51
Il poeta varcò la porta con cautela. Fuori non c’era traccia degli uomini della guardia, che dovevano aver obbedito agli ordini dell’inquisitore.
Pietra mosse qualche passo, ma subito si arrestò, soffocando un’imprecazione. «La via per la Carraia è sbarrata, guarda!»
Più avanti un chiarore di fiaccole balenava al di là degli edifici, e un rumore confuso di voci rimbalzava nelle vie. Doveva essere ancora in corso la caccia agli ultimi Bianchi sbandati che dovevano essere scampati alla carneficina.
«Non ce la faremo mai ad arrivare in tempo all’appuntamento con il mugnaio», disse Pietra con una smorfia.
«Va’ via, salvati», mormorò Dante. «Nessuno sa di te, anche se incontri una pattuglia ti lasceranno andare. Salvati, io farò parte per me stesso e ne uscirò, se è destino che questo accada.»
La giovane esitò per qualche istante. Aveva l’impressione che stesse per accettare il suo consiglio, ma poi la vide scuotere decisa la testa. «No, c’è ancora una possibilità! Seguimi.»
«Dove?» mormorò scoraggiato il poeta, gettando un’occhiata ai muri di pietra che chiudevano tutto intorno ogni via di fuga.
«Seguimi, ti dico!» ripeté Pietra, afferrandolo per una mano e trascinandolo con sé con una forza insospettata verso la muraglia che proteggeva la città dalla parte della sponda dell’Arno. «C’è un passaggio sotto le mura!»
Dante si lasciò condurre, mentre la speranza si riaccendeva in lui. Ma subito quella tenue fiammella si spense di nuovo, di fronte al muro continuo che non mostrava alcuna apertura. «Di che parli?»
«Da questa parte», insistette la giovane, continuando a guidarlo verso una delle torri di guardia che spuntavano dal muro. In origine doveva costituire un fortilizio isolato, ma nel tempo la città si era espansa intorno alle sue fondamenta, stringendola in un abbraccio di casupole sordide e di piccole botteghe.
In prossimità qualcuno aveva eretto un muro a secco alto un paio di braccia, che circondava un piccolo appezzamento di terra. Pietra con un balzo vi si aggrappò, e poi facendo forza sui gomiti si issò fin sulla sommità. Restò in equilibrio, invitando il poeta a seguirla e si lasciò cadere dall’altra parte.
Dante la imitò, e si ritrovò tra le piante di un orto, chiuso in fondo dalla parete scoscesa della torre. «Qui, c’è un passaggio sotto le mura.»
«Come lo sai?» chiese il poeta sconcertato.
«Me lo mostrò uno dei miei uomini, un giorno. Uno che prestava servizio alla torre. Quando lo andavo a trovare di notte», rispose la giovane, senza alcuna traccia di pudore nella voce. «Ecco, deve essere qui.»
Dante guardò nel punto indicato, senza notare nulla di particolare. Solo quella che sembrava un’irregolarità nella costruzione. Il muro di confine dell’orto non si incontrava ad angolo retto con la spalla della torre, ma formava prima una sorta di scalino, del tutto inavvertibile se non a brevissima distanza nell’uniforme superficie di pietre grezze. E stretto in questa irregolarità c’era effettivamente un passaggio, di appena poco più di una spanna.
Poco più di una fessura, appena più ampia di un canale di scolo, ma comunque sufficiente per permettere il passaggio di un corpo di non eccessive dimensioni.
«Dove conduce?» chiese il poeta, esitando di fronte all’oscurità.
«Fuori, oltre le mura! Non è facile... ma io ci sono già passata, quando una volta dovetti fuggire per non essere sorpresa qui dal capo della guardia. Possiamo farcela.»
Pietra scomparve nella cavità. Vincendo un’ultima esitazione anche il poeta si inserì a forza nel passaggio, trattenendo il respiro per scivolare tra le due strette pareti.
Si ritrovò di colpo immerso nelle tenebre, appena rischiarate dal tenue chiarore che proveniva ancora dall’apertura alle loro spalle. Immaginava di dover percorrere un breve cunicolo, restato aperto per qualche motivo sotto la muraglia. Un passaggio del tutto sconosciuto agli amministratori di Firenze, ma noto evidentemente allo strato più miserabile della città. Una vena aperta sotto le difese, che poteva essere comprata e venduta ad ogni nemico. Quando il governo fosse tornato in mani più savie...
