IL CRISTIANESIMO PRIMITIVO
Il rito battesimale celebrato da san Giovanni Battista coincide con il consueto tuffo dell’androgino (vedi figure 100-104). Il battezzato indossa quindi l’abito glorioso, l’immagine di Dio impressa su Adamo l’Androgino, sull’Adamo di Luce, dal cui fallo scorrono le acque della vita.
I sacerdoti mandei, eredi dell’insegnamento originario del Battista, identificavano ritualmente il calice del vino consacrato con l’utero cosmico, e affermavano che in esso si ricostituiva l’Adamo originario (23).
Queste immagini e il loro significato furono raccolti dalla comunità dei cristiani. Nella “Lettera ai Galati” (3:28), san Paolo afferma che il battesimo cancella ogni distinzione fra il maschio e la femmina. (Anche l’immagine delle acque di vita che scorrono dal ventre del ‘credente’, in “Giovanni” 7:38, richiama quella mandea dell’Adamo di Luce.)
Gli ambienti gnostici si addentrarono più profondamente nell’androginia. Oltre al battesimo, vari sacramenti gnostici (24) avevano la funzione di rivestire l’uomo «a immagine di Dio», reintegrandone l’androginia. L’apice di questo processo era rappresentato dal ‘Crisma nella Camera Nuziale’, una unzione che ricreava la ‘comunione’ di Gesù con Maria Maddalena. Non si sa come il rito effettivamente si svolgesse; si sa solo che esso era una ierogamia che rinviava a «prima della fondazione del mondo», e una ‘iconizzazione’ dei partecipanti. In esso ogni vergogna era trascesa e l’innocenza dell’infanzia veniva ritrovata; l’interno veniva assimilato all’esterno, l’alto al basso, il femminile (interno) al maschile (esterno). L’iniziato diveniva un “monachos”, uno che abita nella pienezza.
Nella “Piccola interrogazione di Maria” della biblioteca Nag Hammadi viene attribuita a Gesù una rozza rievocazione della creazione di Eva descritta nel “Genesi”. Gesù conduce una discepola di nome Maria in cima a una montagna, dove procede a estrarre dal proprio fianco una donna con cui si congiunge sessualmente. Maria sviene e, quando torna in sé, Gesù le dice che se non è in grado di reggere una rivelazione in termini terreni, sicuramente lo è ancor meno di ricevere una rivelazione spirituale.
Secondo Ippolito, gli gnostici indirizzavano preghiere alle stesse ‘persone’ divine che i testi cabalistici individuano in IHVH [I H V H]: «Dal Padre e tramite Te, Madre, due Nomi immortali, Genitori dell’essere divino, e voi che siete nei cieli, umanità dal nome potente…» Marco insegnava ai propri seguaci a vedere nel vino il sangue della Madre e a pregare affinché «Colei che precede tutte le cose, Grazia incomprensibile e indescrivibile, ci riempia internamente, accrescendo la sua conoscenza dentro di noi». Il testo gnostico “La grande annunciazione” si rivolge ai due ‘lati di Dio, quello maschile e quello femminile. I naasseni, o ‘cultori del Serpente’, seguaci di Giacomo, fratello di Gesù, adottarono la bipenne come simbolo dell’eterna natura androgina dell’uomo, che essi miravano a ritrovare. Nelle cerchie naassene di Samaria l’illuminazione veniva ricercata mediante il culto rituale di un serpente, e mangiando un pane eucaristico allucinogeno contenente mandragora (25). Nel mondo giudeo-cristiano la bipenne denotava l’androginia; la croce-come-albero-della-vita e il trifoglio erano simboli del “lingam”; il pesce e le corna erano simboli della “yoni”. La fusione dei due elementi era sottolineata dalle iscrizioni sulle pareti delle camere d’iniziazione nei cimiteri (26).
Anche la castrazione rituale era a volte praticata dai primi cristiani (per esempio da Origene) «per il Regno», un’usanza resuscitata in epoca moderna dagli “skopcy” russi.
Dopo l’interessamento teorico iniziale (soprattutto da parte degli gnostici) al tema dell’androginia, le discussioni in merito furono gradualmente emarginate dal pensiero ecclesiastico dominante. Nel periodo che intercorre fra san Paolo (5/15-67 circa) e sant’Agostino (354-430) la divulgazione di conoscenze esoteriche che aveva caratterizzato il cristianesimo primitivo fu ridotta al silenzio. L’idea stessa del nulla divino rimase confinata nella tradizione dionisiaca.
La trascendenza mistica delle dicotomie etiche non fu più accentuata. Nelle invettive contro le “virgines subintroductae”, le ‘vergini infiltrate’, la Chiesa condannò la vita in comune, innocente e amorosa, di uomini e donne spirituali e devoti alla preghiera, descritta nel “Pastore” di Erma, come pericolosa per la castità. Lo stesso stile di vita prese piede, in seguito, nei monasteri della neoconvertita Irlanda, dove fu detto “consortium mulierum”, ‘compagnia delle donne’. Nel “Comrac Liadaine Ocus Chuirithir” si narra di un poeta e di una poetessa che, guidati da san Cummine, dapprima conversano senza guardarsi, poi dormono nello stesso letto con un bambino frapposto fra loro, ma infine sono costretti a separarsi.
