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Caffè

La casa di una nonna ha qualcosa di speciale. Ci si ricorda sempre che odore ha.

Ovviamente quello è un palazzo qualunque. Perlopiù. Ha quattro piani, nove appartamenti e l’odore della nonna. E di caffè, ovviamente, c’è quasi sempre odore di caffè. Nel locale lavanderia sono appese delle regole di comportamento ben chiare dal titolo “Per il benessere di tutti” con “benessere” sottolineato due volte. Poi ci sono un ascensore sempre rotto, i contenitori per la raccolta differenziata in giardino, un alcolista, un cane da combattimento e una nonna.

Un palazzo qualunque. Perlopiù.

La nonna abita all’ultimo piano. Nell’appartamento di fronte alla nonna abitano la mamma, Elsa e George. George convive con la mamma e la cosa non è così semplice perché implica il fatto che abiti vicino alla nonna. George ha la barba, porta un berretto piccolissimo e adora correre con i pantaloncini sopra la calzamaglia e cucinare in inglese. Quando legge le ricette dice “pork” invece di “maiale” e la nonna dice che “per fortuna è carino, perché è proprio ottuso”. Non lo chiama mai George, solo “testa di rapa”. La mamma si arrabbia molto quando lo fa, ma Elsa sa che la nonna non lo fa per far arrabbiare la mamma. Lo fa soltanto perché vuole che Elsa sappia che è dalla sua parte, qualunque cosa accada. Perché questo fa una nonna quando i genitori della nipote si separano, trovano un nuovo compagno e di punto in bianco dicono che la nipote avrà un fratellastro. Sta dalla parte della nipote, sempre e comunque. Quindi per la nonna il fatto di mandare la mamma fuori di testa non è altro che un extra.

La mamma e George non sanno se Metà sarà una Metà maschio o una Metà femmina, anche se potrebbero. Non saperlo è importante soprattutto per George, che chiama sempre Metà “lui-lei” per non “imprigionare il bambino in un ruolo di genere”. La prima volta che l’ha detto, Elsa ha pensato che avesse detto “ruolo degenere”. È stato un pomeriggio decisamente caotico per tutte le persone coinvolte.

La mamma e George hanno deciso che Metà si chiamerà Elvir o Elvira. Quando Elsa l’ha raccontato alla nonna, la nonna ha esclamato: «ELV-ir!?».

«È il maschile di Elvira» ha spiegato Elsa, e la nonna ha scosso la testa sbuffando: «Elvir? Ma cosa credono, che dovrà aiutare Frodo a portare l’anello a Mordor?». Perché la nonna aveva appena visto tutti i film del Signore degli Anelli con Elsa, perché la mamma aveva detto espressamente che Elsa non doveva vederli.

Elsa sa bene che alla nonna non stanno antipatici né Metà né George e che dice queste cose solo perché sta dalla sua parte, sempre e comunque. Perfino quella volta che Elsa le ha detto che odiava George e che ogni tanto odiava pure Metà. Ed è decisamente difficile non voler bene a una nonna che sente una persona dire una cosa così terribile e rimane lo stesso dalla sua parte.

L’appartamento della nonna è esattamente uguale a quello della mamma, solo molto più incasinato, perché l’appartamento della mamma somiglia alla mamma e quello della nonna somiglia alla nonna. Alla mamma piace sistemare e alla nonna incasinare.

Nell’appartamento sotto quello della nonna abitano Britt-Marie e Kent. A loro piace tantissimo possedere oggetti e Kent dice sempre il prezzo di qualunque cosa. Kent non è quasi mai a casa perché fa l’imprenditore. O il “Kentprenditore” come dice lui davanti a gente che non conosce, per poi scoppiare a ridere. E se la gente non ride subito, Kent lo ripete un’altra volta alzando la voce. Come se il problema fosse quello.

