare a dormire, mamma. Non ho nient'altro da fare stanotte se non chiedere alla gendarmeria di mobilitare tutti gli uomini disponibili."
La madre, infine, si decise a ritirarsi.
"Sono veramente dispiaciuta che non dorma con noi, Jules!"
"Le prometto che se resto più di ventiquattro ore, cosa di cui dubito, approfitterò della sua ospitalità."
Ritrovarono l'aria stantia dello studio, dove la bottiglia di cognac era rimasta al suo posto. Maigret si servì e si sedette dando la schiena al fuoco, col bicchiere in mano.
Sentiva che Chabot era a disagio e che per questo aveva voluto che salisse ancora da lui. Come prima cosa, il giudice telefonò alla gendarmeria.
"È lei, tenente? Stava dormendo? Sono spiacente di disturbarla a quest'ora..."
Un orologio dal quadrante di bronzo dorato, su cui si distinguevano a malapena le lancette, segnava le undici e mezza.
"Un altro, sì... Gobillard... Per la strada, questa volta. Di fronte, sì... L'hanno già trasportato all'obitorio... Jussieux sta facendo l'autopsia, ma non credo ci riserverà delle sorprese... Ha degli uomini, sotto mano?... Sarebbe bene che sorvegliassero la città, non tanto stanotte ma alle prime ore del mattino, in modo da rassicurare gli abitanti... Capisce?... Sì... Gli ho parlato poco fa anch'io... Grazie, tenente."
Riattaccando, mormorò:
"Un bravo ragazzo, uscito da Saumur..."
Dovette rendersi conto di cosa significavano quelle parole - sempre una questione di clan! - e arrossì leggermente.
"Vedi! Faccio quel che posso. Forse il nostro modo di agire ti sembrerà infantile. Dobbiamo darti l'impressione di combattere con dei fucili di legno. Ma non disponiamo di un'organizzazione come quella cui sei abituato a Parigi. Per le impronte digitali, per esempio, devo far venire ogni volta un esperto da Poitiers. E così per tutto il resto. La polizia locale è più abituata alle piccole contravvenzioni che non ai delitti. E gli ispettori di Poitiers non conoscono gli abitanti di Fontenay..."
Continuò dopo un silenzio:
"Avrei preferito, a tre anni dalla pensione, di non ritrovarmi in un guaio come questo. A proposito, io e te abbiamo più o meno la stessa età. Anche tu fra tre anni..."
"Anch'io."
"Hai dei progetti?"
"Ho persino già comprato una casetta in campagna, sulla Loira."
"Ti annoierai."
"Ti annoi qui?"
"Non è la stessa cosa. Io qui sono nato. E così mio padre. Conosco tutti quanti."
"La gente qui non mi sembra di buonumore."
"Sei appena arrivato e l'hai già capito? È vero. Credo che sia inevitabile. Un delitto, passi. E specialmente il primo."
"Perché?"
"Perché si trattava di Robert de Courçon."
"Non era benvoluto?"
Il giudice non rispose subito. Sembrò cercare le parole.
"In realtà la gente lo conosceva poco. Forse lo avevano soltanto visto passare per strada."
"Era sposato? Figli?"
"Un vecchio scapolo. Un tipo originale, ma per bene. Se fosse stato ucciso soltanto lui, la popolazione sarebbe rimasta indifferente. Nulla più della solita eccitazione che circonda sempre un delitto. Ma, subito dopo, è toccato alla vecchia Gibon, e adesso a Gobillard. Domani, mi aspetto..."
"Hanno già cominciato..."
"Cosa?"
"Mi è sembrato che il gruppo che si teneva in disparte - gente comune, immagino - covasse una certa ostilità per quello uscito dal Café de la Poste."
"Non siamo ancora a tal punto, però..."
"La città è molto a sinistra?"
"Sì e no. Ma non si tratta di questo."
"I Vernoux non sono molto amati?"
"Te l'ha detto qualcuno?"
Per guadagnar tempo, Chabot chiese:
"Non ti siedi? Ancora un bicchiere? Cercherò di spiegarti. Non è facile. Conosci la Vandea, se non altro di fama. Per molto tempo le persone che hanno fatto parlare di sé erano i proprietari dei castelli, i conti e i visconti, i nobilotti che vivevano tra loro e formavano una casta chiusa. Esistono ancora, benché siano quasi tutti decaduti e non contino più niente. Alcuni però continuano a darsi arie e alla gente fan solo compassione. Mi capisci?"
