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Birra

La camera dell’ospedale ha l’odore di una camera d’ospedale quando fuori ci sono due gradi, qualcuno ha dimenticato delle bottiglie di birra sotto il cuscino e aperto la finestra per cercare di far uscire la puzza di fumo in modo che la mamma di Elsa non se ne accorga.

Dall’odore si evince che il risultato non è un granché.

La nonna ed Elsa giocano a Monopoli. La nonna non dice niente del tumore, per il bene di Elsa. Elsa non dice niente della morte, per il bene della nonna, perché alla nonna non è mai piaciuto parlare della morte, soprattutto della propria. La morte è la bestia nera della nonna. Quando la mamma e i medici lasciano la stanza per parlare a voce bassa e in tono grave in corridoio, Elsa cerca di non apparire preoccupata. Nemmeno questo le riesce granché bene.

La nonna ridacchia con aria misteriosa.

«Ti ho raccontato di quando ho trovato un lavoro per i draghi di Miamas?» chiede nella lingua segreta.

È bello avere una lingua segreta perché in ospedale i muri hanno le orecchie, dice la nonna. Soprattutto se i muri hanno la mamma di Elsa come capo.

«Uffa! Sììì!» sospira Elsa nella lingua segreta.

La nonna annuisce, poi le racconta lo stesso tutta la storia, perché nessuno ha mai insegnato alla nonna a non raccontare una storia. Ed Elsa ascolta, perché nessuno le ha mai insegnato a non farlo.

Per questo motivo sa che una delle cose che la gente dice più spesso della nonna quando non è nei paraggi è che “questa volta ha davvero passato il limite”. Per esempio Britt-Marie lo dice spessissimo. Secondo Elsa è per questo che alla nonna piace così tanto il regno di Miamas, perché lì non ci sono limiti da passare, perché il regno non ha limiti. Non come quando la gente in televisione si definisce “senza limiti” e scuote i capelli, ma letteralmente senza limiti, perché in realtà nessuno sa dove cominci e dove finisca Miamas. Dipende dal fatto che, a differenza degli altri cinque regni del Paese-da-Quasi-Svegli che sono fatti principalmente di pietre e mura, Miamas è fatto tutto di fantasia. E dipende un po’ anche dal fatto che le mura della città di Miamas hanno un temperamento impulsivo e una mattina di punto in bianco può venir loro in mente di spostarsi di un paio di chilometri nel bosco perché hanno bisogno di “tempo per sé”. E magari il mattino dopo allontanarsi dalla parte opposta, perché hanno deciso di imprigionare un drago o un troll o perché per qualche motivo si sono messe in testa di fare così. Probabilmente perché il drago o il troll sono rimasti in piedi tutta la notte a bere acquavite e a fare pipì sulle mura mentre loro dormivano.

A Miamas ci sono parecchi troll e draghi, più che negli altri cinque regni del Paese-da-Quasi-Svegli, perché il principale prodotto di esportazione di Miamas sono le fiabe. In genere quelli che vivono nel mondo reale non lo sanno perché sono degli intelligentoni, ma a Miamas i troll e i draghi hanno ottime possibilità di essere assunti perché tutte le fiabe hanno bisogno dei cattivi. «Ovviamente non è sempre stato così» riflette spesso la nonna. Allora Elsa geme: «Me l’hai già raccontato» e la nonna glielo racconta lo stesso un’altra volta. C’è stato un periodo in cui i draghi erano stati dimenticati dai cantastorie di Miamas. In particolare quelli che erano un po’ più avanti negli anni avevano un mercato del lavoro disastrosamente difficile, spiega sempre la nonna mentre Elsa alza gli occhi al cielo. «È solo che non si scrivevano più dei bei ruoli per i draghi di mezza età» dice la nonna, poi fa una pausa drammatica e aggiunge: «Scriv-EVANO!». E poi riattacca con tutta la storia dei draghi disoccupati che creavano un sacco di problemi a Miamas, perché bighellonavano tutto il giorno senza niente da fare, bevevano acquavite, fumavano sigari e attaccavano briga con le mura della città. Così alla fine il popolo di Miamas aveva pregato la nonna di Elsa di aiutarlo con qualche misura concreta per il mercato del lavoro e la nonna aveva pensato che i draghi avrebbero potuto custodire i tesori nel finale delle fiabe.