La nonna dice che Kent è un maledetto stordito e che in realtà la parola imprenditore viene dal Paese-da-Quasi-Svegli perché qualcuno ha capito male l’espressione “non-fa-nulla-a-tutte-le-ore”, che indica i vagabondi di Miamas. Così su due piedi Elsa non è in grado di dire se sia vero o no. Britt-Marie invece sta quasi sempre a casa, quindi Elsa presume che non faccia l’imprenditrice. La nonna dice che fa la “vecchia brontolona a tempo pieno”. Britt-Marie e la nonna non vanno granché d’accordo, diciamo. E con ciò si intende che non vanno d’accordo un po’ come i conigli con il fuoco. «Quella vecchia ha delle vesciche nell’anima» dice la nonna, perché Britt-Marie ha sempre la faccia di chi ha preso dalla scatola il cioccolatino sbagliato e l’ha messo in bocca. È lei che ha appeso nel locale lavanderia il foglio dal titolo “Per il benessere di tutti”, perché per Britt-Marie il benessere di tutti è molto importante, nonostante lei e Kent siano gli unici in tutto il palazzo che hanno la lavatrice e l’asciugatrice in casa. Una volta che George aveva prenotato la lavanderia, Britt-Marie si era presentata alla porta chiedendo di parlare con la mamma. Aveva in mano una pallina di lanugine blu recuperata dal filtro dell’asciugatrice e l’aveva mostrata alla mamma come se fosse un uccellino appena nato dicendo: «Credo che tu l’abbia dimenticata quando hai fatto il bucato, Ulricka!». E quando George aveva specificato che in realtà era lui a occuparsi del bucato, Britt-Marie l’aveva guardato con un sorriso molto poco sincero e aveva detto: «Molto moderno». Poi aveva sorriso bendisposta alla mamma e le aveva porto la pallina dicendo: «Per il bene di tutti, in questo condominio di proprietari puliamo il filtro dell’asciugatrice quando la usiamo, Ulricka!».

Ovviamente quello non è ancora un condominio di proprietari. Ma lo diventerà, tiene a puntualizzare Britt-Marie, se ne occuperanno lei e Kent. E nel condominio di proprietari di Britt-Marie le regole saranno importanti. Ecco perché lei è la nemesi della nonna. Elsa sa cosa significa “bestia nera”, perché è una cosa che si sa quando si legge letteratura di qualità.

Nell’appartamento di fronte a quello di Britt-Marie e Kent abita la donna con la gonna nera. Non la si vede quasi mai, tranne quando sgambetta dal suo appartamento al portone e viceversa al mattino presto o la sera tardi. Ha sempre scarpe con i tacchi alti, una cartelletta sottile, una gonna nera perfettamente stirata e parla a voce altissima dentro un cavo bianco che le pende dall’orecchio. Non saluta mai e non sorride mai. La nonna dice che quella gonna è stirata così bene perché “se fossi io la stoffa di quella gonna, non mi azzarderei a stropicciarmi”.

Sotto l’appartamento di Britt-Marie e Kent abitano Lennart e Maud. Lennart beve almeno venti tazze di caffè al giorno, ma quando ne viene messo su dell’altro ha sempre la faccia di chi ha vinto qualcosa. È la seconda persona più gentile al mondo ed è sposato con Maud. Maud è la persona più gentile al mondo e ha sempre dei biscotti appena sfornati. Vivono con Samantha, che dorme quasi sempre. Samantha è un bichon frisé, ma Lennart e Maud parlano con lei come se non lo fosse. Quando bevono il caffè davanti a Samantha non lo chiamano “caffè” ma “bevanda per adulti”. La nonna dice che quei due sono completamente matti, ma per Elsa non è un problema visto che sono così gentili. A casa loro ci sono sempre dei sogni e degli abbracci. I sogni sono un tipo di biscotti, gli abbracci sono abbracci normali.

Di fronte a Lennart e Maud abita Alf. Fa il tassista, indossa sempre giubbotto di pelle e cattivo umore. Le sue scarpe hanno le suole sottili come carta da forno perché quando cammina non solleva i piedi. La nonna dice che è perché ha il baricentro più basso dell’universo, quell’uomo.

Nell’appartamento sotto quello di Lennart e Maud vivono il bambino con la sindrome e la sua mamma. Il bambino con la sindrome ha un anno e qualche settimana meno di Elsa e non parla mai. La sua mamma perde sempre tutto, come se le piovessero oggetti dalle tasche, come quando i criminali dei cartoni animati vengono perquisiti e dai loro vestiti escono mucchi di roba che li sommergono. Sia lei sia il bambino con la sindrome, però, hanno occhi simpaticissimi e nemmeno la nonna riesce a pensare male di loro.

