XIV.

Anna e Letty cominciarono ad aspettare nell’atrio le tre prescelte già molto prima che la loro carrozza avesse modo di arrivare dalla stazione: ora guardavano dalla finestra, ora uscivano sulla gradinata o davano un’occhiata alle stanze ogni pochi minuti per controllare che tutto fosse in ordine. Le camere da letto erano piene di fiori raccolti quel mattino; la tavola per il caffè era stata apparecchiata dalla stessa Anna, con infinita cura e attenzione all’effetto estetico, in salotto vicino alla finestra aperta, da cui entrava il mite vento d’aprile che con delicatezza gonfiava le tende, e per l’occasione la principessa aveva preparato le sue migliori torte, pur deplorando tra sé che tali prelibatezze fossero destinate a persone del genere. Una volta controllato che tutto fosse come doveva essere, aveva chiesto ad Anna di essere esonerata dal riceverle e si era ritirata in camera sua a rammendare lenzuola. «È meglio che ci siate solo voi ad accoglierle» consigliò. «Date le circostanze, la presenza di troppi estranei già subito all’arrivo potrebbe turbarle».

Miss Leech fece tesoro di quel commento esternato in sua presenza e non si presentò neppure lei; così, quando arrivò la carrozza, sull’assolata soglia di casa c’erano solo Anna e Letty.

Mentre le tre emergevano lentamente dalla vettura il cuore di Anna batteva così forte da impedirle di parlare. Il suo viso si faceva ora di porpora ora mortalmente pallido, e nei suoi occhi luccicava qualcosa di sospettosamente simile alle lacrime. Avrebbe voluto buttare le braccia al collo alle tre povere donne, baciarle, consolarle e compensarle di ogni loro sofferenza. Invece, allungò una mano ghiacciata e tremante, e con voce malferma disse: «Guten Tag».

«Guten Tag» rispose la prima a scendere; portava il lutto, perciò doveva trattarsi della vedova, Frau von Treumann.

Anna prese tra le sue la mano che le veniva tesa, poi la strinse con forza e fissò l’altra con uno sguardo che conteneva tutto lo slancio del suo cuore. «Es freut mich so es freut mich so» disse annaspando con le parole.

«Ach… siete voi Miss Estcourt?» le domandò la signora in tedesco.

«Sì, sì» rispose Anna stringendole con forza la mano, «e sono felice, tanto felice del vostro arrivo».

Al che Frau von Treumann disse qualcosa che Anna immaginò fossero parole di riconoscenza, ma l’altra parlava così rapidamente e a voce tanto bassa, lanciando nel frattempo occhiate inquiete in direzione del cocchiere e delle altre due, e Anna stessa era così agitata, che tutto ciò che la donna disse le risultò incomprensibile. Anna provò di nuovo il desiderio di gettare le braccia al collo di quella povera cara, di interromperla con dei baci e dirle che non doveva sentirsi in obbligo di essere grata ma solo felice; sapeva però che se l’avesse fatto avrebbe cominciato a piangere, e le lacrime erano qualcosa di decisamente fuori luogo in un’occasione così gioiosa, anche perché nessun altro sembrava minimamente commosso.

«Lasciatemi indovinare, voi siete Frau von Treumann» disse sempre tenendole la mano e voltandosi verso la seconda donna con un sorriso, «e voi la baronessa Elmreich?»

«No, no» si intromise subito la terza. «Sono io la baronessa Elmreich».

Fräulein Kuhräuber, una donna corpulenta la cui mole, avvolta nel mantello da viaggio, celava alla vista il donnino dietro di lei, aveva un’aria timorosa e contrita, e si profondeva in inchini.

Anna strinse la mano a ognuna con tutto il calore che aveva in cuore. Il suo tedesco zoppicante la abbandonò quasi completamente. Non riusciva a far altro che ripetere esclamazioni frammentarie: «so reizend so glücklich… so erfreut…» e riempiva i silenzi con sorrisi tremuli e felici a ognuna e con timidi colpetti su ogni mano che le capitava a tiro.

Nel frattempo Letty si manteneva nell’ombra dell’ingresso. Desiderava essere ancora abbastanza piccola da potersi succhiare il pollice: continuava a salirle verso la bocca come mosso da volontà propria, e lei continuava a cacciarlo giù in basso. L’occasione era di quelle in cui succhiarsi il pollice non solo è un sollievo ma soprattutto una benedizione: tiene occupate mani di cui non si sa che fare e aiuta a darsi un tono. Sotto lo sguardo della signora alta che era uscita per prima dalla carrozza, uno sguardo che faceva raggelare il sangue, Letty era a disagio, spostava il peso da un piede all’altro e teneva sotto controllo il pollice ribelle. La signora alta, molto alta e molto magra, con occhi tondi, scuri, ravvicinati come quelli di un gufo le cui palpebre sembravano non chiudersi mai, e folte sopracciglia nere, non disse nulla ma la passò lentamente in rassegna, a partire dal fiocco tremolante in cima alla testa fino alla fibbia delle scarpe scricchiolanti. Letty si chiese nervosa se offrirsi di stringere la mano o aspettare che fosse l’altra a prendere l’iniziativa. E comunque non era educato fissare in quel modo. A lei avevano sempre insegnato che fissare le persone era maleducazione.