Fino a quel momento, infatti, c’era stato un enorme problema di tecnica narrativa, perché gli eroi delle fiabe cercavano sempre un tesoro e quando lo trovavano in fondo a una grotta entravano e lo prendevano. Tutto qui. Nessuna battaglia finale epica, nessun momento clou drammatico o cose del genere. «Ne venivano fuori dei videogiochi noiosissimi» dice la nonna annuendo più volte con aria saputa per sottolineare la serietà del discorso. La nonna lo sa perché l’estate scorsa Elsa le ha insegnato a giocare a un gioco che si chiama World of Warcraft e la nonna ci ha giocato giorno e notte per settimane finché la mamma ha detto che iniziava a “mostrare tendenze preoccupanti” e le ha proibito di dormire in camera di Elsa.

Comunque: quando i cantastorie avevano sentito l’idea della nonna, il problema era stato risolto in un pomeriggio. «È per questo che oggi tutte le fiabe hanno un drago nel finale! È merito mio!» sogghigna la nonna. Come fa sempre.

La nonna ha una storia di Miamas per ogni occasione e se non c’è un’occasione ha comunque una storia. Una di queste parla di Miploris, il regno dove si conserva tutto il dispiacere, e della sua principessa alla quale una brutta strega rubò un tesoro magico e che da allora passa le giornate a dare la caccia alla strega. Un’altra parla di due principi fratelli, entrambi innamorati della principessa di Miploris, che distrussero quasi tutto il Paese-da-Quasi-Svegli nella furiosa battaglia per l’amore della principessa.

Una fiaba parla dell’angelo del mare, una donna colpita da una maledizione che la costringeva a vagare per le coste del Paese-da-Quasi-Svegli dopo aver perso i propri cari. E un’altra parla del “prescelto”, il ballerino più amato di Mimovas, il regno dal quale viene tutta la musica. Le ombre cercarono di rapirlo per distruggere Mimovas, ma le nuvolanimali lo salvarono e volarono fino a Miamas. Quando le ombre lo raggiunsero, tutti gli abitanti dei sei regni del Paese-da-Quasi-Svegli, i principi e la principessa, i cavalieri e i soldati, i troll, gli angeli e la strega si unirono per proteggere il prescelto. E fu così che iniziò la Guerra-Senza-Fine, che imperversò per le eternità di diecimila fiabe finché i wors tornarono dalle montagne e Cuore di Lupo uscì dal bosco per guidare l’esercito dei buoni nell’ultima battaglia, costringendo le ombre a ritirarsi sul mare.

Ovviamente Cuore di Lupo è una fiaba a sé, perché lui è nato a Miamas ma è cresciuto a Mibatalos proprio come tutti gli altri soldati. Ha il cuore di un guerriero ma l’animo di un cantastorie ed è il guerriero più invincibile che i sei regni abbiano mai visto. Per le eternità di molte fiabe abitò nei boschi bui, ma tornò quando il Paese-da-Quasi-Svegli aveva più bisogno di lui.

La nonna racconta queste storie da quando Elsa ne ha memoria. Ovviamente all’inizio servivano solo per farla addormentare e farla esercitare con la lingua segreta, e un po’ anche perché la nonna è proprio fuori di testa. Ma negli ultimi tempi le storie sono diventate anche qualcos’altro, qualcosa che Elsa non riesce bene a mettere a fuoco.

Lo sa perché ha cercato il significato di “mettere a fuoco”.

«Rimetti giù la Stazione Est» dice Elsa.

«L’ho comprata» azzarda la nonna.

«Certo, come no! Rimettila giù!» risponde Elsa acida.

«Cacchio, doveva essere proprio così giocare a Monopoli con Hitler!» ribatte la nonna rimettendo giù la Stazione Est.

«Mi sa che Hitler preferiva giocare a Risiko» mormora Elsa, perché ha cercato Hitler su Wikipedia e ha discusso parecchio con la nonna sui paragoni che fa.

«Touché» mormora la nonna, anche se Elsa è quasi sicura che questa parola non si usi così.

Poi giocano in silenzio per circa un minuto, che è più o meno il tempo che riescono a reggere tenendosi il muso.

«Hai dato il cioccolato all’Amico?» chiede la nonna.

Elsa annuisce, ma non le dice che gli ha raccontato del tumore, un po’ perché pensa che la nonna si seccherebbe e un po’ di più perché non vuole parlarne. Ieri l’ha cercato su Wikipedia, poi ha cercato il significato di “testamento” e alla fine era così arrabbiata che non ha chiuso occhio.

«Come siete diventati amici tu e l’Amico?» chiede invece.

La nonna alza le spalle.

«Nel solito modo.»

