IL TRENINO SOTTO LA PIOGGIA

 

 

D'improvviso, tra due piccole stazioni di cui non avrebbe saputo dire il nome, e di cui, al buio, non vide quasi nulla se non delle righe di pioggia nella luce di un lampione e alcune figure umane che spingevano dei carretti, Maigret si chiese cosa mai facesse lì.

Si era forse assopito un attimo nello scompartimento surriscaldato? Non aveva perso del tutto coscienza poiché sapeva di essere su un treno: ne udiva il rumore monotono e avrebbe giurato di aver visto, sempre più in lontananza, nella scura distesa dei campi, le finestre illuminate di una fattoria isolata. Queste cose e l'odore di fuliggine che si mescolava a quello dei suoi abiti umidi erano reali, così come lo era un regolare mormorio di voci nello scompartimento accanto; ma era come se tutto ciò non appartenesse al presente e lui non sapesse bene dove collocarlo nello spazio, né, soprattutto, nel tempo.

Avrebbe potuto trovarsi su un qualunque treno che traversava una campagna. Avrebbe potuto essere il Maigret quindicenne che il sabato tornava dal collegio, in un trenino esattamente simile a quello, coi vecchi vagoni che cigolavano a ogni sforzo della locomotiva: le stesse voci, nella notte, gli stessi uomini che, a ogni fermata, si affaccendavano intorno al vagone merci, lo stesso fischio del capostazione.

Socchiuse gli occhi, aspirò la pipa che si era spenta e il suo sguardo si posò sull'uomo seduto nell'angolo opposto. Anche costui avrebbe potuto trovarsi nel treno che, un tempo, lo riportava alla casa paterna. Poteva essere il conte o il proprietario del castello, un personaggio importante del paese o di un'altra qualsiasi cittadina.

Indossava un completo da golf di tweed chiaro e un impermeabile di quelli che si vedono solo nei negozi di lusso. Il cappello era un cappello da caccia verde con una minuscola piuma di fagiano infilata sotto il nastro. Malgrado il caldo, non si era sfilato i guanti color rosso amaranto, perché quei tipi lì i guanti non se li tolgono, né in treno né in auto. E, nonostante la pioggia, non aveva nemmeno uno schizzo di fango sulle scarpe perfettamente lucidate.

Doveva avere circa sessantacinque anni. Era un vecchio gentiluomo. È strano che uomini di quell'età si preoccupino ancora così tanto della cura della propria persona. E che giochino ancora a distinguersi dai comuni mortali.

Aveva la carnagione rosea - tipica della specie - e un paio di baffetti biancoargentati sui quali era disegnato il cerchio giallo lasciato dal sigaro.

Lo sguardo, però, non ostentava la sicurezza che ci si sarebbe aspettati. Dal suo angolo l'uomo osservava Maigret, che gli lanciava delle rapide occhiate e che, per due o tre volte, fu lì lì per rivolgergli la parola. Il treno ripartì, sporco e bagnato, verso un mondo buio disseminato di lucine distanziate. Talvolta, a un passaggio a livello, si scorgeva qualcuno che, in bicicletta, aspettava che il treno passasse.

Maigret era triste? Si trattava di qualcosa di più vago. Non si sentiva molto a suo agio. E poi, negli ultimi tre giorni, aveva bevuto troppo. Era stato necessario, e lo aveva fatto controvoglia.

Era andato al congresso internazionale di polizia che, quell'anno, si teneva a Bordeaux. Era aprile. Quando aveva lasciato Parigi, dove l'inverno era stato lungo e monotono, pareva che la primavera fosse ormai alle porte. Ebbene, a Bordeaux aveva piovuto per tre giorni di fila, e con un vento gelido che t'incollava i vestiti addosso.

Per colmo di sfortuna, gli amici che di solito ritrovava a quei congressi - Mr. Pike, per esempio - quell'anno non c'erano. Ogni paese sembrava aver deciso di mandare soltanto i giovani, uomini tra i trenta e i quarant'anni che Maigret non aveva mai visto. Si erano mostrati tutti molto gentili con lui, molto deferenti, come normalmente ci si comporta con un superiore che si rispetta pur ritenendolo un tantino sorpassato.