La particolare esperienza di euforia spirituale che si accende fra mistici di sesso opposto, non poté mai essere del tutto sradicata dal sospetto ecclesiastico e riaffiora in tutta la storia del cristianesimo. San Francesco e santa Chiara, santa Teresa e san Giovanni della Croce, san Francesco di Sales e santa Jeanne-Françoise de Chantal, Fénelon e Madame de Guyon sono gli esempi più famosi d’intensificazione della trascendenza mistica per opera di quel particolare vortice di energie spirituali che genera un sottile essere psichico androgino. Quei mistici e teologi che, come Scoto Eriùgena nel nono secolo, s’innalzarono al di sopra di un concetto personale e maschile della divinità, e sentirono e riaffermarono la presenza dell’archetipo dell’androginia, rischiarono la scomunica da parte della Chiesa. Le loro idee ebbero una circolazione solo clandestina, e la parallela cultura esoterica ebraica divenne il serbatoio di conoscenza a cui attingere per le anime audaci e indagatrici. Insieme coll’esoterismo ebraico sopravvisse anche la tradizione ermetica, la cui dottrina dell’androginia è condensata da un famoso passaggio dell‘“Asclepius”:
“«Tu dici dunque, Trismegisto, che Dio è di entrambi i sessi?» «Sì, e non solo Dio, Asclepius, ma tutte le cose animate e inanimate, perché entrambi i sessi brulicano di potenza riproduttiva, e la loro energia di legame, o piuttosto unità, che tu chiami Venere o Cupido o entrambi, trascende la comprensione. La più alta chiarezza, gioia, allegrezza e amore divino sono in essa innati.»”
La Chiesa riuscì a evitare di affrontare esplicitamente il tema dell’androginia, grazie all’equilibrio psicologico che stabilì fra la severità maschile del Padre e l’intercessione femminile della Vergine, con il Figlio nel mezzo a bilanciare le energie. Hermann Melville, nel capitolo intitolato ‘La coda’ del suo romanzo “Moby Dick”, ha saputo cogliere il messaggio psicologico dell’iconografia cattolica del Figlio: «Quelle immagini italiane ‘morbide, ricurve, ermafroditiche’, così prive di ogni muscolosità, non suggeriscono alcun potere, se non quello puramente negativo, femminile, della sottomissione e della sopportazione». Vista in questa luce, la circoncisione di Gesù, tanto sottolineata iconograficamente, e quindi anche archetipicamente, assume il suo pieno significato di evirazione simbolica.
L’idea di divina androginia fu coltivata anche dalla scuola di Chartres. Alano di Lilla si rappresentava l’Intelletto divino come la dimora di tutti i semi, il cui utero è la natura. Sui confini dell’eresia, Abelardo espresse anche l’idea rabbinica che l’immagine di Dio è la mascolinità dell’anima e la somiglianza di Dio la sua femminilità.
Il mito dell’androgino Narciso annegato in uno stagno (vedi la fine del capitolo ‘Mitologia greca e indiana”) si traspose nell”epigramma dell’ermafrodita’ (27), trascritto già da Mathieu de Vendôme intorno al 1150. A una donna incinta Apollo promette un figlio maschio, Marte una femmina e Giunone né l’uno né l’altra. A tale enigmatica progenie Apollo predice la morte per annegamento, Marte la crocifissione e Giunone la morte per ferita di spada. L’epigramma si chiude dicendoci che l’ermafrodito, salito/a su un albero che si affacciava su uno stagno, scivolò e fu trafitto/a dalla propria spada, restando crocifisso/a su un ramo, con la testa penzoloni nell’acqua. In altre varianti della storia, l’ermafrodito, l’essere indefinibile, si chiama Aelia Laelia Crispis e non è né uomo, né donna, né androgino, né bambino, né giovane, né vecchio, né casto, né libertino, bensì tutto insieme.
Una leggenda relativa al grande mistico tedesco del Trecento Meister Eckhart narra che un giorno una fanciulla si annunciò alla porta del suo monastero dicendo di essere sua figlia, e dicendo anche di non avere nome, di non essere né vergine, né sposa, né vedova, di non essere un signore, né una signora, né uno schiavo, né una serva. Il mistico chiese ulteriori spiegazioni; la ‘figlia’ rispose perciò che essa era tutte queste cose, e anche il loro opposto, agli occhi di Dio. Alla luce di questa leggenda, Aelia Laelia Crispis sembra essere la prole spirituale, la nuova identità trascendente di un’anima mistica. Nel 1567, Richard White di Basingstoke spiegò l’enigma in questo modo: Aelia Laelia Crispis è l’anima, che è maschile nella donna, femminile nell’uomo. Aelia è solare, Laelia lunare, Crispis terrestre. Quando l’anima acquisisce la conoscenza di se stessa, scorge la propria origine al di sopra della dualità, nella saggezza divina. Perciò, con le parole di un indovinello apparentemente insensato, i metafisici cristiani erano riusciti a dar voce nel corso dei secoli al messaggio che in India i devoti di Shiva Ardhanarishvara, il dio Androgino, andavano cantando liberamente per le strade, tessendo le lodi di Colui che non è né un dio, né un demone, né un mortale, né un animale, né un bramino, né un uomo, né una donna, né un eunuco:
“…the self that hovers
in between
is neither man
nor woman” (28).
(… il sé che si libra / nel mezzo / non è né uomo / né donna.)