XXXII.

C’era una bellezza grave, quasi austera, in quel fidanzamento in prigione, dove non c’era spazio per le malizie e le ritrosie dei normali corteggiamenti. Tutto ciò che non era pura verità cadeva via alla stregua di un ornamento pacchiano e di cattivo gusto, del tutto superfluo in quel triste luogo. Anime nude, non vincolate neppure dal più tenue velo di convenzionalità, di tradizione; anime nude dalla visione limpida, e forti come coloro che osservano tranquilli l’avvicinarsi della morte, si guardavano negli occhi e sapevano di essere soli, lui e lei, contro il mondo. Restare fedeli l’uno all’altra, farsi forza l’un l’altra, lui e lei, contro il mondo intero: era questo il significato del loro fidanzamento. Axel, tagliato fuori per sempre dai suoi simili se non fosse stato in grado di discolparsi; Anna, che si stava tagliando fuori per sempre a sua volta per seguirlo. Alla fine i piedi di lei avevano trovato la strada giusta. Gli occhi erano ben aperti. Come due amici alla vigilia di una battaglia che entrambi dovranno combattere e il cui esito potrebbe essere la morte, o come due amici che partono per un lungo viaggio, la cui destinazione, dopo tortuose spirali di sofferenza, potrebbe essere anche in quel caso la morte, fecero i loro progetti a voce bassa, parlarono dei passi più opportuni da intraprendere, incoraggiandosi a vicenda in toni gravi, ma sempre con una luce di incrollabile fiducia negli occhi. Come si sentivano forti assieme! E capaci di andare impavidi incontro al futuro per affrontare assieme ogni dolore, ogni sofferenza! La guardia lì presente, la sordida celletta, gli squallidi dettagli della situazione… nulla più esisteva per loro due. Nulla avrebbe potuto nuocere loro, nulla più ferirli, se solo fossero stati assieme. Si trovavano al sicuro all’interno di un cerchio tracciato dall’amore; al sicuro, al caldo, e beati. Fintanto che lui avesse avuto lei, e lei lui, pur comprendendo l’infelicità in agguato se il coraggio avesse fatto loro difetto, non potevano non credere alla benevolenza del futuro, non potevano non nutrire speranza. Se anche lui fosse stato condannato, disse lei, cosa poteva accadere, al peggio? Due, tre anni di attesa, poi assieme per tutto il resto della vita. E non era forse questo degno di essere atteso con ansia? Non avrebbe forse cancellato ogni sofferenza? gli chiese tenendogli le mani sulle spalle, il bel viso illuminato dalla fiducia e dal coraggio. Quando lui le disse che non doveva unire il suo destino a quello di lui, lei si limitò a sorridere, e gli posò la guancia sulla manica. Aveva chiuso per sempre con le sue follie infantili, e le incertezze, le false partenze. All’improvviso la vita era diventata semplice. La vita era stare al suo fianco fino alla morte. Ma entrambi sapevano che quando quell’ora beata fosse finita, e lei fosse dovuta andare, la sofferenza sarebbe ricominciata. Anna poteva fargli visita solo due volte la settimana, e i giorni tra un incontro e l’altro sarebbero stati una tortura. E quando il momento giunse, e loro si salutarono con occhi coraggiosi, ognuno rassicurando l’altro che una separazione così breve non era niente, che non era importante, che sarebbe terminata ancor prima che se ne accorgessero, e la porta fu chiusa, e lui rimase solo al di là, lei uscì dal carcere e ritrovò ad attenderla la stessa infelicità là dove l’aveva lasciata. Questa riprese possesso di lei completamente, imprigionandola nella sua cappa greve e inamovibile; un’infelicità devastante il cui orrendo peso minacciava di spezzarle il cuore.