O era solo una sua idea? Forse quella pioggia che non finiva mai lo aveva messo di malumore. Per non parlare di tutto il vino che avevano dovuto bere nelle cantine che la Camera di Commercio li aveva invitati a visitare...

"Ti diverti?" gli aveva chiesto la signora Maigret al telefono.

Aveva risposto con un mugugno.

"Cerca di riposarti un po'. Quando sei partito mi parevi un po' stanco. Vedrai che cambiare aria ti farà bene. Attento a non prendere freddo."

Forse si era sentito improvvisamente vecchio? Anche quelle loro discussioni, che vertevano quasi sempre sui nuovi procedimenti scientifici, non lo avevano interessato affatto.

Il banchetto aveva avuto luogo la sera precedente. E quella stessa mattina c'era stato un ultimo ricevimento, in Municipio questa volta, e una colazione ricca di vini.

Aveva promesso a Chabot che avrebbe approfittato del fatto di non dover essere a Parigi prima di lunedì mattina per andarlo a trovare a Fontenay-le-Comte.

Nemmeno Chabon era più tanto giovane. Erano stati amici, un tempo, quando Maigret aveva fatto due anni di Medicina all'università di Nanterre. Chabot, invece, studiava legge. Abitavano nella stessa pensione. Due o tre volte, di domenica, aveva accompagnato l'amico dalla madre, a Fontenay.

E poi, nel corso degli anni, si erano rivisti forse dieci volte in tutto.

"Quando verrai a trovarmi in Vandea?"

La signora Maigret aveva insistito anche lei.

"Perché tornando da Bordeaux non passi a trovare Chabot?"

Avrebbe dovuto essere a Fontenay già da due ore. Aveva sbagliato treno. A Niort, dove aveva aspettato un bel po' e aveva bevuto un paio di bicchierini nella sala d'attesa, era stato incerto se telefonare a Chabot perché venisse a prenderlo in macchina.

Infine aveva deciso di non chiamarlo, perché se Julien fosse venuto fin lì, avrebbe insistito affinché Maigret fosse suo ospite, e al commissario non piaceva dormire in casa d'altri.

Sarebbe andato in albergo. E poi gli avrebbe telefonato. Aveva sbagliato a fare quella deviazione per Fontenay-le-Comte invece di passare i due giorni di vacanza nella sua casa di boulevard Richard-Lenoir. Chissà, forse a Parigi non pioveva più ed era finalmente giunto il bel tempo...

"Così l'han fatta venire..."

Trasalì. Senza rendersi conto doveva aver continuato a fissare il suo compagno di viaggio, e questi si era sentito in dovere di rivolgergli la parola. Sembrava imbarazzato. E riteneva di dover mettere nella voce una certa dose d'ironia.

"Scusi?"

"Stavo dicendo che dubitavo che chiamassero qualcuno come lei."

E poiché Maigret aveva sempre l'aria di non capire:

"Lei è il commissario Maigret, vero?"

Il viaggiatore prese un fare da uomo di mondo, si alzò in piedi per presentarsi:

"Vernoux de Courçon."

"Piacere."

"L'ho riconosciuta subito perché ho visto spesso la sua foto sui giornali."

Diceva quelle parole come se volesse scusarsi di essere uno di quelli che leggono i giornali.

"Deve capitarle spesso."

"Che cosa?"

"Che la gente la riconosca."

Maigret non sapeva cosa rispondere. Non aveva ancora ripreso completamente coscienza della realtà. Quanto all'uomo, delle goccioline di sudore gli scendevano sulla fronte, come se si fosse messo in una situazione che non sapeva più come trarre a proprio vantaggio.

"È il mio amico Jufen che l'ha chiamata?"

"Intende dire Julien Chabot?"

"Il giudice istruttore. Ciò che mi stupisce è che stamattina, quando l'ho incontrato, non mi abbia detto nulla."

"Continuo a non capire."

Vernoux de Courçon lo guardò più attentamente, con le sopracciglia aggrottate.

"Vuol forse dire che sta andando a Fontenay-le-Comte, per caso?..

"Sì."

"Non va da Julien Chabot?"

"Sì, ma..."

