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La lluvia... Llueve... El viento...
Ormai Mittel riusciva bene o male a farsi capire in spagnolo, ma c’erano delle parole che pronunciava solo a malincuore: erano le prime che aveva udito quando aveva messo piede in Colombia, e che da allora aveva sentito di continuo:
«La pioggia... Piove... Il vento...».
Perché furono pronunciate quelle parole? Da cinque giorni navigavano sulle piroghe. Il tempo era bello. Mittel e Charlotte sonnecchiavano nella stessa imbarcazione, vicino alla quale scivolava la piroga di Moïse. Il vecchio disse:
«Dame mi fusil!».
Dammi il fucile!... Il colpo partì subito. Mittel si girò e a meno di trenta metri vide un coccodrillo che si dibatteva sulla riva.
Echeggiò un secondo colpo e la bestia si immobilizzò, mentre un negro saltava in acqua lanciando un urlo di gioia.
Perché? Per quale motivo sparare all’animale? Perché nuotare fino al suo cadavere? Ogni qualvolta udiva uno sparo Mittel provava una sensazione di fastidio. Seguì il negro con lo sguardo. Moïse ricaricò il fucile.
Il dramma non durò più di una decina di secondi. Il nuotatore si fermò all’improvviso, si agitò nell’acqua, scomparve, tornò a galla per un istante con la bocca spalancata, poi affondò definitivamente.
«Ce n’erano due!» osservò Moïse.
Due coccodrilli, uno sulla riva, l’altro nel fiume.
Mittel non aprì bocca. Parlava sempre meno, ma in lui c’era una tempesta di pensieri e di sentimenti.
L’arrivo dell’uomo che doveva sostituirlo lo aveva molto turbato. Si trattava di un ragazzo non particolarmente robusto e ancora giovane. Ma nonostante ciò, appena raggiunta la sponda con un balzo, aveva dato l’impressione di prendere possesso del paesaggio.
Senza un attimo di esitazione era entrato nella baracca, aveva stretto le mani a tutti e con un primo sguardo aveva già fatto l’inventario della stanza. La seconda occhiata era stata per la pancia di Charlotte, alla quale aveva detto:
«Capisco perché ve ne andate».
Di sicuro non concepiva che si potesse andar via per una ragione diversa. L’arredamento non gli creò problemi. Gli era bastata un’ora per sistemare la baracca a modo suo, piazzando la roba che si era portato nelle piroghe.
«Topi ce ne sono molti?».
Nemmeno di questo si era stupito; anzi era passato subito all’azione, disponendo le trappole nei posti giusti. Al suo primo contatto con gli indigeni, ne aveva presi un paio a calci nel didietro, svogliatamente, tanto per mettere subito in chiaro chi comandava.
Ora era laggiù, da solo, e ci sarebbe rimasto per mesi, forse per anni! E Mittel era pure convinto che se la sarebbe cavata benissimo!
Come aveva fatto Charlotte, d’altronde, che nel suo stato, con un clima simile, in assenza di cure e di igiene, avrebbe dovuto, secondo ogni logica, soccombere al tifo. E invece adesso, a guardarla, non sembrava nemmeno più che fosse stata tanto malata. Navigavano dodici ore al giorno, dormivano in una piccola tenda, sulla riva del fiume, dopo aver mangiato poco e male, eppure lei continuava a migliorare.
«Poveraccio» aveva mormorato, dopo la morte del negro.
Mittel, invece, ci stava male. Ma sbagliava. Si ricordò di Jolet, che non era certo un mostro, e che una volta, a bordo del cargo, gli aveva detto con la massima calma:
«In ogni traversata importante c’è sempre da mettere in conto un incidente grave o un morto... Un tubo che scoppia nella caldaia. Oppure, più spesso, un uomo che dal ponte precipita nella stiva, durante le operazioni di carico o scarico... Un braccio che si impiglia nell’argano... Ma certi viaggi nascono sotto una cattiva stella, e i disastri cominciano subito...».
Moïse era un uomo che non era mai stato toccato da problemi come questi. Era straordinariamente organizzato, soprattutto per quel che riguardava il bere.
