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LA BARA DI BENOÎT

Il sindaco, Félicien Jamet (la gente, beninteso, lo chiamava semplicemente Félicien), venne con la sua chiave ad aprire la porta del municipio. Già un paio di volte, vedendolo attraversare la piazza, Maigret si era chiesto cosa avesse di insolito il suo abbigliamento. A un tratto capì: forse perché vendeva anche lampade, petrolio, fil di ferro zincato e chiodi, Félicien al grembiule giallognolo dei droghieri aveva preferito il camice grigio dei negozianti di ferramenta. Lo portava lunghissimo, fin quasi alle caviglie. Chissà se sotto aveva i calzoni o se ne faceva a meno per via del caldo... Sta di fatto che i calzoni, se c'erano, non erano abbastanza lunghi da sbucare sotto il camice, e si aveva l'impressione che il sindaco fosse in camicia da notte. O meglio - anche per via di quella specie di zucchetto che teneva in testa - sembrava uscito dalla vetrata medioevale di una chiesa.

«Immagino, signori, che non abbiate bisogno di me».

Ritti sulla porta della stanza polverosa, Maigret e Pyke si scambiarono un'occhiata perplessa, poi guardarono Lechat e infine Félicien. Sul tavolo, lo stesso usato per le riunioni del consiglio comunale e per le elezioni, c'era una bara di legno bianco che non pareva nuova di zecca.

«Se mi date una mano,» disse il signor Jamet col tono più naturale del mondo «la rimettiamo nel suo angolo. È la bara municipale. Noi siamo obbligati per legge a provvedere ai funerali degli indigenti. Ma sull'isola abbiamo solo un falegname che è già parecchio in là con gli anni e che lavora lentamente. D'estate, col caldo, i cadaveri non possono aspettare».

Ne parlava come di una cosa normalissima, e Maigret spiava con la coda dell'occhio l'uomo di Scotland Yard.

«Avete molti indigenti?».

«Solo uno, il vecchio Benoît».

«Quindi questa bara è destinata a Benoît?».

«In linea di massima, sì. Però mercoledì è servita per trasportare a Hyères il corpo di Marcellin. Niente paura, è stata disinfettata».

Nella stanza c'erano solo delle sedie pieghevoli, molto comode.

«Vi lascio, signori?».

«Ancora un momento. Chi è Benoît?».

«Dovete averlo visto, o lo vedrete. Ha i capelli lunghi, la barba ispida. Ecco, guardate qui dalla finestra: sta facendo la siesta su una panca, vicino ai giocatori di bocce».

«È molto vecchio?».

«Non si sa. Non lo sa neanche lui. Sostiene di avere quasi cent'anni, ma secondo me lo dice per vantarsi. Non ha documenti e nessuno conosce il suo nome esatto. È

 

sbarcato sull'isola molto tempo fa, quando Morin-Barbu, quello del caffè all'angolo, era ancora un giovanotto».

«Da dove veniva?».

«Nemmeno questo si sa. Certamente dall'Italia. Sono venuti quasi tutti da lì. Di solito si riconosce dalla parlata se sono di Genova o dei dintorni di Napoli, ma Benoît ha un linguaggio tutto suo, mica facile da capire».

«Un idiota?».

«Prego?».

«Non ci sta con la testa?».

«È un furbo matricolato. Adesso ha quell'aria da patriarca. Fra qualche giorno, con l'arrivo dei villeggianti, si raderà la barba e il cranio. Lo fa tutti gli anni nello stesso periodo. E si metterà a pescare il mordu».

Ce n'era, da imparare.

«Il mordu?».

«Sono vermi con la testa bella dura che si trovano nella sabbia vicino a riva. I pescatori li preferiscono alle altre esche perché tengono bene l'amo. Si vendono molto cari. Benoît li pesca tutta l'estate, nell'acqua fino a mezza coscia. Da giovane faceva il muratore. Buona parte delle case dell'isola le ha costruite lui. Vi occorre altro, signori?».