Anna si era scordata completamente di lei; se ne ricordò solo quando furono tutte in salotto, una volta cominciato a versare il caffè. «Oh, Letty, dove sei? Questa è mia nipote» la presentò, e finalmente la ragazzina fu salutata da tutte con una stretta di mano.

«Ah, è qui per tenervi compagnia» disse la baronessa. «Vi sentite sola quassù, naturalmente».

«Oh, no, io non mi sento mai sola» rispose Anna in tono allegro, riempiendo le tazze e consegnandole a Letty perché le distribuisse.

«Com’è piacevole l’aria quest’oggi» osservò Frau von Treumann scostando la propria sedia dalla finestra. «Umida, ma piacevole. Amate l’aria fresca, vedo».

«Oh, tantissimo» disse Anna. «Qui è meravigliosa, così pura e odorosa di mare».

«Non temete di prendervi un raffreddore, seduta vicino alla finestra aperta?»

«Oh, è troppo, per voi? Letty, chiudi la finestra. Comincia a far freddo. Le giornate sono così belle che ci si dimentica che siamo solo in aprile».

Anna parlava in tedesco e versava il caffè con un’agitazione per lei insolita. Le tre donne sedute attorno al tavolino, che non le toglievano un istante gli occhi di dosso, la rendevano terribilmente nervosa. Era felice oltre ogni dire per essere finalmente riuscita ad accoglierle sane e salve sotto il suo tetto, ma era nervosa. Era ben decisa a far sì che il rapporto tra loro non fosse intralciato da convenzioni di sorta. Ora non dovevano più sprecare neppure un minuto della loro vita; erano arrivate a casa, e lì c’era lei, pronta ad amarle. Malgrado la timidezza, era determinata a comportarsi come se fossero care amiche, il che, assicurò a se stessa, era esattamente ciò che erano. Combatté perciò con coraggio contro il proprio nervosismo; si rivolse loro collettivamente e singolarmente, dando voce alla prima cosa che le saltava in mente per l’ansia di riempire i silenzi; sorrise; insistette affinché assaggiassero le torte della principessa e prendessero dell’altro caffè ancor prima che avessero finito quello che avevano nella tazza. Ma nulla serviva; era e rimaneva nervosa, e quando sollevava la mano le tremava così forte da farla vergognare.

Delle tre, Fräulein Kuhräuber era quella che la fissava meno. Se incontrava gli occhi di Anna abbassava i suoi, a differenza delle altre, il cui sguardo non vacillava mai. Stava seduta sull’orlo della sedia in un modo che ad Anna era ormai familiare grazie alla frequentazione con Frau Manske, annuiva e mormorava un: «Ja, eben» a qualsiasi cosa dicessero le altre. Era chiaramente a disagio, e quando Anna le offrì la zuccheriera lasciò cadere rumorosamente le pinze per le zollette sul pavimento lucido, e fece poi quasi volar via le tazze dal tavolo nel tentativo di raccoglierle da terra.

«Oh, non fa niente» la rassicurò Anna. «Ci penserà Letty a raccoglierle. Stupide pinze, non fanno altro che cadere. Sono troppo grosse per questa zuccheriera».

«Ja, eben» disse Fräulein Kuhräuber tirandosi a sedere dritta e prendendo un’aria preoccupata. Le altre due distolsero per un attimo gli occhi dalla faccia di Anna per posarli sulla Fräulein. La baronessa, una donna piccola e chiara con tirabaci su ogni guancia, occhi sgranati azzurro chiaro e una bocca piccola priva di labbra o con labbra così sottili che non si vedevano neppure, sedeva impettita e immobile e spostava lo sguardo da un viso all’altro senza muovere la testa. Era nubile, probabilmente attorno ai trentacinque anni, si disse Anna, ma nelle sue lettere era sempre stata evasiva riguardo all’età. Anche Fräulein Kuhräuber aveva trentacinque anni, ma era grossa e florida tanto quanto la baronessa era minuta e pallida. Frau von Treumann superava la cinquantina e, stando alle sue lettere, aveva avuto molti più dispiaceri delle altre. Sedeva più vicina ad Anna la quale, determinata a sciogliere tutto il gelo fin dall’inizio, di tanto in tanto posava delicatamente la propria mano su quella di lei e ve la lasciava per un istante. «Oh, me ne sono dimenticata!» disse in tono allegro; la quantità di allegria che infondeva alla propria voce la faceva ridere di se stessa. «Mi sono completamente dimenticata di fare le presentazioni».