Mentre tornava a casa con Letty, una tangibile sensazione di freddo si impadronì di lei, espressione fisica della indicibile desolazione che aveva dentro. Come era debole e incapace di essere coraggiosa, lontano da lui. Letty avrebbe capito? Le avrebbe rivolto qualche parola gentile, affettuosa? Le avrebbe detto qualcosa, una qualunque cosa, per farla sentire meno sola? Raccontò la propria storia alla nipote tra infinite pause ed esitazioni, fissandola con occhi torturati dal pensiero di lui in paziente attesa del suo ritorno. Letty ne fu impressionata, tanto dal profondo dolore di Anna quanto da quella rivelazione. Naturalmente sapeva che Axel era stato arrestato – forse che a Kleinwalde non si parlava d’altro da mattina a sera? – ma lei non avrebbe mai immaginato simili sviluppi. Non sapeva che dire; allungò timidamente la mano e la posò su quella di Anna. «Ho tanto freddo» fu tutto ciò che disse Anna con il capo chino; e poi rimase in silenzio.

Mentre superavano i campi di Axel, passavano presso il suo cancello aperto e attraversavano il villaggio che gli apparteneva, Anna tenne gli occhi chiusi. Sapendo dove lui si trovava, non riusciva a costringersi a guardare i lieti campi estivi, i visi placidi. Persino l’esistenza del più povero tra i suoi servitori, del più lacero dei bimbi che si rotolavano nella polvere o del cane più miserabile e famelico che prendeva il sole sulla soglia poteva dirsi più fortunata se paragonata a quella di Axel. Gli addetti alla fienagione stavano ammassando il fieno sui suoi carri. Le ragazze con il cappello a falde larghe in testa e a braccia e gambe scoperte stavano in cima ai cumuli e afferravano a bracciate il fieno che veniva gettato dagli uomini. Le loro sagome si stagliavano nitide contro il cielo limpido; le loro grida e risate riecheggiavano sopra i campi. La libertà di andare e venire a piacimento nella generosa luce di Dio – com’era preziosa, indicibilmente preziosa. Di tutti i doni di Dio il più prezioso in assoluto. E così normale, così universale. Solo ad Axel era completamente precluso.

Quando arrivarono a casa, l’atrio le parve affollato di gente. Il campanello della cena era appena suonato, e le ospiti, parlando e ridendo, si dirigevano in sala da pranzo. Dellwig, con le mani piene di documenti, non avendo trovato Anna a casa si stava producendo in una serie di elaborati inchini di saluto alle signore radunate. Dopo le due silenziose ore di sofferenza che la separavano da Axel, come le sembrava strano quel rumoroso trambusto di vita quotidiana! Le giunsero all’orecchio alcuni frammenti di conversazione, delle solite chiacchiere, dello stesso niente di cui parlavano ogni giorno, accompagnato dalle solite vaghe risate. Che orribile e strano effetto facevano la tremenda difficoltà dell’esistenza, la prossimità della morte, l’assoluta inesorabilità della sofferenza accostate a tutte quelle ciance.

«Um Gottes Willen!» esclamò Frau von Treumann quando all’improvviso vide in mezzo a loro quella figura pallida e addolorata. «Dunque? La vostra banca è andata in rovina?» E fece un movimento affrettato verso il tavolo dell’atrio, su cui era posata una lettera di Karlchen indirizzata ad Anna, contenente, come lei già sapeva, una proposta di matrimonio.

Anna si girò in una sorta di movimento cieco e allungò la mano verso Letty, tirandosela appresso, cercando istintivamente un po’ di conforto, una qualunque forma di conforto; restò lì per un istante abbracciata a lei, fissando l’assembramento con occhi cupi, persi nel vuoto.

«Cos’è successo, Anna?» chiese la principessa a disagio.

«Dovete farmi le congratulazioni» scandì Anna lentamente in tedesco, la testa ben dritta, il viso di un pallore mortale.

Un lampo di consapevolezza sfrecciò nello sguardo di Dellwig; non ebbe quasi bisogno di udire le parole successive.

«Io e Herr von Lohm ci siamo fidanzati quest’oggi» annunciò. Poi guardò le facce a una a una con sguardo distratto, triste, e si portò le mani alla gola. «Ci sposeremo… ci sposeremo… quando… quando Dio vorrà».