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IL FIDANZAMENTO DI GINETTE

Faceva un effetto curioso vederla tenere stretta la gonna con un gesto di pudore mentre saliva la ripida scala seguita da Maigret.

Era entrata all'Arche come a casa sua, dicendo con naturalezza:

«Ti rimane una camera per me, Paul?».

«Dovrai accontentarti della stanzetta vicino al bagno».

Poi si era rivolta a Maigret:

«Non vuole salire un momento, signor commissario?».

Le sue parole sarebbero suonate equivoche nella casa che dirigeva a Nizza, ma non qui. La donna tuttavia fraintese l'esitazione di Maigret, che continuava a farsi un punto d'onore di non nascondere nulla dell'inchiesta a Pyke. Per un attimo ebbe un sorriso quasi professionale.

«Non sono pericolosa, mi creda».

Cosa sorprendente, l'ispettore di Scotland Yard parlò in inglese, forse per delicatezza. Disse una sola parola al collega francese:

« Please...».

Sulla scala Jojo li precedeva con la valigia. Aveva una gonnellina corta corta e si vedevano le mutande rosa che le fasciavano il sedere tornito. Forse era per questo che Ginette aveva stretto a sé il vestito.

La stanza, male illuminata da un abbaino, era la più piccola dell'albergo, e per sedersi, a parte il letto, c'era solo una seggiola impagliata. Ginette si tolse il cappello, si lasciò cadere sul bordo del letto con un sospiro di sollievo e subito si levò le scarpe dai tacchi altissimi, per massaggiare attraverso la seta delle calze le dita indolenzite.

«Le secca che le abbia chiesto di salire? Giù da basso non c'è modo di parlare, e di camminare non me la sentivo. Guardi le mie caviglie come sono gonfie. Fumi pure la pipa, signor commissario».

Non era del tutto a suo agio. Si intuiva che parlava tanto per parlare e guadagnare tempo.

«Ce l'ha con me, vero?».

Sebbene avesse capito, anche lui guadagnò tempo rispondendo:

«Per che cosa?».

«So benissimo di averla delusa. Ma non è tutta colpa mia. Al sanatorio, grazie a lei, ho passato gli anni più felici della mia vita. Non dovevo pensare a niente. C'era un dottore che un po' le somigliava e con me era tanto gentile. Mi portava dei libri.

Leggevo tutto il giorno. Prima di andare in sanatorio ero ignorante. Quando non capivo qualcosa, lui me la spiegava. Non ha mica una sigaretta? Fa niente. Del resto se non fumo è meglio...

 

«Sono rimasta là cinque anni, e alla fine credevo che ci avrei passato la vita. Non mi dispiaceva affatto. A differenza degli altri, non avevo nessuna voglia di uscire.

«Quando mi hanno detto che ero guarita e che potevo andarmene, invece di essere contenta le giuro che mi sono spaventata. Da lassù si vedeva la valle quasi sempre coperta da una leggera nebbia, a volte nera di nuvole, e avevo paura di tornare giù.

Avrei voluto restare come infermiera, ma non avevo l'istruzione necessaria, e per fare i servizi o lavorare in cucina non ero abbastanza robusta.

«Cosa potevo fare, giù? Mi ero abituata a tre pasti al giorno. Sapevo che con Justine li avrei rimediati».

«Perché oggi è venuta qui?» chiese Maigret con un tono di voce piuttosto freddo.

«Ma gliel'ho detto! Prima sono andata a Hyères. Non volevo che il povero Marcel fosse sepolto senza nessuno presente».

«Lo amava ancora?».

Lei ebbe un attimo di imbarazzo.

«Credo di averlo amato davvero. Ricorderà che gliene ho parlato a lungo, allora, quando lei si è interessato a me dopo il suo arresto. Non era cattivo, sa? In fondo era un ingenuo, perfino un timido, direi. E proprio perché era timido voleva fare come gli altri. Solo che esagerava. L'ho capito lassù».

«E ha smesso di amarlo».

«Non gli volevo più bene nello stesso modo. Vedevo altra gente, potevo fare confronti. Il dottore mi ha aiutato a capire».

«Si è innamorata del dottore?».