D'un tratto Maigret arrossì, infuriato con se stesso, perché stava rispondendo docilmente, così come faceva un tempo con quelli che appartenevano alla classe del suo interlocutore, "quelli del castello".

"Strano, no?" ironizzava l'altro.

"Cosa c'è di tanto strano?"

"Che il commissario Maigret, che probabilmente non ha mai messo piede a Fontenay..."

"Qualcuno le ha detto questo?"

"Lo suppongo. In ogni caso, non la si è vista spesso e non ho mai sentito parlare di una sua visita in città. È strano, dicevo, che lei arrivi proprio nel momento in cui le autorità sono sconvolte da un caso misterioso che..."

Maigret sfregò un fiammifero. Poi, a piccole boccate, accese la pipa.

"Ho compiuto parte dei miei studi insieme a Julien Chabot" annunciò tranquillamente. "Molte volte, a suo tempo, mi ha ospitato nella sua casa di rue de Clemenceau."

"Davvero?"

Freddamente, ripeté:

"Davvero."

"In tal caso ci vedremo sicuramente domani sera a casa mia, in rue Rabelais, poiché Chabot viene ogni sabato a giocare a bridge."

Ci fu un'ultima fermata prima di Fontenay. Vernoux de Courçon non aveva bagaglio, solo una cartelletta di cuoio marrone che teneva posata accanto a sé sul sedile.

"Chissà se lei riuscirà a svelare il mistero. Che sia un caso o no, per Chabot è una fortuna che lei sia qui."

"Sua madre è ancora viva?"

"Più in gamba che mai."

L'uomo si alzò per abbottonarsi l'impermeabile, tirarsi su i guanti e sistemarsi il cappello. Il treno rallentò, la luce aumentò e alcune persone si misero a correre sulla banchina.

"Lieto di averla conosciuta. Dica a Chabot che spero di vedervi domani sera."

Maigret si limitò a rispondere con un cenno del capo Aprì lo sportello, afferrò la valigia, che era pesante, e si diresse verso l'uscita senza guardarsi intorno.

Chabot non poteva sapere che lui sarebbe arrivato con quel treno, che aveva preso solo per caso. Dall'uscita della stazione, Maigret vide la spianata di rue de la République dove pioveva a dirotto.

"Taxi, signore?"

Fece segno di sì.

"Hotel de France?"

Disse ancora di sì e si acquattò nel suo angolo, di cattivo umore. Non erano che le nove di sera, ma non c'era nessuna animazione in città; solo due o tre caffè erano ancora illuminati. La porta dell'Hotel de France era fiancheggiata da due palme dentro due botti dipinte di verde.

"Avete una camera?"

"Singola?"

"Sì. Se fosse possibile vorrei mangiare un boccone."

Nell'albergo regnava già la penombra, come in una chiesa dopo il vespro. Bisognò andare a informarsi in cucina e accendere due o tre lampade nella sala da pranzo.

Per non salire in camera, Maigret si lavò le mani in un lavandino di maiolica.

"Vino bianco?"

Era nauseato da tutto il vino bianco bevuto a Bordeaux.

"Avete birra?"

"Non alla spina."

"Allora mi porti una bottiglia di rosso."

Gli avevano riscaldato una minestra e tagliato del prosciutto. Dal suo posto vide che qualcuno, bagnato di pioggia, era entrato nella hall dell'albergo, che non trovando nessuno cui rivolgersi aveva gettato un'occhiata nella sala da pranzo e che, visto il commissario, pareva come rassicurato. Era un uomo dai capelli rossi, sui quarant'anni, con le gote paffute e colorite e due macchine fotografiche a tracolla dell'impermeabile beige.

L'uomo scrollò il cappello per fame cadere le gocce di pioggia poi avanzò verso Maigret.

"Mi permette di farle una foto? Sono un corrispondente dell'"Ouest-Eclair". L'ho vista in stazione ma non ho fatto in tempo a raggiungerla. Così, han chiamato lei per risolvere il caso Courçon..."

Un lampo. Uno scatto.

"Il commissario Féron non ci aveva detto niente. E nemmeno il giudice istruttore."

"Non sono qui per il caso Courçon."