Maigret si affrettò a spalancare la finestra per mandare via l'odore di muffa e di chiuso dalla stanza: nel migliore dei casi le davano aria il 14 luglio, quando tiravano fuori le bandiere e le sedie.

Cosa ci facesse lì, non lo sapeva nemmeno lui. Non aveva nessuna voglia di procedere agli interrogatori. Perché mai aveva detto di sì quando l'ispettore Lechat glielo aveva proposto? Per vigliaccheria di fronte a Pyke? Di norma, si comincia un'inchiesta interrogando la gente, no? Non si fa così in Inghilterra? Lo avrebbero preso sul serio se si fosse messo a gironzolare per l'isola come uno sfaccendato?

Però al momento era l'isola che lo interessava, e non questa o quella persona in particolare. Le parole del sindaco, per esempio, suscitavano tutta una serie di pensieri ancora vaghi. Quegli uomini che su piccole imbarcazioni andavano e venivano lungo le coste con disinvoltura, come a casa loro, come se percorressero un viale! Non corrispondeva all'immagine che uno si fa del mare. Gli sembrava che qui il mare fosse qualcosa di intimo. A poche miglia da Tolone si incontravano persone venute da Genova e da Napoli, tranquillamente, alla spicciolata su una barca, pescando lungo il tragitto. Un po' come Marcellin. Si fermavano, se si trovavano bene restavano, e magari scrivevano al paese per far venire la moglie o la fidanzata.

«Vuole che glieli porti qui uno alla volta, capo? Da chi vuole cominciare?».

Gli era indifferente.

«Vedo il giovane de Greef che attraversa la piazza con la sua amichetta. Vado a chiamarlo?».

Lechat lo assillava, ma lui non osava protestare. Si consolò vedendo il suo collega combattere contro il suo stesso torpore.

«Questi testimoni che ascolterà,» domandò l'inglese «sono convocati regolarmente?».

 

«Neanche per idea. Vengono se gli va. Hanno il diritto di rispondere o di non rispondere. Di solito preferiscono farlo, ma potrebbero chiedere la presenza di un avvocato».

Doveva essere circolata la voce che il commissario era in municipio, perché sulla piazza si stavano formando dei capannelli, come al mattino. Più in là, sotto gli eucalipti, Lechat parlava animatamente con una coppia, che alla fine lo seguì.

Accanto alla porta c'era una mimosa, e il suo profumo dolciastro si mescolava curiosamente all'odore di muffa della stanza.

«Da voi queste cose si fanno con maggiore solennità, immagino».

«Non sempre. In campagna e nei paesi l'inchiesta del coroner avviene spesso nella sala interna di qualche locanda».

Abbronzato come un indigeno di Tahiti, il biondo de Greef pareva ancora più biondo. Portava solo un paio di calzoncini chiari e le espadrilles, mentre la sua compagna era avvolta in un pareo.

«Desidera parlarmi?» chiese diffidente.

E Lechat, per rassicurarlo:

«Entri! Il commissario Maigret deve interrogare tutti. È la prassi».

L'olandese parlava francese quasi senza accento. In mano aveva una rete per la spesa. Quando l'ispettore li aveva interpellati, i due stavano probabilmente andando a far provviste alla Cooperativa.

«Vive da molto a bordo della sua barca?».

«Da tre anni. Perché?».

«Niente, chiedevo. Lei è pittore, mi dicono. I suoi quadri li vende?».

«Quando si presenta l'occasione».

«E si presenta spesso?».

«Piuttosto di rado. Ho venduto una tela a Mrs Wilcox la settimana scorsa».

«La conosce bene?».

«L'ho conosciuta qui».

Lechat si accostò a Maigret e gli chiese a bassa voce se poteva andare a chiamare il signor Émile. Il commissario fece segno di sì.

«Che tipo è?».

«Mrs Wilcox? Molto socievole».

«Vale a dire?».

«Niente. Avrei potuto incontrarla a Montparnasse, perché trascorre tutti gli inverni a Parigi. Abbiamo scoperto di avere amici in comune».

«Lei ha frequentato Montparnasse?».

«Ho vissuto un anno a Parigi».