Lei rise, un po' nervosamente.

«Credo che in un sanatorio ci si innamori sempre un po' del proprio dottore».

«Marcel le scriveva?».

«Ogni tanto».

«Sperava di tornare a vivere con lei?».

«I primi tempi sì, credo. Poi è cambiato anche lui. Siamo cambiati tutti e due, ma in maniera diversa. Marcel è invecchiato molto presto, quasi di colpo. Non so se lo ha più rivisto. Prima era elegante. Ci teneva a fare bella figura. Era orgoglioso. Ha cominciato a lasciarsi andare quando, per caso, è venuto sulla Costa Azzurra».

«È stato lui a farla entrare nel giro di Justine e di Émile?».

«No, Justine la conoscevo di fama. Mi sono presentata io. Lei mi ha preso in prova come vicedirettrice di una casa perché ad altro non ero più buona. Lassù mi hanno operato quattro volte, e sono tutta una cicatrice».

«Le ho chiesto perché oggi è venuta qui».

Maigret tornava implacabile alla stessa domanda.

«Quando ho saputo che del caso si occupava lei, ho pensato che si sarebbe ricordato di me e mi avrebbe fatta cercare. Era inutile perdere tempo».

«Se ho ben capito, dopo che è uscita dal sanatorio lei non aveva più rapporti con Marcel, ma gli mandava dei vaglia».

«A volte. Volevo che se la passasse un po' bene. Non lo dava a vedere, ma aveva dei momenti difficili».

«Glielo ha detto lui?».

 

«Mi ha detto che era un fallito, che era sempre stato un fallito, che non era stato nemmeno capace di diventare un vero farabutto».

«Questo glielo ha detto a Nizza?».

«Non è mai venuto a trovarmi alle Sirènes. Sapeva che era proibito».

«Qui?».

«Sì».

«Lei viene spesso a Porquerolles?».

«Ogni mese, pressappoco. Justine ormai è troppo vecchia per ispezionare le case personalmente. E al signor Émile non è mai piaciuto viaggiare».

«Dorme qui all'Arche?».

«Sempre».

«Perché Justine non le dà una stanza? La villa è grande».

«Non fa mai dormire donne a casa sua».

Maigret sentì che stavano arrivando al dunque, ma Ginette ancora non cedeva.

«Teme per suo figlio?» domandò in tono canzonatorio accendendosi una nuova pipa.

«Le sembrerà strano, ma è proprio così. L'ha sempre costretto a vivere attaccato alla sua sottana, ed è per questo che è venuto su con un carattere più da femmina che da maschio. Alla sua età, lei lo tratta ancora come un bambino. Non può far niente senza il suo permesso».

«Le donne gli piacciono?».

«Più che altro lo spaventano. In generale, voglio dire. Non è portato per... per quello, capisce? Ha sempre avuto poca salute. Passa il tempo a curarsi, a mandar giù intrugli e a leggere testi di medicina».

«Che altro c'è, Ginette?».

«Cosa vuol dire?».

«Perché è venuta oggi?».

«Ma le ho già risposto».

«No».

«Sapevo che lei avrebbe messo l'occhio sul signor Émile e sua madre».

«Sia più precisa».

«Lei non è come gli altri poliziotti, ma alla fine... Quando succede un fattaccio, sono sempre quelli di un certo ambiente a essere sospettati».

«E ci teneva a dirmi che Émile non c'entra per niente con la morte di Marcel?».

«Volevo spiegarle...».

«Spiegarmi cosa?».

«Con Marcel eravamo rimasti buoni amici, ma vivere insieme era fuori discussione. Non ci pensava più, credo che non ne avesse nemmeno voglia. Capisce?

Gli piaceva la nuova vita che si era costruito. Col vecchio giro non aveva più nessun rapporto. Poco fa ho visto Charlot e...».

«Lo conosce?».

«L'ho incontrato varie volte qui. Abbiamo anche mangiato allo stesso tavolo. Mi ha procurato delle ragazze».

«Contava di trovarlo oggi a Porquerolles?».

 

«No. Le giuro che dico la verità. È il suo modo di fare domande che mi confonde.