L'uomo dai capelli rossi sorrise. Il sorriso di chi è del mestiere e a cui non la si racconta.

"È chiaro!"

"È chiaro, cosa?"

"Che lei non è qui ufficialmente. Capisco. Ciò non esclude che..."

"Che un bel niente!"

"Féron mi ha detto che arriverà tra poco."

"Chi è Féron?"

"Il commissario di polizia di Fontenay. Quando l'ho vista, in stazione, mi sono precipitato in una cabina telefonica e l'ho chiamato. Ha detto che mi avrebbe raggiunto qui."

"Qui?"

"Certo. In quale altro albergo?"

Maigret vuotò il bicchiere, si asciugò la bocca e borbottò:

"Chi è un certo Vernoux de Courçon con cui ho fatto il viaggio da Niort in poi?"

"Era sul treno, infatti. Il cognato."

"Il cognato di chi?"

"Del Courçon che è stato assassinato."

Un ometto scuro di pelle entrò a sua volta in albergo e raggiunse subito i due nella sala da pranzo.

"Buonasera Féron!" disse il giornalista.

"Buonasera. Mi scusi, commissario. Nessuno mi aveva preavvisato del suo arrivo e per questo non sono venuto a prenderla in stazione. Stavo mangiando un boccone dopo una giornata snervante quando..."

Indicò il reporter.

"Mi sono precipitato e..."

"Stavo dicendo a questo signore" disse Maigret posando il tovagliolo e prendendo la pipa "che io non ho nulla a che fare con questo caso Courçon. Mi trovo a Fontenay-le-Comte per puro caso, per rivedere il mio vecchio amico Chabot..."

"Il giudice sa che lei è qui?"

"Credo che mi aspettasse col treno delle quattro. Non vedendomi, deve aver pensato che sarei arrivato domani oppure che non sarei venuto del tutto."

Maigret si alzò.

"E adesso, se permettete, vado a salutarlo prima di andare a dormire."

Il commissario e il giornalista sembravano sconcertati l'uno più dell'altro.

"Davvero non sa nulla?"

"Assolutamente."

"Non ha letto i giornali?"

"Negli ultimi tre giorni gli organizzatori del congresso e la Camera di Commercio non ce ne hanno lasciato il tempo."

I due si scambiarono un'occhiata interrogativa.

"Sa dove abita il giudice?"

"Certo. A meno che la città non sia cambiata dall'ultima volta che sono stato qui."

Non si decidevano a lasciarlo andare. Sul marciapiede rimasero al suo fianco.

"Signori, è giunto il momento di salutarci."

Il giornalista insisteva:

"Non ha nessuna dichiarazione per l'"Ouest-Eclair"?"

"Nessuna. Arrivederci."

Raggiunse rue de la République, superò il ponte e per tutto il tragitto non incontrò anima viva. Chabot abitava in una vecchia casa che, un tempo, aveva destato l'invidia del giovane Maigret. Era rimasta tale e quale, di pietra grigia, con quattro scalini davanti all'ingresso e delle alte finestre coi vetri divisi in quadrati. Un po' di luce filtrava dalle tende. Maigret suonò il campanello. Udì dei passi leggeri sulle piastrelle blu del corridoio. Uno spioncino si aprì nella porta.

"Il signor Chabot è in casa?" chiese.

"Chi lo desidera?"

"Il commissario Maigret."

"È lei, signor Maigret?"

Aveva riconosciuto la voce di Rose, la governante di Chabot, che lavorava già in casa trent'anni prima.

"Le apro subito. Aspetti che tolgo il catenaccio."

E intanto gridò verso l'interno.

"Signor Julien! È il suo amico Maigret... Entri, signor Maigret. Il signor Julien questo pomeriggio è andato in stazione... È rimasto male che non ci fosse. Com'è arrivato?"

"In treno."

"Intendete dire che ha preso l'accelerato della sera?"

Una porta si era aperta. Nel fascio di luce arancione si teneva un uomo alto e magro, un po' curvo, con indosso una giacca da camera di velluto marrone.

"Sei tu?" disse.

"Certo. Ho perso il treno. Ne ho preso un altro, pessimo."

"Le tue valigie?"

"In albergo."