«Nella sua barca?».

«Eravamo ormeggiati al pont Marie».

«Lei è ricco?».

«Non ho un soldo».

«Mi dica, che età ha esattamente la sua amica?».

«Diciotto anni e mezzo».

La ragazza, i capelli sul viso, il corpo modellato dal pareo, sembrava una giovane selvaggia e guardava Maigret e Pyke con aria furibonda.

 

«Non siete sposati?».

«No».

«I suoi genitori sono contrari?».

«Sanno che vive con me».

«Da quanto tempo?».

«Due anni e mezzo».

«Il che significa che aveva solo sedici anni quando è diventata la sua amante?».

La parola non scandalizzò nessuno dei due.

«I genitori non hanno cercato di riportarla a casa?».

«Varie volte. È sempre tornata da me».

«Insomma si sono scoraggiati?».

«Preferiscono non pensarci più».

«Di che viveva a Parigi?».

«Vendevo ogni tanto una tela o un disegno. Avevo degli amici».

«Le prestavano denaro?».

«A volte. Altre volte scaricavo cassette di verdura alle Halles. Oppure distribuivo volantini».

«Aveva già in mente di venire a Porquerolles?».

«Non sapevo nemmeno che esistesse».

«Dove voleva andare?».

«Dovunque, purché ci fosse il sole».

«E pensa di andare dove?».

«Più lontano».

«In Italia?».

«Magari».

«Conosceva Marcellin?».

«Mi ha aiutato a calafatare la barca che faceva acqua».

«Lei era all'Arche de Noé la notte che è morto?».

«Ci andiamo più o meno tutte le sere».

«Cosa facevate?».

«Giocavamo a scacchi, io e Anna».

«Posso chiederle, signor de Greef, la professione di suo padre?».

«È giudice di tribunale a Groningen».

«Sa perché Marcellin è stato ucciso?».

«Non sono curioso».

«Le ha parlato di me?».

«Se l'ha fatto, non ho sentito».

«Lei ha una rivoltella?».

«Per farne cosa?».

«Ha qualcosa da dirmi?».

«Proprio niente».

«E lei, signorina?».

«Niente, grazie».

Li richiamò quando già erano sulla soglia.

«Ancora una domanda. Avete denaro, al momento?».

 

«Le ho detto che ho venduto un quadro a Mrs Wilcox».

«È andato sul suo yacht?».

«Parecchie volte».

«A far che?».

«Cosa si fa su uno yacht?».

«Non saprei».

«Si beve» buttò là de Greef con una punta di disprezzo. «Abbiamo bevuto. È

tutto?».

Lechat non aveva dovuto andare lontano per trovare il signor Émile. I due se ne stavano in una macchia d'ombra a pochi passi dal municipio. Émile sembrava più vecchio dei suoi sessantacinque anni, e poiché si muoveva con cautela, come se temesse di rompersi, dava un'impressione di estrema fragilità. Parlava piano, economizzando ogni briciolo di energia.

«Venga, signor Émile. Noi ci conosciamo già, vero?».

Vedendo che il figlio di Justine adocchiava una sedia, Maigret aggiunse:

«Si accomodi pure. Conosceva Marcellin?».

«Molto bene».

«Vi frequentavate abitualmente? Da quando?».

«Non saprei dire di preciso da quanti anni. Mia madre se ne ricorda senz'altro. Da quando Ginette lavora per noi».

Ci fu un attimo di silenzio. Era molto strano. Sembrava quasi che nell'aria calma della stanza fosse scoppiata una bolla di sapone. Maigret e Pyke si guardarono. Cosa aveva detto Pyke quando erano partiti da Parigi? Aveva parlato di Ginette. Si era stupito - con discrezione, al suo solito che il commissario non si fosse informato di che fine aveva fatto la donna.

Ora, di punto in bianco, senza bisogno di ricerche né di astuzie, era Émile a parlare di colei che un tempo Maigret aveva mandato in sanatorio.

«Ginette lavora per voi? Vuol dire in una delle vostre case?».

