5

Laguna veneta,
nel convento francescano

«Ho ricevuto il vostro messaggio», disse Lanfranco da Cuma, arrestandosi appena varcata la soglia. Dall’altra parte della stanza anche il vecchio padre guardiano mosse alcuni passi in avanti.

I due si fissarono per qualche istante, come ognuno cercasse qualcosa nell’abito dell’altro, e misurasse nella diversità di foggia e colori la distanza che separava i rispettivi ordini. Entrambi colonne della Chiesa, entrambi strenui difensori dell’ortodossia, entrambi volti a una vita frugale, lontana dalle glorie mondane e dalle miserie del secolo. Eppure da sempre separati e rivali, come le differenze delle cappe sembravano testimoniare: bruna quella del francescano, candida come un giglio quella del domenicano, simboli di una differenza che mai si sarebbe potuta ricomporre.

«Sono sorpreso di vedervi con tanta sollecitudine», disse finalmente il guardiano. «Avevo chiesto che il mio messaggio vi fosse inoltrato a Roma, presso la sede del vostro officio. Non credevo che... Posso chiedere cosa vi conduce?»

«Il mio officio mi porta nei luoghi più diversi», lo interruppe garbatamente Lanfranco da Cuma. «Perché il Male e il sovvertimento del retto sentire navigano sulla terra senza sosta e con passi di gigante. E il mio compito talvolta è quello di corrergli incontro. Ma avete sollecitato la mia venuta. E dunque?»

L’altro esitava. Poi si schiarì la voce. «Ho bisogno del conforto di un vostro giudizio. In un’ora oscura del mio spirito.»

«Davvero? Le vostre parole mi lusingano», replicò il domenicano, senza riuscire a nascondere del tutto una punta di ironia. «Credevo che nel vostro ordine, ispirato dalla regola d’allegrezza di santo Francesco, non mancassero anime gaudenti e giullari in grado di attenuare ogni melanconia dello spirito.»

«Se avessi bisogno di allegrezza e serenità d’animo seguirei il vostro consiglio. Ma trattandosi di materia oscura, peccaminosa, forse sono più adatte le vostre voci, certo più esperte in perdizione», rispose pacato il francescano.

Di nuovo il silenzio scese tra i due, che erano tornati a studiarsi. Fu Lanfranco a romperlo di nuovo.

«Ebbene parlate. Possiamo non essere amici, ma entrambi ci battiamo per la maggior gloria di Dio, e questo ci schiera da una sola parte nella battaglia contro il Nemico. E nella scontro saremmo sempre spalla a spalla, seppure sotto diversi vessilli.»

«Sì, lo credo anch’io. E per questo vi ho convocato», disse il francescano, dirigendosi verso un forziere che giaceva in un angolo. «Conoscete il mio nome.»

«Io vi conosco, padre Manuele. Padre guardiano dell’Isola del Deserto, colonna di dottrina, pilastro della fede. Non mi sarei ridotto ad affrontare i capricci della laguna e i disagi del travaglio marino, se la richiesta mi fosse giunta da qualcuno da meno di voi.»

Il guardiano chinò il capo, in segno di apprezzamento.

«Ma non è per questi vostri meriti che avete richiesto la mia presenza, vero?»

«Tra i miei compiti v’è anche quello di guidare sulla via del Bene le anime di quei confratelli che mi vengono affidati come padre spirituale. Rafforzarli nelle buone opere, correggerli negli immancabili errori cui ci espone la nostra misera fragilità.»

«Lo stesso avviene nel nostro ordine», osservò Lanfranco da Cuma, approfittando di una nuova esitazione del francescano.

«Punirli, se l’errore è capitale.»

«Punirli?» insistette il domenicano. Padre Manuele aveva intanto fatto scattare la serratura del forziere. Ne trasse alcune strisce di pergamena, di diverso formato. Sembrava una raccolta di frammenti occasionali, in cattive condizioni per le numerose raschiature.

Le soppesò tra le dita, come se volesse vincere ancora un ultimo dubbio, poi mostrò il mucchietto a Lanfranco da Cuma. «Ecco. Sono appunti di un mio confratello, fratel Guiscardo. Me li consegnò or è tre anni, al ritorno dal suo penultimo viaggio in oriente, missionario sulle orme del nostro santo fondatore.»

«Fratel Guiscardo? Conosco questo nome», disse cauto Lanfranco da Cuma, dopo aver allungato lo sguardo su quello che l’altro stringeva tra le dita.