"Sei ammattito? Ora le manderò a prendere. Era sottinteso che tu dormissi qui."

"Senti, Julien..."

Doveva fare uno sforzo per chiamare il suo vecchio amico per nome. Anche dargli del tu non gli veniva tanto spontaneo.

"Entra! Mi auguro che almeno tu non abbia già cenato..."

"Sì, invece. All'Hotel de France."

"Vado ad avvisare la signora?" chiese Rose.

Maigret intervenne:

"Immagino sia già a letto..."

"È appena salita in camera sua. Ma non dorme mai prima delle undici o di mezzanotte. Adesso..."

"Nemmeno per sogno. Ti proibisco di disturbarla. Saluterò tua madre domattina."

"Sarà dispiaciuta."

Maigret calcolò che la signora Chabot doveva avere almeno settantotto anni. In fondo, rimpiangeva di essere venuto. Agganciò il soprabito pesante di pioggia al vecchio attaccapanni, seguì Julien nel suo studio, mentre Rose, che aveva lei pure passato la sessantina, aspettava ordini.

"Cosa bevi? Un cognac?"

"Volentieri."

Rose comprese le silenziose indicazioni del giudice e si allontanò. L'odore della casa non era affatto cambiato... Ecco un'altra cosa che, un tempo, aveva fatto invidia a Maigret: l'odore di una casa ben tenuta, dove il parquet è tirato a cera e si mangia bene.

Avrebbe giurato che nessun mobile aveva cambiato posto.

"Siediti. Sono contento di vederti..."

Gli sembrò che nemmeno Chabot fosse cambiato. Riconosceva i suoi lineamenti, la sua espressione. Erano invecchiati separatamente, e Maigret non si era reso ben conto del passare degli anni. Ciò che lo colpiva di più era qualcosa di fosco, d'incerto, di un po' fiacco, che non aveva mai notato prima nell'amico.

Forse era sempre stato così e Maigret non se n'era mai accorto?

"Un sigaro?"

Ne teneva varie scatole, sul caminetto.

"Fumo sempre la pipa."

"Già. Me n'ero dimenticato. Io ho smesso da dodici anni."

"Te l'ha ordinato il medico?"

"No. Un bel giorno mi sono detto che fumare era idiota e..."

Rose entrò con un vassoio su cui c'era una bottiglia coperta da un sottile strato di polvere di cantina e un solo bicchiere di cristallo.

"E non bevi nemmeno più?"

"Ho smesso nello stesso periodo. Solo un bicchiere di vino con un po' d'acqua durante i pasti. Sai, non ti trovo affatto cambiato."

"Davvero?"

"Sembri in ottima salute. Mi fa veramente piacere che tu sia venuto."

Perché non sembrava del tutto sincero?

"Hai promesso così tante volte di passare di qui per poi cambiare idea all'ultimo momento, che ti confesso che anche oggi non ci credevo troppo."

"Prima o poi tutto si compie, come vedi."

"Come sta tua moglie?"

"Bene, grazie."

"Non ti ha accompagnato?"

"Non le piacciono i congressi."

"Com'è andata?"

"Abbiamo bevuto molto, parlato molto e mangiato molto."

"Io mi muovo sempre meno."

Abbassò la voce poiché si udirono dei passi al piano superiore.

"Con mia madre, è difficile. D'altra parte non posso più lasciarla sola."

"È sempre così in gamba?"

"Non è cambiata. Soltanto la vista le si è indebolita un po'. Le spiace non riuscire a mettere il filo nell'ago ma si ostina a non voler portare gli occhiali."

Si capiva che stava pensando ad altro mentre guardava Maigret, un po' come Vernoux de Courçon lo aveva guardato in treno.

"Sei al corrente?"

"Di cosa?"

"Di quello che sta succedendo qui."

"Non leggo i giornali da circa una settimana. Ma poco fa ho viaggiato con un certo Vernoux de Courçon che dice di essere un tuo amico."

"Hubert?"

"Non saprei. Un uomo sui sessantacinque anni."

"È Hubert."