«In quella di Nizza».

«Un momento, signor Émile. Io l'ho conosciuta una quindicina d'anni fa, e non era più una bambina. Se non mi sbaglio, aveva ampiamente superato i trenta, e la tubercolosi non la ringiovaniva. Quindi adesso dovrebbe avere...».

«Fra i quarantacinque e i cinquant'anni» terminò Émile, che aggiunse con la massima naturalezza:

«È lei che dirige le Sirènes a Nizza».

Meglio non guardare Pyke, il cui viso doveva esprimere tutta l'ironia consentita dalla sua buona educazione. Del resto lo stesso Maigret era arrossito e si sentiva quanto mai ridicolo.

Sì, perché a suo tempo aveva fatto il buon samaritano. Dopo aver spedito Marcellin in carcere, si era occupato di Ginette e, come in un romanzo popolare, l'aveva

«strappata dal marciapiede» per farla accogliere in un sanatorio.

La ricordava nitidamente, tanto magra che non si capiva come gli uomini si lasciassero tentare, con gli occhi febbrili, la bocca stanca.

Le diceva:

«Bisogna curarsi, figliola».

 

E lei, docile, rispondeva:

«Magari, signor commissario. Se crede che mi diverta stare così!».

Con un'ombra di irritazione Maigret squadrò il signor Émile.

«È sicuro che si tratti della stessa donna? A quell'epoca era consunta dalla tisi».

«Si è curata per vari anni».

«È rimasta con Marcellin?».

«Sa, non è che lo vedesse molto. È molto occupata. Gli mandava un vaglia ogni tanto. Non grandi somme. Lui non ne aveva bisogno».

Émile prese da una scatolina una pastiglia all'eucalipto e si mise serio a succhiarla.

«Marcellin andava a trovarla a Nizza?».

«Non credo. È una casa elegante, lo saprà anche lei».

«È per via di Ginette che Marcellin è venuto nel Midi?».

«Non so. Era un ragazzo strambo».

«Adesso Ginette è a Nizza?».

«Ci ha telefonato stamane da Hyères. Ha saputo la notizia dai giornali. È andata a occuparsi del funerale».

«Sa dove alloggia?».

«All'Hôtel des Palmes».

«Lei era all'Arche la sera del delitto?».

«Ci sono passato a prendere la solita tisana».

«È andato via prima di Marcellin?».

«Certamente. Non vado mai a letto dopo le dieci».

«L'ha sentito parlare di me?».

«Può darsi. Non ci ho fatto caso. Sono un po' duro d'orecchio».

«Che rapporti ha con Charlot?».

«Lo conosco ma non lo frequento».

«Perché?».

La spiegazione, per Émile, era visibilmente delicata.

«Siamo gente diversa, capisce?».

«Non ha mai lavorato per sua madre?».

«Forse qualche volta le ha procurato del personale».

«Fastidi, ne ha dati?».

«Non mi risulta».

«Anche Marcellin vi procurava del personale?».

«No. Di questo non si occupava».

«Lei non sa niente?».

«Proprio niente. Ho quasi completamente abbandonato gli affari. La salute non me lo permette».

Che cosa pensava Pyke di tutto questo? Anche in Inghilterra ci sono dei signori Émile?

«Forse verrò a fare due chiacchiere con sua madre».

«Sarà il benvenuto, signor commissario».

Fuori, stavolta, Lechat era in compagnia di un giovanotto in calzoni bianchi di flanella, giacca blu a doppiopetto e berretto da yachtsman.

«Il signor Philippe de Moricourt» annunciò. «È appena sbarcato col dinghy».

 

«Desidera parlarmi, signor commissario?».

Aveva una trentina d'anni e, contrariamente a quel che ci si poteva aspettare, non era nemmeno un bel ragazzo.

«Una formalità, suppongo».

«Si sieda».

«È indispensabile? Detesto stare seduto».

«Stia in piedi. Lei è il segretario di Mrs Wilcox?».

«A titolo gratuito, ovviamente. Diciamo che sono suo ospite e che a volte per amicizia le faccio da segretario».