«Ci siamo già presentate alla stazione» dichiarò Frau von Treumann, «quando ci siamo ritrovate tutte a salire sulla vostra carrozza».

«Gli Elmreich sono imparentati con i Treumann» osservò la baronessa.

«Oh, siamo una famiglia talmente estesa» rispose Frau von Treumann senza esitare, «che siamo imparentati quasi con chiunque».

Il tono era stato freddo, e dopo quelle parole discese il silenzio. A quanto pareva nessuna di loro era imparentata con Fräulein Kuhräuber che, trincerata dietro la tazza da cui beveva senza aver prima tolto il cucchiaino, anelava disperatamente ad avere a sua volta una qualche parentela.

Ma non ne aveva. Era totalmente priva di parenti, a esclusione di quelli deceduti. Orfana dall’età di due anni, era stata accudita da una zia fino ai dieci. Morta la zia, era stata accolta in un orfanotrofio fino ai sedici anni, quando le era stato detto che era arrivato il momento di guadagnarsi il pane. Era una ragazza pigra già ai tempi, che il pane preferiva mangiarlo, piuttosto che guadagnarselo. Non essendo però più disponibile l’orfanotrofio, era stata presa dalla famiglia di un pastore come Stütze der Hausfrau. Le Stütze, o aiutanti, sono comuni nelle famiglie tedesche del ceto medio, dove aiutano la padrona di casa nelle sue molteplici attività: cucinare, rammendare, stirare, istruire o intrattenere la prole; in breve, sono un conforto e una benedizione per madri tormentate. Purtroppo, non possedendo Fräulein Kuhräuber alcun talento per aiutare le madri tormentate, nel giro di poco le era stato chiesto di lasciare l’affaccendata e popolosa canonica; da allora si era imbarcata in una serie di disavventure che avevano avuto termine vent’anni dopo con il meraviglioso colpo di fortuna che l’aveva fatta approdare tra le braccia di Anna.

Quando aveva letto l’annuncio le si prospettava un futuro alquanto fosco. Come già accaduto in passato, aveva appena ricevuto un preavviso di licenziamento e non aveva prospettive di lavoro, né risparmi. Vero, nell’annuncio si offriva una casa solo a donne di buona famiglia; lei superò quella difficoltà dicendosi che la sua famiglia era tutta in paradiso, e che non potevano esserci parenti più rispettabili degli angeli. Aveva perciò scritto un elogio sperticato di Kuhräuber padre, «gegenwärtig mit Gott», per dirla a suo modo, dilungandosi sulle sue capacità e doti intellettuali (era un uomo di lettere, specificò) di quando ancora stava sulla terra. Manske, dopo aver svolto tutte le possibili ricerche, non poté trovare altro su di lei se non che era, come dichiarato dalla stessa interessata, orfana, povera, senza amici e in ristrettezze; e Anna, all’epoca spazientita per le obiezioni avanzate dalla principessa riguardo a ogni candidata, aveva deciso in fretta e furia di accettare colei contro cui non era mai stato detto niente di male. Ecco perché Fräulein Kuhräuber, che aveva passato la vita a scansare il lavoro, che era sprecona e imprevidente, che non era mai stata particolarmente infelice e il cui padre era stato un postino, si ritrovò accolta a casa di Anna con un entusiasmo sbalorditivo fatto di sorrisi, carezze e belle parole, parole che erano l’esatto opposto di quelle cui era abituata, volte a significare che ora doveva pensare solo a riposarsi e a badare bene di non fare nulla se non ciò che la rendeva felice.

Era meraviglioso. Le sembrava troppo bello, davvero troppo bello per essere vero. E il piacere che provava nello star lì seduta a mangiare ottimi dolci, unito al disagio per gli sguardi delle altre due donne e alla consapevolezza di non avere mai imparato come ci si comporta in compagnia di persone il cui cognome è preceduto da un von, suscitavano in lei una tale mescolanza di estasi e paura che era del tutto comprensibile che facesse cadere le pinze per le zollette, che rovesciasse la lattiera piena di panna e si facesse andare di traverso il caffè, tutte cose che accaddero con grande pena di Anna, la quale condivideva soffrendo il suo tormento mentre gli occhi delle altre due osservavano ogni nuova catastrofe con estremo interesse.

Fu una mezz’ora molto imbarazzante. “Io sono timida, e loro pure” si disse Anna a giustificazione di quell’atmosfera così piatta. Del resto, come poteva essere altrimenti? Poteva forse aspettarsi che andassero in brodo di giuggiole? Per l’amor del cielo. Eppure quel passaggio definitivo dall’abbandono e dalla solitudine all’amore era un frangente cruciale della loro esistenza, e lei si stupì vagamente che il sentimento predominante fosse l’interesse per la goffaggine di Fräulein Kuhräuber.