Nessun rumore proveniva dalla città. Si udiva soltanto la pioggia battere sui vetri e, di quando in quando, lo scoppiettare della legna nel camino. Il padre di Julien Chabot era stato anche lui giudice istruttore a Fontenay-le-Comte: lo studio non era cambiato di una virgola da quando il figlio vi si era insediato a sua volta.

"In tal caso, ti avrà raccontato..."

"Quasi niente. Nella sala da pranzo dell'albergo un giornalista si è precipitato su di me con la macchina fotografica..."

"Un tipo coi capelli rossi?"

"Sì."

"È Lomel. Cosa ti ha detto?"

"Era convinto che fossi qui per occuparmi di non so quale caso. Non ho fatto in tempo a dissuaderlo che è subito arrivato il commissario di polizia."

"Insomma, ora come ora, tutta la città sa che sei qui?"

"Ti secca?"

Chabot non riuscì a celare una certa esitazione.

"No... Però..."

"Però cosa?"

"Niente. È molto complicato. Tu non hai mai vissuto in una cittadina di provincia come Fontenay."

"Ho abitato per più di un anno a Lucon, lo sai bene."

"Ma non c'è mai stato un caso come quello che ho per le mani."

"Mi ricordo di un certo omicidio, all'Aiguillon..."

"È vero. L'avevo dimenticato."

Maigret aveva dovuto arrestare un vecchio magistrato che tutti consideravano assolutamente irreprensibile.

"Comunque, era meno grave. Vedrai, domattina. Mi stupirei se i giornalisti di Parigi non arrivassero col primo treno.

"Si tratta di un omicidio?"

"Due."

"Il cognato di Vernoux de Courçon?"

"Vedi che sei al corrente!"

"È tutto quello che so."

"Suo cognato, sì, Robert de Courçon, che è stato ammazzato quattro giorni fa. Solo questo sarebbe bastato a creare uno scandalo. L'altro ieri è stata la volta della vedova Gibon."

"Chi sarebbe?"

"Nessuno d'importante. Anzi. Una vecchina che viveva da sola in fondo a rue des Loges."

"Che legame c'è fra i due delitti?

"Ambedue sono stati commessi nello stesso modo, e quasi sicuramente con la stessa arma."

"Una pistola?"

"No. Un oggetto contundente - come scriviamo di solito nei rapporti. Un pezzo di tubo di piombo oppure un utensile tipo una chiave inglese."

"Tutto qui?"

"Non ti pare abbastanza? Ssst!"

La porta si aprì senza far tumore e una vecchietta magra, vestita di nero, avanzò con la mano tesa.

"È lei, Jules!"

Da quanti anni nessuno lo chiamava più così?

"Mio figlio era andato in stazione. Quando è rincasato mi ha assicurato che lei non sarebbe più venuto e sono salita in camera. Le han già servito la cena?"

"Ha mangiato in albergo, mamma."

"Come, in albergo?"

"È sceso all'Hotel de France. Non vuole..."

"Neanche per sogno! Non permetterò che..."

"Ascolti, signora. È preferibile che rimanga in albergo perché ho già i giornalisti alle costole. Se accettassi l'invito, domattina o addirittura già stasera, si attaccherebbero al vostro campanello. Del resto è meglio che non si pensi che io sia qui su richiesta di suo figlio..."

Era questo, in fin dei conti, ciò che temeva il giudice, e Maigret ne vide la conferma sul suo volto.

"Lo penseranno lo stesso!"

"Negherò. Questo delitto, o meglio questi delitti, non mi riguardano. Non ho affatto intenzione di occuparmene."

Chabot aveva paura che s'immischiasse in affari non suoi? O forse temeva che Maigret, coi suoi metodi a volte poco ortodossi, potesse metterlo in una situazione delicata?

Il commissario era arrivato in un brutto momento.

"Credo, mamma, che Maigret abbia ragione."

E, rivolto al vecchio amico:

"Vedi, non si tratta di un'inchiesta come le altre. Robert de Courçon, la prima vittima, era un uomo che tutti conoscevano, imparentato con molte grandi famiglie della regione. Anche suo cognato Vernoux è un personaggio in vista. Dopo questo delitto sono incominciate a circolare alcune voci. Poi è stata assassinata la vedova Gibon e ciò ha mutato un po' la situazione. Ma..."