«Mrs Wilcox scrive le sue memorie?».

«No. Perché me lo chiede?».

«Si occupa personalmente della sua fabbrica di whisky?».

«Assolutamente no».

«Lei scrive le sue lettere personali?».

«Non capisco dove vuole arrivare».

«Da nessuna parte, signor Moricourt».

«De Moricourt».

«Se ci tiene. Cercavo solo di farmi un'idea del suo lavoro».

«Mrs Wilcox non è più giovanissima».

«Appunto».

«Non afferro».

«Non ha importanza. Mi dica, signor de Moricourt - così va bene, no? dove ha conosciuto Mrs Wilcox?».

«È un interrogatorio?».

«Pensi quello che vuole».

«Sono obbligato a rispondere?».

«Può aspettare che la convochi formalmente».

«Mi considera un sospetto?».

«Sospetto di tutti e di nessuno».

Il giovanotto rifletté un momento, poi gettò la sigaretta dalla porta aperta.

«L'ho incontrata a Cannes, al casinò».

«Quanto tempo fa?».

«Un po' più di un anno».

«Lei gioca?».

«Giocavo. È così che ho perso il mio denaro».

«Ne aveva molto?».

«Mi pare una domanda indiscreta».

«Lei ha mai lavorato?».

«Sono stato addetto al gabinetto di un ministro».

«Che era probabilmente un amico di famiglia».

«Come lo sa?».

«Conosce il giovane de Greef?».

«È venuto a bordo varie volte e gli abbiamo comprato un quadro».

«Vuole dire che Mrs Wilcox gli ha comprato un quadro?».

«Esatto. Chiedo scusa».

 

«Anche Marcellin è stato a bordo del North Star?».

«Sì».

«Come invitato?».

«È difficile da spiegare, signor commissario. Mrs Wilcox è una persona molto generosa».

«Immagino».

«Le interessa tutto, specialmente in questo Mediterraneo che adora e che è pieno di tipi pittoreschi. E Marcellin lo era, non c'è dubbio».

«Gli avete offerto da bere?».

«Lo facciamo con chiunque».

«Eravate all'Arche la sera del delitto?».

«Eravamo in compagnia del maggiore».

«Altro tipo pittoresco, giusto?».

«Mrs Wilcox l'ha conosciuto tempo fa in Inghilterra. Una conoscenza mondana».

«Avete bevuto champagne?».

«Il maggiore beve solo champagne».

«Eravate tutti e tre molto allegri?».

«Moderatamente».

«Marcellin si è unito al vostro gruppo?».

«Come altri. Lei non conosce ancora il maggiore Bellam?».

«Penso che avrò presto il piacere».

«È la generosità in persona. Quando viene all'Arche...».

«Ci viene spesso?».

«Esatto... È raro, dicevo, che non offra da bere a tutti, e tutti vanno a brindare con lui. Vive da tanto tempo sull'isola che conosce i bambini per nome».

«Dunque Marcellin si è avvicinato al vostro tavolo e ha bevuto una coppa di champagne».

«No. Detestava lo champagne. Diceva che è roba da signorine. Gli abbiamo fatto portare una bottiglia di vino bianco».

«Si è seduto?».

«Ovviamente».

«C'erano altre persone al vostro tavolo? Charlot, per esempio?».

«Ma sì».

«Lei conosce la sua professione, se posso usare questo termine?».

«Non fa mistero di essere nel giro della malavita. È un tipo singolare anche lui».

«E come tale è mai stato invitato a bordo?».

«Credo proprio che ci siano venuti tutti, signor commissario».

«Anche il signor Émile?».

«Lui no».

«Perché?».

«Non so. Penso che non ci sia mai capitato di rivolgergli la parola. È uno che sta piuttosto per conto suo».

«E non beve».

«Infatti».

«Perché a bordo si beve parecchio, no?».

 

«Succede. È forse proibito?».

«Marcellin era al vostro tavolo quando si è messo a parlare di me?».