Una volta lei aveva fiducia in me. Aveva un po' di compassione. Già, per me non c'è più da avere compassione... Non sono nemmeno più tisica!».

«Guadagna bene?».

«Meno di quello che si potrebbe pensare. Justine è molto tirchia. Suo figlio anche.

Certo, non mi manca niente. Metto perfino qualcosa da parte, ma non abbastanza per vivere di rendita».

«Mi stava dicendo di Marcel».

«Dov'ero rimasta? Ah, sì. Come spiegarle? Quando lei l'ha conosciuto, cercava di fare il duro. A Parigi frequentava i bar dove si incontra gente come Charlot, o persino degli assassini. Voleva far credere di essere dei loro, ma quelli non lo prendevano sul serio...».

«Una mezza cartuccia, insomma!».

«Be', gli era passata. Non vedeva più quella gente, viveva sulla sua barca o nel capanno. Trovava sempre il modo di procurarsi da bere. I miei vaglia lo aiutavano. So cosa si pensa quando viene ucciso un uomo come lui...».

«Cioè?».

«Lo sa anche lei. La gente pensa che sia una storia di malavita, un regolamento di conti, una vendetta. Ma qui la malavita non c'entra».

«È soprattutto questo che le premeva di dirmi, vero?».

«Da qualche minuto ho perso il filo del ragionamento. Lei è talmente cambiato! Le chiedo scusa. Non parlo dell'aspetto fisico...».

Senza volerlo, il commissario sorrise del suo imbarazzo.

«Una volta, anche nel suo ufficio del Quai des Orfèvres lei non dava l'idea di essere un poliziotto».

«Ha tanta paura che io sospetti di qualcuno della malavita? Non sarà innamorata di Charlot, per caso?».

«No di certo. Mi sarebbe difficile innamorarmi di chiunque dopo tutte le operazioni che ho subìto. Non sono più una donna, se vuole saperlo. E Charlot non mi interessa più degli altri».

«Mi dica il resto, adesso».

«Perché crede che ci sia dell'altro? Le do la mia parola d'onore che non so chi abbia ucciso il povero Marcel».

«Ma sa chi non l'ha ucciso».

«Sì».

«Sa di chi potrei essere indotto a sospettare».

«Dopotutto verrà a saperlo lo stesso uno di questi giorni, se non l'ha già saputo.

Glielo avrei detto fin dall'inizio se non mi avesse confusa con tutte quelle domande.

Devo sposare il signor Émile, ecco qua!».

«Quando?».

«Quando morirà Justine».

«Perché dovete aspettare che lei non ci sia più?».

«Le ripeto, è gelosa di tutte le donne. È per colpa sua che lui non si è mai sposato e non ha mai avuto amanti, che si sappia. Quando, una volta ogni tanto, aveva bisogno di una donna, era lei che gli sceglieva la meno pericolosa, e non la finiva mai di fargli raccomandazioni. Adesso gli è passata».

«A chi?».

«A lui, diamine!».

«E pensa comunque di sposarsi?».

«Ha una fifa blu di restare solo. Finché vive sua madre è tranquillo. Lei lo accudisce come un pupo. Ma Justine non ne ha per molto. Un anno al massimo».

«L'ha detto il dottore?».

«Ha un cancro ed è troppo vecchia per sopportare un'operazione. Quanto a lui, si crede sempre in punto di morte. Gli viene di continuo l'affanno, non osa muoversi, come se il minimo movimento potesse mandarlo all'altro mondo...».

«Cosicché le ha proposto di sposarlo?».

«Sì. Si è assicurato che fossi abbastanza in salute per prendermi cura di lui. Mi ha fatto visitare, e mica da un medico solo. Inutile dire che Justine non ne sa niente, sennò mi avrebbe messo alla porta da un pezzo».

«E Marcel?».

«Glielo avevo detto».

«E come ha reagito?».

«In nessun modo. Secondo lui facevo bene a pensare alla mia vecchiaia. Credo fosse contento di sapere che sarei venuta a vivere qui».

«Émile non era geloso di Marcel?».

«Perché avrebbe dovuto essere geloso? Le ho già detto che fra noi non c'era più niente».