Nell’appartamento accanto, dall’altro lato dell’ascensore che non funziona mai, abita il Mostro. Elsa non sa come si chiami in realtà, ma lo chiama Mostro perché tutti ne sono terrorizzati. E con tutti intende veramente tutti. Perfino la mamma, che non ha paura di niente, le dà un colpetto sulla schiena quando passano davanti a casa sua. Nessuno vede mai il Mostro perché di giorno non esce, ma alle assemblee condominiali Kent dice sempre che “quelli lì non dovrebbero andare in giro liberi! Ma questo è quello che succede in questo cavolo di paese quando si vizia la gente con l’assistenza sanitaria psichiatrica anziché sbatterla in galera!”. Britt-Marie ha scritto delle lettere ai proprietari del palazzo chiedendo di sfrattare il Mostro perché è convinta che porti in casa “altri tossici”. Elsa non sa bene cosa significhi. Non è tanto sicura che nemmeno Britt-Marie lo sappia, ma sa che perfino la nonna, una volta che Elsa le ha chiesto del Mostro, ha fatto una faccia strana e ha risposto a bassa voce: «Certe cose devono solo essere lasciate in pace». La nonna di Elsa ha combattuto nella Guerra-Senza-Fine, la guerra con le ombre del Paese-da-Quasi-Svegli, quindi ha incontrato le creature più terrificanti che le eternità di diecimila fiabe abbiano mai potuto mettere insieme.

Già, è così che si misura il tempo nel Paese-da-Quasi-Svegli, in eternità. Ovviamente questa è una “digressione”, ma nel Paese-da-Quasi-Svegli non esistono gli orologi, quindi il tempo si misura in base a come lo si percepisce. Se sembra una piccola eternità, allora si dice che è un eterno. Se sembra su per giù come due dozzine di eterno, allora è un’eternità intera. L’unica cosa che è più lunga di un’eternità intera è l’eternità di una fiaba, perché l’eternità di una fiaba è l’eternità di un’eternità intera. E la cosa più lunga in assoluto è un’eternità di diecimila fiabe. È la cifra più grossa che esista nel Paese-da-Quasi-Svegli.

Comunque, tornando a noi: al pianterreno del palazzo dove abita tutta questa gente c’è una sala dove una volta al mese si tengono le assemblee condominiali. Certo, sono un po’ più frequenti che nei condomini normali, ma gli inquilini del palazzo sono in affitto e Britt-Marie e Kent vorrebbero proprio che “attraverso un processo democratico” tutti richiedessero ai proprietari di vendere loro gli appartamenti in modo da farli diventare di proprietà. Allora bisogna fare le assemblee condominiali, perché in realtà nessun altro nel palazzo vuole acquistare il proprio appartamento. Si potrebbe dire che la democrazia è la parte del processo democratico che piace di meno a Kent e Britt-Marie.

Le assemblee sono sempre una noia mortale. Prima si discute di quello di cui si è discusso per due ore all’assemblea precedente, poi tutti prendono l’agenda e discutono su quando fare la successiva e poi l’assemblea finisce. Oggi però Elsa ci va lo stesso perché deve sapere quando inizia la discussione, in modo che nessuno la veda sgattaiolare via.

Kent non è ancora arrivato, perché è sempre in ritardo. Neanche Alf è arrivato, perché arriva sempre puntualissimo. Maud e Lennart sono seduti al grande tavolo e Britt-Marie e la mamma sono nell’angolo cottura a parlare di caffè. Samantha dorme sul pavimento. Maud allunga a Elsa una grande scatola di sogni. Lennart aspetta il caffè e intanto beve quello del thermos che si è portato dietro. Per Lennart è importante avere sempre un caffè di attesa mentre aspetta quello vero.

Britt-Marie è in piedi accanto all’angolo cottura con le mani giunte davanti al petto e l’aria frustrata, e osserva nervosa la mamma che prepara il caffè. È una cosa che innervosisce Britt-Marie, perché secondo lei è meglio aspettare Kent. Secondo Britt-Marie è sempre meglio aspettare Kent, ma la mamma non è proprio il tipo che aspetta, è più il tipo che prende il controllo, quindi prepara il caffè. Britt-Marie inizia a togliere con cura delle briciole invisibili dal piano della cucina con il palmo della mano. Ci sono quasi sempre e ovunque delle briciole invisibili che Britt-Marie sente il bisogno di togliere. Sorride bendisposta alla mamma.

«Tutto bene con il caffè, Ulricka?»

Britt-Marie chiama sempre la mamma “Ulricka” perché una volta è venuta a sapere che il nome della mamma si scrive con la “c” anziché con la “k”. Quindi Britt-Marie ha deciso che si dovesse pronunciare “Ulricka”, anche se Ulrica le ha spiegato varie volte che si pronuncia “Ulrica”.