«Probabile. Non ricordo bene. Raccontava delle storie, come al solito. A Mrs Wilcox piaceva ascoltare le sue storie. Parlava degli anni passati in galera».

«Non c'è mai stato».

«Allora inventava».

«Per divertire Mrs Wilcox. Dunque parlava della galera. E io c'entravo, nel suo racconto? Era ubriaco?».

«Del tutto sobrio non era mai, specialmente la sera. Ah, ecco, diceva di essere stato condannato per via di una donna».

«Ginette?».

«Forse. Sì, mi sembra che il nome fosse questo. E a quel punto, mi pare, ha aggiunto che della donna si era preso cura lei. Qualcuno ha mormorato:

«“Maigret è uno sbirro come gli altri”.

«Mi scusi».

«Non si preoccupi. Continui».

«Be', poi si è messo a fare le sue lodi, a dire che lei era amico suo e che per lui un amico era sacro. Se non ricordo male Charlot l'ha sfottuto, e Marcellin ha incominciato a scaldarsi».

«E di preciso com'è andata a finire?».

«Chi se lo ricorda? Era tardi».

«Chi è andato via per primo?».

«Non saprei. Paul aveva chiuso le imposte da un pezzo. Era venuto a sedersi al nostro tavolo. Abbiamo bevuto un'ultima bottiglia. Poi siamo andati via tutti insieme, credo».

«Chi?».

«Il maggiore ci ha lasciati in piazza per tornare alla villa. Charlot, che dorme all'Arche, è rimasto. Mrs Wilcox e io ci siamo avviati verso l'imbarcadero, dove avevamo ormeggiato il dinghy».

«C'era uno dei vostri marinai?».

«No. Di solito li lasciamo a bordo. Tirava un forte mistral e il mare era agitato.

Marcellin si è offerto di accompagnarci».

«Dunque era con voi quando vi siete imbarcati?».

«Sì, ma è rimasto a terra. Sarà tornato al capanno».

«Insomma, lei e Mrs Wilcox siete state le ultime persone che l'hanno visto vivo?».

«A parte l'assassino».

«Avete avuto difficoltà a raggiungere lo yacht?».

«Come lo sa?».

«Ha detto che c'era mare grosso».

«Siamo arrivati bagnati fradici, con venti centimetri d'acqua nel dinghy».

«Siete andati subito a dormire?».

«Ho preparato un grog per scaldarci, poi abbiamo fatto una partita a gin rummy».

«Scusi?».

«È un gioco di carte».

«Che ora era?».

 

«Circa le due del mattino. Non andiamo mai a letto presto».

«Non avete visto o sentito niente di insolito?».

«Impossibile sentire qualcosa con quel mistral».

«Contate di venire all'Arche stasera?».

«È probabile».

«La ringrazio».

Maigret e Pyke restarono un momento soli, e il commissario guardò il collega con occhi insonnoliti. Aveva l'impressione che fosse tutto inutile, che avrebbe dovuto agire diversamente. Gli sarebbe piaciuto per esempio starsene in piazza sotto il sole, a fumare la pipa guardando i giocatori di bocce che avevano cominciato una partita in piena regola; gli sarebbe piaciuto gironzolare per il porto, guardare i pescatori che rammendavano le reti; gli sarebbe piaciuto conoscere tutti i Galli e i Morin di cui gli aveva fatto cenno Lechat.

«Immagino che da voi, Pyke, le inchieste vengano condotte in modo molto sistematico, vero?».

«Dipende. Per un delitto avvenuto un paio d'anni fa vicino a Brighton un mio collega è rimasto undici settimane in albergo, passando le giornate a pescare con la lenza e le serate a bere birra insieme alla gente del posto».

Esattamente quello che Maigret avrebbe voluto fare e che non aveva fatto proprio a causa di Pyke! Quando entrò Lechat, il commissario era di malumore.

«Il maggiore non vuol venire» annunciò l'ispettore. «Sta lì a far niente nel suo giardino. Gli ho detto che lei lo pregava di passare in municipio, ma ha risposto che se vuole vederlo deve solo andare da lui a bere una bottiglia».

«Suo diritto».

