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Poco prima di mezzogiorno, nella confusione generale, quando Charlotte cominciava ad addormentarsi, arrivò una lettera. Mittel ne esaminò il timbro aggrottando la fronte. Dato che si stava insaponando le mani non prese la busta, ma si sforzò di riconoscere quella scrittura larga, calcata, con lettere maiuscole all’inizio di ogni parola.

Ancora preoccupato gettò un’altra occhiata verso il letto, dove la testina rossastra di un neonato sbucava appena dalle lenzuola, e finalmente aprì la busta e cominciò a leggere:

«Figliolo,

«se non hai niente di meglio da fare ti autorizzo a venire da me a Tahiti. Né tu né Charlotte avrete problemi con i passaporti, ho fatto tutto il necessario. Ho accettato un incarico come comandante di vaporetto. Nel caso tu arrivassi mentre sono via, rivolgiti al circolo anglofrancese. A parte questo, niente di nuovo.

Il tuo affezionato
Mopps»

La coincidenza era curiosa. Mittel guardò il letto, poi la lettera, turbato da quel contatto che avveniva proprio ora, dopo tanto tempo, e da una tale distanza.

Era un po’ come se attraverso quelle parole, tracciate sulla carta con mano pesante, Mopps entrasse in casa per partecipare all’evento.

«Che cosa c’è?» chiese Charlotte con la voce impastata di sonno.

«Una lettera di Mopps».

«Cosa combina?».

«Non lo so. Dice che fa il comandante di vaporetto a Tahiti».

E lei, parlando sempre come in un sogno:

«Ci sono vaporetti, a Tahiti?».

Subito dopo si riaddormentò e Mittel andò ad affacciarsi al balcone di legno, mentre la padrona di casa metteva ordine nella stanza. Quella lettera lo aveva invischiato in un groviglio di sensazioni e di pensieri, sovrapponendo l’immagine del neonato alle reminiscenze sui Mari del Sud, e ora la strada intorpidita nel sole gli sembrava triste e vuota.

Tuttavia il suo amor proprio ricevette una piccola gratificazione. In quel momento la cognata più giovane di Boitel, che aveva sì e no sedici anni e due occhi immensi, passava sul marciapiede di fronte, con il contegno della ragazza di buona famiglia che non si attarda in giro. Ma, accortasi che Mittel era alla finestra, provò il bisogno di lasciar cadere un guanto e poi chinarsi a raccoglierlo, per prolungare quella loro vicinanza.

Era diventata tutta rossa, come ogni volta che lo incontrava, e ora, allontanandosi, atteggiava il passo.

Mittel sorrise divertito. Poi pensò alle altre strade simili, al bar, all’albergo, e infine al porto...

Mopps era a Tahiti! Mittel non sarebbe riuscito a esprimere quello che provava, ma aveva la sensazione di aver finalmente realizzato l’armonia. Quando pensava al passato, rievocava quasi sempre la figura rassicurante di Mopps.

Adesso era nato qualcosa di simile a un pezzetto di futuro, un bambino che Mittel evitava di guardare, perché gli sembrava decisamente brutto.

«Sarà bruttissimo» aveva detto al dottore.

«Ma no! È come tutti i neonati».

«Ah!».

Tuttavia gli restavano dei dubbi. Anche Charlotte la pensava così e quando le era stato portato il bambino non aveva manifestato né felicità né tenerezza, ma aveva sospirato, contrariata:

«Diventerà un mostriciattolo!».

Il bimbo aveva già i capelli, fin troppi, la pelle rossastra e piena di grinze, il naso camuso.

Ora Charlotte dormiva e di tanto in tanto Mittel doveva assicurarsi che non schiacciasse il bambino o non lo spingesse fuori dal letto, non rendendosi conto di non essere più sola.

Mopps a Tahiti! In una colonia francese! Evidentemente non si parlava più del delitto di boulevard Beaumarchais, visto che Charlotte poteva andare laggiù. Sia pure sotto il nome di Gentil e con documenti falsi...

A Mittel venne in mente una cosa; andò a prendere il passaporto in una valigia e ne sfogliò le pagine, con la fronte aggrottata, ripensando, in modo più concreto, che il bambino si sarebbe chiamato Gentil... Un nome che non esisteva, che non aveva alcun legame con la realtà.