Elsa non sa quale sia il solito modo perché non ha amici oltre alla nonna, ma non dice niente perché sa che la nonna ci rimarrebbe male.

«Comunque la missione è compiuta» dice a bassa voce. È una frase piuttosto difficile da dire nella lingua segreta, sempre che questo c’entri qualcosa, e ovviamente non è così.

La nonna annuisce con decisione e sbircia verso la porta come se temesse che siano sorvegliate, poi infila la mano sotto il cuscino. Le bottiglie tintinnano, della birra cola sulla federa e lei impreca, poi tira fuori una busta che mette in mano a Elsa.

«Questa è la tua prossima missione, cavaliere Elsa. Ma non devi aprirla fino a domani.»

Elsa osserva scettica la busta.

«Cioè, non hai mai sentito parlare di mail?»

«Quante storie! Non si possono spedire queste cose via mail!»

Elsa soppesa la busta in mano e schiaccia la protuberanza che c’è in fondo.

«Cosa contiene?»

«Una lettera e una chiave.»

All’improvviso la nonna sembra allo stesso tempo seria e spaventata e per lei sono due stati d’animo decisamente insoliti. Allunga le mani e le stringe intorno agli indici di Elsa.

«Domani ti farò avventurare nella più grande caccia al tesoro che tu abbia mai visto, mio piccolo cavaliere coraggioso. Sei pronta?»

Alla nonna è sempre piaciuta la caccia al tesoro. A Miamas è considerata uno sport. Si fanno le gare, perché è una disciplina olimpica. Solo che a Miamas i Giochi Olimpici si chiamano “Giochi dell’Invisibilità”, perché tutti i partecipanti sono invisibili. Non è proprio uno sport adatto al pubblico.

Ovviamente anche Elsa adora la caccia al tesoro. Non quanto la nonna, certo, perché nessuno in nessun regno per diecimila fiabe di eternità può amare la caccia al tesoro quanto la nonna. Elsa però la adora perché è una cosa solo sua e della nonna. E la nonna è in grado di far diventare qualunque cosa una caccia al tesoro, come quando vanno a fare la spesa e si dimentica dove ha parcheggiato Renault, oppure quando deve far leggere a Elsa tutta la posta e farle pagare le sue bollette perché per lei è una noia mortale, o quando a scuola c’è la giornata sportiva ed Elsa sa che sarà picchiata dalle bambine più grandi nelle docce con gli asciugamani arrotolati. Con la nonna tutto è una caccia al tesoro. Sa trasformare un parcheggio in una montagna magica e degli asciugamani arrotolati in draghi che bisogna battere con l’astuzia. E l’eroe è sempre Elsa.

Elsa però non ha mai visto la nonna così. Tutto quello che dice sembra sempre una mezza battuta, ma questo no. La nonna si china in avanti.

«Colui che riceverà la chiave saprà cosa farne. Tu devi proteggere il castello, Elsa.»

La nonna chiama il palazzo in cui vivono “castello”. Elsa ha sempre pensato che sia solo perché è un po’ bacata nel cervello, ma le sta venendo qualche dubbio.

«Proteggi il castello, Elsa. Proteggi la tua famiglia. Proteggi i tuoi amici!» ripete la nonna decisa.

«Quali amici?» chiede Elsa.

La nonna le appoggia le mani sulle guance e sorride.

«Ne arriveranno. Domani inizierai una caccia al tesoro che sarà una magnifica fiaba e un’avventura grandiosa. Devi promettermi che non mi odierai per questo.»

Quando Elsa strizza gli occhi li sente bruciare.

«Perché dovrei odiarti?»

La nonna le accarezza le palpebre.

«Uno dei privilegi di una nonna è non dover mai mostrare alla nipote i propri lati peggiori, Elsa. Uno dei privilegi di una nonna è non dover mai raccontare quanto è stata bastarda prima di diventare nonna.»

«Io conosco tantissimi dei tuoi lati peggiori!» protesta Elsa, e subito dopo aggiunge:

«Tipo che non capisci che non si può asciugare un iPhone dentro un tostapane!»

Spera di farla ridere, ma non è così. La nonna sussurra triste:

«Sarà un’avventura grandiosa e una magnifica fiaba, ma è colpa mia se alla fine c’è un drago, mio adorato cavaliere.»

Elsa la guarda strizzando gli occhi, perché non ha mai sentito la nonna dire una cosa simile. Di solito dice che è “merito” suo se ci sono i draghi alla fine delle fiabe, mai “colpa” sua. China davanti a lei, la nonna è più piccola e fragile di quanto Elsa ricordi di averla mai vista. Tutt’altro che un supereroe.