"Succede così in tutte le città di campagna."
"Ora, altri hanno preso il loro posto."
"Vernoux?"
"L'hai visto: indovina cosa faceva suo padre."
"Non ne ho la minima idea. Come potrei..."
"Commerciante di bestiame. Il nonno era garzone di stalla. Il padre comprava le bestie nella regione e le avviava verso Parigi, a intere mandrie, lungo le strade... Ha fatto parecchi soldi. Era un rozzo, sempre mezzo ubriaco ed è infatti morto di delirium tremens. Suo figlio..."
"Hubert? Quello del treno?"
"Sì, l'hanno mandato in collegio. Credo abbia anche fatto un anno d'università. Negli ultimi tempi suo padre si era messo a comprare, oltre alle bestie, terreni e fattorie e Hubert ha continuato l'attività."
"Insomma, è un proprietario terriero."
"Sì. Ha gli uffici vicino alla stazione: quella grande casa di pietra grezza. È lì che abitava prima di sposarsi."
"Ha sposato una nobildonna?"
"In un certo senso sì. Ma non del tutto. Era una Courçon. Ma t'interessa tutto ciò?"
"Certamente!"
"Ti darà un'idea più esatta della città. In realtà i Courçon si chiamavano Courçon-Lagrange. In origine eran solo Lagrange, e hanno aggiunto de Courçon al loro nome quando hanno comprato il castello di Courçon. Tutto questo tre o quattro generazioni fa. Non so più cosa trafficasse il fondatore della dinastia. Probabilmente bestiame o ferraglie. Ma era già stato dimenticato quando è entrato in scena Hubert Vernoux. I figli e i nipoti non lavoravano già più. Robert de Courçon, la vittima, veniva ricevuto dall'aristocrazia. Era la persona più informata di tutta la regione in materia di blasoni. Ha scritto varie opere sull'argomento. Aveva due sorelle, Isabelle e Lucile. Isabelle ha sposato Vernoux che, d'un tratto, ha cominciato a firmarsi Vernoux de Courçon. Mi segui?"
"Non è molto difficile. Immagino che al tempo di quel matrimonio i Courçon avessero dilapidato il capitale e si ritrovassero senza denaro."
"Più o meno. Restava loro un castello ipotecato nel bosco di Mervent e il palazzo di rue de Rabelais, che è la più bella casa della città e che più volte è stata proposta come monumento storico. La vedrai."
"Hubert de Vernoux è ancora proprietario d'immobili?"
"Ha dei problemi. Emilie, la sorella maggiore di sua moglie, vive con loro. Suo figlio, Alain, il dottore che hai conosciuto, si rifiuta di praticare la professione e si dedica a ricerche che non conducono da nessuna parte."
"È sposato?"
"Ha sposato una de Cadeuil, lei sì una vera nobile, che gli ha già dato tre bambini. Il più piccolo ha otto mesi."
"I Vernoux vivono tutti nella stessa casa?"
"La casa è abbastanza grande, come avrai modo di vedere. Ma non è tutto. Hubert, oltre ad Alain, ha una figlia, Adeline, che ha sposato un certo Paillet, conosciuto a Royan durante le vacanze. Non so cosa faccia nella vita, ma credo sia Hubert Vernoux a mantenerli. Vivono quasi sempre a Parigi. Ogni tanto compaiono qui per qualche giorno o per qualche settimana, e immagino che ciò significhi che sono al verde. Capisci, adesso?"
"Cosa dovrei capire?"
Chabot ebbe un mesto sorriso che, per un attimo, ricordò a Maigret l'amico di un tempo.
"Hai ragione. Ti parlo come se tu fossi di qui. Hai visto Vernoux: sembra più nobile di tutti i nobili della regione. Quanto a sua moglie e alla sorella di sua moglie, sembrano far di tutto per rendersi odiose ai comuni mortali. Tutto ciò costituisce un ambiente chiusissimo."
"Frequentato solo da un numero ristretto di persone." Chabot arrossì per la seconda volta nella serata.
"Fatalmente" mormorò come se si sentisse colpevole.
"Così i Vernoux, i Courçon e i loro amici formano, in città, un mondo a parte."