A mano a mano che questa considerazione assumeva contorni precisi, cresceva il suo turbamento, accompagnato da un grande senso di pietà per il figlio.

Egli stesso, per riuscire a dimenticare un passato torbido, aveva scelto di chiamarsi Mittel invece che Mittelhauser come il padre.

E ora suo figlio cambiava di nuovo cognome, e gli toccava tenersi quello che, per puro caso, era stato scritto su un passaporto falso.

Fino ad allora Mittel non aveva mai preso in mano il documento: lì figurava che era nato nel Giura e aveva venticinque anni, cosa che non corrispondeva al vero. Nel Giura, poi, lui non ci aveva mai messo piede!

La vecchia padrona di casa andò a preparare la colazione e la camera restò vuota, troppo vuota: non c’era nessuno che venisse a vedere il bambino e a congratularsi con la madre.

Soltanto verso l’una un collega di Mittel bussò timidamente e consegnò un pacchetto da parte di Dominico. Conteneva un sonaglietto d’argento, di quelli che si vendono nei grandi magazzini.

«È un maschietto?».

«Sì».

«Il capo ha detto che per oggi può fare a meno di venire in ufficio...».

Ma non il giorno dopo! Se, al contrario, fosse stato a Tahiti, con Mopps e forse anche con Jolet, Napo e tutti gli altri...

A Charlotte, invece, andava tutto bene. A detta del dottore aveva partorito come una donna al suo terzo o quarto figlio e si era svegliata solo per borbottare che aveva fame.

Maneggiava il piccolo con diffidente curiosità.

«Non capisco come facciano a dire che un bambino assomiglia al padre o alla madre. Questo qui non assomiglia a nessuno!... Sarebbe quello il regalo di Dominico?... Hai deciso che nome dargli?».

Non ne avevano ancora scelto uno. A Charlotte piaceva Christian, ma Mittel lo trovava troppo lezioso.

«Henri...» propose.

«Ho un fratello che si chiama così, e fa il poliziotto...».

«Charles...».

Alla fine si misero d’accordo su Charles, e quello stesso pomeriggio Mittel si recò in municipio con il passaporto per denunciare la nascita del bambino. Per strada incrociò Boitel, che però non gli rivolse la parola.

Chissà cosa mai aveva da fare, quel Boitel, tutto il giorno... Il buffo era che andava sempre di fretta, come un uomo molto impegnato. Spediva lettere e cablogrammi ovunque, aggrappandosi all’idea di recuperare una parte dell’antica ricchezza, e intanto, in quell’attesa, la famiglia tirava a campare miseramente.

Mittel non tornò subito a casa, sebbene non avesse altro da fare. Non aveva alcuna fretta di rivedere Charlotte e il bambino. Non che fosse deluso nel vero senso del termine, eppure i suoi sentimenti si erano rivelati molto diversi da come se li era immaginati.

Non aveva provato una felicità sfrenata. Aveva aiutato il medico per ore, gli aveva servito da bere, stanco, con i nervi tesi. Quando aveva visto il bambino aveva a malapena osato toccarlo per paura di fargli male.

Per senso del dovere si era sforzato di essere affettuoso con Charlotte, con il risultato che per poco lei non gli aveva chiesto che cosa gli fosse preso.

Non aveva forse pensato, in cuor suo, che quell’evento avrebbe rafforzato il loro rapporto, rendendoli una vera coppia, una vera famiglia?

E invece no! Era tutto come prima. Charlotte viveva con lui esattamente come se fosse stata sola, e dormiva nel letto con il neonato senza quasi accorgersi di lui.

Alla fine si decise a rientrare: stava per scrivere un telegramma a Mopps per dargli la notizia, ma poi rifletté sul fatto che gli sarebbe costato quasi dieci franchi per parola.

«Lo allatti già? Il dottore ha detto...».

«Che vuoi che ne sappia, il dottore? Come quando dice che non devo mangiare!».

«Hai mangiato?».

«Mi sono fatta preparare il caffellatte...».

Le ore passavano così, totalmente prive di senso, e i giorni anche. In occasione di uno dei suoi passaggi a Buenaventura Moïse esclamò:

«Che cosa le avevo detto? Si preoccupava tanto del bambino... Si ricorda come si era ridotto, laggiù nella foresta?... Le donne come la sua sembrano tanto fragili, e invece sono più forti di noi due messi insieme; ci seppellirà tutti, glielo dico io...».