La nonna la bacia sulla fronte.

«Promettimi che non mi odierai quando saprai chi sono stata e promettimi che proteggerai il castello. Proteggi i tuoi amici.»

Elsa non sa cosa significhi, ma lo promette. Allora la nonna la abbraccia più a lungo che mai.

«Consegna la lettera a questa persona. Non la vorrà, ma tu digli che è da parte mia. Digli che tua nonna la saluta e gli chiede scusa.»

Poi asciuga le lacrime dalle guance di Elsa. Lei puntualizza che si dice “dille” e non “digli”. Discutono un po’ di questa cosa, come sempre. Poi giocano a Monopoli e mangiano focaccine alla cannella e chiacchierano di chi vincerebbe in un combattimento tra Harry Potter e l’Uomo Ragno. Ovviamente secondo Elsa è una discussione del tutto ridicola, ma alla nonna piace parlare di queste scemenze perché è troppo immatura per capire che Harry Potter spaccherebbe.

Cioè, a Elsa l’Uomo Ragno piace, non è quello. Ma contro Harry Potter? Ammettiamolo. Harry Potter spaccherebbe.

La nonna tira fuori altre focaccine alla cannella da alcuni grandi sacchetti di carta sotto un altro cuscino. Non che debba nasconderle alla mamma come fa con la birra, ma le piace conservarle tutte insieme perché le piace mangiarle tutte insieme. Birra e focaccine alla cannella sono il suo piatto preferito. Elsa riconosce la scritta sui sacchetti: la nonna le compra in una sola panetteria, perché dice che nessun altro capisce come si fanno le vere focaccine alla cannella di Mirevas. Infatti le migliori si fanno a Mirevas e sono il piatto nazionale di tutto il Paese-da-Quasi-Svegli. La cosa bruttissima è che il piatto nazionale si può mangiare solo nel giorno della festa nazionale, ma la cosa bellissima è che nel Paese-da-Quasi-Svegli è festa nazionale tutti i giorni. “Problema risolto, disse la vecchia che aveva cagato nel lavandino” dice sempre la nonna. E dentro di sé Elsa spera sempre che questo non significhi che la nonna pensa di iniziare a usare il lavandino con la porta aperta.

«Guarirai, vero?» chiede alla fine Elsa, restia come una bambina di quasi otto anni che fa una domanda della quale sa già che non vuole conoscere la risposta.

«Certo che sì!» risponde la nonna sicurissima, nonostante la faccia di Elsa dica chiaramente che sa che sta mentendo.

«Promettilo» pretende Elsa.

Allora la nonna si china in avanti e le sussurra all’orecchio nella lingua segreta:

«Te lo prometto, mio adoratissimo cavaliere. Ti prometto che andrà meglio. Ti prometto che andrà bene.»

Perché la nonna dice sempre così, che andrà meglio, che andrà bene.

«E io credo ancora che quell’Uomo Ragno avrebbe potuto stracciare quell’Harry coso» aggiunge la nonna in tono volutamente provocatorio.

«Ma RIPIGLIATI, stordita!!!» sbotta Elsa, anche se sa che quella è proprio la reazione che la nonna sta cercando.

La nonna ridacchia e alla fine ridacchia anche Elsa, anche se pensa che a un certo punto debba esserci un limite. E se a un certo punto un limite c’è, ha senso che passi più o meno nel punto in cui una persona afferma che qualcuno può stracciare Harry Potter. Elsa la vede così. Poi mangiano altre focaccine alla cannella e giocano ancora a Monopoli, e così è più difficile essere arrabbiati.

Il sole tramonta. Cala il silenzio. Elsa si sdraia accanto alla nonna nello stretto letto d’ospedale. Chiudono quasi gli occhi e le nuvolanimali vengono a prenderle per portarle a Miamas.

Nel mezzo della notte, dall’altra parte della città, tutti gli inquilini di un palazzo vengono svegliati con un brivido di terrore. Un cane da combattimento che si trova in un appartamento del primo piano inizia a ululare senza preavviso, più forte e più straziante di qualsiasi cosa abbiano mai sentito uscire dagli abissi di un animale, come se cantasse con il dolore e la smania delle eternità di diecimila fiabe. Ulula per ore. Ulula fino l’alba.

E quando il mattino si intrufola nella camera d’ospedale, Elsa si sveglia tra le braccia della nonna, ma la nonna è rimasta a Miamas.

Mia nonna saluta e chiede scusa
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