«Insomma, è di questo che teneva tanto a parlarmi?».

«Ho pensato a tutte le supposizioni che lei avrebbe fatto e che non corrispondono alla realtà».

«Per esempio che Marcel avrebbe potuto ricattare il signor Émile e che lui, per sbarazzarsene...».

«Marcel non ricattava nessuno, e il signor Émile preferirebbe morire piuttosto che sgozzare un pollo».

«Ovviamente lei non è venuta sull'isola in questi ultimi giorni?».

«È facile controllare».

«E non ha lasciato la casa di Nizza, vero? È un ottimo alibi».

«Ne ho bisogno?».

«Come lei ha detto poco fa, parlo da poliziotto. Marcel, malgrado tutto, avrebbe potuto darle fastidio. Tanto più che Émile è un gran bel partito, un partito coi fiocchi.

E se la sposa, alla sua morte le lascerà una fortuna cospicua».

«Abbastanza, sì! Adesso mi chiedo se ho fatto bene a venire. Non immaginavo che mi avrebbe parlato così. Le ho confessato tutto sinceramente».

Aveva gli occhi lucidi, come se fosse sul punto di piangere, e quello che Maigret aveva davanti era un vecchio viso impiastricciato, contratto in una smorfia infantile.

«Faccia come crede. Io non so chi ha ucciso Marcel. È una sciagura».

«Soprattutto per lui».

«Anche per lui, sì. Ma lui sta in pace. Mi arresta?».

 

Lo disse con un'ombra di sorriso, ma si intuiva che era in ansia e più preoccupata di quanto volesse apparire.

«Per il momento non ne ho intenzione».

«Domani mattina posso andare al funerale? Se vuole torno subito dopo. Basterà mandarmi una barca alla punta di Giens».

«Forse».

«Non dirà niente a Justine?».

«A meno che non sia strettamente necessario, e non credo che lo sarà».

«È arrabbiato con me?».

«Ma no».

«Sì invece. L'ho capito appena l'ho vista, prima di scendere dal Cormoran. L'ho riconosciuta, io. Ero emozionata, perché era tutta una parte della mia vita che ritornava».

«Una parte che rimpiange?».

«Forse. Non so. A volte me lo domando».

Si alzò con un sospiro, senza rimettersi le scarpe. Aveva voglia di slacciarsi il busto, ma aspettava che il commissario se ne andasse.

«Faccia come crede» mormorò infine, mentre lui allungava la mano verso il pomo della porta.

Maigret ebbe come una stretta al cuore a lasciarla lì sola, invecchiata, ansiosa, in quella stanzetta dove il sole al tramonto penetrava dall'abbaino tingendo tutto - dalla tappezzeria alla trapunta - di rosa come un belletto.

 

«Un goccio di bianco, signor Maigret?».

A un tratto ci fu rumore, movimento. I giocatori di bocce, che avevano terminato la partita in piazza, attorniavano il bancone e parlavano a voce altissima con forte accento locale. In un angolo della sala da pranzo, vicino alla finestra, Pyke era seduto a un tavolo di fronte a Jef de Greef, e i due erano immersi in una partita a scacchi.

Accanto a loro, sulla panca, era seduta Anna, che fumava una sigaretta infilata in un lungo bocchino. Si era vestita. Al posto del pareo aveva indossato un abitino di cotone sotto il quale tuttavia si intuiva che era sempre nuda. Aveva una carne pesante, molto femminile, talmente fatta per le carezze che veniva spontaneo immaginarla in un letto.

De Greef si era messo dei calzoni di flanella grigia e una maglietta da marinaio a righe bianche e blu. Ai piedi aveva un paio di espadrilles con la suola di corda, come quasi tutti sull'isola, ed era infatti la prima cosa che l'inappuntabile Pyke si era affrettato a comprare.

Maigret cercò con gli occhi l'ispettore, ma non lo vide. Dovette accettare il bicchiere di vino bianco che Paul spingeva verso di lui, e la gente al banco si strinse per fargli posto.

«Allora, commissario?»