Queste ultime parole lo colpirono e ora le ricordava spesso.

«Pensi al tizio che ha preso il suo posto... Lei, Jef, non faceva che lamentarsi della solitudine, della pioggia, del clima, dei topi e di chissà cos’altro... Quello, invece, se la spassa... Si è messo con la negretta, sa, quella che... Gli tiene la casa... È già incinta, naturalmente, ma uno di questi giorni lui se ne prenderà un’altra... Quanto ai topi, poco ci manca che se li mangi... Quello sì che è un uomo come dico io!».

Ma certo! Mittel avrebbe tanto voluto assomigliargli, ma non era colpa sua se era sempre tormentato da dubbi e pensieri che poi si trasformavano in angosce...

Anche adesso era così. Dopo aver letto la lettera di Mopps, guardava la città e il fiume con occhi diversi. Si chiedeva come avesse potuto vivere in quel posto per mesi e non essere torturato dal desiderio di fuggire.

Senza dire niente a nessuno, nemmeno a Charlotte, aveva fatto dei calcoli servendosi dei tariffari delle compagnie di navigazione. Il viaggio fino a Panama in seconda classe costava seicento franchi a persona. Poi c’era da pagare, e molto caro, il biglietto per la nave francese che copriva la tratta da Panama a Tahiti. Era pur vero che la traversata durava quindici giorni, ma duemila franchi a testa erano davvero tanti!

In totale il viaggio veniva a costare settemila franchi! E anche se avessero avuto tutto quel denaro, la faccenda sarebbe andata per le lunghe. Da Buenaventura la nave per Panama salpava solo una volta al mese; e là, se non si arrivava in tempo per la coincidenza con il postale francese, si rischiava di dover aspettare altre sei settimane!

Mittel aveva sempre l’impressione di trovarsi davanti una strada sbarrata dal filo spinato.

Aveva fatto altri calcoli. Se avessero ridotto ulteriormente le spese, pranzando al ristorante una sola volta al giorno nonostante il divieto della padrona di casa di cucinare in camera – nessuno poteva impedire loro di mangiare cibi freddi! –, lui sarebbe riuscito a mettere da parte circa centocinquanta franchi al mese, a patto che il bambino non si fosse mai ammalato costringendoli a spendere soldi in medicine e cure mediche.

Settemila diviso centocinquanta...

Quarantasei mesi! Ben più di tre anni...

Senza contare l’ultima lettera di sua madre in cui parlava ancora di Nizza, lasciando intendere che, se avesse ottenuto il posto per il quale aveva fatto domanda, avrebbe avuto bisogno di denaro per il viaggio e per trovarsi una sistemazione laggiù!

Dominico non si curava di lui. Mittel era diventato un ingranaggio qualsiasi delle sue attività. Per caso un giorno, riordinando gli schedari, aveva trovato qualche accenno alle famose armi con cui aveva viaggiato da Fécamp in poi.

Ripescate dal piccolo cutter, all’insaputa di tutti erano rimaste a lungo al porto, stivate in un vecchio peschereccio mezzo marcio. Poi erano state inviate a dorso di mulo in Perù, dove Dominico le aveva vendute sebbene il Perù fosse un paese che un domani poteva entrare in guerra con la Colombia.

Se si seguivano le tracce di queste mitragliatrici si scopriva l’aspetto più singolare della faccenda, e cioè che il Perù non le aveva pagate in denaro, ma con il credito che aveva presso una ditta di esportazioni di Le Havre.

Con quella somma Dominico aveva acquistato una partita di profumi, che sarebbe arrivata con la prossima nave...

Inaspettatamente, Mittel si trovò davanti il nome di Boitel. Questi aveva infatti ottenuto dal governo colombiano l’esclusiva per la produzione di profumi, belletti e ciprie. Ed era appunto per impedire che i profumi di Dominico venissero sbarcati che ora Boitel si affannava tanto.

I due – ciascuno per proprio conto – si recavano a Bogotá, incontravano deputati, ministri e funzionari, accusandosi a vicenda delle peggiori malefatte.

Nel frattempo Charlotte era di nuovo in piedi e pretendeva una bambinaia.

«Non posso star dietro al bambino tutto il giorno...».