"Hai indovinato. Per la posizione che ricopro, sono costretto a frequentarli. E, in fondo, non sono poi così odiosi come sembrano. Hubert Vernoux, per esempio, giurerei che in realtà è un uomo pieno di problemi. È stato molto ricco. Ora lo è meno. Anzi, mi chiedo se lo sia ancora, perché, da quando molti affittuari sono diventati proprietari, la compravendita non rende più come un tempo. Hubert è oberato di spese; deve mantenere tutta la famiglia. Quanto ad Alain, che conosco meglio, è un giovane ossessionato da un'idea fissa."
"Quale?"
"È bene che tu lo sappia. Così capirai anche perché poco fa, in strada, ci siamo scambiati uno sguardo preoccupato. Ti ho detto che il padre di Hubert Vernoux è morto di delirium tremens. Da parte di madre, ossia dei Courçon, i precedenti non sono migliori. Il vecchio Courçon si è suicidato in circostanze misteriose che sono sempre state tenute segrete. Hubert aveva un fratello, Basile, di cui non si parla mai e che si è ucciso all'età di diciassette anni. Pare che, risalendo nel tempo, nella famiglia si trovino altri esempi di pazzia o anormalità."
Maigret ascoltava aspirando la pipa a pigre boccate, ogni tanto bagnandosi le labbra col bicchiere.
"Ecco perché Alain ha studiato medicina e ha lavorato come interno al Sainte-Anne. Si dice, ed è plausibile, che quasi sempre i medici si specializzino nelle malattie da cui si credono minacciati. Alain è ossessionato dall'idea di appartenere a una famiglia di pazzi. Secondo lui, sua zia Lucile è mezza matta. Lui non me l'ha detto, ma io sono convinto che tenga sotto controllo non solo il padre e la madre ma anche i propri figli."
"Tutto ciò è risaputo?"
"Alcuni ne parlano. Nelle piccole città si chiacchiera sempre troppo, e con sospetto, di quelli che vivono in modo diverso dagli altri."
"Se n'è parlato in modo particolare dopo il primo delitto?"
Chabot esitò un attimo, poi fece di sì con la testa.
"Perché?"
"Perché si sapeva, o si credeva di sapere, che Hubert Vernoux e suo cognato Courçon non andavano d'accordo. Forse anche perché abitavano l'uno di fronte all'altro."
"Si vedevano?"
Chabot ebbe un risolino a fior di labbra.
"Mi chiedo cosa penserai di noi. Non mi sembra che a Parigi possano verificarsi simili situazioni."
Il giudice si vergognava, insomma, di un ambiente che era anche il suo, dato che ci viveva tutto l'anno.
"Ti ho detto che i Courçon erano rovinati quando Isabelle ha sposato Hubert Vernoux. È stato Hubert ad assegnare una rendita al cognato Robert. E Robert non gliel'ha mai perdonato. Quando parlava di lui, diceva ironico: "Il mio cognato milionario". Oppure: "Lo chiederò al riccone". Non metteva mai piede nella grande casa di rue de Rabelais dalle cui finestre poteva seguire tutti gli andirivieni della famiglia. Viveva lì di fronte, in una casa piccola ma dignitosa, dove ogni mattina una domestica andava a far le pulizie. Si lucidava da sé le scarpe e si cucinava i pasti da solo. Quando andava a fare la spesa si vestiva come un aristocratico in giro per le sue terre e portava come un trofeo mazzi di porri o di asparagi. Forse voleva far arrabbiare Hubert."
"E Hubert si arrabbiava?"
"Non lo so. È probabile. Comunque continuava a provvedere al suo mantenimento. Spesso, quando s'incontravano per strada, sono stati visti scambiarsi frasi acide. Ecco un particolare che non può essere stato inventato: Robert de Courçon non teneva mai chiuse le tende delle finestre, di modo che la famiglia di fronte se lo vedeva davanti tutto il giorno. C'è chi dice che ogni tanto mostrasse la lingua... Ma da qui a pensare che Vernoux si sia sbarazzato di lui, o l'abbia ucciso in un momento di collera..."
"Lo hanno detto?"
"Sì."
"Lo hai pensato anche tu?"
"Da un punto di vista professionale non respingo a priori nessuna ipotesi."
Maigret non poté fare a meno di sorridere per quella frase enfatica.
"Hai interrogato Vernoux?"