Gli avevano rivolto la parola, e lui capì che il ghiaccio stava per sciogliersi: questione di minuti. Era evidente che la gente dell'isola aspettava fin dal mattino il momento di fare la sua conoscenza. Dovevano essere almeno una decina, la maggior parte in tenuta da pescatori, mentre due o tre, probabilmente piccoli possidenti, avevano un aspetto più borghese.

Bisognava bere: Pyke pensasse pure quello che voleva.

«Le piace il nostro vino?».

«Molto».

«E poi i giornali raccontano che lei beve solo birra. Marcellin diceva che non era vero, che lei non storceva la bocca davanti a una bottiglia di calvados. Povero Marcellin! Alla sua, commissario...».

Paul, il padrone, che sapeva come vanno queste cose, teneva la bottiglia in mano.

«È vero che era suo amico?».

«Sì, l'ho conosciuto in passato. Non era un cattivo ragazzo».

«No di certo. È vero anche quello che dicono i giornali, che era di Le Havre?».

«Ma sì».

«Con quell'accento?».

«Quando l'ho conosciuto una quindicina d'anni fa non aveva accento».

«Sentito Titin? Cosa ti ho sempre detto?».

Quattro, cinque bicchierate... Parole gettate là un po' a casaccio, per stare allegri, come i bambini lanciano in aria la palla.

«Stasera cosa ha voglia di mangiare, commissario? C'è la bouillabaisse, questo è sicuro. Ma forse non le piace la bouillabaisse...».

Giurò che era il suo piatto preferito, con soddisfazione generale. Non era il momento di conoscere una per una le persone che si stringevano intorno a lui in una massa un po' confusa.

«Le piace anche il pastis, quello vero eh, quello proibito? Paul, un giro di pastis!

Dài! Il commissario chiuderà un occhio...».

Charlot era seduto a un tavolino all'aperto, per l'appunto davanti a un pastis, intento a leggere un giornale.

«Si è già fatto un'idea?».

«Di cosa?».

«Ma dell'assassino, no? Morin-Barbu, che è nato sull'isola e ci vive da settantasette anni, non ha mai sentito una cosa simile. Abbiamo avuto dei casi di annegamento.

Cinque o sei anni fa una donna del Nord ha cercato di ammazzarsi inghiottendo delle pillole per dormire. Un marinaio italiano, durante una lite, ha dato una coltellata nel braccio a Baptiste. Ma un delitto mai, commissario! Qui anche i tipi peggiori diventano miti come agnellini».

Tutti ridevano, cercavano di parlare, perché era questo che contava: parlare, dire una cosa qualsiasi, bere insieme al famoso commissario.

«Capirà meglio quando sarà stato qui qualche giorno. Dovrebbe venirci a passare le vacanze con la sua signora, ecco cosa. Le insegneremmo a giocare a bocce. Vero, Casimir? Casimir l'anno scorso ha vinto il torneo del “Petit Provençal”, lei saprà cosa significa».

Dal rosa di un attimo prima la chiesa in fondo alla piazza stava passando al viola; il cielo sbiadiva pian piano in un verde pallido, e gli uomini se ne andavano uno dopo l'altro. Si sentiva la voce acuta di una donna chiamare ripetutamente da lontano:

«Ehi, Jules!... La minestra è in tavola...».

 

Oppure un ragazzetto veniva arditamente a cercare il padre e lo tirava via per mano.

«Allora, niente partita?».

«È troppo tardi».

Spiegarono a Maigret che dopo le bocce c'era la partita a carte, ma che non l'avevano fatta a causa sua. Il marinaio del Cormoran, un colosso muto con due enormi piedi nudi, mostrava tutti i denti al commissario in un largo sorriso e di tanto in tanto, alzando verso di lui il bicchiere, emetteva uno strano gorgoglio che significava «Alla salute!».

«Vuole cenare subito?».

«Ha visto l'ispettore Lechat?».

«È uscito senza dire niente mentre lei era di sopra. Fa sempre così. È straordinario, sa? Sono tre giorni che va curiosando per l'isola, e ormai ne sa quasi quanto me su tutte le famiglie».

Sporgendosi Maigret vide che i de Greef erano andati via e che Pyke era rimasto solo davanti agli scacchi.

«Fra mezz'ora si mangia» annunciò.