Sul suo volto era scesa la maschera impassibile, esercitata in tanti anni di minuziosi interrogatori di anime colpevoli, sull’orlo del baratro o già scivolate nel profondo. Ma dentro fremeva: se in quelle pergamene erano vergate le idee di Guiscardo, non solo esse avrebbero costituito una prova capitale contro di lui e la setta degli Spirituali. Ma c’era anche la speranza che dentro vi fossero riferiti nomi e circostanze in grado di estendere la sua rete anche ad altri colpevoli.

«Lo conoscete?» disse il guardiano, senza nascondere la propria sorpresa.

«Molti fratelli francescani godono di una fama che travalica i confini del vostro ordine», rispose Lanfranco con voce incolore. «E dunque questo è un suo scritto. Cosa ne pensate?»

Il guardiano si strinse nelle spalle. «La mia poca scienza non mi permise allora di valutarlo, se non come il giudizio di uno spirito comunque di fama.»

«Poca scienza?» replicò Lanfranco. «La vostra carica e i vostri anni vi assegnano certo saggezza e dottrina per giudicare dell’ortodossia di tesi teologiche, per di più ampiamente discusse e respinte in seno alla città cristiana!»

«No, non si tratta di tesi dottrinali», rispose il guardiano. «Si tratta di altro... cose raccolte lontano.»

«Altro?» replicò l’inquisitore, deluso. Sapeva della sciocca indulgenza dei francescani verso la stesura di insulse parabole, novelle e favole, con cui arricchire la loro predicazione, e ottenere così il facile consenso alle loro pagliacciate. Cose lontane... magari si trattava di storie ascoltate lungo le carovaniere, buone soltanto per dilettare il volgo.

«Sapete dove sia ora?» chiese con voce incolore, osservando con apparente disinteresse le carte coperte di segni quasi indecifrabili e cancellature che l’altro gli aveva porto.

«È stato qui.»

Lanfranco represse a stento un’esclamazione. Dunque la sua intuizione era stata giusta, e forse era riuscito ad incrociare il ritorno del francescano! Si rallegrò silenziosamente con se stesso, sommerso dalla gioia per una cattura che riteneva prossima. «Un uomo in fama di aver aderito alla detestabile setta degli Spirituali», riprese poi, continuando a nascondere l’emozione di cui era preda. «E voi gli date ascolto e ricovero sotto questo santo tetto?»

«Noi non consegniamo alla ruota dell’Inquisizione chi può ancora recedere dalla via perversa. E tale era fratel Guiscardo. Un uomo di retti e limpidi costumi, infaticabile nell’opera di conversione, assiduo studioso di popoli e usi lontani... fino a questa ultima ora.»

«Capisco», si affrettò a dire Lanfranco, cercando di stemperare la severità dell’ultima osservazione. Per qualche motivo che ancora gli sfuggiva, il guardiano sembrava ora disposto a consegnare il suo confratello nelle mani dell’Inquisizione, e non voleva assolutamente che una sua parola di troppo potesse distoglierlo da quella decisione.

«Ma anche una mente eccelsa può essere obnubilata dal Male, o dal demonio», osservò in tono comprensivo. «Senza che questo getti ombra su chi gli fu compagno. Avete detto di un penultimo viaggio in oriente. Ce n’è stato ancora un altro?»

Il guardiano annuì. «Un ultimo. Da cui è tornato con la prova di quello che in queste pagine aveva prima dettato per pura speculazione. E sta recando il suo ritrovato a Roma, a rischio di travolgere l’intero millenario edificio della nostra fede. Io non ho potuto distoglierlo dal suo insano proposito. Tradisco il sacro vincolo della confessione, ma voi dovete fermarlo!»

«Dite che il vostro confratello è diretto a Roma?»

«Sì, ha preso le mosse all’alba. Ora sarà sulla via di Padova, non c’è tempo da perdere.»

«Avete da scrivere?» chiese Lanfranco.

Il francescano trasse da uno stipo un calamo e una boccetta d’inchiostro, insieme con un rettangolo di vecchia pergamena raschiata più volte. Lanfranco vergò in fretta poche righe, poi tese il foglio al guardiano. «Fate in modo che l’ordine raggiunga Padova prima possibile. Se il frate è ancora nel territorio, il braccio secolare lo tratterrà, in attesa del mio arrivo. Ora rivelatemi che cosa Guiscardo vuol annunciare a Roma.»

Il guardiano allungò verso di lui il mucchietto di pergamene. «Leggete. Qui è il seme di quel frutto avvelenato che egli porta con sé. La sua prima scoperta, che lo ha messo sulle tracce della seconda, definitiva e terribile.»

Il manoscritto delle anime perdute
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