"Non l'ho convocato nel mio ufficio, se è questo che intendi. E comunque non c'erano abbastanza elementi per sospettare di una persona come lui."
Aveva detto: "Una persona come lui". E si era reso conto di essersi tradito, di aver ammesso di far parte del clan. Quella visita di Maigret doveva equivalere a una vera tortura. Ma non era piacevole neppure per il commissario, anche se non sentiva più il desiderio di ripartire.
"L'ho incontrato per strada, come ogni mattina, e gli ho fatto qualche domanda, facendo finta di niente."
"Cos'ha detto?"
"Di non essere uscito di casa, quella sera."
"A che ora è stato commesso il delitto?"
"Il primo? Circa come quello di oggi, verso le dieci di sera."
"Cosa si fa di solito in casa Vernoux a quell'ora?"
"A parte il bridge del sabato, che li riunisce tutti nel salone, ognuno conduce la propria vita senza occuparsi degli altri."
"Vernoux dorme nella stessa camera di sua moglie?"
"Lo troverebbe piccolo-borghese. Ognuno dispone di un proprio appartamento, in piani diversi. Isabelle sta al primo piano, Hubert nell'ala del pianterreno che dà sulla corte. La famiglia di Alain occupa il secondo piano e la zia, Lucile, due camere mansardate al terzo. Quando ci sono anche la figlia e il marito..."
"Ci sono adesso?"
"No. Arriveranno tra qualche giorno."
"Quanti domestici?"
"Una coppia che è al loro servizio da parecchi anni e due cameriere abbastanza giovani."
"Dove dormono?"
"Nell'altra ala del pianterreno. Vedrai la casa. È quasi un castello."
"Con un'uscita sul retro?"
"C'è una porta, in cortile, che dà su un vicolo."
"Così chiunque può entrare o uscire senza essere visto..."
"È probabile."
"Non hai verificato?"
Chabot era sulle spine e, poiché si sentiva in colpa, alzò la voce, quasi furibondo contro l'amico.
"Parli come certa gente di qui. Se avessi interrogato i domestici, senza nessuna prova né un minimo indizio, la città intera avrebbe ritenuto Hubert Veruoux o suo figlio colpevoli."
"Suo figlio?"
"Anche lui, certo! Poiché non lavora e si occupa di psichiatria non ci vuole molto per considerarlo un pazzo. Non frequenta i due caffe della città, non gioca a biliardo né a bocce, non corre dietro alle donne e per strada gli capita di fermarsi di colpo per fissare qualcuno con gli occhi ingranditi dalle lenti degli occhiali. È abbastanza odiato perché..."
"Lo difendi?"
"No, cerco solo di conservare il mio sangue freddo e, in una sottoprefettura, non è sempre facile. Cerco di essere giusto. Anch'io avevo pensato che il primo delitto potesse ritenersi un affare di famiglia. Ho esaminato la faccenda da ogni punto di vista. Il fatto che non ci fosse stato un furto e che Robert de Courçon non avesse tentato di difendersi mi aveva fatto pensare. E avrei senz'altro preso i giusti provvedimenti se..."
"Un attimo. Non hai chiesto alla polizia di pedinare Hubert de Vernoux e suo figlio?"
"A Parigi è possibile, qui no. Tutti conoscono i nostri quattro agenti di polizia. Quanto agli ispettori di Poitiers, venivano riconosciuti ancora prima di scendere dalla macchina! È raro che per strada ci siano più di dieci persone per volta. Potresti, in simili condizioni, seguire qualcuno senza che se ne accorga?.
Si calmò di colpo.
"Scusami. Parlo così forte che sveglierò mia madre. È che vorrei farti capire la mia posizione. Fino a prova contraria, i Vernoux sono innocenti. E giurerei che lo sono. Il secondo delitto, avvenuto due giorni dopo il primo, ne è stato quasi la prova. Hubert Vernoux avrebbe potuto farsi trascinare dalla collera e colpire il cognato. Ma non avrebbe avuto motivo di recarsi fino in rue des Loges per assassinare la vedova Gibon, che probabilmente nemmeno conosce."
"Chi era?"
"Una vecchia levatrice il cui marito, morto da parecchio tempo, era un agente di polizia. Viveva da sola, mezza paralizzata, in una casa di tre stanze.
"E, stasera, Gobillard. Costui lo conoscevano anche i Vernoux. Così come tutta Fontenay. In ogni città di Francia esiste un ubriacone di quel genere, che diventa una specie di personaggio pubblico.
