XXVI.

Nell’alzare gli occhi dalla colazione per vedere chi stesse passando a cavallo per strada, Frau Manske vide Dellwig dirigersi al cancello del giardino. Suo marito era ancora in vestaglia e pantofole, la tenuta che prediligeva di mattina presto e, dato il bel tempo, entrambi stavano bevendo il caffè a una tavola apparecchiata nella spaziosa veranda. Non c’era quindi possibilità di nascondere la vestaglia di lui né il fatto che la cuffia di lei non fosse fresca di bucato come avrebbe dovuto essere una cuffia degna del grande Dellwig. Sapeva che Dellwig non era una stella di prima grandezza come Herr von Lohm, però era un superbo esemplare di quelle minori, e lo trovava assai più imponente di Axel, i cui modi pacati non aveva mai capito. Dellwig la snobbava in maniera così sistematica e brutale che lei non poteva fare a meno di rispettarlo e ammirarlo; era una di quelle donne cui piace strisciare davanti all’autorità del più forte. In subbuglio, si precipitò al cancello per aprirglielo, senza ricevere un ringraziamento né un saluto.

«Buongiorno, buongiorno» disse con ripetuti inchini. «Una giornata di bel tempo, Herr Dellwig».

«Dov’è Klutz?» chiese l’altro brusco senza smontare da cavallo né togliersi il cappello.

«Oh, povero giovanotto, Herr Dellwig!» cominciò la donna alzando le mani al cielo. «Ha ricevuto una lettera da casa che l’ha sconvolto. Suo padre…»

«Dov’è?»

«Suo padre? A letto, e si pensa che non…»

«Dov’è Klutz, voglio dire, Klutz figlio? Herr Manske, venite qui un attimo… buongiorno. Ho bisogno di vedere il vostro vicario».

«Ha ricevuto tristi notizie da casa ed è partito».

«Partito?»

«Proprio questa mattina. Poveraccio. Il padre anziano…»

«Non mi interessa un accidente del padre anziano. Con quale treno?»

«Con quello delle nove e mezza. È partito alle sette con la vettura postale».

Dellwig fece fare una brusca giravolta al cavallo e senza una parola partì al galoppo in direzione di Stralsund. “Faccio ancora in tempo a prenderlo” si disse, e lanciò la bestia alla massima velocità.

«Chissà cosa voleva dal vicario» commentò Frau Manske.

«Dei brutti modi ma un buon cuore, non ho dubbi» disse il marito con un sospiro, e con aria pensierosa si avvolse attorno alle gambe i lembi della vestaglia.

Klutz era sulla banchina in attesa del treno per Berlino, la cui partenza era prevista di lì a cinque minuti, quando Dellwig spuntò dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla.

«Calma, non c’è bisogno di spaventarsi tanto» esordì Dellwig scoppiando a ridere.

Dopo quell’uscita Klutz lo guardò ammutolito, in attesa di sentire anche il resto. Il suo viso era terreo.

«E così tuo padre è grave, eh?» chiese Dellwig con fare espansivo. «È tutto qui il coraggio che hai? Beh, possibile che un figlio sia così pallido solo perché suo padre sta tirando gli ultimi?»

«Che cosa volete?» sussurrò Klutz con labbra esangui. Sulla banchina i conoscenti di Dellwig li stavano osservando.

«Ebbene» disse Dellwig abbassando un po’ la voce, «avrai sentito dell’incendio. Come mai non ti ho visto tra i soccorritori? Ieri sera eri con Herr von Lohm… non fare quella faccia impaurita, amico. Se non sapessi di tuo padre penserei che ti sia passata qualche cosa per la testa. Volevo chiederti… girano strane voci…»

«Sto andando a casa… a casa, capite?» disse Klutz concitato.

«Oh. Certo. E nessuno ha intenzione di fermarti. Chi pensi sia stato ad appiccare il fuoco alle scuderie?»

Klutz sembrava sul punto di svenire.