«Chi vuole interrogare, adesso?».

«Nessuno. Mi faccia un piacere, telefoni a Hyères. All'Arche ci sarà un telefono, no? Chieda di Ginette, all'Hôtel des Palmes. Le dica da parte mia che mi farebbe piacere se venisse a far due chiacchiere con me».

«E dove la ritrovo?».

«Non so. Al porto direi».

Lui e Pyke attraversarono lentamente la piazza, seguiti dagli sguardi della gente.

Sguardi diffidenti, si sarebbe detto, ma era solo impaccio: non sapevano come abbordare il famoso Maigret. Questi, dal canto suo, si sentiva un “forestiero”, come dicono da quelle parti. Capiva però che sarebbe bastato poco perché ognuno si lasciasse andare a parlare, fin troppo magari.

«Non ha anche lei l'impressione di essere chissà dove, Pyke? Ecco, laggiù si vede la Francia a venti minuti di barca, e sono disorientato come se fossi nel cuore dell'Africa o dell'America del Sud».

Dei bambini smisero di giocare per osservarli. Erano arrivati al Grand Hôtel e stavano curiosando al porto quando furono raggiunti dall'ispettore Lechat.

«Non sono riuscito a parlarle» annunciò. «È partita».

«È rientrata a Nizza?».

«No, non credo, perché ha detto all'albergatore che sarebbe tornata domattina in tempo per la sepoltura».

 

Il molo, le piccole imbarcazioni variopinte, l'enorme yacht che ingombrava il porto, e il North Star, laggiù, vicino a una punta rocciosa, e la gente che guardava arrivare un altro battello.

«È il Cormoran» spiegò Lechat. «Sono quasi le cinque, infatti».

Un ragazzino, con sul berretto la scritta a lettere d'oro Grand Hôtel, aspettava gli eventuali clienti vicino a una carriola per il trasporto dei bagagli. Il piccolo battello bianco si avvicinava tra due baffi argentei di schiuma, e Maigret non tardò a scorgere a prua una figura di donna.

«Forse è Ginette che viene a incontrarla» disse l'ispettore. «Ormai a Hyères lo sapranno tutti che lei è qui».

Vedere le persone sul battello diventare a poco a poco più grandi, precisarsi come su una lastra sensibile, faceva un effetto curioso. Ma ancora più sconcertante fu vedere, con i lineamenti di Ginette, una donna bene in carne, molto dignitosa, tutta vestita di seta, con un trucco pesante e, si intuiva, profumata.

Del resto anche Maigret era più snello quando l'aveva conosciuta alla Brasserie des Ternes, e ora Ginette, guardandolo dal ponte del Cormoran, provava forse la sua stessa delusione.

Dovettero aiutarla a scendere. Oltre a lei, a bordo c'erano solo il capitano Baptiste, il marinaio muto e il postino. Il ragazzo col berretto gallonato fece per prenderle i bagagli.

«All'Arche de Noé!» disse lei.

Andò incontro a Maigret, poi esitò, forse a causa di Pyke, che non conosceva.

«Mi hanno detto che lei era qui. Ho pensato che avrebbe voluto parlarmi. Povero Marcel!...».

Non diceva Marcellin come gli altri. Non faceva mostra di un dolore inconsolabile.

Era diventata una persona matura, morbida e quieta, con un lieve sorriso un po'

disincantato.

«È anche lei all'Arche?».

Fu Lechat a prenderle la valigia. Lei sembrava conoscere l'isola e camminava con calma, senza fretta, da persona un po' a corto di fiato o non avvezza all'aria aperta.

«Il “Petit Var” dice che l'hanno ucciso perché ha parlato di lei. Pensa sia così?».

A tratti guardava Pyke, tra incuriosita e preoccupata.

«Parli pure davanti a lui. È un amico, un collega inglese venuto a passare qualche giorno con me».

Rivolse all'uomo di Scotland Yard un cenno di saluto da donna di mondo, e sospirò lanciando un'occhiata alla mole massiccia del commissario.

«Sono cambiato, eh?».