«Sì, grazie» risponde secca la mamma.

«Magari aspettiamo lo stesso Kent?» insiste Britt-Marie bendisposta.

«Dovremmo cavarcela a preparare il caffè anche senza Kent» risponde la mamma amabile.

Britt-Marie stringe di nuovo le mani davanti al petto e sorride.

«Sì, sì, fai pure come vuoi, Ulricka. Del resto lo fai sempre.»

La mamma sembra contare fino a un numero di tre cifre e continua ad aggiungere caffè.

«È solo caffè, Britt-Marie.»

Britt-Marie annuisce comprensiva e spazzola via della polvere invisibile dalla gonna. Sulla gonna di Britt-Marie c’è sempre della polvere invisibile che solo lei vede e che deve essere tolta.

«Kent fa sempre un ottimo caffè. Lo dicono tutti che Kent fa un ottimo caffè» dice.

Maud è seduta al tavolo con aria preoccupata, perché non le piacciono i conflitti. Per questo prepara così tanti biscotti, perché è molto più difficile che ci sia un conflitto se ci sono dei biscotti. Dà una pacca a Elsa e le sussurra di prendere un sogno. Elsa ne prende due. Nel frattempo la mamma dice gentilmente a Britt-Marie che “non è poi così difficile fare il caffè” e Britt-Marie risponde che “no, no, certo, non c’è niente che sia difficile per le donne della tua famiglia, certo!”. La mamma sorride. Britt-Marie sorride. Anche se non sembra che dentro stiano proprio sorridendo.

La mamma fa un respiro profondo e aggiunge dell’altro caffè. Britt-Marie spazzola della polvere invisibile dalla gonna e butta lì come per caso: «Ma è bello che ci siate sia tu che Elsa oggi, tutti pensiamo che sia bello».

Dalla mamma esce un controllato “mmh”. Aggiunta di altro caffè. Spazzolatura di altra polvere invisibile. Poi Britt-Marie dice: «Già, ovviamente dev’essere difficile per te trovare del tempo per la piccola Elsa in altri modi, Ulricka, lo capiamo bene, tu che tieni così tanto alla tua carriera».

Allora la mamma aggiunge dell’altro caffè un po’ come se immaginasse di sbatterlo sulla faccia di Britt-Marie, ma in modo controllato. Britt-Marie va alla finestra, si mette a spostare una pianta e dice come se pensasse ad alta voce: «E il tuo compagno è a casa, ovviamente. A fare i mestieri». E la mamma: «George è nel locale lavanderia» e preme il pulsante della caffettiera elettrica piuttosto forte, ma in modo controllato.

Britt-Marie annuisce. «È così che si dice? Compagno? È davvero moderno, si capisce.» Sorride di nuovo bendisposta, poi spazzola via della polvere invisibile dalla gonna e aggiunge: «Non che ci sia qualcosa di male, naturalmente».

La mamma sorride controllata e dice: «Stai alludendo a qualcosa, Britt-Marie?». Allora Britt-Marie alza lo sguardo sorpresa come se fosse sconvolta all’idea di essere stata fraintesa e si affretta a esclamare: «Ovviamente no, Ulricka! Ovviamente no! Non alludevo a niente con questo, non alludevo proprio a niente!».

Quando si innervosisce o si arrabbia o entrambe le cose, Britt-Marie ripete sempre tutto due volte. Elsa si ricorda di quella volta in cui lei e la nonna sono andate all’Ikea a comprare delle coperte blu di lana e la nonna ha passato tutto il pomeriggio a pettinarle e a infilare in un sacco ciò che finiva per terra. Poi Elsa è rimasta sulle scale con una torcia a fare il palo mentre la nonna sgattaiolava nel locale lavanderia a svuotare il sacco nell’asciugatrice.

Quella volta Britt-Marie ha ripetuto tutto due volte per parecchie settimane.

Alf entra nella sala con indosso un giubbotto di pelle scricchiolante con il logo dei tassisti sul petto e di pessimo umore. Ha in mano un giornale. Guarda l’orologio: sono le sette in punto.

«Sul foglio c’è scritto alle sette, che diamine» grugnisce appena entrato rivolgendosi a nessuno in particolare.

«Kent è un po’ in ritardo» dice Britt-Marie sorridendo e giungendo le mani davanti al petto.

«Ha un’importante riunione aziendale in Germania» chiarisce, come se Kent fosse in riunione con tutto il paese.