Paul gli chiese a bassa voce indicando l'inglese:

«Crede che gli piaccia la nostra cucina?».

Qualche minuto dopo Maigret e il suo collega erano per strada e, manco a dirlo, camminavano in direzione del porto. Ci avevano fatto l'abitudine. Il sole era scomparso, e si sentiva finalmente nell'aria un'immensa quiete. I rumori non erano più gli stessi. Ora si udiva il lieve sciabordio dell'acqua contro le pietre del molo, pietre diventate di un grigio più duro, come gli scogli. La vegetazione era cupa, quasi nera, misteriosa, e una torpediniera con un grande numero bianco dipinto sullo scafo scivolava silenziosamente verso il largo, a una velocità che sembrava vertiginosa.

«L'ho battuto per un pelo» gli aveva detto per prima cosa Pyke. «È fortissimo, e ha molto controllo».

«È stato lui a proporle di giocare?».

«Avevo preso gli scacchi solo per tenermi in esercizio,» (non aggiunse: mentre lei era di sopra con Ginette) «e non speravo di trovare un compagno. Si è seduto al tavolo accanto con la sua amica e da come guardava i pezzi ho capito che aveva voglia di misurarsi con me».

Poi c'era stato un lungo silenzio, e adesso i due uomini camminavano sul molo.

Vicino allo yacht bianco c'era una piccola barca di cui si leggeva il nome a poppa: Fleur d'amour.

Era la barca di de Greef, e la coppia era a bordo. Infatti c'era luce sotto la tuga, in una cabina grande appena per due persone, dove non si poteva neanche stare in piedi.

Giungevano rumori di piatti e posate. Mangiavano.

Quando ebbero superato lo yacht, Pyke riprese a parlare, lentamente, con l'abituale precisione.

«È il classico giovane che le famiglie come si deve considerano una pecora nera.

Ma non dovreste averne molti esemplari, in Francia».

 

Maigret si stupì: era la prima volta, da quando lo conosceva, che il collega enunciava delle idee generali. Lo stesso Pyke sembrava un po' imbarazzato, come se temesse di essere stato indiscreto.

«Perché pensa che in Francia non ce ne siano molti?».

«Non proprio di quel genere, intendo dire».

Si mise a cercare le parole con cura, fermo in fondo al molo, di fronte alle montagne che si scorgevano sul continente.

«Credo che da voi un giovane di buona famiglia possa fare delle stupidaggini per vivere alla grande, per pagarsi donne, automobili, per giocare al casinò. Ma i vostri cattivi soggetti giocano a scacchi? Ne dubito. Leggono Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard? È improbabile, no? Hanno solo voglia di vivere la loro vita senza aspettare l'eredità dei genitori».

Si appoggiarono al muretto che limitava il molo da un lato. La superficie calma dell'acqua era a tratti turbata dal balzo di un pesce.

«De Greef non appartiene a questa categoria di cattivi soggetti. Credo che non ci tenga nemmeno ad avere denaro. È un anarchico puro, o quasi, che si ribella contro tutto ciò che ha conosciuto, contro tutto ciò che gli hanno insegnato, contro il padre magistrato e la madre borghese, contro la sua città, contro i costumi del suo paese».

Si interruppe, quasi arrossendo.

«Mi scusi...».

«Continui, la prego».

«Abbiamo scambiato solo qualche frase, lui e io, ma credo di averlo capito, perché ci sono molti giovani come lui nel mio paese, probabilmente in tutti i paesi dove la morale è rigida. Per questo poco fa ho detto che in Francia non si devono incontrare di frequente tipi del genere. Qui non c'è ipocrisia. Forse non ce n'è abbastanza».

Alludeva all'ambiente in cui tutti e due sguazzavano dal loro arrivo, agli Émile, ai Charlot, alle Ginette, che vivevano in mezzo agli altri senza suscitare, all'apparenza, la riprovazione di nessuno?

Maigret era un po' angustiato, un po' teso. Pur non essendo stato attaccato, si sentiva prudere dalla voglia di difendersi.