Il tedesco di Anna vacillava, minacciando di abbandonarla completamente. Poi piombò l’inevitabile silenzio, in cui si udirono i passeri bisticciare nel giardino dorato, e il cigolio di una pompa dell’acqua in lontananza.

«Com’è silenzioso qui» osservò la baronessa rabbrividendo impercettibilmente.

«Vicino alla casa non c’è la fattoria a rallegrarla» constatò Frau von Treumann. «La casa di mio padre aveva il giardino sul retro e la fattoria sul davanti, perciò non si aveva la sensazione di essere tagliati fuori da tutto. C’era sempre qualcosa che succedeva in cortile… c’erano sempre vita, rumori».

«Ah sì?» rispose Anna; poi la pompa e gli uccelli tornarono a farsi udire.

«Un silenzio davvero impressionante» ribadì la baronessa.

«Ja, eben» disse Fräulein Kuhräuber.

«Però è bello, non trovate?» chiese Anna guardando fuori dalla finestra la luce sull’acqua. «È così riposante, così tranquillizzante. Immagino che il tramonto di stasera sarà incantevole. Da questo lato della casa non si vede, ma guardate il colore dell’erba e dell’acqua».

«Ach… siete un’amica della natura» disse Frau von Treumann volgendo la testa per un breve attimo verso la finestra quindi scrutando Anna in viso. «Lo sono anch’io. Non c’è nulla che ami più della natura. Voi dipingete?»

«Mi piacerebbe».

«Ah, allora cantate… o recitate?»

«Nessuna delle due cose».

«Davvero? Ma cos’avete qui, allora, per distrarvi, per passare il tempo?»

«Credo di non avere niente» rispose Anna con un sorriso. «Finora sono stata molto occupata a preparare la casa per il vostro arrivo, e ora, semplicemente, passerò il tempo a godermi la vita».

Un’espressione perplessa attraversò fugace il viso di Frau von Treumann. Poi pronunciò un: «Ach so».

La stanza ripiombò una volta di più nel silenzio.

«Bevete ancora un po’ di caffè» le esortò Anna afferrando il bricco con piglio persuasivo. Si sentiva sciocca, e dopo quell’Ach so era arrossita stupidamente.

«No, no» disse Frau von Treumann sollevando una mano in segno di protesta, «siete troppo gentile. Due tazze costituiscono il limite entro cui contenere la propria voracità. Come dite? Ne avete bevute tre? Oh beh, voi siete giovane, e i giovani possono giocare qualche scherzo alla propria digestione con meno rischi rispetto ai vecchi».

Di fronte a quell’affermazione le quattro tazze di Fräulein Kuhräuber le si lessero chiare in viso in tutta la loro colpevolezza. L’idea di essere stata vorace già al primo pasto le appariva agghiacciante. Con gesto precipitoso allontanò la tazza mezza vuota; troppo precipitoso, perché la rovesciò, e nello sforzo di fermarla la fece cadere a terra, dove andò in pezzi. «Ach, Herr Je!» esclamò angosciata.

Le altre due si scambiarono un’occhiata: non capitava spesso di udire quell’espressione sulla bocca di una gentildonna.

«Oh, non fa nulla, non fa nulla» la rassicurò subito Anna. «Non state a raccogliere, ci penserà Letty. Il tavolino è troppo piccolo. Non c’è abbastanza spazio per tutto».

«Ja, eben» fu il commento dell’affranta Fräulein Kuhräuber.

«Sono sicura che avrete voglia di salire» disse Anna sollecita rivolgendosi alle altre. «Dovete essere molto stanche» soggiunse guardando Frau von Treumann.

«Proprio così» replicò la donna, e per un attimo chiuse gli occhi e abbozzò un sorrisetto di paziente sopportazione.

«Allora saliamo. Venite» le invitò, tendendo la mano a Fräulein Kuhräuber. «No, lasciate stare. Letty, raccogli tu i cocci» disse Anna dato che la Fräulein, nell’ansia di riparare al disastro, stava per far cadere dal tavolo anche le altre tazze con un colpo di mantello. Anna infilò il proprio braccio sotto quello di lei e le diede una furtiva carezza di incoraggiamento. «Vi faccio strada» disse alle altre da sopra la spalla.

Fu così che Frau von Treumann e la baronessa Elmreich si ritrovarono a varcare soglie e a salire le scale dietro a una Fräulein Kuhräuber qualunque. Si scambiarono un’ennesima occhiata. Quali che fossero i personali motivi di reciproca avversione, su una cosa almeno si trovavano d’accordo: entrambe disapprovavano, di cuore e con pari intensità, Fräulein Kuhräuber.