Un quarto d’ora dopo Kent entra di corsa nella stanza con la giacca che gli svolazza intorno come un mantello gridando al telefono: «Yez, Klaus! Yez! We will dizcuzz it at ze meeting in Frankfurt!». Alf alza lo sguardo dal giornale e picchietta sull’orologio mormorando: «Spero che non ti crei problemi il fatto che noi eravamo tutti qui in orario, che diavolo». Kent lo ignora, batte le mani eccitato verso Lennart e Maud e ridacchia: «Iniziamo questa riunione? Eh? Altrimenti qui non si partorisce nulla!». Poi si volta rapido verso la mamma e indicando la pancia aggiunge: «Almeno noi non partoriamo nulla!». E visto che la mamma non ride subito, indica di nuovo la pancia ripetendo: «Almeno n-o-i non partoriamo nulla!», ma a voce più alta. Come se il problema fosse quello.

Maud serve i biscotti e la mamma serve il caffè. Kent ne beve un sorso, fa una pausa, e sentenzia: «Troppo forte». Alf butta giù la tazza d’un fiato e mormora: «Assolutamente perfetto!». Britt-Marie ne beve un goccino piccolissimo, appoggia la tazza sul palmo e interviene sorridendo bendisposta: «Per me è decisamente un po’ forte, per me». Poi lancia un’occhiata furtiva alla mamma e aggiunge: «E tu bevi il caffè, Ulricka, anche se sei incinta». E prima che la mamma possa rispondere, Britt-Marie si scusa subito: «Non che ci sia qualcosa di male, ovviamente. Certo che no!».

Poi Kent dichiara aperta l’assemblea e si discute per due ore di quello di cui si è discusso all’assemblea precedente.

A quel punto Elsa sgattaiola via senza che nessuno se ne accorga.

La sala condominiale è al pianterreno, proprio nell’atrio, accanto alla scala che scende nei sotterranei fino alle cantine, ai garage e al locale lavanderia. Elsa sente che George è giù. Sale una rampa verso il primo piano e dà un’occhiata all’appartamento del Mostro, ma il fatto che fuori sia ancora chiaro la tranquillizza. Il Mostro non esce mai finché è chiaro.

Guarda la porta dell’appartamento accanto a quello del Mostro, quello che non ha il nome sulla buca della posta, dove abita l’Amico. Elsa rimane a due metri trattenendo il respiro, perché ha paura che, se si avvicina troppo, lui sfonderà la porta e si lancerà nel varco scheggiato tentando di azzannarla alla gola. Solo la nonna lo chiama “l’Amico”, tutti gli altri lo chiamano “cane da combattimento”. Soprattutto Britt-Marie.

Ovviamente Elsa non sa bene cosa c’entrino i combattimenti, però non ha mai visto un cane così grande in tutta la sua vita. Sentirlo abbaiare attraverso la porta di legno è come beccarsi una palla medica nello stomaco.

L’ha visto soltanto una volta a casa della nonna qualche giorno prima che lei si ammalasse, ma pensa che non proverebbe un terrore del genere nemmeno se si trovasse faccia a faccia con un’ombra nel Paese-da-Quasi-Svegli.

Era sabato e la nonna ed Elsa dovevano andare a una mostra sui dinosauri. Quella mattina la mamma aveva messo a lavare la sciarpa di Grifondoro senza chiederglielo e gliene aveva data un’altra. Una verde, come Serpeverde. A volte quella donna manca totalmente di empatia, secondo Elsa. Quando ci ripensa si arrabbia ancora.

L’Amico era piazzato sul letto della nonna come una sfinge fuori da una piramide. Elsa era rimasta paralizzata nell’ingresso a fissare quella gigantesca testa nera e quegli occhi così scuri da sembrare abissi nel cranio della bestia. Era la cosa più spaventosa che Elsa avesse mai visto in vita sua.