Fin dal mattino si versava una razione di whisky nel caffè e alle dieci precise, senza bisogno di consultare l’orologio, trangugiava il primo bicchiere di whisky liscio.
A pranzo era già arrivato al terzo bicchiere, ma ancora non faceva una piega. Anzi, era il suo momento migliore. Era di buonumore, chiacchierava volentieri.
Dopo mangiato sonnecchiava disteso nella piroga per un paio d’ore, e al risveglio il suo primo gesto era quello di stappare la bottiglia.
Solo a partire da quel momento cominciava un po’ alla volta ad avere gli occhi dilatati e lo sguardo inebetito, trattava gli indigeni con brutalità, era aggressivo e la sua voce assumeva un tono minaccioso.
Dopo cena si alzava in piedi a fatica, malfermo sulle gambe, e si buttava brontolando sotto la tenda, ma la mattina dopo della sbornia non vi era più traccia.
Non era un po’ come Mopps? Moïse poteva discorrere di vita o di morte con la stessa indifferenza.
«Mi ricordo di averne aiutata una a partorire...» raccontava il vecchio, parlando della sua terza o quarta moglie!
Fra le tante, qualcuna era anche morta. Da altre aveva divorziato, e ora non si preoccupava certo di sapere che fine avessero fatto.
«Ha ragione lui» pensava a volte Mittel.
Ma poi si irrigidiva e rinnegava quella conclusione, che lo faceva star male.
La sera della morte del negro era più ansioso del solito e Charlotte, distesa accanto a lui sotto la tenda, si accorse che non riusciva a prender sonno.
«Problemi di digestione?» bisbigliò nell’oscurità.
Mittel fu sul punto di rispondere con un tremendo gioco di parole, perché in effetti quello che non gli andava giù era il negro. Ma anziché tenere per sé i suoi pensieri, come avrebbe voluto essere capace di fare, provò un gran bisogno di confidarsi.
«Non credi che ci sia una specie di fatalità?» mormorò con gli occhi spalancati nel buio.
«Cioè?».
«Dopo Martin!... Plumier si è ammazzato... E poco fa l’indigeno...».
«Non vedo il nesso».
«E se invece ci fosse? Se fosse vero che sangue chiama sangue? No, tu non puoi capire... Dormi...».
A Charlotte bastarono cinque minuti per addormentarsi come un bambino! Quel discorso non l’aveva affatto turbata.
Era un’idea un po’ campata in aria, certo, ma perché non poteva avere un fondamento? Mittel sentiva che poteva davvero esserci un legame fra la morte di Martin nell’appartamento di boulevard Beaumarchais e le tragedie che stavano vivendo...
Il primo della serie era stato Martin. Poi era toccato a Plumier. E adesso al negro, che nuotava trionfante verso il cadavere del coccodrillo...
Mentre proprio Charlotte, che aveva ucciso il grossista delle Halles, godeva di una specie di immunità! Aveva preso una malattia gravissima e l’aveva scampata! Mittel era praticamente certo, adesso, che avrebbe partorito senza difficoltà, quasi senza soffrire... E che nella vita sarebbe sempre riuscita a cavarsela!...
Ai loro piedi il fiume sciabordava. Moïse russava nella tenda accanto. Di tanto in tanto Mittel si schiacciava una zanzara sulla guancia, mentre Charlotte borbottava nel sonno.
Fin dal suo primo soggiorno a Buenaventura, Mittel avrebbe giurato che in quella città di case di legno si annidasse soltanto gentaglia sordida, i negri e i meticci che si vedevano vagabondare per le stradine scoscese.
Ma ecco che ora, a poco a poco, gli si rivelava un mondo insospettato. Sulla costa del Pacifico la stagione delle piogge era finita e ogni giorno splendeva il sole. Ma era un sole opprimente, che non brillava, un sole senza allegria.
Dominico aveva un colorito giallastro: doveva soffrire di fegato e spesso, mentre parlava, faceva smorfie di dolore.
«Moïse mi ha spiegato...» disse a Mittel quando questi andò a trovarlo nel suo ufficio, al quarto piano dell’albergo. «È una bella seccatura, che ci costerà parecchi soldi. D’ora in poi, niente più donne, alla miniera. Tra poco andremo alla polizia...».