Sentirlo piangere per ore non la infastidiva, e non voleva che Mittel si alzasse la notte.

«Non deve prendere cattive abitudini...».

Mittel si era immaginato che una madre fosse diversa. Charlotte se la cavava piuttosto bene a lavare e a fasciare il piccolo, ma poi, quando aveva voglia di andare a passeggio, non ci pensava due volte a consegnarlo alla padrona di casa. Aveva fatto amicizia con le proprietarie di una merceria, due meticce dalla carnagione quasi bianca, due ragazze grassocce e sempre allegre che nel pomeriggio sbevazzavano e mangiavano pasticcini nel retrobottega.

Charlotte andava a trovarle sempre più spesso, e a Mittel non piaceva molto sentire che il suo alito poi sapeva di alcol.

«Ricordati che devi allattare il piccolo».

«E allora? Ti sembro ubriaca? Di latte ne ho abbastanza, mi pare...».

In effetti avrebbe potuto allattarne due, di bambini, e ne era fiera; e anche in pubblico si apriva volentieri la camicetta per dare il seno al bambino.

«Le signorine Calero mi hanno trovato una bambinaia. Viene domani...».

Perché no, in fin dei conti? Certo, i soldi per pagare la bambinaia dovevano saltare fuori dai centocinquanta franchi di risparmi mensili. Ma aveva senso mettere da parte quel denaro? Quasi quattro anni di sacrifici solo per pagarsi il viaggio a Tahiti!

Mittel ingrassava. Era sempre stato piuttosto magro, e aveva un’ossatura fragile. Ma ora che stava seduto tutto il giorno, e con un clima così pesante, uno strato di grasso cominciò a deformargli il viso, e non era certo un segno di buona salute.

D’altra parte anche Charlotte era aumentata di peso, ma con risultati più armoniosi.

«Dovresti chiedergli un aumento, al tuo Dominico... Aspetta solo che mi senta un po’ meglio e poi vedrai se non ci vado io, a parlare con lui! Non ho più niente da mettermi... Le Calero mi fanno credito, ma non ho ancora avuto il coraggio di approfittarne... Mi lasceresti comprare un vestitino di seta?».

Ogni quindici giorni salpava un piroscafo, diretto ora a nord, ora a sud. Di tanto in tanto arrivava qualche piccolo cargo, che risaliva la costa dal Cile a Panama...

Mittel continuava a pensare a Tahiti...

«Ho accettato un incarico come comandante di vaporetto...».

Ma che cosa voleva dire esattamente, Mopps, con quelle parole? Pur nella sua laconicità, a Mittel la lettera dava una sensazione di sconforto. Pareva quasi una richiesta d’aiuto.

«Caro comandante,

«il giorno in cui è arrivata la sua lettera Charlotte ha messo al mondo nostro figlio. È un maschio. Adesso stiamo a Buenaventura, dove io lavoro nell’ufficio di Dominico, perché la foresta non faceva per noi.

«Purtroppo, credo che ci vorrà un bel po’ prima che possiamo raggiungerla a Tahiti. Nel frattempo le mandiamo, Charlotte e io, i nostri più cari saluti».

Per quanto riguardava il bambino, Mittel aveva cercato di fare dei calcoli, ma quando gli aveva chiesto se il parto era avvenuto a termine o era stato prematuro il medico non aveva risposto, o meglio, aveva dato risposte evasive.

La questione restava ancora dubbia. Mittel ci pensava spesso. Ma anche in questo caso i suoi sentimenti erano diversi da quelli che si sarebbe aspettato...

Non riusciva a essere geloso! Era una cosa strana, e lui stesso ne era stupito. La sola idea che Charlotte trascorresse i suoi pomeriggi dalle Calero a bere benedictine di contrabbando lo faceva infuriare, ma se pensava che il padre del bambino poteva essere Mopps e che lui non avrebbe mai saputo la verità provava appena un po’ di malinconia.

Nonostante questo, se fosse stato costretto a scegliere fra Charlotte e il bambino, avrebbe scelto il bambino...

Lei no! A un certo punto aveva accennato alla possibilità di metterlo a balia. Guardava la bambinaia, nera come l’inchiostro, fargli le moine e non gliene importava nulla, mentre Mittel ne era disgustato.