"Ma...?"

"È difficile da spiegare. Il commissario di polizia si occupa dell'inchiesta. È una brava persona che conosce la città, benché sia originario del Sud, di Arles, credo. La squadra mobile di Poitiers sta indagando essa pure. Infine, per quel che mi riguarda..."

La vecchia signora si era seduta, come se fosse in visita, sul bordo di una sedia, e ascoltava il figlio come se stesse ascoltando il sermone in chiesa.

"Due delitti in tre giorni non sono poco per una città di ottomila abitanti. La gente inizia ad avere paura. Non è soltanto per la pioggia che in queste sere le strade sono deserte."

"Cosa pensa la gente?"

"Alcuni sono convinti che si tratti di un pazzo."

"Ha anche rubato?"

"In nessuno dei due casi. E in ambedue l'assassino ha potuto farsi aprire la porta senza insospettire le vittime. È un indizio. Ed è più o meno l'unico che possediamo."

"Non ha lasciato impronte?"

"Nessuna. Se si tratta di un pazzo, commetterà di sicuro altri delitti."

"Capisco. E tu che ne pensi?"

"Niente. Vado a tentoni. Sono inquieto."

"Per cosa?"

"È ancora troppo complicato perché possa spiegartelo. Ho una tremenda responsabilità sulle spalle."

Pronunciò queste parole come fosse un funzionario pieno di grane. E in effetti era un funzionario colui che Maigret aveva ora dinanzi, un funzionario che aveva il terrore di commettere un passo falso.

Forse con l'età era diventato così anche il commissario? A causa dell'amico, si sentì vecchio.

"Mi chiedo se non sia meglio che prenda il primo treno per Parigi. In fin dei conti, ero passato per Fontenay solo per darti un saluto. L'ho fatto. La mia presenza qui rischia di crearti delle noie."

"Cosa intendi dire?"

Il primo gesto di Chabot non era stato quello di trattenerlo.

"Il giornalista e il commissario sono già convinti che mi abbia chiamato tu. Si dirà che hai paura, che non sai come cavartela, che..."

"Ma no."

Il giudice respingeva fiaccamente l'ipotesi.

"Non ti permetterò di partire. Avrò pure il diritto di ricevere i miei amici quando desidero."

"Mio figlio ha ragione, Jules. E io penso che dovrebbe essere nostro ospite."

"Maigret preferisce esser più libero nei suoi movimenti, vero?"

"Ho le mie abitudini.

"Non insisto."

"Ciò non toglie che sia meglio che io parta domattina."

Forse Chabot sarebbe stato d'accordo? Il telefono squillò e quello squillo non era uguale agli altri, aveva un timbro vecchiotto.

"Permetti?"

Sollevò il ricevitore.

"Parla il giudice istruttore Chabot."

Il modo in cui lo disse era un altro segno particolare, e Maigret si sforzò di non sorridere.

"Chi?... Ah! Sì... L'ascolto, Féron... Come?... Gobillard?... Dove?... All'angolo tra il Campo di Marte e via... Vengo subito... Sì... È qui... Non so... Che non venga toccato nulla finché non arrivo..."

Sua madre lo guardava, una mano sul cuore.

"Un altro?" balbettò.

Fece segno di sì.

"Gobillard."

Spiegò a Maigret:

"Un vecchio ubriacone che a Fontenay conoscono tutti, poiché passava quasi tutte le sue giornate a pescare vicino al ponte. Lo hanno appena trovato morto per strada."

"Assassinato?"

"Il cranio fracassato, come gli altri due. E, pare, con lo stesso strumento."

Si era alzato in piedi, aveva aperto la porta. Staccò dall'appendiabiti un vecchio trench e un cappello sformato che doveva usare solo nei giorni di pioggia.

"Vieni?"

"Credi che sia il caso?"

"Ora che sanno che sei qui si chiederebbero perché non ti porto. Due delitti sono già tanti. Con un terzo, i cittadini saranno terrorizzati."

Mentre stavano uscendo, una manina nervosa agguantò la manica di Maigret e la vecchia signora gli sussurrò all'orecchio:

"Vegli su di lui, Jules! È talmente coscienzioso che non si rende conto del pericolo."