Si strappò a queste considerazioni, cominciando ad annaspare in cerca d’aria. Ormai aveva percorso almeno una ventina di passi, e il passaggio sembrava proseguire senza accennare a un’uscita. Era disorientato: dunque il cunicolo non tagliava diritto la fondazione della muraglia, ma scorreva lungo di essa, verso la torretta. Nel buio più assoluto la unica guida era l’ansimare della giovane davanti a lui. Il passaggio sembrava farsi sempre più stretto, e il senso di soffocazione sempre più forte, reso atroce dal caldo umido che permeava tutto.
Protese le braccia in avanti riuscendo a sfiorare con le mani la sua veste, ma le sue dita strinsero solo il vuoto, prima di urtare le pareti che parevano farsi sempre più strette, serrandolo tra di loro in una morsa terribile. Improvvisamente lo prese il terrore di restare bloccato in quella tomba, incapace di procedere e di tornare indietro. Un terrore cieco, paralizzante, di restare lì per sempre, morto nella sua terra come aveva sempre sperato, ma non nella gloria del riconoscimento della sua poesia e del suo aver bene operato, ma dimenticato in una turpe spelonca. Un modo indegno quale mai avrebbe temuto, neppure nei momenti peggiori.
«Avanti, resisti!» lo scosse la voce di Pietra, invisibile ma vicina. Quel suono rassicurante, accompagnato da uno strano riverbero, lo rianimò. Con uno sforzo estremo spinse con tutte le sue forze, e di colpo la morsa di pietra in cui si era sentito perduto parve scomparire di colpo, come se alla strettoia avesse fatto seguito un nuovo ambiente, di cui l’eco suscitata dalla voce della giovane provava la vastità.
Mentre respirava finalmente a pieni polmoni, cercando di riprendersi, cominciò a percepire qualcosa nell’oscurità che fino a quel momento gli era apparsa perfetta. Forse i suoi occhi si stavano abituando alle tenebre, o forse da qualche parte giungeva una leggerissima trafilatura di luce.
Gli parve anche di scorgere una confusa sagoma che si muoveva davanti, forse la giovane che continuava a precederlo. A conferma di quanto credeva di vedere gli giunse di nuovo l’esortazione di Pietra: «Avanti, adesso sarà più facile!»
Confortato dall’improvviso afflusso d’aria che tornava a riempirgli i polmoni, Dante volse lo sguardo tutto intorno, cercando di sfruttare ogni minimo barlume per rendersi conto di dove si trovasse. Doveva trattarsi dei resti di un antico edificio dei padri romani, fondatori della città, su cui poi in epoche successive erano sorte altre costruzioni, sfruttando quei resti come fondazioni dimenticate, fino a ergervi sopra la torre di difesa delle mura.
E quel tenuissimo chiarore che riluceva intorno doveva di certo filtrare attraverso qualche piccola fessura scavata negli anni dall’erosione delle piogge.
Adesso riusciva a scorgere con certezza la sagoma scura di Pietra. La giovane si era arrestata e pareva attenderlo. Le si fece accanto, afferrandole una mano quasi per accertarsi che fosse un corpo reale, e non il frutto di una visione avvelenata dall’aria soffocante del sotterraneo.
Dalla parte opposta come aveva immaginato la parete di pietra era interrotta da un varco molto più ampio di quello attraverso il quale erano penetrati. Anche qui delle sottili profilature di luce stavano a indicare che la superficie non era lontana, e tra i resti dell’antica costruzione erano sopravvissuti interstizi e passaggi che in qualche modo assicuravano sia il ricambio dell’aria che quella minima possibilità di visione.
Ma fatti ancora pochi passi fu preso nuovamente dallo sconforto. In quel punto la muraglia era crollata, e un cumulo di pietre e terriccio sbarravano il cammino. Anche la pochissima luce era quasi scomparsa.