«Basta che sia pulita! Le controllo io stessa le mani due volte al giorno...».

Come se la passava Mopps a Tahiti? Di che vaporetto parlava? Forse un vapore che faceva servizio tra le isole?

Ma che ne era stato del cargo? E dell’equipaggio?

«Ho accettato un incarico...».

Dunque la sua spedizione era fallita e Mopps era stato costretto a prendere la prima cosa che gli offrivano! Quando aveva spiegato a Mittel quello che succede agli uomini che si attaccano a un’indigena fino ad assumerne lo stile di vita, il comandante si riferiva proprio a Tahiti. Gli era forse capitato questo? Magari ora conviveva con una tahitiana inghirlandata di fiori bianchi...

L’essenziale era conservare il sangue freddo. L’esperienza della foresta aveva insegnato a Mittel che, non appena avesse intravisto una possibilità di fuga, sarebbe entrato nel panico e non avrebbe più avuto un attimo di quiete.

Si sforzava di mantenere la calma, di guardare la cittadina come il luogo in cui sarebbe vissuto per sempre. Aveva anche fatto dei progressi con lo spagnolo. Cercava di capire l’esatto funzionamento degli affari di Dominico e fu lì lì per recarsi a Bogotá, cosa che lo avrebbe distratto per qualche giorno.

Come alla miniera il suo nemico era il fiume. Quando lo guardava – e l’aveva sotto gli occhi tutto il giorno! –, quando osservava la corrente scorrere verso il mare, gli veniva in mente il Croix de Vie che, quella domenica mattina, scivolava verso il Pacifico.

Ogni volta che vedeva una nave provava la stessa fitta al cuore, la stessa malinconia, che poi gli restava dentro per giorni e giorni, al punto che evitava di andare a mangiare a bordo dei Santa, come chiamavano i piroscafi misti della Grace Line.

Ce l’aveva con se stesso e si chiedeva con terrore se non si trattasse di una specie di fissazione. Già a Parigi, quando era adolescente, rimaneva ore intere sul lunghissimo ponte che scavalca la ferrovia poco più su della Gare du Nord a guardare i binari appoggiato al parapetto...

Passavano soprattutto treni corti e veloci, con i vagoni bluastri, le grandi carrozze pullman, alla cui sola vista provava quella medesima fitta al cuore.

Eppure non andavano lontano: Bruxelles, Anversa, Amsterdam...

Ma per lui anche il solo nome di Amsterdam era una poesia! A volte, quando i vagoni erano illuminati, nella carrozza ristorante si vedevano i viaggiatori che si accingevano a cenare ai loro tavolini ornati di piccole lampade con il paralume rosa...

A bordo delle navi della Grace Line c’erano le stesse lampade...

Nella sua mente affioravano anche i ricordi del Midi. Aveva vissuto a Nizza, facendo prima il fotografo, poi l’impiegato presso un’agenzia immobiliare. Eppure ne era fuggito.

Era sempre stato in fuga da qualcosa, e così scoraggiava i vecchi amici di suo padre che si davano tanto da fare per cercargli un impiego. Ogni volta aveva l’impressione che la sua vita non fosse là dove si trovava, ma altrove, più lontano...

E ora gli pareva che fosse dall’altra parte dell’oceano, a Tahiti, accanto a Mopps...

Questa nostalgia diventava ogni giorno più lancinante, e gli accadde di rifare i suoi calcoli, per accertarsi di non aver commesso errori.

Fece di più. Si chiese come avrebbe potuto procurarsi i settemila franchi necessari. C’era sempre del denaro nella cassaforte, e lui adesso aveva la chiave, poiché era diventato capocontabile.

Ma non avrebbe fatto nemmeno in tempo a salire su una nave che il furto sarebbe già stato scoperto. Le navi erano dotate di radiotelegrafo, cosicché lo avrebbero arrestato non appena avesse messo piede a Panama...

Più ancora di questo disegno velleitario lo fece arrossire un altro pensiero. Se, allorché era arrivato a Buenaventura, si fosse dimostrato più accorto a proposito della storia di Plumier, avrebbe potuto dire:

«Do ut des! Farò la deposizione che mi chiedete, ma in cambio voglio per me e mia moglie il denaro per andare a Tahiti...».