La Centrale distava appena trecento metri da lì, ma salirono ugualmente sul macchinone americano di Dominico, che stazionava quasi tutto il giorno davanti all’albergo.
La sede del commissariato era un edificio di legno, non più grande né più pulito degli altri. Al pianterreno sonnecchiavano quattro o cinque agenti indigeni, che non si scomposero quando Dominico cominciò a salire le scale, seguito a ruota da Moïse e Mittel.
Arrivarono a un pianerottolo, dove, su uno sgabello da scultore, troneggiava una piccola palma in un vaso di ceramica giallo e blu. Su un tavolino coperto di centrini erano schierati dei soprammobili di porcellana e di vetro filato, simili a quelli che si vendono nelle fiere.
Un domestico indigeno in maniche di camicia, con il colletto sbottonato, introdusse svogliatamente i visitatori, li abbandonò nel corridoio e andò a bussare a una porta, mentre i rumori provenienti dalla cucina lasciavano indovinare la presenza di una negra intenta a lavare le stoviglie.
Tende, tappeti a fiori, ricami, fotografie incorniciate, altre foto sopra un pianoforte... Un ambiente da piccola borghesia ottocentesca, ma con qualcosa di più sporco, di più precario.
Come nella maggior parte delle case colombiane, le pareti non arrivavano fino al soffitto, ma erano semplici tramezzi di legno; si poteva sentire distintamente uno che si stava lavando i denti o camminava su e giù a piedi nudi...
«Sono tutto per te, Dominico!».
Il capo della polizia, che aveva un occhio di vetro, fece la sua comparsa in un pigiama stazzonato e a mo’ di colazione si accese la prima sigaretta della giornata.
«Accomodatevi, signori. Mia moglie è a Lima, per la fiera, e così c’è un po’ di disordine...».
«Sono qui per quello che sai. Questo giovanotto, che si chiama...».
Ebbe un’esitazione. Mittel mormorò:
«Gentil!».
«Sì, appunto... Gentil...».
Il capo della polizia gli fece l’occhiolino per dimostrare che era al corrente della vera identità del francese.
«... Può testimoniare che Plumier si è proprio suicidato...».
«Si è suicidato» confermò Mittel.
«Lo ha visto con i suoi occhi?».
«Be’, non direttamente, ma...».
«E non potrebbe dire invece che l’ha visto? Per lei, non cambia nulla. Mentre per l’inchiesta...».
Era il capo della polizia in persona a chiedergli di testimoniare il falso!
«Non lo pensi anche tu, Dominico? Oppure, potrebbero dichiarare tutti e due di aver sentito lo sparo... È plausibile...».
Dominico sorrideva, guardando Moïse e Mittel.
«Credo anch’io che sia la cosa migliore da fare. Si sta già sollevando un polverone... Boitel minaccia di chiedere la riesumazione della salma...».
A quel punto cambiarono argomento e parlarono di gente che Mittel non conosceva. Mezz’ora dopo lasciarono l’appartamento.
«Ecco fatto. Dunque siamo d’accordo. Quando il giudice vi convocherà, direte che avete sentito lo sparo... Sia gentile, Moïse, gli trovi una sistemazione».
Dominico li scaricò nella città di legno, dove Moïse conosceva tutti. Naturalmente la prima tappa fu il bar, dove il vecchio ordinò un whisky e interpellò il negro che era dietro il bancone:
«Sai dove possiamo trovare una stanza?».
L’altro rifletté un momento, andò a parlare con alcune persone in un angolo e tornò con un indirizzo. A mezzogiorno la questione dell’alloggio era risolta.
Al pianterreno dello stabile c’era un negozio di alimentari gestito da italiani. Il primo piano, che ricordava l’appartamento del capo della polizia, ma era più angusto, era abitato da una vecchia colombiana e da sua figlia. Il padre era morto qualche mese prima e così le due donne affittavano la stanza più grande, completamente ammobiliata, compresi i ritratti di famiglia, che non intendevano staccare dalle pareti.
«Noi qui vogliamo solo gente tranquilla, seria» ripeté più volte la vecchia, una donna piuttosto triste, capace di lamentarsi per ore e ore senza motivo.