«Per protesta» continuò Pyke «questi giovani rifiutano tutto in blocco, il buono e il cattivo. Vede, de Greef ha strappato una ragazzina alla sua famiglia. È carina, molto desiderabile. Eppure non credo che l'abbia fatto perché la desiderava. L'ha fatto perché lei era di buona famiglia, perché era una ragazza che la domenica andava a messa con la mamma. Perché il padre è probabilmente un signore austero e benpensante. E anche perché portandola via rischiava grosso. Ma forse mi sbaglio...».

«Non credo».

«C'è chi in un ambiente lindo ed elegante sente il bisogno di sporcare. De Greef sente il bisogno di sporcare la vita, di sporcare qualunque cosa. Anche la sua compagna».

Stavolta Maigret rimase di stucco. Capiva che Pyke aveva avuto il suo stesso pensiero. Quando de Greef aveva ammesso di essere salito più volte a bordo del North Star, gli si era subito affacciata l'idea che non fosse solo per bere qualcosa, ma che tra le due coppie ci fossero rapporti più intimi e meno confessabili.

«Sono ragazzi molto pericolosi» concluse Pyke.

 

E aggiunse:

«Forse anche molto infelici».

Poi, come se trovasse il silenzio troppo solenne, prese un tono più leggero:

«Parla inglese perfettamente, sa? Senza accento. Non mi stupirebbe che avesse frequentato uno dei nostri migliori college».

Bisognava andare a cena. La mezz'ora era ampiamente passata, il buio ormai fondo, e nel porto le imbarcazioni dondolavano al ritmo del respiro del mare. Maigret vuotò la pipa battendola sul tacco ed esitò a riempirla di nuovo. Passando, guardò con insistenza la piccola barca dell'olandese.

Pyke aveva parlato tanto per parlare? O aveva voluto, a modo suo, trasmettergli un messaggio?

Difficile dirlo, se non impossibile. Il suo francese era perfetto, fin troppo, e tuttavia i due uomini non parlavano la stessa lingua, i loro pensieri percorrevano meandri diversi del cervello.

«Sono ragazzi molto pericolosi» aveva sottolineato l'ispettore di Scotland Yard.

Per nulla al mondo, si poteva star certi, avrebbe voluto dare l'impressione di intromettersi nell'inchiesta di Maigret. Non gli aveva fatto domande su com'erano andate le cose nella stanza di Ginette. Pensava forse che il collega gli nascondesse qualcosa, che cercasse di barare? O peggio, dopo quello che aveva detto sui costumi dei francesi, s'immaginava che Maigret e Ginette...?

Il commissario borbottò:

«Ginette mi ha annunciato il suo fidanzamento con Émile. Deve rimanere un segreto per via della vecchia Justine, che cercherebbe di impedire il matrimonio anche dopo la sua morte».

Si rese conto che a paragone delle frasi incisive di Pyke il suo discorso era vago e le sue idee più vaghe ancora.

In quattro parole l'inglese aveva detto quel che aveva da dire. Da una mezz'ora passata con de Greef aveva ricavato idee molto nette non solo sul giovane olandese, ma sul mondo in generale.

Lui, Maigret, non sarebbe riuscito a esprimerne una sola. Era completamente diverso. Sentiva qualcosa. Sentiva un mucchio di cose, come sempre all'inizio di un'inchiesta, ma non avrebbe saputo dire in che modo, prima o poi, nella nebbia delle sue idee si sarebbe fatta chiarezza.

Era un po' umiliante. Il suo prestigio ne risentiva. Si vedeva fiacco e pesante accanto alla figura svelta del collega.

«È una strana donna» mormorò tuttavia.

E più di tanto non trovò da dire su una persona che fra l'altro aveva incontrato in passato, di cui conosceva quasi tutta la vita e che gli aveva parlato a cuore aperto.

Una strana donna! Per certi versi lo attirava, per altri lo deludeva, come lei aveva intuito assai bene.

Forse se ne sarebbe fatta un'opinione più precisa in seguito.

Precisissima, invece, era stata l'analisi che Pyke aveva tracciato del suo avversario dopo una sola partita a scacchi e poche frasi scambiate con lui tra una mossa e l'altra.

Era come se l'inglese avesse vinto la prima manche.