Loro avrebbero accettato! Solo adesso lo capiva. In effetti si poteva dire che li aveva avuti in pugno. E invece aveva mentito senza contropartita. Aveva mentito per codardia, perché temeva che lo rispedissero alla miniera. Aveva mentito perché sentiva che Dominico era potente e lui non aveva la forza di combattere...

Non passava giorno senza che ci pensasse. Gli capitava la sera, prima di addormentarsi sullo stretto divano verde, poiché da quando c’era il bambino non dormiva più con Charlotte. Non era mai abbastanza stanco da addormentarsi subito. E automaticamente provava lo stesso disagio ripensando all’appartamento dei Boitel e alla sua famiglia, alle tre giovani donne vestite di azzurro, rosa e violetto, alle tazze di tè, alla figura caricaturale di Gérard de Villers, che nel frattempo si era ammalato e non si faceva più vedere in giro...

Solo un altro ricordo emergeva dal suo passato con tanta insistenza, ma era un ricordo felice, che lui si sforzava di riportare a galla: l’appartamento di avenue Hoche, una domenica pomeriggio... La cucina chiara, il frigorifero... Poi il salotto, la camera da letto, i cocktail e la risata di Mrs White...

L’unica gioia gratuita, imprevista, insperata che la vita gli avesse regalato!

A bordo delle navi della Grace Line di tanto in tanto si incontravano donne di quel genere, che Mittel guardava sempre con attonita ammirazione, come fossero state capricci della natura.

Perché erano giovani, ricche, belle! Nessuna delle miserie umane sembrava poterle toccare. Vivevano in un’atmosfera di allegria e di lusso, di totale assenza di preoccupazioni, e guardavano con stupore le creature ordinarie che si agitavano attorno a loro.

Era proprio così! Mrs White era stata intrigata da quel giovanotto che viveva, ignorato da tutti, in una stanza della servitù in uno degli edifici più lussuosi di Parigi.

E anche adesso quelle donne provavano lo stesso incuriosito stupore quando Mittel saliva a bordo per sbrigare le formalità di rito.

«Davvero lei è francese?... Parigi? È incredibile...».

Forse, in un paio di occasioni, avrebbe potuto avere un’altra avventura come quella. Perché erano donne che vivevano fuori dalle regole, seguendo solo le loro voglie. In realtà una volta aveva visto su un giornale la fotografia di una donna stupenda, che somigliava un po’ a Mrs White.

«... una delle signore più note dell’alta società americana, che è stata trovata uccisa da un colpo di rivoltella, dopo una notte di orge...».

Aveva ventidue anni! Il fatto era accaduto in uno sfarzoso palazzo di Fifth Avenue, dove erano riuniti una decina di invitati.

Costoro dissero poi di non saperne niente perché, sostenevano, erano troppo ubriachi per potersi accorgere di qualcosa...

Mittel tornava a casa e a occuparsi del piccolo trovava la negretta. A volte doveva aspettare Charlotte a lungo.

«Le ragazze mi hanno insegnato dei giochi a carte fantastici. Oggi ho vinto cinque pesos...».

L’appartamento era male illuminato, tappezzato di vecchi tessuti tristi e poco puliti; ma la padrona di casa, sempre vestita a lutto, e la figlia strabica erano ancora più tristi.

Un’altra innamorata, chissà perché! La ragazza cercava continuamente di incontrarlo, per poi arrossire e scusarsene.

Mittel teneva sempre in tasca la lettera di Mopps, ma una sera la stracciò, perché era meglio non pensarci più. Addirittura meglio sarebbe stato smettere di pensare.

Si erano perfino abituati alla cucina locale... La stagione delle piogge era finita. Il sole splendeva tutto il giorno. Era così rovente che a mezzogiorno era quasi pericoloso attraversare la città!

Charles aveva due mesi... Mittel non riusciva a chiamarlo Charles, perché per lui quell’esserino non aveva ancora un nome.

La sera si sedeva accanto a lui. Lo guardava e si chiedeva perché le cose non erano andate diversamente. A Mittel l’idea della famiglia evocava una bella culla ornata di nastri annodati, una giovane donna commossa e sorridente e un ceppo acceso in un camino sullo sfondo.

Qui invece ronzava il ventilatore. Non avevano comprato una culla, perché di giorno il piccolo dormiva in una specie di amaca di tela appesa al soffitto. La bambinaia aveva la mania di spingere l’amaca a tutta forza non appena le voltavano le spalle. E Mittel aveva sentito dire che non faceva bene al cervello del neonato...