«Vado a prendere tua moglie e la porto qua» propose Moïse.
Allora Mittel, che non aveva niente da fare, si mise a gironzolare per le strade, che somigliavano un po’ a quelle italiane, nel senso che la vita degli abitanti si svolgeva interamente all’aperto. Poté così rendersi conto che quelle case non erano abitate soltanto da negri. Qua e là, sulle porte, c’erano targhette di ottone che annunciavano: «medico» o «avvocato» o «dentista».
Passando davanti al bar, che era un po’ il centro della città, ebbe l’impressione che qualcuno si alzasse e cominciasse a seguirlo. Aveva percorso non più di un centinaio di metri nella direzione del fiume, quando un uomo gli si affiancò e in un francese privo di inflessioni gli disse a bassa voce:
«Faccia finta di niente e giri a destra... Le devo parlare...».
Sulla destra partiva una stradina deserta, le cui ultime case erano costruite su palafitte direttamente nel fiume. Fu lì che lo sconosciuto raggiunse di nuovo Mittel.
«Lei è francese, vero? Anch’io. Le avranno già parlato di me...».
«Come si chiama?».
«Boitel... Julien Boitel... Volevo avvertirla... Quella gente le ha messo addosso le grinfie e farà di tutto per ingannarla...».
Faceva uno strano effetto sentir parlare francese con leggero accento meridionale. L’interlocutore di Mittel era giovane, indossava un completo grigio di tela leggera piuttosto elegante e calzava scarpe alla moda. Mentre parlava continuava a guardarsi attorno nervosamente.
«Fra un po’ capirà perché è meglio che non ci vedano insieme... Ma intanto mi dica... Plumier non si è suicidato, vero?».
Sconcertato, Mittel non sapeva che dire.
«Ma...».
«Con me può essere sincero! Ora le dirò chi sono. Era a me che Plumier spediva i suoi documenti... L’amico fidato di cui sicuramente le avrà parlato sono io. Lei non mi conosce ancora. E non conosce nulla del posto in cui si trova. Per questo ci tenevo ad avvertirla. Dominico e la sua banda tenteranno di tirarla dalla loro parte! Una manica di farabutti assassini! Che però, siccome possono pagarsi le elezioni, la fanno da padroni...».
In effetti, quella mattina stessa il capo della polizia non aveva forse suggerito a Mittel di testimoniare il falso?
«Ho sposato una colombiana. La miniera dove lei ha lavorato, signore, apparteneva alla famiglia di mia moglie. Sarebbe troppo lungo spiegarle in che modo Dominico se ne è impadronito... Ma io avrò la prova che ha fatto assassinare Plumier, e molti altri ancora. Cosa è successo veramente laggiù? C’era anche Moïse, non è vero?».
«Sì».
Mittel se ne pentì subito. Con gli occhi che gli brillavano, Boitel gridò:
«Ma certo! È quello a cui fanno fare i lavori sporchi, il loro killer, come dicono in America. Dove dormiva?».
«Da me».
«Ed è mai uscito, quella notte?».
«Non lo so».
Un altro errore! Mittel si sarebbe morso la lingua, ma era stato più forte di lui.
«È uscito senz’altro! E scommetto che ha fatto in modo che a scoprire il corpo fosse uno dei suoi... È così?».
«Sì, è così!».
«Lo vede? E nella stessa maniera è saltato fuori anche il sacchetto d’oro...».
Spaventato, Mittel si passò la mano sulla fronte. Come facevano a Buenaventura a essere già a conoscenza di quei dettagli?
«So pure che durante il viaggio c’è stato un incidente... Moïse ha costretto un negro a gettarsi nel fiume...».
«No!».
Boitel stava esagerando! Moïse non aveva affatto ordinato al negro di tuffarsi. Anzi, era accaduto il contrario, e Mittel ricordava ancora l’urlo di gioia del negro non appena aveva visto che il coccodrillo era stato colpito.
«Si è gettato lui in acqua...».