"Se puoi citarmi una sola ragione per uccidere un poveraccio come quello..."
"Forse aveva visto qualcosa..."
"E la vedova Gibon, che non usciva più di casa? Aveva visto qualcosa anche lei? Sarebbe andata in rue Rabelais alle dieci di sera per assistere all'omicidio attraverso le finestre? No, credimi. Me ne intendo di criminali. Non ho assistito al congresso di Bordeaux e forse non sono al corrente delle ultime scoperte scientifiche, ma credo di conoscere il mio mestiere e di esercitarlo con coscienza. Le tre vittime appartenevano ad ambienti del tutto diversi e non avevano nessun rapporto fra loro. Tutte e tre sono state uccise nello stesso modo, e, dalle ferite, si può dedurre che è stata usata la stessa arma. Tutte e tre sono state aggredite di fronte, il che fa supporre che non se l'aspettassero. Se si tratta di un pazzo, non è certo uno di quei pazzi che incutono timore e da cui chiunque tenterebbe di fuggire. Si tratta quindi di un individuo che definirei un pazzo lucido, che segue una determinata linea di condotta ed è così prudente da prendere tutte le sue precauzioni."
"Alain Vernoux non ha dato un'esauriente spiegazione della sua presenza in città stasera, con quella pioggia a dirotto."
"Ha detto che andava a trovare un amico che abita dall'altro lato del Campo di Marte."
"Non ne ha detto il nome."
"Perché è inutile. So che va spesso da un certo Georges Vassal, che è scapolo e che ha conosciuto in collegio. Ma anche senza questa precisazione, non mi sarei meravigliato."
"Perché?"
"Perché il caso lo appassiona ancora più di me, per ragioni personali. Non dico che sospetti suo padre, ma non sono lontano dal pensarlo. Qualche settimana fa mi ha parlato di lui e delle tare familiari..."
"Te ne ha parlato apertamente?"
"No. Tornava da La-Roche-sur-Yon e mi citava un caso che aveva studiato. Si trattava di un uomo che aveva passato la sessantina e che, fino a quel momento, si era comportato normalmente. Il giorno in cui dovette sborsare la dote che aveva da sempre promesso alla figlia ebbe una crisi di follia. Non se ne accorsero subito."
"In altre parole, Alain Vernoux avrebbe errato di notte per la città in cerca dell'assassino?"
Il giudice istruttore si ribellò di nuovo.
"Suppongo sia più qualificato degli agenti che pattugliano la città, o di me e di te, a riconoscere un pazzo che cammina per la strada!"
Maigret non rispose.
Era mezzanotte passata.
"Sei sicuro di non voler dormire qui?"
"Ho tutte le mie cose in albergo."
"Ti vedrò domattina?"
"Certo."
"Sarò al Palazzo di giustizia. Sai dov'è?"
"Rue Rabelais, vero?"
"Un po' più in su della casa dei Vernoux. Vedrai prima le inferriate della prigione, poi un edificio che non ha un gran bell'aspetto. Il mio ufficio è in fondo al corridoio, accanto a quello del procuratore."
"Buona notte, vecchio mio."
"Scusami, non ti ho fatto una bella accoglienza..."
"Ma no, affatto!"
"Devi capire il mio stato d'animo. È il genere di faccende che ti mettono la città contro."
"Caspita!"
"Mi prendi in giro?"
"Ti assicuro di no."
Era vero. Maigret era più che altro triste, come ogni volta succede quando un frammento di passato se ne va. Nel corridoio, indossando il soprabito bagnato, annusò l'odore della casa che un tempo gli sembrava così buono e che ora gli parve insipido.
Chabot aveva perso quasi tutti i capelli, scoprendo un cranio aguzzo come quello di certi uccelli.
"Ti accompagno..."
Non ne aveva voglia, lo diceva per educazione.
"Neanche per idea!"
Maigret aggiunse una battuta molto sottile, tanto per dire qualcosa, per finire con una nota allegra:
"So nuotare!"
Dopo di che, rialzando il bavero del soprabito, si gettò nella notte burrascosa. Julien Chabot rimase per un attimo sulla soglia, nel rettangolo di luce giallastra, poi richiuse la porta e Maigret ebbe la sensazione che, per le strade della città, non ci fosse altri che lui.