Non potendo procurarsi libri interessanti aveva smesso di leggere, sfogliava solo i giornali colombiani che parlavano sempre di caffè, di cacao, delle frontiere del Perù e della possibilità di una rivoluzione.

E tutto perché gli mancavano un po’ più di settemila franchi! Un giorno decise di scrivere al più caro amico di suo padre, il direttore di un settimanale.

«Le prometto che restituirò tutto a centocinquanta franchi al mese... È solo un prestito, glielo giuro...».

Non badò a spese e spedì la lettera per via aerea, perché la risposta potesse arrivare entro un mese. Per un attimo pensò che l’amico avrebbe anche potuto rispondere con un cablogramma, accompagnato da un vaglia telegrafico.

Contò i giorni, credette di essersi sbagliato, ma nel frattempo giunse invece una lettera di sua madre che diceva:

«... B. mi ha telefonato dopo aver ricevuto tue notizie. Sostiene che è ridicolo mettere al mondo un bambino alla tua età e nella tua situazione. Secondo lui di pensieri ne avevi già abbastanza anche prima. E per finire mi ha detto che gli sei sembrato nervoso e probabilmente non ti rendi conto che a Parigi la vita è molto più difficile di quella che fai laggiù...

«Forse ha ragione. Qui ci sono un mucchio di giovani senza lavoro... Io stessa non sono riuscita a trasferirmi a Nizza e sono condannata a vivere in una gabbia senza aria, a respirare il tanfo delle linotype che tutte le sere mi fa venire la tosse...

«Qui in Europa la situazione è tesa e...».

Quel giorno, in solitudine, Mittel pianse non di tristezza, ma di rabbia. L’indomani accadde un fatto che portò un po’ di animazione nella vita di Buenaventura. Uno yacht bianco, grande quasi quanto le navi della Grace Line, rimase all’ancora in mezzo al fiume fino a mezzogiorno, poi entrò in porto.

A bordo salì Dominico in persona, perché il proprietario, soprannominato il Re dell’Abbigliamento, era uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti.

Mittel stava in quello che chiamava il suo acquario, lassù, al quarto piano dell’albergo, intento a battere a macchina lettere in spagnolo e in inglese.

Anche Moïse, che per caso si trovava in città, salì a bordo dello yacht e al ritorno raccontò:

«Vengono dalle Galápagos. Hanno fatto scalo qui per rifornirsi di nafta. Poi vanno dritti a Tahiti, e quindi in Giappone...».

A parte qualche ufficiale e un gruppetto di marinai, a terra non scese nessuno.

«Sono sbronzi fradici» proseguì Moïse divertito. «Fanno proprio ridere... Tre vecchietti... Winfeld, il proprietario, è un ebreo polacco che ha fatto fortuna a Chicago... È la sua prima crociera... Invece di invitare qualche bella ragazza, si è portato altri due ebrei suoi coetanei, e insieme passano tutto il tempo nel salone, a scolarsi bottiglie di champagne... Quando sono arrivati in vista delle Galápagos hanno deciso che non c’era niente di interessante da vedere e hanno dato ordine di non gettare l’ancora...».

Tutta la città era sul molo ad ammirare lo yacht bianco.

«Ripartono domani con la marea... E sapete cosa ha detto Winfeld al capo?... “Se prosciugassero il Pacifico potrebbero ricostruire la nostra rotta dalle bottiglie di champagne che abbiamo lasciato sul fondo...”. Hanno fatto venire dalla Germania un ex ufficiale di sommergibili, uno dei massimi esperti di motori diesel... Ci sono sessanta uomini di equipaggio...».

Mittel voltò la testa da un’altra parte. Gli tornarono in mente la caldaia, il locale destinato all’equipaggio con la sua piccola stufa, le sieste sul ponte una volta passati i tropici.

Quando fece ritorno a casa Charlotte lo guardò stupita:

«Ma che cos’hai? Non avrai mica bevuto, per caso?...».

Mittel accennò un sorriso ambiguo. No, non aveva bevuto! Ma annunciò:

«Stasera devo uscire... Ti spiegherò poi...».

Non fu capace di mandar giù nemmeno un boccone.