«Lei è proprio un ingenuo! Mi ascolti. Bisogna che mi spieghi meglio. Siamo entrambi francesi e dobbiamo aiutarci. Lei non mi conosce, è vero, ma può chiedere di me al console francese e a chiunque non appartenga alla banda... Ecco, guardi! Ha mai sentito parlare dei Villers d’Avon, una grande famiglia del Berry? Il conte di Villers d’Avon si trova qui in città e le dirà se può fidarsi di me...».
Mittel aveva fretta di andarsene, voleva riflettere. Boitel sembrava sincero, ma nello stesso tempo spaventava per la sua foga, per la concitazione che metteva nei gesti, nelle parole.
«Dove alloggia?».
«Là in fondo, nella seconda strada a sinistra, da una vecchia signora in lutto e sua figlia...».
«Le conosco. E sarà meglio che io da loro non metta piede. Verrà lei da me stasera, dopo cena... Troverà facilmente la mia casa... È là... Aspetti... Partendo da dove sta lei, è la decima via a destra... Quando arriva, bussi alla porta con dei colpetti leggeri...».
Era ancora tesissimo, aveva gli occhi febbrili, lo sguardo inquieto.
«Le farò vedere le lettere di Plumier... Capirà tutto...».
Mittel preferì non parlarne con Charlotte; la trovò nella camera, dove stava mettendo un po’ d’ordine. Moïse era con lei. Avevano già portato tutti i bagagli. Si sentiva la vecchia andare avanti e indietro nel corridoio, sicuramente per tenere d’occhio i nuovi inquilini. Si era raccomandata soprattutto di non piantare chiodi e di non cucinare in stanza.
«Ho delle novità» annunciò Moïse. «Domattina avremo l’audizione dal giudice. È un amico! Per mangiare, potete scegliere fra il ristorante dell’albergo, che è caro, e il bar che si trova a cento metri da qui, dove non si mangia male. Se ci andate tutti i giorni vi faranno anche lo sconto».
Sole, sole, sole! Era da parecchio che Mittel non ne vedeva così tanto. Il blocco di cemento armato dell’albergo, laggiù, sembrava sul punto di esplodere, e i binari lanciavano dei bagliori accecanti.
Attraccata al molo c’era una nave, con la bandiera nascosta dall’edificio della stazione. Doveva essere un piroscafo americano, uno di quelli che arrivavano ogni quindici giorni.
«Che ne pensi di quelle due?» sussurrò Charlotte, dopo essersi accertata che nessuno origliasse dietro la porta.
«La vecchia non è certo uno spasso».
«E la giovane deve essere una che non ama molto la pulizia! C’è odore di chiuso, qui dentro. Fosse per me toglierei tende e tappeti e gli darei una bella lavata... Andiamo a mangiare?».
«Sì. Dopo andremo dal dottore. Mi sono informato: ce n’è uno proprio qui vicino, è un americano».
«Dal dottore? E a fare che?».
«Per sapere come stai».
«Se proprio ci tieni...».
Non era per niente preoccupata, lei! Anzi, sembrava addirittura non soffrire minimamente la gravidanza.
«Pare che Dominico ti abbia trovato meglio di quanto si aspettasse. Me lo ha appena detto Moïse. E ha anche aggiunto che adesso dipende solo da te avere un’ottima posizione!».
Pranzarono in una specie di capannone dove il bar occupava un’intera parete. Oltre a loro c’erano tre o quattro bianchi che mangiavano in silenzio, ciascuno al proprio tavolino. Il menu era sempre lo stesso: macedonia, pesce fritto, stufato di montone e melanzane...
«La città è più grande di quanto pensassi...» osservò Charlotte. «La prima volta mi aveva fatto l’impressione di un paesotto».
Intanto Mittel sembrava interessato all’uomo che occupava l’ultimo tavolino. Era sulla cinquantina, aveva capelli e baffi bianchi, ed era l’unico a portare un colletto inamidato, così alto da costringerlo praticamente a non muovere la testa.
Mangiava tenendo lo sguardo fisso sulla tovaglia. Aveva le palpebre cerchiate di rosso e le mani agitate da un tremito incessante.
«Lo conosci?» chiese Charlotte.
«No. Non ancora...».