«Dicono che sia stato lo stesso Lohm» proseguì Dellwig a voce bassa, gli occhi incollati al viso del giovane.

Improvvisamente le orecchie di Klutz si accesero di rosso. Guardò in terra, poi in cielo, poi dietro le spalle, nella direzione da dove doveva arrivare il treno. Per l’agitazione la fronte bassa gli si imperlò di goccioline di sudore freddo.

«Il punto è» disse Dellwig, a cui non era sfuggito neppure un movimento di quel viso scosso dagli spasmi, «che devi essere stato con Lohm fin quasi al momento in cui… sei andato subito da lui, una volta uscito da casa mia, vero?»

Klutz chinò il capo.

«Allora quand’è scoppiato l’incendio non potevi essere andato via da molto, no? Io stesso l’ho incontrato tra le scuderie e il cancello cinque minuti, forse anche meno, prima che scoppiasse l’incendio. Mi ha superato di fretta, zitto zitto, come se sperasse di non essere riconosciuto. Perciò adesso dimmi tutto quello che sai. Dimmi se hai visto qualcosa. È interesse di entrambi renderlo inoffensivo».

Klutz si torse le mani e si voltò di nuovo per vedere se arrivava il treno.

«Sai cosa succederà se ti ostinerai a voler essere generoso e a proteggerlo? Dirà che il colpevole sei tu, si sbarazzerà di te e metterà a tacere tutta la faccenda di Miss Estcourt. Te lo vedo scritto in faccia che sai chi è stato. Tutti dicono che è stato Lohm».

«Ma perché? Perché farlo? Perché avrebbe dovuto bruciare le sue…» balbettò Klutz terribilmente agitato.

«Perché? Perché erano fatiscenti, e ben assicurate. Perché non aveva soldi per costruirne delle nuove; e perché ora l’assicurazione gli darà i soldi. È talmente evidente… io sono convinto che è stato lui».

Sentirono il treno arrivare. Klutz si chinò rapido e afferrò la valigia. «Eh no» disse Dellwig prendendolo per il braccio e stringendo forte. «Non ti lascerò andare finché non mi avrai detto quello che sai. A essere puniti sarete tu o Lohm… chi dei due preferisci?»

Klutz lanciò a Dellwig uno sguardo disperato, da animale braccato.

«Lui… lui…» cominciò, lottando per articolare le parole nonostante le labbra aride.

«È stato lui? Lo sai? L’hai visto?»

«Sì, sì, l’ho visto… l’ho visto…»

Klutz scoppiò in un pianto a dirotto.

«Armer Junge» disse Dellwig a voce alta battendogli poderose manate sulla schiena. «Dev’essere terribile avere il proprio padre malato, sul letto di morte, e davanti a sé un lungo viaggio, un lungo viaggio di angosciosa attesa». E facendo gran sfoggio di solidarietà cercò uno scompartimento vuoto, lo fece salire a bordo sospingendolo su per gli alti gradini, poi lanciò all’interno la valigia e rimase a parlare con voce stentorea di padri malati fino alla partenza del treno. «Spero troverai Herr Papa meglio di quanto ti aspetti» gridò alla volta del treno in movimento. «Su, fatti forza. È il nostro vicario» esclamò rivolgendosi a un conoscente che stava lì nei pressi; «un figlio unico, e ha appena saputo che il padre è moribondo. Poveraccio, è sopraffatto dal dolore».

Una volta tornato a casa disse alla moglie: «Mia cara Teresa», un modo di appellarla usato solo nelle rare occasioni di suprema soddisfazione, «riguardo al nostro amico Lohm mettiti pure il cuore in pace. La Miss non lo sposerà mai, e lui non ci darà più problemi». A questo seguì una breve conversazione in privato, e più tardi, a cena, stapparono una bottiglia di champagne, adducendo come scusa a beneficio della domestica il compleanno di una zia; bevvero più volte alla salute di quest’ultima e si sentirono allegri come non si sentivano da anni.