Ovviamente la nonna era spuntata dalla cucina e aveva iniziato a mettersi il cappotto come se la presenza di quella bestia enorme sul letto fosse la cosa più naturale dell’universo. «Chi è… quello?» aveva sussurrato Elsa. La nonna si era rollata una sigaretta e aveva risposto tranquillissima: «È l’Amico. Se tu non gli fai niente, lui non ti fa niente». Facile dirlo per lei, aveva pensato Elsa sconvolta. Nessuno sapeva cosa accidenti potesse dare fastidio a una bestia del genere. Una volta, a scuola, Elsa era stata picchiata da una bambina solo perché indossava una brutta sciarpa. Era l’unica cosa che Elsa le aveva fatto e quella l’aveva picchiata. E così Elsa se ne stava lì, con la sua solita sciarpa in lavatrice e intorno al collo una sciarpa che aveva scelto la mamma, a sentirsi dire che quella bestia non le avrebbe fatto niente se lei non avesse fatto niente alla bestia. Solo che Elsa non aveva la minima idea di quali sciarpe piacessero o non piacessero alla bestia, quindi che razza di informazione era da dare a una persona sperando che potesse ricavarne una strategia di sopravvivenza utile?

Alla fine Elsa era indietreggiata verso la porta ansimando: «Non è mia la sciarpa! È della mamma! Lei non ha gusto!».

L’Amico l’aveva guardata, o almeno a Elsa così era parso, se quelli erano veramente occhi, poi aveva mostrato i denti. Ne era assolutamente certa. Ma la nonna aveva scosso la testa mormorando qualcosa tipo “su, ragazzi” e guardando l’Amico aveva alzato gli occhi al cielo. Poi era andata a cercare le chiavi di Renault e lei ed Elsa erano andate alla mostra sui dinosauri. Elsa si ricorda che la nonna aveva lasciato socchiusa la porta di casa. Una volta sedute dentro Renault, Elsa le aveva chiesto cosa ci facesse l’Amico in casa sua e lei aveva risposto: «È passato a trovarmi». Quando le aveva chiesto perché a casa sua abbaiasse così spesso, la nonna aveva risposto allegra: «Abbaiare? No, quello lo fa solo quando passa Britt-Marie». E quando le aveva chiesto perché, la nonna aveva sorriso da un orecchio all’altro dicendo: «Perché si diverte».

Poi Elsa aveva chiesto con chi abitasse l’Amico e la nonna aveva risposto: «Santo cielo, non tutti hanno bisogno di abitare con qualcuno. Io per esempio non vivo con nessuno». E nonostante Elsa insistesse nel dire che forse dipendeva dal fatto che la nonna non era un c-a-n-e, la nonna non ne aveva più parlato.

Elsa è seduta sul pianerottolo a scartare barrette al cioccolato Daim. Butta dentro la prima così in fretta che quando ritrae la mano la buca della posta sbatte. Trattiene di nuovo il respiro e sente il cuore batterle in tutta la testa, ma poi si ricorda che la nonna le ha detto di agire in fretta in modo che a Britt-Marie non vengano sospetti mentre è in assemblea. Perché Britt-Marie odia davvero l’Amico. Allora Elsa cerca di ricordarsi che è un cavaliere di Miamas e riapre la buca della posta con un po’ più di coraggio.

Sente il respiro della bestia. Sembra che dei massi franino nei suoi polmoni. Il cuore di Elsa batte così forte che è sicura che l’Amico sentirà le vibrazioni attraverso la porta.

«Mia nonna ti saluta e chiede scusa perché da un sacco di tempo non viene a portarti i dolci!» dice prudente nella buca della posta. Poi scarta un’altra barretta e inizia a lasciarne scivolare dentro dei pezzi.

Quando lo sente muoversi ritrae le dita terrorizzata. Per qualche secondo cala il silenzio ed Elsa sente lo scricchiolio del cioccolato che si sbriciola veloce tra le fauci dell’Amico.

«La nonna è malata» gli racconta mentre lui mangia.

Non si aspettava che le parole le uscissero così tremanti. Si convince che l’Amico stia respirando più lentamente e butta dentro altro cioccolato.

«Ha un tumore» sussurra Elsa.

Elsa non ha amici, quindi non è molto sicura della procedura in questo genere di situazioni. Però immagina che se avesse degli amici vorrebbe che sapessero se ha un tumore, anche se fossero delle bestie enormi.

«Ti saluta e ti chiede scusa» sussurra nel buio buttando il resto del cioccolato e chiudendo delicatamente la buca della posta.

Rimane un momento a guardare la porta dell’Amico, poi quella del Mostro. Se dietro la prima porta può nascondersi una bestia selvaggia come quella, non vuole minimamente sapere cosa può nascondersi dietro l’altra.

Poi corre giù per le scale fino al portone. George è ancora nel locale lavanderia e nella sala condominiale tutti bevono caffè e discutono.

Perché è un palazzo normale.

Perlopiù.

Mia nonna saluta e chiede scusa
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