Tuttavia era quasi certo che si trattasse del conte di Villers d’Avon di cui gli aveva parlato Boitel. Che cosa faceva a Buenaventura? E qual era il suo vizio? Perché qualcuno doveva pur averne. Portava ancora un colletto rigido che lo obbligava a tenere la testa diritta e un abito bianco inamidato, ma era evidente che era tutta apparenza. Lo stesso cameriere meticcio lo trattava con imbarazzante familiarità.
Il dottore fu un’altra delusione. All’inizio le cose andarono esattamente come dal capo della polizia. Lo stesso tipo di scale, lo stesso pianerottolo, lo stesso cordone del campanello e, per così dire, lo stesso domestico trasandato.
«Volete vedere il dottore?».
Il meticcio aveva un’espressione infastidita. Nella stanza accanto si udirono dei bisbigli. Una voce lanciò un’imprecazione in inglese. Quando comparve, il dottore indossava soltanto un paio di pantaloni e una camicia, e aveva i capelli scompigliati.
La mattina la gente dormiva! Ma anche il pomeriggio, evidentemente!
«Siete passeggeri della nave?» chiese guardandoli in modo ostile.
«No. Siamo appena arrivati dal Chocó. Mia moglie è stata molto malata...».
Il dottore squadrò Charlotte dai piedi alla testa.
«Ma adesso sta bene».
«Vorrei che la visitasse» disse Mittel. «Come vede è incinta. Nella foresta ha preso il tifo e io l’ho curata meglio che potevo...».
«Mi scusate cinque minuti?».
Tornò nella sua stanza, bevve un bicchiere d’acqua e li lasciò soli per un quarto d’ora buono in un salottino rosso e giallo in cui nessun oggetto aveva meno di vent’anni. Quando ricomparve, aveva i capelli che sapevano d’acqua di Colonia e indossava una giacca di tela con sotto una camicia pulita.
«Si spogli».
Non pareva convinto dell’utilità di quella visita. Mentre Charlotte si toglieva il vestito e la biancheria, si rivolse a Mittel.
«Se venite dal Chocó, forse sa qualcosa. È vero che è stato ammazzato un bianco?».
«Penso che lei si riferisca al mio collega, che si è suicidato...».
«Ah, si è suicidato?».
Ma era come se l’americano dicesse:
«Come vuole! Se ci tiene proprio!».
Dalle finestre di fronte avrebbero potuto tranquillamente vedere Charlotte, ma il medico non se ne dava pensiero.
«Be’, mi pare che lei sia di sana e robusta costituzione... Respiri...».
Mittel avrebbe giurato che, mentre auscultava la ragazza, il medico stesse pensando a tutt’altro.
«I polmoni sono a posto... Il cuore è sano... Le basterà ingrassare un po’...».
Charlotte non era mai sembrata magra come adesso, nella luce cruda di quel salotto. Tuttavia non manifestava alcun imbarazzo nel girare senza vestiti in un ambiente che non aveva nulla dell’ambulatorio e così poco si addiceva alla nudità.
«E per il resto, dottore?... Cioè, per quanto riguarda il bambino...».
«Ebbene?».
«Non si può sapere... Rendersi conto?...».
«Rendersi conto di cosa?... Vivo o morto, il bambino nascerà... È il primo, signora?».
«Sì, il primo».
«Ha avuto qualche segnale d’allarme, in precedenza?».
Charlotte fece segno di no.
«Generalmente, da queste parti, le donne europee cominciano con un aborto... Ma non è detto che debba capitare anche a lei...».
La visita era terminata. Il medico non si interessava più a loro.
«E come dieta, dottore?».
«Può mangiare tutto quello che vuole!».
«E il tifo?».
«Se ne vede ancora qualche traccia... Ma adesso va meglio, no?».
Era come la continuazione della storia del negro! La vita umana non contava! Il bambino sarebbe nato, vivo o morto. E con ciò? Il tifo era passato! Il dottore aveva altro da fare: per esempio, tornare alla sua siesta, o magari fare visita ai suoi connazionali sul piroscafo.
«Tu non ti fai dare un’occhiata?» chiese Charlotte mentre si rivestiva.