Dante si arrestò, stringendo la mano di Pietra che non lo aveva mai abbandonato. Cercava le parole per comunicare la sua delusione, ma fu la giovane a rompere per prima il silenzio. «Siamo perduti, vero?»
Il poeta non rispose, limitandosi a stringere ancora più forte le piccole dita. Volse la testa in giro, raccogliendo solo tenebre. L’aria sembrava essersi fatta ancor più torrida, sentiva la veste incollata al corpo come fosse già un sudario.
Gli parve che qualcosa lo avesse sfiorato sul collo. Come il tocco dell’ala di un angelo, un leggerissimo refolo d’aria.
Doveva provenire da qualche punto più avanti, forse il segno che la superficie fosse più vicina di quanto temesse. Sollevò le mani allargando le dita nella direzione da cui credeva provenisse la corrente, come un naufrago che cercasse di afferrare una tavola per scampare dalle acque.
Lentamente si mosse da quella parte, continuando a muovere le dita nel buio nel tentativo di afferrare il refolo, grazie al solo senso che gli era rimasto. Avvertì il terreno che saliva, poi urtò con la testa contro un ostacolo che incombeva dall’alto.
Gli parve di trovarsi all’inizio di una sorta di galleria, creatasi in virtù delle rovine accatastate che avevano impedito al terriccio sovrastante di franare fin lì.
Il passaggio era stretto e soffocante, ma pure sembrava consentire l’accesso. Cominciò a strisciare carponi, dopo essersi accertato che Pietra fosse dietro di lui, trascinandosi avanti con le unghie e forzando sulle ginocchia, già sanguinanti per lo sforzo.
Saliva spanna dopo spanna aggrappandosi a ogni minima sporgenza che avvertiva lungo il percorso, ora una radice, ora un frammento di mattone, ora una semplice fessura nella pietra. E ad ogni piccolo progresso il barlume di luce si faceva più definito, l’aria più fresca. Il verde della speranza più intenso. Poi un raggio di luce deciso gli ferì gli occhi, ormai assuefatti alla tenebra.
Doveva essere vicino alla superficie, fuori da quella tomba dei vivi, fuori dall’abbraccio mortale dei suoi nemici, fuori dalla stessa cerchia delle mura di una patria ingrata. La via segreta di Pietra forse li avrebbe davvero salvati entrambi. Più in alto intravide un tenue lucore, uno spicchio di cielo notturno punteggiato di stelle. Forse era salvo!
Contorcendosi a forza nello stretto passaggio, volse la testa per accertarsi che Pietra fosse sempre alle sue spalle. Per un attimo la luce irraggiò il volto della giovane, e la sua mano tesa ad appena un paio di spanne dalle sue dita. «Avanti, ancora uno sforzo!» la incoraggiò.
Attese che la giovane la afferrasse, ma l’ombra non accennava a un movimento. Le sue dita erano contratte, nell’immobilità del saluto di una statua di marmo. Allungò il braccio più che poteva, ma con sgomento vide che la giovane stava riscivolando indietro verso l’oscurità.
«Aggrappati alle radici, ti vengo a prendere!» urlò, ma Pietra era sempre più lontana, ormai quasi indistinguibile.
«Non posso seguirti», lo raggiunsero le parole di lei, ridotte quasi a un sussurro. «È una strada che devi percorrere da solo, non c’è posto per nessuno al tuo fianco.»
Avrebbe voluto chiamarla ancora, ma gli parve che la voce gli si fosse spezzata in gola. Non c’era parola, né un verso né un canto che fiorisse nel suo animo. Era muto, e la perdeva senza speranza. Come Orfeo sulla bocca degli inferi, sentì abbattersi sulle sue spalle il peso tremendo della solitudine, che gravava più dei macigni e della terra sopra la sua testa.
Si trascinò per l’ultimo tratto, fino all’apertura. Davanti a lui la sponda dell’Arno, senza traccia di nemici. Alle sue spalle riluceva il bagliore argenteo della luna calata dietro il profilo delle mura. Per la seconda volta le porte della città si chiudevano dietro di lui. E lui non portava niente con sé. Nemmeno sentiva il rumore dei suoi passi, nemmeno vedeva in alto la luce delle stelle.