E rivolta al dottore aggiunse:
«Trova tracce di sangue nel fazzoletto... Da bambino è già stato in cura...».
Il dottore, che era alto un metro e ottanta, guardò Mittel dall’alto in basso e parve dire:
«E cosa ci posso fare, io, se è tubercolotico? Ne abbiamo a centinaia qui! Vivrà finché vivrà, non lo posso certo mandare a curarsi in Svizzera... Quindi a che servirebbe visitarlo?».
Sempre lo stesso sprezzo della vita e della morte. Mittel aveva vissuto per anni senza accorgersene. Perché aprisse gli occhi bisognava che il destino lo scaraventasse in un mondo più vasto, in cui gli uomini erano pochi e apparivano sotto un’altra luce.
«Quanto le devo, dottore?».
La domanda mise l’altro a disagio.
«Non saprei... È ricco?».
«Ho un lavoro».
«Da Dominico! Le darà trecento pesos al mese».
«Duecento».
«Cento se li tiene lui! Mi dia due pesos...».
E questo era tutto! Per quindici giorni Mittel, nella foresta, nella baracca che puzzava di malattia, aveva lottato con la morte minuto per minuto. Ora si chiedeva come avesse fatto a non soccombere a uno sforzo simile.
Aveva salvato Charlotte. E chissà, forse anche il bambino. Finalmente era arrivato in una città civile, che non sperava più di rivedere. Si era precipitato da un medico con tanto di laurea. Voleva sapere...
E il dottore aveva esaminato con fastidio, con imbarazzo quasi, il corpo smagrito di Charlotte.
«Vivo o morto, il bambino nascerà...».
Allora, perché riempirsi la bocca con i progressi della scienza? Mittel era disgustato. Per strada non aprì bocca e oltrepassò la casa. Fu Charlotte a fermarlo:
«Ma dove vai?».
«Non lo so...».
Pronunciò queste semplici parole con una voce così cupa che Charlotte scoppiò a ridere.
«Sembri fuori di te! È perché il dottore non ti ha detto se sarà maschio o femmina?».
Rideva, Charlotte, lei che in fondo era la diretta interessata! E questo non dimostrava forse che era lui a sbagliare?
«Tu rientra pure... Io faccio un salto in ufficio...».
Ma all’albergo si fermò nel bar deserto, dove c’era la macchinetta mangiasoldi che gli ricordò Mopps. Lo rivide che giocava per ore e ore pensando ad altro.
«Dammi qualche moneta da mezzo peso...» disse al barman.
Quali erano esattamente i pensieri di Mopps quando si intestardiva a sfidare la sorte? Quelli di Mittel erano confusi. Era piuttosto uno stato d’animo, una vaga inquietudine, o meglio la sensazione di non sentirsi a casa da nessuna parte.
E lì meno che in qualsiasi altro posto!
«Le do qualcosa da bere?».
Non beveva nemmeno alcolici, lui, e stupì il cameriere ordinando una limonata. Mentre infilava una moneta dietro l’altra ripensava con nostalgia al cargo che si dondolava sul fiume, con la sua bandiera francese sbiadita. Alla fine a bordo si era ritagliato un suo angolino di intimità e poteva ben dire che Jolet era diventato un amico, come Napo, del resto.
L’indomani avrebbe dichiarato, sì o no, di aver sentito lo sparo?
E, quella sera, sarebbe andato all’appuntamento con Boitel? Che cosa gli avrebbe detto il francese?
In quel momento nella hall comparvero Dominico e Moïse; il vecchio, che camminava a fianco del principale, era tutto ossequioso.
«Di lui ti occuperai tu...» disse Dominico.
Di chi parlavano? Non avevano visto Mittel e probabilmente era a lui che alludevano. Nell’albergo entrò un gruppo di turisti scesi dalla nave americana, gente che sembrava non avere altri pensieri al mondo che spedire cartoline e comprare souvenir colombiani, oggettini d’avorio o di lattice raffiguranti indios e piroghe.
C’era anche una vetrina piena di cuccioli di coccodrillo impagliati, cerati o verniciati, davvero belli, e non più lunghi di una trentina di centimetri.
Mittel aveva già lasciato venti pesos nella macchinetta.